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PRINCIPI, REGOLE, INTERPRETAZIONE. CONTRATTI E OBBLIGAZIONI, FAMIGLIE E SUCCESSIONI

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(1)

FAMIGLIE E SUCCESSIONI

SCRITTI IN ONORE DI GIOVANNI FURGIUELE

tomoi

a cura di

GIUSEPPE CONTE e SARA LANDINI

e con la collaborazione di MARCO RIZZUTI e GIULIA TESI

UNIVERSITAS STUDIORUM

(2)

© 2017, Universitas Studiorum S.r.l. - Casa Editrice via Sottoriva, 9 46100 Mantova (MN) P. IVA 02346110204 tel. 0376 1810639 http://www.universitas-studiorum.it Finito di stampare nel *** 2017 ISBN 978-88-99459-**-**

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nuovamente dovrò fare ritorno. Parmenide

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IL BENE GIURIDICO ALIMENTARE* antonio Bellizzidi San lorenzo

Prof. aggregato Università di Firenze

Sommario: 1. L’alimento nella gerarchia dei bisogni umani: la bio-assiologia. – 2.

Caratte-ristiche strutturali e funzionali del bene alimento: esclusività, divisibilità, consumabilità, deteriorabilità, futuribilità. – 3. L’alimento come bene patrimoniale a funzione non patri-moniale: il “potere alimentare”. – 4. L’alimento sotto il profilo antropologico, religioso, simbolico-identitario e la rilevanza giuridica della sua irriducibilità materiale. – 5. Speci-ficità di rilevanza del valore d’uso alimentare per la persona fisica e possibili frizioni col valore di scambio; illeciti e tutele: cenni; informazione e pubblicità. – 6. Bene alimentare e bene medicinale: cenni sul problema dell’alimentazione artificiale.

1. L’alimento nella gerarchia dei bisogni umani: la bio-assiologia.

Il tema1 dell’enucleazione del bene giuridico2 alimentare è posto dalla considerazione dell’oggettivo bisogno umano di alimentarsi, ossia di sostenere la propria esistenza fisica attraverso la periodica assimilazione di cose potabili/ commestibili, quali porzioni del mondo esterno, allo stato liquido e solido esistenti come tali in natura, nel mondo mine-rale, vegetale e animale ovvero quale risultato della prodromica manipolazione umana, più o meno complessa.

È indispensabile premettere che biologicamente l’essere umano, come gli altri ani-mali, attinge il proprio nutrimento non solo direttamente dalla materia inorganica come l’acqua ma altresì dai vegetali e/o dagli altri animali: dunque l’uomo appartiene al novero degli esseri viventi eterotrofi, i quali sintetizzano il nutrimento indirettamente dalla mate-ria organica e non direttamente esclusivamente dalla matemate-ria inorganica, come gli esseri viventi autotrofi, quali i vegetali3.

*. Il presente studio costituisce lo sviluppo di un intervento tenuto al Convegno Environment, energy, food -comparative models for sustainable development- Cesifin, Roma-Firenze 5-6 ottobre 2015.

1. Sulla nozione di “scelta del tema”, v. P. Calamandrei, Il giudice e lo storico, in Riv. dir. proc., 1939, I, p. 110:

cfr. G. PaSCuzzi, La creatività del giurista-tecniche e strategie dell’innovazione giuridica, Bologna, 2013, p.72.

2. Sul concetto di “bene giuridico” v., ex multis, S. PuGliatti, Beni (Teoria gen.), in Enc. dir., V, Milano, 1959, p.

164 e ss; o. t. SCozzafava, Dei beni, in Comm. c.c. Schlesinger, artt. 810-821, Milano, 1999; m. CoStantino-r. Par -doleSi-d. Bellantuono, I beni in generale, in Tratt. dir. priv., Rescigno,VII, 1, II ed.,Torino, 2005, p.5 e ss; a. GamBa -ro, I beni, in Tratt. dir. civ. e comm., Cicu-Messineo-Mengoni-Schlesinger, Milano, 2012; f. alCaro, Diritto privato, II

ed., Padova, 2017, p.103 e ss. Per la definizione giuridica di “alimento” comprensivo dell’acqua e di «qualsiasi so-stanza o prodotto trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato destinato ad essere ingerito, o di cui si prevede ragionevolmente che possa essere ingerito da essere umani», v. art. 2 del Reg. CE 178 del 28 gennaio 2002.

3. V., ex multis, a. Giuliani, La produzione di energia, in Basi chimiche molecolari e biologiche della medicina, Torino,

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Ne consegue che, nella gerarchia dei bisogni umani, il bisogno di alimentarsi comprensi-vo dell’acqua è secondo soltanto a quello primario di respirare, cioè di assumere direttamen-te la sostanza aereiforme condirettamen-tenendirettamen-te in natura l’ossigeno4. Infatti il bisogno di respirare5 si differenzia da quello di alimentarsi per la necessaria continuatività della sua soddisfazione

rispetto alla periodicità indifferibile senza limite della soddisfazione del bisogno

alimenta-re. Ma, nell’ambito del bisogno alimentare, è nello stato liquido che si reperisce l’oggetto di soddisfazione fondamentale, giacché l’assunzione dell’acqua assume valore primario rispet-to ad ogni altro alimenrispet-to in termini di periodicità indifferibile . Tali bisogni umani essenziali, complementari e non alternativi, sono dunque segnati da una precisa gerarchia satisfatti-va, imprenscidibile per una lettura giuridica del fenomeno6. Ed infatti, come dai rudimenti della scienza economica7 si attinge che nella gerarchia dei beni idonei a soddisfare i bisogni umani il primo è l’aria e il secondo è l’acqua , così giuridicamente s’impone la costatazione di una bio-assiologia8 ossia di una gerarchia di valori di sussistenza della persona9 scanditi dalla sequenza aria-acqua-altra alimentazione, le cui differenze strutturali e funzionali de-vono essere indagate al fine di coglierne la peculiare natura normativa, nello «svolgimento dell’azione giuridica cioè costitutiva o conservativa d’ordinamento»10.

2. Caratteristiche strutturali e funzionali del bene alimento: esclusività, divisi-bilità, consumadivisi-bilità, deterioradivisi-bilità, futuribilità.

Mentre la prima differenza di carattere cronologico tra la periodicità di soddisfazione del bisogno idrico-alimentare e la continuatività di quello respiratorio rivela un carattere

4. «tutti gli organismi animali sono eterotrofi e degradano i componenti organici fino a CO² e H2O

attraver-so processi ossidativi che posattraver-sono avvenire in presenza di ossigeno(organismi aerobi) o in assenza (organismi anaerobi). L’uomo è un organismo aerobio; i processi ossidativi che si svolgono al suo interno sono, in ultima analisi ossigeno-dipendenti. Il complesso dei fenomeni che portano un organismo aerobio alla produzione di anidride carbonica e acqua, con consumo di ossigeno, viene detto respirazione», v. a. Giuliani, o.u..c..

5. v.J.W. HoleJr (D. Shier - J. Butler - R. Lewis), Human anatomy e physiology, 14°ed., Columbus (Ohio), 2015,

p. 19 Respiratory system.

6. Infatti «il diritto privato è per essenza sua propria normativa di singoli atti o comportamenti ossia di singoli accadimenti puntuali»: a. di maJo, Giaquinto, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, p. 35. Sul problema

della lettura giuridica della realtà, fisica e spirituale v. a. raBaGny, L’image juridique du monde, Paris, 2003,

segna-tamente p. 97 e ss. Rileva la «enorme virulenza di certi fatti, che hanno la vigoria di condizionare il diritto e di plasmarlo», P. GroSSi, in Ritorno al diritto, Roma -Bari, 2015, p. 10, nota 18.

7. v. G.S.J. evonS - l. CoSSa, Economia politica VIII ed. agg. da V. Tosi, Milano, 1924, p. 15 e 23.

8. Il termine è ispirato dalla lettura di r. eSPoSito, ßιοѕ-biopolitica e filosofia, Torino, 2004. Per una critica

filosofica contemporanea alla impossibilità di fondare valutazioni etiche oggettive v, H. Putnam, Ethics without

Ontology, Harvard, 2004, trad.it., Etica senza ontologia, Milano, 2005, p. 110. Da un punto di vista giuridico, v. G.

vettori, Il contratto europeo fra regole e principi, Torino, 2015, p. 168.

