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L’approccio personalizzato al trattamento dell’iperglicemia oggi

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Academic year: 2021

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RIASSUNTO

La terapia del paziente con diabete di tipo 2 si è recentemente ar- ricchita di nuovi elementi che consentono di effettuare la gestione e correzione dell’iperglicemia in maniera personalizzata. Questa novità deriva dalla constatazione che esiste una notevole etero- geneità genetica, fisiopatologica e clinica dei pazienti e che sono d’altra parte disponibili svariate classi di farmaci ipoglicemizzanti o anti-iperglicemici, che agiscono con meccanismi di azione dif- ferenti e possono essere associati a specifici eventi avversi. L’ana- lisi delle caratteristiche cliniche del paziente, con particolare riferimento alle sue comorbilità e alle specifiche alterazioni del pat- tern glicemico, rappresentano oggi uno strumento da cui non si può prescindere per una corretta selezione della terapia farma- cologica e per la sua implementazione nella pratica clinica.

SUMMARY

Personally tailoring the treatment of hyperglycemia today The treatment of patients with type 2 diabetes has recently gained some new features that enable physicians to manage patients and correct hyperglycemia on a more “personal” basis.

We now understand more about the considerable genetic, pa- thophysiological and clinical differences between patients, and in addition we have available various classes of hypoglycemic or anti-hyperglycemic drugs, with different mechanisms of action and potential specific adverse effects. Detailed analysis of each patient’s clinical characteristics, particularly his/her comorbidities and the individual specific alterations in glycemic patterns, add up to a picture today that cannot be ignored when selecting the most appropriate drug(s) and implementing the therapy in clinical practice.

Si discute da tempo su quale possa essere l’approccio tera- peutico più corretto nei confronti del paziente con diabete di tipo 2. L’approccio globale e più corretto prevede che venga posta attenzione a vari obiettivi terapeutici, che includono non solo la riduzione dei livelli di emoglobina glicata (HbA

1c

), at- traverso la correzione della glicemia a digiuno e postprandiale,

Rassegna

L’approccio personalizzato

al trattamento dell’iperglicemia oggi

F. Giorgino

Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari, Bari

Corrispondenza: prof. Francesco Giorgino, Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, piazza Giulio Cesare 11, 70124 Bari e-mail: francesco.giorgino@uniba.it

G It Diabetol Metab 2015;35:1-7

Pervenuto in Redazione il 15-02-2015 Accettato per la pubblicazione il 16-02-2015

Parole chiave: diabete di tipo 2, fenotipo, terapia farmacologica, comorbilità

Key words: type 2 diabetes, phenotype, drug therapy,

comorbidities

(2)

Il vantaggio del controllo intensivo dell’iperglicemia anche sugli endpoint cardiovascolari potrebbe essere infatti evidente se fossero oggetto del trattamento intensivo soggetti più giovani, con breve durata di malattia, con aspettativa di vita relativa- mente lunga, con livelli di HbA

1c

abitualmente inferiori a 8,0%, senza malattia cardiovascolare, senza rischio di ipoglicemia o da ipoglicemia, e che una volta esposti al trattamento in- tensivo mostrano una riduzione soddisfacente dei livelli di HbA

1c

. In particolare, i vantaggi potrebbero essere più evidenti se si utilizzassero farmaci non associati al rischio di eventi ipo- glicemici e con effetti favorevoli sui fattori di rischio cardiova- scolari (pressione arteriosa, peso corporeo, infiammazione) e sulle cellule dell’apparato cardiovascolare (endotelio, miocar- diociti)

(9)

.

