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PRESENTAZIONE DI UN PROGETTO PER UNA PRECISA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO TEMPORANEO IN RESPONSABILITÀ CIVILE.

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PRESENTAZIONE DI UN PROGETTO PER UNA PRECISA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO BIOLOGICO TEMPORANEO IN

RESPONSABILITÀ CIVILE.

. Prof. Domenico Vasapollo

La più recente letteratura che si è interessata dell’argomento è giunta a mio avviso a conclusioni a volte non del tutto corrispondenti alla realtà biologica e giuridica che sottende il danno alla salute temporaneo, ed anche nei recenti convegni sul tema gli interventi di molti relatori si sono orientati verso un giudizio, a mio avviso, rigido e restrittivo di tale valutazione.

In sintesi, nel ribadire la condivisa necessità di una sostanziale modifica delle modalità operative indirizzate a stimare la sussistenza e la reale durata di detta incapacità, su cui torneremo tra breve, la maggior parte degli autori perviene alla conclusione di ritenere, come è giusto che sia, che il processo morboso, cioè la malattia incida e si ripercuota negativamente sulla validità temporanea del soggetto, modificando, annullando o limitando le abitudini di vita ed il modo di essere del danneggiato connessi alla compromissione temporanea della sua efficienza psico-fisica. La conclusione, tuttavia, che la completa perdita debba sussistere esclusivamente in situazioni patologiche particolarmente gravi che contraddistinguono il tetraplegico, il soggetto obbligato a letto o al ricovero, ovvero il plurimmobilizzato con apparecchi gessati o similari, quando cioè sono impedite la maggior parte delle usuali e comuni attività della vita quotidiana, non è condivisibile. Non perché nei casi elencati non sussiste un danno biologico temporaneo di tipo assoluto, ma in quanto in tanti altri, seguendo detta interpretazione, l’invalidità temporanea indicabile in forza della sua incidenza con il riconoscimento del 75% sussisterebbe solo “nelle condizioni in cui il soggetto veda gravemente compromessa l’attitudine alla vita di relazione”, così che sarebbe pari al 50% quando risulterebbe immobilizzato un arto per frattura di polso, ed al 25% se la ripercussione è assai modesta, “salvo nei primi giorni ove la componente dolorosa può indurre a riconoscere gradi di invalidità temporanea superiore”; infine, risulterebbe pari al 10-15% quando l’incidenza sarebbe veramente minima come nelle contusioni, nelle ferite lacero-contuse circoscritte senza riflessi disfunzionali di rilievo e, infine, quando vi è necessità di trattamento riabilitativo.

Il Rossetti parte da una giusta premessa ritenendo sia la malattia, sia la convalescenza, danni alla salute. Entrambe costringono il leso ad una inattività totale o parziale impedendo o limitando lo svolgimento delle ordinarie attività vitali. Sussiste, egli aggiunge, l’inabilità totale o parziale

Prof. Associato, Ist. Medicina Legale, Bologna

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quando sono impedite in toto o solo in parte le ordinarie attività dell’esistenza del leso. Si fa riferimento, dunque, all’assoluta impossibilità di attendere alle abituali occupazioni, riservando la temporanea parziale quando il danneggiato vede ridotta relativamente la propria validità in funzione della qualità e della quantità delle funzioni compromesse e, analogamente, delle rinunce cui la lesione ha costretto il danneggiato.

Le odierne riflessioni muovono dalla necessità non solo di mettere ordine ad alcuni concetti che sostanziano il giudizio di danno biologico temporaneo ma anche di indicare un percorso accertativo così come abbiamo fatto a proposito dell’invalidità permanente.

Ho avuto modo di riferire in altro convegno quali sono le manifestazioni del danno biologico, la rilevanza degli aspetti funzionali e il loro rilievo attraverso lo studio dei dati soggettivi ed oggettivi. Poiché l’apprezzamento del danno biologico temporaneo ha un contenuto clinico da cui non si può prescindere e giacché non è pensabile non tenere in alcun modo conto della prognosi clinica, il nostro giudizio sul danno biologico temporaneo deve essere rimodulato partendo da questa premessa, per cui la distorsione della colonna cervicale guarisce, mediamente, in 30-35 giorni, la frattura di un corpo vertebrale lombare impiega dai 3 ai 6 mesi per consolidare, una lussazione anteriore di spalla circa 5 settimane, una frattura clavicolare da 40 a 45 giorni, e così via.

Ovviamente, stiamo parlando di malattia, cioè di quel processo patologico su cui i Maestri della Medicina Legale hanno ampiamente dibattuto e su cui esistono pregiate monografie (Antoniotti, Baima-Bollone, Pellegrini, Fornari, Palagi, tanto per citare solo alcune delle tante voci autorevoli). Al riguardo, altri Autori, ad esempio, riferiscono il periodo dell’invalidità temporanea assoluta alla fase di malattia, mentre quello della temporanea relativa al periodo della convalescenza. Ovviamente quest’ultimo parere si contrappone a quello di Bruno e Mastroroberto ma anche del Rossetti, di cui si è detto in precedenza e, ancora, di altri stimati esperti.