9. Sullo sconfinato tema, v. ex multis, G. oPPo, Declino del soggetto e ascesa della persona, in Riv. dir. civ., 2002, p.

829 e ss.

10. V. Salv. romano, Ordinamento sistematico del diritto privato, I, Napoli, s.d.ma 1964 ,16. Cfr. f. romano in

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funzionale alla fisiologia dell’essere vivente, emerge invece la strutturalità di un’altra dif-ferenza discendente dalle caratteristiche fisiche degli oggetti idonei a soddisfare i suddetti bisogni: infatti i beni alimentari, a cominciare dall’acqua, presentano la caratteristica del

bene esclusivo, ossia suscettibile di appropriazione individuale per trarne le utilità,

lad-dove il bene aria presenta tendenzialmente ed ordinariamente la caratteristica di bene inclusivo o quantomeno non esclusivo11. Così la fruizione di un dato bene alimentare da parte di un individuo esclude gli altri individui dalla soddisfazione dello stesso bisogno omologo e competitivo poiché, per quanto il bene possa essere divisibile in più parti,

vi è un limite oltre il quale l’entità risultante dalla divisione non è in grado di soddisfare nessun destinatario della stessa operazione; invece la fruizione del bene unitario aria, intrinsecamente res communis e come tale non divisibile12, non solo non esclude ma anzi implica la fruizione comune, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, tra individui umani e con tutte le altre specie viventi e varietà vegetali: l’aria infatti ha una sua mate-rialità aereiforme appunto e quindi una natura incorporea non quale fisica intangibilità - giacché anch’essa sottoposta a forza (es. vento) è senso-percettivamente tangibile - ma come giuridica non individuabilità nel corpus di una propria forma determinata di bene

se non coartata in un altro bene mobile o immobile (bombole ad ossigeno-contenitore di aria compressa etc.): in tal senso è materiale ma in sé incorporale13, come pure l’acqua, la quale però è suscettibile d’individuazione spaziale14, laddove l’aria è omnicomprensiva,

11. Per la distinzione tra “beni esclusivi”, come il cibo appunto, beni “non esclusivi” e “beni inclusivi”, v. l. lomBardi-vallauri, Corso di filosofia del diritto, Padova, 1981, p. 458; v. a. GamBaro, o.c., p. 68 per il «ripudio di

quegli insegnamenti per cui le res communes omnium non sarebbero catalogabili tra i beni. Questa esclusione è del

resto logicamente errata perché inserisce nella definizione del concetto di bene un medio logico non previsto da alcuna fonte, ossia che si deve trattare di beni-cose appropriabili individualmente».

12. Infatti, la possibilità che la quantità d'aria o sue componenti siano comprimibili in contenitori ovvero chimicamente commutabili in aria liquida non implica divisione del bene unitario e collettivo aria, non essen-dovi deminutio dell'entità di provenienza. Cfr., S. PuGliatti, Cosa (Teoria gen.), in Enc. dir. XI, Milano, 1962, p. 36.

Per la proiezione del concetto di "bene comune" fuori della "logica dell'avere", v. U. mattei, Beni comuni. Un

manifesto, Roma -Bari, 2011.

13. Tradizionalmente invece la dottrina post-romanistica sovrappone il concetto di corporeità a quello di materialità: v. B. Biondi, I beni, in Tratt. dir. civ. it., Vassalli, 1953, p. 21, essendovi stati invece notevoli sviluppi in

tema di beni immateriali: v., ex multis, d. meSSinetti, Oggettività giuridica delle cose incorporali, Milano 1970; f. alCaro,

Riflessioni “vecchie” e “nuove” in tema di beni immateriali. Il diritto d’autore nell’era digitale, Rass. dir. civ, 2006, p. 899 e ss.

Sulla svolta determinata da f. Carnelutti per i beni materiali in Studi sulle energie come oggetto di rapporti giuridici, in Riv.

dir. comm.,1913, I, p. 354 e ss, v. considerazioni di m. CoStantino – r .PardoleSi - d. Bellantuono, o.c., p. 54 e

ss. Peraltro la distinzione romanistica delle res in «1.corporales (…) quae sui natura tangi possunt» e «2.incorporalesautem (…) quae tangi non possunt, qualia sunt ea, quae in iura consistunt» (Iustiniani Inst.,II,2) costituisce una trasposizione di

categorie filosofiche greche che però riduce agli iura , le cose immateriali, ossia attinte per astrazione intellettuale:

chiarissimo, in tal senso, M. villey, in Le droit romain, X ed., Paris, 2002, p. 72: «Les philosophes de l’école d’Aristote

enseignent qu’il existe deux catégories de choses: celles que les sens perçoivent corporellement,celles que l’esprit perçoit par l’abstraction».

14. L’acqua si rivela suscettibile di un nomos risolutivo di un conflitto appropriativo per un bene scarso, cioè

di “un atto costitutivo dell’ordinamento dello spazio” nel senso di C. SCHmitt, Der nomos der Erde im Völkerrecht

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ubiqua15, immediatamente attingibile per la respirazione dalla universalità dei viventi e come tale tutelata dagli ordinamenti avverso le immissioni16ed emissioni17. Quindi l’ac-qua, come il cibo e le loro fonti di approvvigionamento, danno luogo giuridicamente ad una conflittualità d’interessi di tipo appropriativo (oltre che conservativo), laddove l’aria dà luogo ad una conflittualità di tipo conservativo.

A ciò va aggiunto che il bene alimentare si presenta come il bene consumabile per

eccellenza, giacché, per definizione, il suo stesso uso -possibile una sola volta- consiste nell’essere consumato per esser trasformato nell’energia necessaria all’organismo (res quae ipso usu consumuntur) non essendo così un mero bene deteriorabile18, destinato cioè ad usurarsi attraverso il suo uso reiterato o non uso protratto nel tempo: sotto quest’ultimo profilo, l’alimento è anche un bene deteriorabile perché la possibilità stessa del suo uso -proprio in termini di consumo- esaurisce la sua funzione satisfattoria in tempi differen-ziati a seconda della categorie merceologiche e quindi con tempi di possibilità di conser-vazione limitati e condizionati dalla tecnologia del momento storico.

Inoltre il bene alimentare, tanto nella sua consistenza originaria naturale di frutto del raccolto e dell’allevamento (art. 820 c.c.), quanto nella forma assimilata ab antiquo

della pesca e della caccia19, costituisce il prototipo di bene futuro,20come tale suscet-tibile di disposizione a prescindere dalla sua esistenza attuale al momento del negozio traslativo. Ma con una precisazione: che, in ragione della riproducibilità seriale carat-terizzante i processi produttivi contemporanei, emancipati dai ritmi della natura e tra-scendenti la singola contrattazione, il genus tendenzialmente assorbe la res futura, con

“individuazione” come «operazione per mezzo della quale si determina un bene giuridico in quanto tale vale a dire un’entità giuridica oggettiva unitaria e autonoma» da distinguersi dalla “identificazione” che «riguarda esclusivamente la cosa», v., S. PuGliatti, o.u.c., p. 62.

15. Ovviamente l’aria come tale (ai fini respiratori etc.) non deve essere confusa con lo” spazio aereo” inteso

in senso giusprivatistico come “colonna d’aria” soprastante un dato fondo (v. S. PuGliatti, o.u.c. p. 35) e, inteso

in senso internazionalistico, come spazio aereo in senso tecnico (ai fini del suo attraversamento etc.) su cui, v., ex multis P. de la Pradelle, Les frontiéres de l’air , RC,1954, II, p. 132 e ss., G. zHukov, y. koloSov, International space

law, New York, 1984; f. vonder dunk - f. tronCHetti, Handbook of space law, Northampton, (Massachusetts),

2015. Sui problemi appropriativi dell’etere v, o. t. SCozzafava, o.c., p. 89 e ss.

16. Senza pretesa di esaustività sul tema delle immissioni - che affonda le sue radici nel diritto romano come dimostra il caso dei fumi provenienti dalla taberna casearia (v. V. aranGio-ruiz, Istituzioni di diritto romano, XIV

ed., Napoli, 1987, p. 180); v., per il travalicamento di tale istituto dalla tutela del diritto di proprietà a quella del diritto alla salute, ex multis, e. PelleCCHia, Brevi note in tema di disciplina delle immissioni , tutela della salute e azione

inibitoria, in Giust. civ., 1995, I, p. 1633 e ss.; Cass. Sez. Un., 27 febbraio 2013 n. 4848, www.neldiritto.it.