Approccio terapeutico basato sulla patogenesi del diabete

o su approcci di tipo farmacogenetico

Nella scelta della terapia finalizzata alla correzione dell’ipergli- cemia si può immaginare un approccio basato sulla identifi- cazione dei meccanismi di malattia (patogenesi) e sull’uso di farmaci in grado di correggere le principali alterazioni fisiopa- tologiche presenti nel singolo paziente (Fig. 1). Come è noto, i fattori patogenetici chiave del diabete di tipo 2 sono l’insu- lino-resistenza e la disfunzione beta-cellulare; essi precedono e predicono il diabete e sono anche i meccanismi su cui agi- scono molti dei farmaci ipoglicemizzanti. La metformina ha dimostrato di ridurre la produzione epatica di glucosio, anche attraverso un aumento dell’insulino-sensibilità epatica

(10)

. Tut- tavia, sono i tiazolidinedioni l’unica classe di farmaci in grado di agire direttamente sulla correzione della insulino-resistenza nel diabete di tipo 2

(11,12)

. Per quanto riguarda la disfunzione secretoria delle beta-cellule, le sulfoniluree, insulino-secreta- goghi classici, aumentano la secrezione basale di insulina in pazienti con diabete di tipo 2, ma hanno un effetto meno mar- cato sulla secrezione stimolata dal glucosio. Altre classi di farmaci insulino-secretagoghi sembrano avere effetti più fisiologici. Infatti, sia con gli agonisti del recettore GLP-1 sia con gli inibitori della dipeptidil-peptidasi-4 (DPP-4) si ha un netto incremento sia della prima sia della seconda fase di se- crezione insulinica e in maniera dipendente dai livelli della gli- cemia

(13,14)

. La classe degli inibitori delle alfa-glucosidasi intestinali rallenta l’assorbimento dei carboidrati a livello inte- stinale. A breve, verranno introdotti anche in Italia farmaci, ini- bitori del co-trasportatore sodio-glucosio a livello del tubulo renale (SGLT-2), denominati gliflozine, che sono in grado di migliorare il controllo metabolico del paziente con diabete di tipo 2 correggendo l’iperglicemia attraverso un aumento della glicosuria. A tutt’oggi, però, non è semplice individuare le al- terazioni fisiopatologiche presenti nel singolo paziente diabe- tico, almeno nel setting della comune pratica clinica e, di conseguenza, un approccio terapeutico basato su questo tipo di valutazione, sebbene teoricamente possibile

(15)

, diventa di difficile attuazione. Forse l’unica classe di farmaci che ma anche il controllo di fattori di rischio cardiovascolare (pres-

sione arteriosa, lipidi, fumo, microalbuminuria) con la finalità di prevenire le complicanze microvascolari e di ridurre gli eventi cardiovascolari e la mortalità.

Per il controllo dell’iperglicemia, le più importanti società scientifiche internazionali, già a partire dal 2006

(1-3)

, hanno espresso raccomandazioni sulla necessità di ottenere e man- tenere la glicemia il più vicino possibile ai valori dei soggetti non diabetici evitando l’ipoglicemia, iniziando il trattamento con metformina insieme all’intervento sullo stile di vita sin dal momento della prima osservazione del paziente, aggiungendo poi gli altri farmaci ipoglicemizzanti, inclusa l’insulina, con la fi- nalità di mantenere i livelli di HbA

1c

al di sotto del target del 7%.

Più recentemente, tuttavia, le raccomandazioni delle società scientifiche, in particolare quelle dell’American Diabetes As- sociation (ADA) e della European Association for the Study of Diabetes (EASD), hanno sottolineato l’opportunità di indivi- dualizzare il più possibile l’approccio terapeutico definendo i target terapeutici, in particolare i target glicemici, in base alle caratteristiche del paziente. Inoltre, la scelta dei farmaci ipo- glicemizzanti va effettuata in base a un’attenta valutazione delle loro caratteristiche, anche in riferimento agli eventi av- versi, e della loro compatibilità con specifiche comorbilità e fattori di rischio per la salute eventualmente presenti nel pa- ziente

(4,5)

. Si è affermata così anche in diabetologia, così come in altre discipline, la medicina “personalizzata”, intendendo per questo termine un approccio terapeutico incentrato sul paziente e sulle sue esigenze.