17. La letteratura sull’argomento dell’inquinamento atmosferico, sotto il profilo di tutela giuspubblicistica nonché internazionale è vastissima: v., per una ricognizione, B. Caravita, Diritto dell’ambiente, Bologna, 2005, p. 125

e ss.; d. PaPPano, Inquinamento atmosferico e clima, in Diritto dell’ambiente, a cura di G. roSSi, Torino, 2011, p. 340 e ss.

18. Per le note distinzioni, v. per tutti B. Biondi, o.c., p. 50 e ss.

19. v. PomPonio, (IX ad Sabinum), D.,XVIII,I,8,1, con riferimento ai concetti rispettivamente, di fructus et

partus futuri nonché di captum piscium vel avium vel missilium

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prevalenza della qualifica, in termini di vendita di cosa generica (art. 1472 c.c.), su quella di cosa futura (art. 1378 c.c.).21

3. L’alimento come bene patrimoniale a funzione non patrimoniale: il “potere alimentare”.

Dalle precedenti osservazioni discende che il bene idrico-alimentare semplice o complesso è un bene esclusivo, limitatamente divisibile nella sua funzionalità nutritiva, consumabile, deteriorabile, destinato a soddisfare un bisogno umano periodico e non differibile senza limiti nel tempo. Ne consegue l’imprenscindibilità del consumo di beni idrico-alimentari per la sussistenza della persona che, come non può scegliere se respi-rare o meno, così non può scegliere se consumare o meno acqua né può esser libera dal bisogno di nutrirsi con beni diversi dall’acqua, pur potendo scegliere quali, entro certi limiti socio-economici-culturali. Il che val quanto dire che manca, in capo al consumato-re dell’alimento, il “dominio finalistico”22dell’atto di consumo dell’alimento stesso come tale: in tal senso i beni alimentari -con la primazia dell’acqua- sono beni di natura pa-trimoniale ma a funzione non papa-trimoniale, in quanto destinati a soddisfare esigenze

primarie della persona23.

A tal punto, devesi pertanto osservare che la situazione di dipendenza primaria uni-versale da tale consumo costituisce il cibo quale bene non opzionale ma coessenziale alla condizione umana assegnando una rilevanza di vero e proprio “potere alimentare”24, dal tratto virtualmente politico e non meramente economico25, ai soggetti produttori, nel momento in cui le società contemporanee si caratterizzano sempre più per l’allontana-mento del consumatore finale di cibo dai luoghi fisici di produzione concreta di tale bene

21. V. G. furGiuele, Vendita di “cosa futura” e aspetti di teoria del contratto, Milano, 1974, p. 89 e ss.

22. V., in generale, m. Gallo, La teoria finalistica dell’azione nella più recente dottrina tedesca, Milano, 1967.

23. V., a. Proto PiSani, Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, p.381-382. «Un’immediata ed imprescindibile esigenza di alimentarsi» è stata ritenuta “stato di necessità” scriminante del reato di furto di cibo ex art.54 c.p. da Cass. pen., sez. V, 7 gennaio 2016, n. 18248, www.giurisprudenzapenale.com. Successivamente però lo stesso Supremo Collegio ha ritenuto difettare, in un caso del genere, l’«attualità ed inevitabilità» del pericolo di danno grave alla persona non scongiurabile altrimenti che con atto penalmente illecito , potendo l’ agente sopperire all’esigenza alimentare rivolgendosi ad enti di assistenza sociale quali la Caritas: Cass. pen., Sez. IV, 13 febbraio 2017, n. 6635, www.neldiritto.it.

24. Si tratta veramente di un profilo di “microfisica del potere” nel senso di m. fouCault, Microphysique du pouvoir, Paris, 1971-1976, trad.it, Microfisica del potere. Interventi politici, Torino, 1977. Nel senso che «il potere […] è soltanto una funzione del generale processo produttivo, esattamente determinata nel suo oggetto», v. d. fiSiCHella, Il potere nella società industriale, Roma-Bari, 1995, p. 95. Nel senso che «Proprio là dove non viene tematizzato, il potere è indiscusso; più grande è il potere, più silenziosamente agisce», v. B. C. Han, Psicopolitica, Roma, 2016, p. 23.

25. «l’accesso al cibo si conferma così come parte integrante della cittadinanza, sì che il diritto al cibo deve essere anche considerato come criterio per comprendere la condizione di una società e il modo in cui vengono distribuite e rispettate le responsabilità politiche, economiche e sociali», v. S. rodotà, Il diritto ad avere diritti,

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primario26: trattasi cioè del crescente fenomeno dell’urbanesimo post-industriale, in cui la maggior parte della popolazione mondiale ormai vive nelle città/metropoli27mentre la restante parte è insidiata dalla deforestazione e dalla carenza del bene acqua 28.

Peraltro proprio sotto il profilo della riflessione sul “potere alimentare”, significativa si rivela l’invenzione, in ambito bancario, del termine «agflazione»29, per indicare il fe-nomeno specifico dell’aumento dei prezzi dei beni alimentari, dovuto ad un complesso di fattori, quali l’uso di risorse alimentari per produrre biocarburanti, calamità naturali, riduzione di terre coltivabili, etc.

4. L’alimento sotto il profilo antropologico, religioso, simbolico-identitario e la rilevanza giuridica della sua irriducibilità materiale.

A significare, da un punto di vista antropologico, che il bene alimentare si pone come centrale nella cultura in senso pregnante30, che va dal colere dell’agricoltura al cultus delle religioni, non ci si può esimere dall’osservare, in primo luogo, che il superamento dell’antro-pofagia nei processi di civilizzazione umana31 ha concorso alla definizione dello stesso con-cetto di persona umana come entità giuridica ontologicamente differenziata dagli altri ani-mali. Inoltre l’ambito della possibilità di scelta individuale di introdurre nel proprio corpo il cibo, quale alimento, si interseca non solo con la commestibilità fisiologica ma anche con la dimensione religiosa ed etica, per cui è proprio di talune religioni il divieto di consumare taluni cibi o bevande di origine animale o vegetale (carne suina etc. per Ebrei e Musulmani

ed alcolici per quest’ultimi, carne bovina per gli Indù etc.)32 mentre è proprio di altre religioni l’onere di mangiare determinati cibi per attingere la salvezza ultraterrena (Ostia consacrata

26. Per un’attualizzazione del pensiero di Karl Polanyi, v., z. Bauman, Liquid modernity, Oxford, 2000, trad.it

Modernità liquida, XVI ed., Roma-Bari, 2010, p. 162 e ss.: «il punto di partenza della “grande trasformazione “che

partorì il nuovo ordine industriale fu la separazione dei lavoratori dai loro mezzi di sussistenza».

27. «Today, 54 per cent of the world›s population lives in urban areas, a proportion that is expected to increas to 66 per cent by 2050», in www.U.N.org, World’s population increasingly urban with more than living in urban areas, New York, 10 july 2014.

28. Sullo stesso sito delle Nazioni Unite, si veda la scheda sul notorio problema mondiale di crescente Water scarcity. V. G. CaraPezza fiGlia, Oggettivazione e godimento delle risorse idriche, Napoli, 2008; C.a. mauCeri ( a cura

di), Guerra all’acqua, la riduzione delle risorse idriche per mano dell’uomo, Torino, 2016.

29. V. S. CaSSeSe, I Tribunali di Babele, Roma, 2009, p. 19.

30. V., ex multis, f. CeCla, Babel food-contro il cibo Kultura, Bologna, 2016

31. A proposito del cannibalismo nel Paleolitico inferiore, v. a. ruSt, L’uomo primitivo, in G. mann, a.

meuSS, Propylaen-Weltgeshichte, Frankfurt-Berlin, 1961, trad. it I Propilei, Milano, 1967, I, p. 199 e 220.

32. Per quanto riguarda i divieti alimentari dell’Ebraismo, v. P. Stefani, Gli Ebrei, Bologna, 1997, p. 41 (v.

Levitico XI, 7); per l’Islam, v., Sure II, 173; V, 3; VI, p. 145 del Corano; per quanto riguarda l’Induismo, il divieto

tradizionale di macellare (e quindi mangiare) bovini e altri animali da latte o da tiro è recepito dalla stessa Co-stituzione federale indiana del 15 agosto 1947, che, all’art. 48, stabilisce: «The State (...) shall, in particular, take steps for preserving and improving the breeds, and prohibiting the slaughter, of cows and calves and other milch and draught cattle».

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nel sacramento eucaristico per i Cattolici, mero simbolo per i Protestanti etc.)33. D’altra parte, pur nell’orbita delle società complesse post-secolarizzate34, sempre più si diffondono fenomeni etico-identitari di rifiuto di cibi di derivazione animale in modo meno (vegetaria-ni) o più radicale (vega(vegetaria-ni)35: trattasi di usi alimentari spesso inconsapevolmente neo-religiosi o quanto meno rituali ove non supportati da evidenze scientifiche36.

Ecco che tanto il diritto alla libertà religiosa quanto il diritto all’identità della persona37 pongono problematiche organizzative di rispetto di tali fruitori (ospedali, mense scola-stiche, militari etc.). Il che val quanto dire che il cibo reperisce non solo nella fisiologica

commestibilità ma altresì nell’universo simbolico differenziato di religioni e credenze col-lettive o individuali, i termini di una rilevanza giuridica ai vari effetti dell’ordinamento38.

5. Specificità di rilevanza del valore d’uso alimentare per la persona fisica e pos-sibili frizioni col valore di scambio; illeciti e tutele: cenni; informazione e pubblicità.

L’alimento, quale bene di consumo finale in termini di “valore d’uso”, riguarda sol-tanto quello specifico soggetto di diritto che è la persona fisica e non la persona giuridica, la cui attività può implicarne la oggettiva rilevanza come bene strumentale alla realizza-zione di un “valore di mercato” per la percerealizza-zione di profitto39. Ora, la compatibilità della strumentalità al profitto del bene alimentare con la sua primaria funzionalità40 non può non essere oggetto di tutela cogente in un ordinamento che assume la persona quale valore normativo apicale41. E ciò non solo attraverso norme che reprimono la messa in

33. Sulla Transustanziazione, v. d. muSSone, L’Eucarestia nel Codice di diritto canonico, Roma, 2002, J. i.arietta, Codice di diritto canonico e leggi complementari commentato, Roma, 2015, Can. 897 e ss.

34. Sulle “ambiguità della secolarizzazione”, v. m. rizzi, La secolarizzazione debole, Bologna, 2016, p. 35 e ss

35. Sul complesso fenomeno contemporaneo dei rapporti tra identità individuali e collettive e alimentazio-ne, v. m. niola, Homo dietiticus - Viaggio nelle tribù alimentari, Bologna, 2015.

36. V. d. BreSSanini, B. mautino, Contronatura - dagli OGM al “bio”, falsi allarmi e verità nascoste del cibo che

portiamo a tavola, Milano, 2015.

37. Sulla evoluzione del diritto all’identità personale, v., ex multis, G. PaSCuzzi, La creatività del giurista,

Bo-logna, 2013, p. 107 e ss.

38. v. a. SuPiot, Homo juridicus, Paris, 2005, trad. it. Homo juridicus - saggio sulla funzione antropologica del diritto,

Milano, 2006, p.1 e ss.

39. Per le note espressioni “valore d’uso”(gebrauchswert) e “valore di scambio” (tauschwert), v. k. marx, Das Kapital-Kritik der politischen oekonomie, Hamburg, 1867, trad. it Il capitale, critica dell’economia politica, Roma, 1974, p. 220: a favore dell’utilizzazione di categorie scientifiche di Marx a prescindere dell’accettazione dell’economici-smo della interpretazione generale della Storia dello stesso, v. B. CroCe, Materialidell’economici-smo storico ed economia marxisti-ca,(Palermo,1900), Bari, 1978, p. 74 e ss.

40. Con riferimento a «norriture necéssaire» parla di «droit économique elementaire» ancorandolo pure ai testi biblici, k. Polanyi, in La subsistance de l’homme, Paris, 2011, p. 118-19.

41. Per la configurazione dei diritti alla protezione dei consumatori come “diritti fondamentali” della perso-na, sub specie di “diritti cc.dd. della terza generazione “, v. G. morBidelli, Diritto pubblico comparato, V ed, Torino, 2016, p. 164. Per le specificità del “consumatore di alimenti” rispetto al consumatore in generale, v. m. tamPoni, La tutela del consumatore di alimenti nel momento contrattuale, in Tr. dir. agr. III, Il diritto agroalimentare, Torino, 2011, p. 579-615.

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commercio di beni alimentari comunque non genuini (frodi commerciali)42 o addirittura nocivi per la salute (frodi sanitarie)43, prodromicamente ai danni, cui comunque è appre-stata un’ulteriore tutela penale e civile ma altresì attraverso quell’obbligo d’informazione del produttore del bene circa la provenienza e modalità di produzione (biologica, non etc.)

dei beni semplici o anche circa la composizione dei beni complessi44. La fruibilità della suddetta informazione trasparente, da parte del consumatore finale, garantisce allo stesso di cautelarsi contro il consumo di beni, che presentino caratteristiche di rischio soggettivo individuale strutturali (allergie-intolleranze) ovvero contingenti (necessità di non ingerire determinate sostanze pericolose per una certa patologia in corso) ma anche di rischio og-gettivo generale sopravvenuto emergente dalla pubblica informazione (scoperta di disca-rica di sostanze tossiche in prossimità del luogo di produzione). Ovviamente il rispetto di questi obblighi d’informazione è compatibile con l’esercizio della facoltà di pubblicizzare i prodotti nei limiti del c.d. dolus bonus45, nell’acquisita consapevolezza che la pubblicità mira a persuadere anche attraverso il linguaggio non logico, ossia non rivolto a provocare un ragionamento ma anzi ad orientare una scelta di consumo superandolo (messaggi subliminali), per indurre bisogni più che per soddisfare i preesistenti (consumismo)46.

Il notorio contesto del mercato globale non coincidente con uno spazio giuridico conforme alle esigenze di tutela della persona avverso i danni delle merci circolanti- pro-venienti, come tali o in componenti delle stesse, dalle parti più disparate del globo47- trova il suo ubi consistam di tutela privatistica nel principio per cui «quando il produttore non sia

individuato è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il pro-dotto nell’esercizio di un’attività commerciale (...)» (art. 116 comma 1 D. Lgs. 206/2005 - C. Cons.), giacché «le disposizioni del presente articolo si applicano al prodotto impor-tato nell’Unione europea, quando non sia individuato l’imporimpor-tatore, anche se sia noto il produttore» (art.116, comma 6, D. Lgs. cit). Ed, ai fini civili della tutela preventiva e risarcitoria48 del consumatore di alimenti, vige il “principio di precauzione”, quale criterio di determinazione del livello di rischio giuridicamente rilevante quindi, già ove «venga

42. V., ad es., i reati previsti rispettivamente dagli artt. 516 c.p. (messa in vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine) e 517 c.p. (vendita di prodotti industriali con segni mendaci).

43. V., ad es., i reati previsti rispettivamente dagli artt. 442 c.p. (commercio di sostanze alimentari contraffatte e adulterate) e 444 c.p. (commercio di sostanze alimentari nocive)

44. V. Reg. UE n. 11169 del 2011 in vigore dal 13 dicembre 2014 sulle informazioni obbligatorie sull’eti-chettatura e confezionamento degli alimenti.

45. V., per tutti, f. alCaro, Diritto privato, cit. 445, Sulle tutele riguardanti pratiche commerciali, pubblicità

e altre informazioni commerciali, v. gli artt. 19-21-e 22 c. cons.

46. Senza pretesa di esaustività, nella sconfinata letteratura di sociologia dei consumi, v. m. franCHi, Il senso

del consumo, Milano, 2007, segnatamente p. 73 e ss.

47. V., ex multis, m. r. ferrareSe, Le istituzioni della globalizzazione - diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, 2000; n. irti, Norme e luoghi. Problemi di geodiritto, Roma-Bari, 2001.

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individuata la possibilità di effetti dannosi per la salute ma permanga una situazione d’in-certezza sul piano scientifico» (art. 7. Reg. C.E. n. 178/2002)49.