Target glicemici e outcome vascolari

Non va dimenticato che una spinta fondamentale alla perso- nalizzazione dell’approccio terapeutico si è avuta in seguito alla conoscenza dei risultati degli studi di intervento con outcome cardiovascolare, gli studi ACCORD, VADT e AD- VANCE

(6-8)

, e dal confronto con quanto osservato in prece- denza nello studio UKPDS. La lezione che deriva da questi studi è, infatti, che trattare l’iperglicemia in modo aggressivo non rappresenta un approccio vincente in tutti i pazienti e in riferimento a tutti gli outcome, microvascolari e macrovasco- lari. Se è vero che la correzione dell’iperglicemia generalmente comporta un beneficio sulla prevenzione dell’incidenza e della progressione della retinopatia e della nefropatia diabetica, per quanto attiene alla prevenzione degli eventi cardiovascolari e della mortalità per cause cardiovascolari, occorre considerare alcuni fattori aggiuntivi

(9)

. Il rapporto tra il controllo dell’iperglice- mia e gli outcome cardiovascolari nel diabete di tipo 2 è infatti non del tutto definito. Gli studi ACCORD, ADVANCE e VADT non hanno mostrato alcun effetto benefico del controllo inten- sivo della glicemia sugli endpoint cardiovascolari primari nella popolazione complessiva dei pazienti con diabete di tipo 2.

Tuttavia, l’analisi dei sottogruppi ha fornito evidenze che il po-

tenziale effetto benefico dipende in gran parte dalle caratteri-

stiche dei pazienti, tra cui l’età, la durata del diabete, il livello

di controllo dell’iperglicemia nel periodo precedente, la pre-

senza di malattia cardiovascolare, e il rischio di ipoglicemia.

(3)

Caratteristiche cliniche

Comorbilità

Iperglicemia

Disfunzione d’organo

Alterazioni cellulari e molecolari

Alterazioni genetiche Terapia basata

su fenotipo

• Effetti clicemici e non glicemici

• Effetti indesiderati

Terapia patogenetica

Terapia farmacogenetica

Figura 1

Possibili approcci al trattamento dell’iperglicemia nel diabete di tipo 2.

Si possono individuare numerosi parametri, che rientrano nella definizione del fenotipo, in grado di influenzare la risposta alla te- rapia con farmaci ipoglicemizzanti o anti-iperglicemici (Fig. 2):

a) parametri che definiscono il controllo glicometabolico (il li- vello di emoglobina glicata di partenza, la prevalente iper- glicemia a digiuno o postprandiale, il rischio di andare incontro a eventi ipoglicemici, la velocità di progressione dell’iperglicemia);

b) parametri relativi alle caratteristiche cliniche del paziente (la durata del diabete, l’età, la fragilità, il rischio derivante da episodi ipoglicemici, il fenotipo sovrappeso/obeso, la pre- senza di sindrome metabolica);

c) presenza di specifiche comorbilità (l’insufficienza renale, epatica e cardiaca; la malattia cardiovascolare);

d) presenza di problematiche neuropsicologiche (la disfun- zione cognitiva, le alterazioni nelle capacità motorie, la ri- dotta compliance e aderenza);

e) presenza di autoimmunità beta-cellulare (come nel dia- bete autoimmune dell’adulto o LADA) o di diabete mono- genico.

È tuttavia da osservare come non vi siano molti studi clinici che, in pazienti con caratteristiche cliniche specifiche o in pre- senza di definite alterazioni biochimiche, abbiano confrontato direttamente tra loro due o più farmaci in riferimento alla loro efficacia e sicurezza.

È noto che i pazienti diabetici di tipo 2 con autoimmunità beta- cellulare (pazienti con LADA, identificati da anticorpi anti-GAD) progrediscono più rapidamente con la severità dell’iperglice- mia e nella maggior parte dei casi richiedono l’impiego di te- rapia insulinica entro 6 anni dalla diagnosi

(18)

. Peraltro, questa attitudine può essere accentuata se gli anticorpi anti-GAD sono presenti ad alto titolo

(19)

. A tale proposito, si è eviden- ziato che la proporzione di pazienti affetti da LADA che mani- festano un’insulino-dipendenza è inferiore se alla diagnosi viene instaurata la terapia insulinica rispetto alla terapia con sulfoniluree

(20)

. In una metanalisi degli studi effettuati, in cui si potrebbe consentire un approccio terapeutico “patogenetico”

è rappresentata dai tiazolidinedioni. Il pioglitazone corregge la resistenza insulinica a livello del muscolo scheletrico e po- trebbe essere utilizzato con maggiore successo in quei pa- zienti caratterizzati da più spiccata insulino-resistenza per la presenza di obesità viscerale.