6. Bene alimentare e bene medicinale: cenni sul problema dell’alimentazione artificiale.

Nell’ambito dei beni destinati ad essere ingeriti nel corpo umano, gli alimenti devono distinguersi (art. 2 Reg. CE cit.) dai farmaci medicinali, quali beni volti a curare ovvero a prevenire una patologia. La rilevanza della distinzione è legata al differente regime della pro-duzione e commercio dei differenti beni e delle specifiche responsabilità50. Com’è noto, non esiste nell’ordinamento italiano un obbligo di sottoporsi a trattamenti sanitari, tranne casi espressamente previsti dalla legge (malattie contagiose- TSO etc.): viziata da un equivoco di

fondo appare allora la stessa impostazione del problema se la c.d. “alimentazione artificiale” debba o meno essere considerata un trattamento sanitario, al fine di trarne o meno l’ordinaria non obbligatorietà, in assenza di espressa previsione legislativa. Infatti compete alla scienza medico-legale valutare se il fenomeno dell’alimentazione artificiale esprima degli “atti medici”, come tali non obbligatori per il paziente e rigorosamente subordinati ad un informato consen-so autorizzativo, in sé revocabile. Ma giuridicamente, ove si espunga l’alimentazione artificiale dai trattamenti sanitari e conseguenzialmente dallo spettro applicativo dall’art. 32 Cost., tale conclusione non implica affatto che tale forma eccezionale di alimentazione possa essere più facilmente considerata obbligatoria, giacché anzi il diritto di alimentarsi è una primaria facoltà esistenziale compresa nel più ampio spettro applicativo dell’art. 13 Cost., per cui «la libertà personale è inviolabile», com’è noto con doppia riserva di legge e di giurisdizione (riserva rinforzata). E quindi, a fortiori, se non esiste un obbligo di curarsi non può esistere «per la

contradizion che nol consente» un obbligo di alimentarsi e men che meno di essere alimentati artificialmente, dato che comunque il diritto di curarsi, per l’assunzione dei farmaci più impor-tanti, è mediato dalla valutazione medica della patologia e della terapia (prescrizione medica) mentre il diritto di alimentarsi è affidato al libero arbitrio della persona capace d’intendere e di volere al fine d’ingerire nel proprio corpo cose commestibili secondo l’id quod plerumque accidit. Ciò premesso - in assenza di normativa espressa sul punto in termini di c.d. testamento

biologico (living will)51 - non può essere meramente presunto un consenso all’interruzione del sostegno vitale dell’alimentazione artificiale iniziata per lo stato di necessità di salvare la vita della persona, che non era in grado di prestare il consenso (in dubio pro vita)52.

49. V., m. Sollini, Il principio di precauzione nella disciplina comunitaria della sicurezza alimentare, Milano, 2006; a. Germanò, Mercato alimentare e sicurezza dei prodotti, in Riv. dir. agr., 2008, p. 99 e ss.; r. montinaro, Dubbio scientifico e responsabilità civile, Milano, 2012, p. 181 e ss.

50. V., ad es., art. 443 c.p. (Commercio di medicinali guasti) e art. 445 c.p. (Somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica).

51. V., G. ferrando, Testamento biologico, voce in Enc. dir., Annali, VII, 2007, p. 987 e ss.

52. V., Cass. civ. Sez., I., 16 ottobre 2007, n. 21748, www.unife.it; sulle contraddizioni e dilemmi della law-sa-tured society, v. S. rodotà, La vita e le regole, tra diritto e non diritto, Milano, 2009.

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“RISCOPRIRE” SALVATORE ROMANO. RICORDI, SUGGESTIONI, INSEGNAMENTI

franCeSCo d. BuSnelli

Prof. emerito Scuola Sant’Anna di Pisa

1. Salvatore Romano è stato inserito tra i “Maestri italiani del diritto civile”, meritoria

collana di volumi ideata dalla “Società Italiana degli Studiosi del Diritto Civile”.

Il volume, amorevolmente curato da Giovanni Furgiuele, che contiene i contributi dedicati al pensiero e agli scritti del Maestro, è stato presentato agli inizi dello scorso anno a Firenze in un convegno che ha chiamato a raccolta allievi ed estimatori, non solo fiorentini, molti dei quali avevano concorso con i loro contributi a realizzare que-sta bella iniziativa.

Non era la prima volta che l’Università di Firenze ricordava il suo grande civilista. «Salvatore Romano, per quanto è fervido nella immaginazione ricostruttiva, tanto è ligio e soggetto alla realtà, alle effettività, nella individuazione e descrizione della proble-matica»: così lo ritraeva, nell’introdurre nel 1980 il primo tomo di “Scritti minori”, il suo

primo allievo, Francesco Romano1; il quale, nelle “Considerazioni a chiusura dell’incontro” dedicato nel 2007 a “Salvatore Romano giurista degli ordinamenti e delle azioni”, era ricorso a

una felice metafora: «come è per il veggente, a Lui apparteneva la dote di vedere oltre il presente e anticipava ciò che poi sarebbe diventata sperimentata realtà e fenomenologia»2. Ma Salvatore Romano continua ad essere assimilato «alla vecchia, e ormai largamen-te conlargamen-testata, generazione dei giuristi. E tuttavia il suo dissenso da molti insegnamenti ufficiali, autorevolmente impartiti, fu non meno radicale, anche a costo di un sostanziale isolamento»3.

Va ascritta a merito di Giovanni Furgiuele l’idea di affidare coraggiosamente la “ri-scoperta” del pensiero del Maestro alle testimonianze di giuristi delle nuove generazioni e dalla diversa esperienza e qualificazione (docenti, magistrati, notai, ricercatori, assegnisti), delineando preliminarmente gli Aspetti essenziali del pensiero di Salvatore Romano e

sugge-rendo un’essenziale opzione di fondo - «tre profili: l’idea di ordinamento giuridico; il complesso delle varie figure soggettive; i concetti combinati di procedimento e di azione» - e una precisa chiave di

lettura: «si tratta di elaborazioni teoriche, costruite, quindi certo sulla base dell’osservazione della realtà e, comunque, essenzialmente a livello speculativo»4.

1. f. romano, Introduzione, in Salvatore Romano, Scritti minori, Milano, 1980, tomo I, p. X.

2. f. romano, Considerazioni a chiusura dell’incontro, in Aa. Vv., Salvatore Romano giurista degli ordinamenti e delle

azioni, Milano, 2007, p. 79 ss.

3. u. BreCCia, Il pensiero di Salvatore Romano, in Salvatore Romano, a cura di Giovanni Furgiuele, Napoli, 2015, p. 4.

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Il volume, dunque, è a mio avviso doppiamente prezioso.

Guardando al passato, contribuisce a far uscire Salvatore Romano da quella dimensione

di isolamento che l’ha circondato, aprendo una vera e propria miniera di autentica dottri-na, nutrita di tradizione e, al tempo stesso, aperta al nuovo.

Guardando al futuro, sollecita i civilisti di oggi e di domani a coglierne gli stimoli allo

scopo di uscire dal torpore sonnacchioso di una dottrina che, sempre più, sembra rinun-ciare al suo ruolo di guida nella continua evoluzione del diritto.

2. Il passato, per chi ha avuto occasione di conoscere il Maestro, è ricco di ricordi, di suggestioni, di insegnamenti. Ne hanno reso ampia e preziosa testimonianza i coautori del

volume e i relatori del convegno.

Chiamato dal presidente, e amico, Giuseppe Morbidelli a improvvisare un breve in-tervento conclusivo, sono stato felice di poter esprimere, nell’occasione, il mio debito di profonda riconoscenza nei confronti di Salvatore Romano, che non ho avuto la fortuna di seguire come allievo ma che sempre ho considerato un “mio” Maestro. E ho parlato dei miei ricordi.

Salvatore Romano è stato Presidente della Commissione per l’esame di libera docen-za, al quale mi sono presentato nel 1965. Come usava a quei tempi, mi ero imposto, per quanto possibile, la lettura dei suoi scritti: lettura faticosa di una scrittura, talvolta ostica, concettualmente e stilisticamente impegnativa.

Il tema della lezione che scelsi, fra quelle che mi erano state proposte, aveva un incon-fondibile timbro romaniano: “Stato e stati di necessità”. Devo dire che la preparazione che

mi ero fatto era, indubbiamente, servita perché alla fine della lezione il Professor Romano si avvicinò e sinteticamente mi volle anticipare l’esito dell’esame: «complimenti, professore».

Seguirono anni di assidue frequentazioni, durante le quali ebbi modo di apprezzare sempre di più l’assoluta originalità di metodo del Maestro e la sua insofferenza degli schemi tradizionali. I suggerimenti ricevuti nell’avviare lo studio di un altro tema d’im-pronta romaniana – la famiglia di fatto – si rivelarono sorprendentemente preziosi in una vicenda rimasta memorabile.

All’indomani della riforma del diritto della famiglia, alla Fondazione Cini di Venezia si riunì, nel 1977, lo “stato maggiore” della Rivista di diritto civile. Si trattava di dare corso

al Commentario del nuovo diritto della famiglia, varato nel 1975.

In quell’occasione assistetti, fresco professore ordinario, a uno scontro al vertice fra schemi tradizionali e aperture al nuovo. In sintesi: Santoro Passarelli versus Rescigno.

Si discuteva se fosse il caso di occuparsi o meno, nel Commentario, della famiglia di

fatto, che aveva già allora assunto una sua rilevanza nel diritto vivente. Ad un certo pun-to del dibattipun-to intervenne, con grande capacità di “mediapun-tore”, Luigi Carraro, uno dei fondatori della rivista che scoprii essere amico di Salvatore Romano. Egli mediò,

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impo-nendo che in un raccogliticcio “sesto volume” del Commentario, dedicato alle leggi extra ordinem, si inserisse la trattazione della “cosiddetta” famiglia di fatto. Il professor Carraro,

anch’esso giudice della mia libera docenza, d’autorità mi chiamò per darmi questo inca-rico, raccomandandomi di far tesoro di quei contatti con il Maestro fiorentino, in modo tale da poter utilizzare in argomento la scia del suo insegnamento. E così, per la verità, fu. 3. Penetrato, come fui, nell’originalissima trama del discorso giuridico del Nostro, af-fiorarono quasi d’incanto suggestioni che hanno inciso profondamente sulla mia

formazio-ne e che ho trovato puntualmente evidenziate scorrendo il volume. Mi limito a segnalarformazio-ne alcune tra le più significative.

a) Il discorso giuridico, apparentemente fatto di frammenti legati, per così dire, all’oc-casionalità mi è risultato, in realtà, “inframmentizzabile”: uso, qui, l’efficace neologismo di

Francesco Romano5.

Le stratificazioni semantiche della sua cultura, le sorprendenti riesumazioni nel pre-sente e le sottese proiezioni verso il futuro mi hanno particolarmente colpito. Nello scrit-to sulla buona fede nel diritscrit-to privascrit-to si legge: «L’antico e complescrit-to sistema, sorscrit-to sulla base dei fondamentali principi dell’honeste vivere, suum cuique tribuere, alterum non laedere,

va perdendo ogni giorno di più quell’inconsistenza di contenuto e quella confusione di forma che sono derivate dall’averli relegati nel campo dei fatti»6. Esorta, quindi, Salvatore Romano a «considerare le formule legislative come estensibili, oltre i casi esplicitamente disciplinati, ad ogni campo». Così per la buona fede e per «la normativa di correttezza. Non solo quindi tale normativa è tenuta presente nella materia obbligatoria, ma ovun-que si dirami un’oggettiva valutazione dell’agire sleale o scorretto, con o senza limiti di configurazione o di effetti»7. L’affinità con il pensiero di Luigi Carraro, allievo di Santoro Passarelli, è davvero sorprendente8.

Ma il movimento pendolare, tipico nel discorso giuridico di Salvatore Romano, non opera soltanto in senso discendente, dai principi generali - buona fede, abuso del diritto, equità - verso le discipline particolari, ma è chiamato a operare egualmente in senso in-verso. Esemplare è l’ampio saggio sul trasporto di cortesia9. Muove dal particolare dato normativo dell’art. 414 del codice del diritto della navigazione; ne supera le angustie di prospettiva (e i limiti di diretta applicabilità) per librarsi nel cielo aperto della dialettica fra responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale in una prospettiva aperta all’indagine sull’illecito e la responsabilità civile. Si tratta di spunti di riflessione, sia pur

5. f. romano, Introduzione, cit., p. VI.

6. Salv. romano, La buona fede nel diritto privato, in Scritti minori, cit., II, p. 887.

7. Salv. romano, La buona fede, cit., p. 842.

8. l. Carraro, Frammento inedito di dottrine generali. Il rapporto giuridico. Presentazione di F.D. Busnelli e P. Zatti, in

Riv. dir. civ., 2016, p. 8 ss., note 1, 8-11.

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espressi «in termini soltanto embrionalmente abbozzati»10 ma senza dubbio meritevoli di essere ripresi e valorizzati in una stagione che si pone sempre più diffusamente il pro-blema di un superamento dell’antitesi tra le due categorie tradizionali di responsabilità.

b) Sorprendente è l’attenzione alla giurisprudenza, non usuale nella dottrina del tempo. Viene immaginata non tanto «come somma di decisioni, ma come atteggiamen-to sensibile all’evoluzione dei rapporti giuridici», atteggiamento che sarà ben diverso se

il giudice «non pecchi di ossequio dinanzi alla lettera della legge ma cerchi di tradurre in atto lo spirito del sistema»11. «Se così è – sottolinea ora Giovanni Furgiuele - si avrà un’irrimediabile ‘sconfitta’ dell’approccio normativo e, al tempo stesso, una sicura ‘vit-toria’ del profilo ordinante: al giudice spetterà la funzione, non solo di ‘attuare’ la legge, ma in particolare di porsi come strumento di realizzazione della ‘giustizia’ anche prima ed oltre la legge»12.

c) Un “preannunzio” della attuale crisi della “fattispecie” viene collegato da Salvatore Romano alla necessità di «inserire una sorta di cuneo tra la norma e la c.d. fattispecie, ed ogni sviluppo della teoria dell’azione ridurrà la portata di quest’ultima per dar luogo alla considerazione di quelle situazioni che il sistema valuterà con una intensità di portata ben diversa rispetto allo statico inquadramento dei rapporti fondati sull’azione in termini di nullità o di altra invalidità». Così scriveva il Maestro, dichiarandosi apertamente «sotto la suggestione dell’ “Ordinamento giuridico” e dei “Frammenti di un dizionario giuridico”», nello

sviluppare una nuova prospettiva sulle orme di un altro grande civilista fiorentino, En-rico Finzi13. «In un tempo di profondi ripensamenti - avverte ora Francesco Alcaro – la figura dell’attività può favorire un rinnovamento critico e dischiudere orizzonti [il cui] antecedente logico è costituito fondamentalmente dalla ricostruzione dell’azione, come impostata e condotta da Salvatore Romano»14.

d) Merita infine di essere “riscoperta” la sensibilità costituzionale e umana del Ma-estro e la sua intransigenza nella difesa dei diritti fondamentali della persona, specie se incapace: vocazione mai declamata, ma autenticamente vissuta. L’ultimo scritto – Procura e incapacità naturale del rappresentato – non esita a concludere che «così come è stato redatto,

l’art. 428 c.c. è inaccettabile. Merita il ricorso all’interpretatio abrogans, e la taccia di

incosti-tuzionalità»15. Lo ha ben messo in evidenza Francesco Romano: «nell’ultimo scritto della raccolta, in un andamento che diresti ansimante – quale era ormai lo stato fisico –

riaf-10. f. GiGliotti, Il trasporto di cortesia nel pensiero di Salvatore Romano: profili di criticità e spunti non (sufficientemente)

coltivati, in Salvatore Romano, cit., p. 256.

11. Salv. romano, Ordinamento sistematico del diritto privato, I, Diritto obiettivo, diritto subiettivo, a cura di F.

Ro-mano, Napoli, s.d., p. 3 ss.

12. G. furGiuele, Intorno ad aspetti essenziali del pensiero di Salvatore Romano, cit., p. 28 s.

13. Salv. romano, Presentazione a “Il possesso dei diritti”, in Scritti minori, III, p. 1380.

14. f. alCaro, L’azione giuridica e la categoria dell’attività, in Salvatore Romano, cit., p. 81 s.