I polimorfismi genetici di un singolo nucleotide (SNP) modu- lano l’efficacia dei farmaci e i loro effetti collaterali. Un esem- pio efficace di come la farmacogenetica può essere rilevante nel trattamento dell’iperglicemia è rappresentato dal diabete monogenico neonatale in cui è presente una mutazione del gene che codifica per la proteina Kir6.2. In questi pazienti, la terapia con sulfoniluree, che agiscono sulla proteina alterata, risulta più efficace della stessa terapia insulinica

(16)

. Purtroppo, però, nel diabete di tipo 2 l’effetto della componente gene- tica, così come fino a oggi è stata studiata, influenza solo modestamente la variabilità della risposta al farmaco. Una re- cente revisione della letteratura ha suddiviso gli studi di far- macogenetica riguardanti la terapia orale dell’iperglicemia sulla base della funzione del gene identificato come modula- tore degli effetti del farmaco

(17)

. In conclusione, le evidenze a oggi disponibili dimostrano che la farmacogenetica è in grado di spiegare solo una proporzione della varianza interin- dividuale della risposta al farmaco e quindi non può essere attualmente utilizzata per la scelta della terapia migliore nel singolo paziente.

Approccio terapeutico basato sul fenotipo clinico

Nella scelta della terapia si può individuare un approccio ba-

sato sul fenotipo del paziente, approccio su cui è basato in

parte l’algoritmo terapeutico proposto dall’ADA e dall’EASD

(4,5)

.

Nell’analisi del fenotipo del paziente e nella definizione degli

obiettivi della terapia, va in prima istanza considerata la possi-

bilità che lo sforzo terapeutico venga rivolto al paziente sba-

gliato, con caratteristiche cliniche tali da non permettere una

risposta ottimale ai farmaci o, addirittura, tali da rispondere al-

l’impiego dei farmaci con un eccesso di rischio. Il documento

approntato dagli esperti ADA/EASD sulla terapia dell’ipergli-

cemia incentrata sul paziente si focalizza, per la prima volta, su

alcuni specifici fenotipi, prendendo in considerazione parame-

tri relativi a età, peso, obesità, diabete autoimmune, diabete

monogenico. È noto che i meccanismi patogenetici alla base

del diabete sono eterogenei e complessi e che è auspicabile

cercare di associare più farmaci con meccanismo di azione

complementare, possibilmente in grado di intercettare le varie

componenti fisiopatologiche della malattia. Se un approccio

terapeutico di tipo “patogenetico” potrebbe considerare le al-

terazioni cellulari e molecolari a livello di specifici tessuti e or-

gani e se un approccio di tipo “farmacogenetico” potrebbe

considerare le varianti genetiche presenti nel singolo individuo,

l’approccio terapeutico basato sul fenotipo dovrebbe tener

conto delle caratteristiche cliniche del paziente, prendendo in

considerazione non solo i benefici della terapia, ma anche gli

eventuali effetti collaterali (Fig. 1).

(4)

Caratteristiche cliniche generali

• Durata del diabete

• Età e aspettativa di vita

• Fragilità

• Rischio da ipoglicemia

• Sovrappeso/obesità

• Sindrome metabolica

Pattern delle alterazioni glicemiche

• Livello di HbA1c alla presentazione

• Velocità di progressione dell’iperglicemia

• Iperglicemia a digiuno

• Iperglicemia postprandiale

• Escursione glicemica prandiale

• Frequenza di ipoglicemie

• Variabilità glicemica

Comorbilità specifiche

• CHD/CVD

• Insufficienca cardiaca

• Insufficienza epatica, NAFLD/NASH

• Insufficienza renale, CKD

Problematiche neuropsicologiche

• Compliance e aderenza

• Disfunzione cognitiva

• Alterazioni nelle capacità motorie

Meccanisimi specifici di malattia

• Autoimmunità beta-cellulare (es. LADA)

• Diabete monogenico (es. MODY)

Figura 2

Caratteristiche del fenotipo e mecca- nismi specifici di malattia che possono influen- zare la risposta alla terapia anti-iperglicemica nel diabete di tipo 2.

CKD: chronic kidney disease; LADA: latent au- toimmune diabetes of adulthood; MODY: ma - turity onset diabetes of the young; NAFLD:

non-alcoholic fatty liver disease; NASH: non- alcoholic steatohepatitis.

della chirurgia bariatrica. Due studi recenti

(27,28)

hanno con- frontato direttamente la terapia medica e due tecniche di chi- rurgia bariatrica in pazienti con diabete di tipo 2 e obesità. In entrambi i casi è stata dimostrata la maggiore efficacia della chirurgia bariatrica rispetto alla terapia medica sui livelli di HbA

1c

. Se si considera il paziente con diabete di tipo 2 e sin- drome metabolica, non va dimenticato che gli incretino- mimetici hanno dimostrato di correggere, oltre al peso cor- poreo, anche altre componenti della sindrome metabolica, quali i livelli di pressione arteriosa e di lipidi circolanti, sia in studi registrativi sia di intervento

(29,30)

. È inoltre disponibile uno studio, condotto fino a 2 anni, sugli effetti favorevoli di liraglu- tide su queste varie componenti anche in soggetti a rischio di diabete, di cui il 45% con sindrome metabolica

(31,32)

; queste evidenze rappresentano il fondamento per un possibile uso di liraglutide nel trattamento dell’obesità anche in assenza di diabete.

Un altro aspetto importante nella valutazione del fenotipo del paziente e della terapia farmacologica per la correzione del- l’iperglicemia riguarda i possibili svantaggi delle singole classi di farmaci in categorie specifiche di pazienti. Per esempio, i pazienti anziani con rischio di disidratazione e malnutrizione potrebbero non beneficiare del tutto dell’utilizzo degli incre- tino-mimetici che, come è noto, producono con una certa fre- quenza nausea e perdita di peso e possono quindi peggiorare la condizione di disidratazione e malnutrizione

(33)

. Anche la complessità della procedura di somministrazione del farmaco può nell’anziano rappresentare un limite per il successo della terapia.

Se sono poi presenti delle comorbilità, occorrerà prendere in considerazione le singole situazioni patologiche. Il paziente con malattia cardiovascolare potrebbe avvantaggiarsi del- l’impiego degli incretino-mimetici, essendo tali farmaci dotati di effetti cardiovascolari favorevoli diretti e indiretti

(15)

; tuttavia, su questa problematica le evidenze disponibili derivano solo da analisi retrospettive di studi di fase 2/3 e non da studi di intervento, che sono in fase di svolgimento. La condizione di è analizzato quale endpoint finale il livello di HbA

1c

, è stato

anche osservato un certo effetto della terapia insulinica pre- coce su questo parametro

(21)

.

La classe farmacologica dei tiazolidinedioni mostra un’effica- cia terapeutica maggiore in presenza di obesità, in particolare viscerale, individuata da valori più alti di circonferenza vita, come è stato evidenziato da una sottoanalisi dello studio ADOPT

(22)

. A tale proposito, va ricordato che la metformina e i tiazolidinedioni, pur essendo generalmente considerati en- trambi indistintamente farmaci “insulino-sensibilizzanti”, eser- citano il rispettivo effetto anti-iperglicemico con meccanismi in larga misura differenti. La metformina interferisce con il meta- bolismo energetico e produce un aumento dei livelli cellulari di AMP con attivazione della AMP chinasi e riduzione successiva della gluconeogenesi; un recente lavoro ha anche dimostrato come questo effetto si possa produrre a seguito della inibi- zione dell’azione del glucagone a livello epatico

(23)

. D’altra parte, i tiazolidinedioni sono in grado di aumentare la sensibi- lità insulinica per la loro capacità di ridurre l’accumulo ectopico di trigliceridi e per l’azione antinfiammatoria; questi effetti spie- gano la maggiore capacità di questi farmaci di correggere la resistenza insulinica rispetto alla metformina, e anche la loro spiccata efficacia sulla riduzione dell’iperglicemia nei pazienti con diabete di tipo 2 e obesità viscerale

(12)

. Al contrario, la metformina non funziona meglio nel soggetto obeso rispetto al soggetto non obeso, come dimostrato da un ampio studio condotto su una coorte di diabetici del Regno Unito

(24)

, in cui il valore di BMI al baseline non prediceva l’entità di riduzione della HbA

1c

in seguito al trattamento con metformina.