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ferma un’esigenza di eguaglianza di trattamento dei soggetti incapaci: pochi tratti, di una tecnicità essenziale, e poi il risvolto ad ampio respiro, il confronto con tutte le norme del sistema, fino alla norma fondamentale, quella scritta nella Costituzione»16.

4. L’originalità degli insegnamenti di Salvatore Romano è stata a lungo misconosciuta o

fraintesa da parte di una dottrina «sempre più distratta rispetto alla conoscenza del

pen-siero altrui e ai progressi che vengono proposti dalla meditazione dei pochi che ancora

studiano»17 e spesso propensa a relegarli in una zona oscura caratterizzata da «solitudine e in certo modo inattualità»18.

a) Misconosciuto, o quanto meno non adeguatamente approfondito, è il tasso di ori-ginalità del pensiero del Nostro rispetto all’insegnamento del padre, a cui pure si legava la formazione di giurista di teoria generale e andava la devozione di discepolo.

Chiarificatrice è, al riguardo, la traccia offerta da Giovanni Furgiuele: se è vero che «il collegamento fra Santi Romano e Salvatore è strettissimo, fin dai primi anni della formazione concettuale di quest’ultimo, una notazione deve aggiungersi: l’immagine dell’or-dinamento e delle situazioni giuridiche soggettive proviene a Salvatore Romano dal padre Santi, non così – almeno sembra – quella del procedimento e dell’azione»19.

Le obbligazioni naturali, tema al quale padre e figlio hanno dedicato contributi

fon-damentali, possono essere assunte, al riguardo, come ideale punto di riferimento. Santi Romano le aveva considerate come un vero e proprio “manifesto” della teoria del pluralismo ordinamentale, in quanto espressione esemplare dell’autonoma rilevanza giuridica di un ordinamento extrastatuale. Salvatore Romano si distacca decisamente da quella conclusione: «noi però consideriamo l’obbligazione naturale non già nel quadro di un concetto del diritto quale è stato delineato nella teoria di cui è parola, indipen-dentemente dallo Stato, bensì rispetto all’ordinamento di quest’ultimo»20. E netta è la diversa conclusione, formulata poche pagine dopo (p. 112): «all’origine dell’obbliga-zione naturale, e determinante il rapporto della medesima, trovasi un atto o fatto da classificarsi nella categoria di quegli atti o fatti indicati nell’art. 1173 come fonti dell’ob-bligazione». Orbene, a distanza di oltre un mezzo secolo, il mutamento di prospettiva si rivela particolarmente significativo. È il recupero di «una prospettiva normativista che trascina con sé echi inconfondibili della tradizionale teoria obbligatoria», al di là della quale, tuttavia, «si scopre l’orizzonte indefinito della fattualità nella quale anche l’obbligazione naturale viene a collocarsi»21.

16. f. romano, Introduzione, cit., p. IX.

17. Così a. traBuCCHi, Gli “Scritti minori” di Salvatore Romano, in Riv. dir. civ., 1980, II, p. 359.

18. e. Stolfi, Il principio di equità, in Salvatore Romano, cit., p. 567.

19. G. furGiuele, Intorno ad aspetti essenziali del pensiero giuridico di Salvatore Romano, cit., p. 17.

20. Salv. romano, Note sulle obbligazioni naturali, seconda ed., Firenze, 1953, p. 109.

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b) Originale, in tutti i sensi, è la concezione romaniana del diritto positivo, che trova il suo magistrale sviluppo nella “voce enciclopedica” sul “principio di equità”22.

Sull’originalità di questa concezione val la pena di soffermare la nostra attenzione. Qui il distacco dalla teoria istituzionale e pluralista di Santi Romano è più propriamente una specificazione: «non si nega la possibilità di concezioni più vaste, di un’equità sul piano dei rapporti fra ordinamenti diversi, ma… i concetti sarebbero diversi dall’equità qui considerata sul piano dei rapporti giuridici tra diritti positivi di un sistema, e sul piano di un coordinamento positivamente disposto»23.

La positività del diritto ideata da Salvatore Romano non è quella, strettamente legalista,

di Vittorio Scialoja, che aveva coniato il brocardo «Aequitas legislatori, ius iudici magis con-venit» capovolgendo letteralmente i termini dell’antico detto romano24. Il diritto positivo – replica il Nostro – «più che equo è infatti equabile: l’aequabilitas è quella caratteristica,

essenziale per il diritto, per cui le proporzioni concepite in una configurazione generale sono suscettive di riprodursi nelle situazioni particolari, cioè di tradursi in equità”; e in-fatti l’equità “evoca l’idea di misura, di proporzione tra gli stessi elementi di quel diritto positivo»25. Ma, al tempo stesso, la concezione romaniana è lontana dalla «idea dell’equità come giusto morale [che] domina ovunque: [qui] siamo fuori dal diritto ‘positivo’»26.

Può, forse, non stupire «il carattere piuttosto sporadico e contenuto delle rivisitazioni che larga parte della produzione di Romano, e in particolare la sua indagine sull’equità, ha conosciuto nella civilistica posteriore, a conferma della posizione peculiare e per certi versi defilata da lui assunta rispetto ai filoni che negli anni ’60 e ’70 maggiormente attras-sero le energie della disciplina»27.

Significative sono tuttavia, pur se non sempre còlte in dottrina, certe assonanze con altri autorevoli insegnamenti diversamente impegnati intorno al tema della positività del diritto: il riferimento è a Luigi Mengoni e ad Angelo Falzea.

«Occorre svincolare la concezione positiva dell’ordinamento dalla corrente asserzio-ne che positivo sia soltanto l’elemento normativo, e questo sia ‘posto’ dallo Stato»28: così scriveva Salvatore Romano nel 1966. «Il vincolo della legge non può essere garantito dallo schema positivistico della ‘sussunzione’. Al legislatore non spetta un monopolio, bensì una ‘prerogativa’, una posizione di preminenza nella formazione del diritto»: Mengoni, 197629.

22. Salv. romano, Principio di equità (dir. priv.), in Enc. dir., XV, 1966, p. 83 ss.

23. Salv. romano, Il principio di equità, in Scritti minori, cit., III, p. 1201.

24. v. SCialoJa, Del diritto positivo e dell’equità (Discorso inaugurale letto nella grande aula della Biblioteca Valentiniana

il giorno 23 novembre 1879 nel solenne riaprimento degli studi nell’Università di Camerino, Camerino, 1880, p. 25.

25. Salv. romano, Il principio di equità, cit., pp. 1173, 1177 s.

26. Salv. romano, Il principio di equità, cit., p. 1159.

27. e. Stolfi, Il principio di equità, cit, p. 566 s.

28. Salv. romano, Il principio di equità, cit., p. 1169.

(27)

«Qui procediamo invece da una concezione di diritto positivo complessa per i diversi elementi di cui consta, congegnati nelle strutture… dell’azione privata creatrice di ordi-namento»30: così scriveva ancora il Nostro. «Il diritto positivo è uno strumento ordinatore della complessità sociale e perciò costituisce a sua volta una realtà complessa, una realtà nella quale il predicato della complessità si atteggia però nei modi dell’ordine e della ra-zionalità»31.

5. Guardando al futuro, quella «solitudine della teoria» (e il suo «lessico altro e

difficil-mente comunicante») ci appare oggi «in tutta la sua fecondità teorica, strumento euristico su cui, ancor più di ieri, riflettere e interrogarci»32, quasi un messaggio destinato ad anti-cipare «un futuro non ancora prossimo»33.

Proviamo ad avviare questa riflessione.

Viviamo una stagione di profonde incertezze e di radicali contrapposizioni che inve-stono profili fondamentali della teoria generale e della prassi del diritto civile.

Alla pensosa rappresentazione di una positività normativa che «si è man mano convertita

in positività tecnica, ove il lecito giuridico è definito dal ‘possibile della tecnica’, [che] si dà regola a

se stesso ergendosi a esclusivo giudice della propria applicazione»34 si è venuta contrap-ponendo una baldanzosa «dottrina delle Corti», immaginata come «il rovescio dell’orien-tamento della dottrina verso i casi» nel quadro di «un diritto [inteso] come un grande processo interpretativo ruotante intorno alle regole di giustizia del caso concreto»35.