Nel paziente obeso, la perdita di peso può migliorare la ri- sposta alla terapia ipoglicemizzante. Questo aspetto è più evi- dente se ci si riferisce alla classe degli incretino-mimetici, che come è noto sono in grado di promuovere il calo ponderale.

Infatti, in studi condotti con exenatide e liraglutide, i soggetti che riportavano una maggiore perdita di peso conseguivano risultati lievemente migliori in termini di riduzione dei livelli di

HbA

1c(25,26)

. Nei pazienti obesi va anche menzionato il ruolo

(5)

Figura 3

Efficacia di diversi farmaci anti-diabete su glice- mia a digiuno e glicemia post- prandiale.

Iperglicemia a digiuno Iperglicemia postprandiale Iperglicemia postprandiale Iperglicemia a digiuno

Metformina Insulina basale

Iperglicemia a digiuno Iperglicemia postprandiale

++ +++

+ +

++ ++ ++ +++ +++

+ + +

–/+

Acarbosio Glinidi DPP-4 Inibitori Agonisti recettori GLP-1 (short-acting)

Insulina prandiale

Sulfoniluree Pioglitazone SGLT-2 Inibitori

Agonisti recettori GLP-1 (long-acting)

++ ++

++

++

++

+/++ +/++

+/++

notoriamente meno potente della glibenclamide nello stimo- lare la secrezione insulinica. Questo risultato dimostra che è possibile scegliere il farmaco specifico per l’alterazione glice- mica prevalente nel paziente.

Il ruolo dell’automonitoraggio della glicemia capillare (self-moni - toring of blood glucose, SMBG) nel paziente con diabete di tipo 2, in particolare in assenza di terapia con insulina, è stato a lungo dibattuto e continua a essere al centro dell’attenzione della comunità scientifica. Qualche anno fa, alcuni studi di in- tervento, come per esempio lo studio DiGEM, non erano stati in grado di evidenziare l’utilità del SMBG nel diabete di tipo 2 non trattato con insulina

(39)

e avevano anche sollevato alcune perplessità relativamente al rapporto tra costi ed efficacia non- ché al possibile impatto negativo di questa procedura sulla qualità di vita della persona con diabete

(40)

. Tuttavia, già a par- tire dal 2009, attraverso un documento contenente specifi- che raccomandazioni

(41)

, l’International Diabetes Federation (IDF) ha iniziato a proporre il SMBG come uno strumento della terapia globale del diabete di tipo 2, anche non insulino-trat- tato, nel senso di intenderlo quale parte integrante di un pro- gramma di educazione e di gestione terapeutica, utilizzato sia dal medico sia dallo stesso paziente per monitorare l’anda- mento della malattia e attuare modifiche dello stile di vita e della terapia, inclusa quella farmacologica, per il raggiungi- mento del migliore controllo glicemico. Questa modalità di concepire il SMBG ha trovato riscontro nella conduzione e conclusione di studi clinici controllati più recenti, che hanno esplorato l’utilità clinica dell’autocontrollo “strutturato”, inteso come un SMBG in cui la rilevazione della glicemia avviene in momenti della giornata prestabiliti, in grado di generare infor- mazioni utili dal punto di vista fisiopatologico e clinico, e in cui viene dato ampio risalto all’interpretazione del dato glicemico da parte sia del paziente sia del medico per arrivare a una modifica del comportamento e/o a una decisione terapeutica clinicamente rilevante. È il caso degli studi STeP

(42)

, ROSES

(43)

, St. Carlos

(44)

e di altri studi

(45,46)

, in cui l’implementazione del SMBG ha prodotto un beneficio sul controllo glicemico anche nel diabete di tipo 2 non trattato con insulina. Infine, lo studio PRISMA, condotto su oltre 1000 pazienti presso 38 centri di epatopatia su base non alcolica (NAFLD/NASH) potrebbe gio-

varsi dell’uso del pioglitazone, che diminuisce l’accumulo di li- pidi a livello epatico, migliorando una parte delle alterazioni istologiche nel fegato. Gli studi a supporto di questo effetto sono però di durata relativamente breve (massimo 12 mesi)

(34)

, e non sono quindi noti gli effetti a lungo termine. Anche per la liraglutide è stato segnalato un effetto favorevole sul grasso epatico e sui livelli di transaminasi, sebbene in questo caso sia mediato dalla perdita di peso e dal miglioramento del con- trollo glicemico

(35)

. Infine, diversi studi sottolineano i rischi di impiego di alcune specifiche classi di farmaci ipoglicemizzanti nei pazienti con compromissione della funzione renale, per cui l’impiego di questi farmaci andrebbe realizzato conside- rando attentamente il livello di compromissione del filtrato glo- merulare

(36)

.

Fenotipo glicemico e scelta della terapia anti-diabete

Un elemento che potrebbe aiutare nella scelta del farmaco

anti-diabete e nella personalizzazione della terapia è rappre-

sentato dal fenotipo glicemico, un termine che individua l’esi-

stenza di pattern differenti di iperglicemia nei diversi pazienti

con diabete di tipo 2. Esistono infatti evidenze che alcuni pa-

zienti presentano una prevalente iperglicemia a digiuno ov-

vero una prevalente iperglicemia postprandiale

(37)

. È poi noto

che i singoli farmaci per il trattamento dell’iperglicemia pos-

sono essere classificati anche in base all’esclusiva o preva-

lente efficacia sulla glicemia a digiuno o sulla glicemia

postprandiale (Fig. 3). In un recente studio multicentrico ita-

liano

(38)

, pazienti selezionati per avere una prevalente ipergli-

cemia postprandiale sono stati randomizzati al trattamento con

nateglinide o glibenclamide, due secretagoghi beta-cellulari

con diversa efficacia sulla glicemia postprandiale. Lo studio

ha dimostrato un migliore controllo della glicemia a una o a

due ore dopo un pasto misto quando veniva usata la nate -

glinide rispetto alla glibenclamide, anche se la nateglinide è

(6)

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di pazienti, seguita per maggior tempo (12 mesi), l’utilità del- l’analisi della glicemia condotta attraverso un autocontrollo strutturato per la scelta del farmaco anti-diabete e l’impatto favorevole sul controllo glicometabolico

(47)

. Un’importante componente dell’adozione del SMBG strutturato nel gruppo di intervento è stata l’individuazione delle alterazioni della gli- cemia nei singoli pazienti e l’instaurazione o la modifica della terapia farmacologica (e non) in base alle alterazioni glicemi- che prevalenti e alle caratteristiche di efficacia dei singoli far- maci ipoglicemizzanti su parametri quali glicemia a digiuno, glicemia postprandiale e rischio di ipoglicemia; di conse- guenza, le modifiche del tipo e della dose dei farmaci ipogli- cemizzanti erano basate non solo sulla valutazione dei livelli di HbA

1c

, ma anche sui risultati del SMBG. Questo approccio ha evidenziato una maggiore riduzione dei livelli di HbA

1c

nel gruppo di intervento con SMBG strutturato rispetto al gruppo di controllo, in associazione a un maggior numero di modifi- che della terapia ipoglicemizzante e senza aumento del peso corporeo (anzi, con maggiore riduzione del peso) o ipoglice- mie gravi. Gli scenari futuri, anche quelli della gestione clinica e organizzativa del diabete

(48)

, non potranno non tenere conto di questa prova definitiva dell’utilità ed efficacia clinica del- l’analisi del fenotipo glicemico quale ulteriore elemento per la personalizzazione dell’approccio terapeutico nel diabete di tipo 2.

Conflitto di interessi

Partecipazione a Advisory Boards: AstraZeneca/BMS; Eli Lilly.

Attività di consulenza: AstraZeneca/BMS; Boehringer Ingel- heim; Lifescan; Merck Sharp & Dohme; Novo Nordisk; Sa- nofi; Roche Diagnostics.

Finanziamento progetti di ricerca: AstraZeneca/BMS; Eli Lilly;

Lifescan; Sanofi.

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