Il richiamo ai valori positivi «calati nella concretezza della storia»36 e la prospettiva assiologica dei «valori dell’azione umana… evidenziati oggettivamente dall’esperienza co-mune e dalla coco-mune cultura»37, che sembravano offuscate dalla «frammentazione delle visioni etiche e delle concezioni sociali» e destinate ad infrangersi contro «le asperità di un sistema sempre più complesso e multilivello» sono tornate, nell’attualità, a suscitare un «rinnovato anelito» e ad «apparire indispensabili al fine di orientare il diritto in un contesto che vede minacciate le fondamenta stesse dello Stato sociale e lascia l’interprete disorientato dinanzi [agli effetti] della globalizzazione e all’evoluzione della tecnica»38.

valori, Bologna, 1985, p. 25).

30. Salv. romano, Il principio di equità, cit., p. 1177.

31. a. falzea, Complessità giuridica, in Oltre il “positivismo giuridico” in onore di Angelo Falzea, a cura di P. Sirena,

Napoli-Roma, 2011, p. 25.

32. e. Stolfi, Il principio di equità, cit., p. 569 s.

33. Così u. BreCCia, Il pensiero di Salvatore Romano, cit., p. 4.

34. n. irti, Gli eredi della positività, in Nuovo Dir. Civ., 2016, p. 14.

35. e. SCoditti, Il diritto fra fonte e interpretazione, in La giurisprudenza fra autorità e autorevolezza, Foro it., 2013, V, c. 190.

36. l. menGoni, Diritto e tempo, in Jus, 1998, p. 637.

37. a. falzea, Introduzione alle scienze giuridiche. Il concetto di diritto, sesta ed., Milano, 2008, p. 500. La prima

edizione risale al 1975.

(28)

Ma i contrasti si sono riprodotti in ordine al modo di superare la concezione tradizio-nale della positività normativa.

L’ultimo contributo di Luigi Mengoni (2001), intervenendo a commento di un “ dia-logo su diritto e tecnica” tra Natalino Irti ed Emanuele Severino, ha inteso chiarire che «il

pensiero normativistico puro debilita la normatività di fronte al fattuale, ne inaridisce le radici nell’humus delle ‘idee umane’, come le chiamava Giambattista Vico, dalle quali trae

alimento la forza formativa della realtà», ed è giunto a concludere che «altro è riconoscere la storicità del nostro modo di conoscenza dei valori, altro attribuire alla storia una fun-zione costitutiva dei valori»39. «Forse in nessun giurista italiano del secondo Novecento – commenta ora Natalino Irti (2016) – la rottura della positività ha toccato la radicale onestà

e sincerità che fu di Luigi Mengoni»40.

Vincenzo Scalisi, nel recare “Dalla Scuola di Messina un contributo per l’Europa”, richiama

«l’idea pugliattiana di integrazione del sistema con l’ordinamento e la interpretazione fal-zeiana di tale ordinamento come sistema di interessi condivisi e praticati dalla comunità» e propone «una ‘positività’ di tipo nuovo, c.d. ‘ermeneutica’, di una positività cioè in gra-do di innovarsi e rigenerarsi»41. «Qui Scalisi rovescia la famosa ‘legge di Humes’. - commenta ora Natalino Irti – Così la normatività è racchiusa nella fatticità, e l’interprete del fatto è insieme lo scopritore o positore della regola»42.

Orbene, l’alternativa che si viene così delineando rischia di sfociare in una radica-le e inappagante contrapposizione tra un orientamento radica-letto (o, forse meglio, inteso) come ricerca «in un al di là [di] un ordine oggettivo di valori»43 e una concezione del diritto apprezzata come «laica e terrena»44, riconoscendo alla seconda, pur nel dis-senso, un’afferenza al «comune terreno della positività» che viene risolutamente negata al

primo.

Si sconta, qui, una carenza di rigore giuridico della parola “valore”, che «di per sé non spiega sé stessa»45. Per continuare a svolgere la loro funzione – è stato da ultimo condivisibilmente osservato – i valori «richiedono una profonda comprensione della loro immutevolezza assiologica e al contempo variabilità storica»46.

6. È giunto il momento di tornare al pensiero di Salvatore Romano, sorprendente-mente trascurato nel dibattito appena sintetizzato.

39. l. menGoni, Diritto e tecnica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2001, p. 6.

40. N. irti, Gli eredi della positività, cit., p. 15.

41. V. SCaliSi, Dalla Scuola di Messina un contributo per l’Europa, in Riv. dir. civ., 2012, I, pp. 23 e 27.

42. N. irti, Sulla “positività ermeneutica” (per Vincenzo Scalisi), in Riv. dir. civ., 2016, p. 926.

43. N. irti, Gli eredi della positività, cit., p. 16.

44. N. irti, Sulla “positività ermeneutica”, cit., p. 928.

45. N. irti, Gli eredi della positività, cit., p. 17.

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La parola “valori” non apparteneva al suo vocabolario giuridico; e non lo interessava, come giurista, un diritto ideale «che vuole diventare legge» rendendo «inevitabile il richia-mo alle concezioni giusnaturalistiche»47 .

“Parola d’ordine”, è il caso di dirlo, era l’ordinamento giuridico, recepito dall’idea paterna della pluralità istituzionale e sviluppato mediante un’originale “curvatura” verso le caratteristiche proprie del diritto privato e della struttura delle norme del codice che lo disciplinano.

“Parola chiave” della curvatura, e nuovo paradigma per «la ricostruzione critica delle tradizionali sistemazioni statiche del diritto privato» è «l’azione ordinante»48.

«Soggetti, azione ordinante, regole di azione, contratti, istituti giuridici, sono dati obiettivi e, come tali, elementi di una sintesi che è diritto obiettivo, cioè positivo»49.

«Emerge qui un concetto di diritto obiettivo che si risolve in una pluralità di diritti obiettivi coordinati in sistema attraverso una costituzione, che è anzitutto ordinamento della pluralità degli ordinamenti»50.

«La Repubblica riconosce, garantisce, ecc. Riconoscere vuol dire conoscere quel che già

esiste al fine di attribuire ulteriori effetti… : stabilità, certezza, tutela»51.

A questo punto, Salvatore Romano si chiede «come sia possibile continuare a soste-nere una nozione di diritto positivo, quale quella che si è detto avanti»52.

Evidentemente, il Maestro si rendeva conto che questa sua nozione di positività del diritto poteva apparire spuria ai puristi della tradizionale positività normativa; e quindi non ha dato una risposta precisa all’interrogativo.

Con l’umiltà dei grandi, ha accennato alle «premesse di un vasto studio da svolgere», aggiungendo «che restano sempre valide e fondamentali le basi aristoteliche per una più completa visione – e revisione - delle strutture di un sistema positivo»53.

Salvatore Romano non ha avuto il tempo di sviluppare questo progetto. Con il tempo, tuttavia, le risposte non sono mancate; e sono voci autorevoli.

Paolo Grossi, nel suo “Ritorno al diritto”, si appella alla «voce alta di Santi Romano…

dove il diritto è còlto, nella sua essenza, più come ordinamento che come comando e in

quan-to tale è chiamaquan-to a ordinare il magma sociale»54

Umberto Breccia osserva che «nell’attuale e disorganico assetto delle fonti quell’inse-gnamento, tutto permeato di pluralità e di apertura al divenire, ci esorta a non rinunciare,

47. Salv. romano, Il principio di equità, cit., p. 1161.

48. U. BreCCia, Il pensiero giuridico di Salvatore Romano, cit., p. 10.

49. Salv. romano, Il principio di equità, cit., p. 1171.

50. Salv. romano, Il principio di equità, cit., p. 1173.

51. Salv. romano, Il principio di equità, cit., p. 1172.

52. Loc. ult. cit.

53. Salv. romano, Il principio di equità, cit., p. 1208.

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da giuristi, alla responsabilità di una riflessione concettuale e critica: che non si riduca alla passiva registrazione di quel che accade – in apparenza senza nuclei centrali di principi e di regole - nel mondo»55.

“Riscoprire” Salvatore Romano significa riaprire la ricca miniera di “premesse” e di spunti ancor oggi estraibili dai suoi scritti.

Preziosa e sollecitante è, dunque, l’iniziativa (la cura del volume e l’organizzazione del convegno) di Giovanni Furgiuele, al quale queste righe sono dedicate.

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