Val la pena, pertanto, di ricordare che a mio avviso sussiste una condizione di totale perdita di validità quando è compromessa l’autonomia del danneggiato e quando la lesione incide gravemente sulla vita relazionale, l’esistenza, come è stato detto, della persona, in quanto il processo patologico, con le sue peculiari caratteristiche, determina un impedimento del soggetto, che deve stare, ad esempio, completamente a riposo; ma anche perché il malato deve recuperare la salute nel miglior modo e nel minor tempo possibile sottoponendosi a particolari cure, così evitando ricadute ed il pericolo d’aggravamento, ed evitando altresì che il processo patologico si consolidi in una invalidità permanente più grave. La

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malattia, a mio avviso, rende totalmente incapace il leso anche per questi motivi, non potendosi inoltre trascurare l’importanza dei dati soggettivi (compreso la cenestesi personale), espressione delle turbe funzionali. Con ciò si rafforza la tesi secondo cui il danno biologico temporaneo non è solo in funzione dell’esistenza del fatto morboso, ma può dipendere dalla necessità di prevenire l’aggravamento delle lesioni, il prolungamento della durata della malattia, e, fondamentalmente, l’insorgenza dei reliquati permanenti. Tutto ciò si traduce in una necessaria astensione dall’esposizione a questi rischi e, solo in assenza di essi si può ritenere inesistente il danno temporaneo. Altro parametro importante da considerare è l’effetto di questo necessario comportamento prevenzionale nonché la perdita o riduzione dell’autonomia personale. Ritornando al noto esempio (che poi è un esempio riferito da altri) della frattura di polso immobilizzata in apparecchio gessato è, secondo me, censurabile il consulente che riconoscesse in ogni caso un danno biologico temporaneo al 75 o al 50% e poi a scalare, in quanto, di solito, soprattutto la prima fase della condizione di malattia, così come l’abbiamo delineata, è la più grave a tutti gli effetti, vuoi per l’intensa reazione al trauma, vuoi per le necessità di cure, di riposo, e così via dicendo.

Se valutassimo esclusivamente il danno biologico temporaneo sulla base dell’espletamento o meno delle abituali attività, trascureremmo il fondamentale parametro di riferimento rappresentato dalla salute, diritto inviolabile dell’uomo su cui è superfluo dire ulteriormente, segnalando soltanto la necessità sostanziale del suo integrale risarcimento, in alcun modo limitabile.

Da un punto di vista giuridico si richiede l’esigenza sia di uniformità di base, sia di flessibilità valutativa intesa come aspetto personalizzante in relazione alle attività, interessi, passioni, hobbies, come dice il Rossetti, che possono variare da persona a persona, ma qui siamo già nell’ambito delle attività peculiari del singolo riconducibili ad una scelta individuale, ed è giusto che i riverberi delle privazioni possano essere diverse a seconda dell’individuo colpito, dal momento che c’è chi conduce una vita sedentaria, e chi invece pratica attività sportive e un’intensa vita sociale, fonte di gratificazione e di appagamento, nonché, come è stato detto, di ritorno d’immagine. Naturalmente non è agevole dettare una regola, un metodo di valutazione. Può risultare fin troppo ovvio dire che il danno biologico, sia temporaneo sia permanente, è tanto più grave quanto maggiore è il numero e la rilevanza delle attività perdute o compromesse, cioè quando non solo le attività comuni ma anche quelle peculiari del singolo risultano alterate. Tuttavia, nell’individuazione dell’incapacità temporanea, assoluta o parziale, si dovrà tenere conto anche di altri fattori quali la gravità delle lesioni, la durata della malattia, le attività svolte, le

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condizioni personali, sociali, familiari, e, come si diceva prima, la necessità di recuperare la salute nel miglior modo e nel minor tempo possibile, evitando ricadute, prolungamenti dannosi di malattia, in modo che il processo patologico si consolidi in una invalidità permanente meno grave.

Il riferimento esclusivo o prevalente alle attività compromesse è, pertanto, a mio avviso, limitativo. Per esasperare il concetto, sarebbe come dire che, poiché la completa amputazione dell’arto superiore dominante, valutata dalla tabella delle menomazioni (D.L. 38/2000) al 60-65%, comprende gli aspetti dinamico relazionali, anche il danno biologico temporaneo deve essere stimato attorno al 60-70%. L’analogia è tassativamente esclusa per cui non è possibile valutare l’incapacità temporanea di tale grave traumatizzato, ovvero di un soggetto con fratture multiple all’arto superiore e con immobilizzazione completa e protratta dello stesso, con un identico o simile valore.

L’esame poi della giurisprudenza in materia consente ulteriori riflessioni, a cominciare da alcune sentenze a mio avviso condivisibili, nelle quali la somma liquidata per il danno biologico temporaneo assoluto è stata differente e graduata sulla base della intensità e gravità della malattia, così adottando un range di valori monetari in funzione dell’effettiva entità patologica e dell’evoluzione della malattia, risultando ad esempio massima nei primi giorni di coma o fin quando si è realizzato pericolo per la vita del danneggiato, in modo da applicare, in tali gravissime evenienze, il criterio di una superinvalidità temporanea.

In conclusione, il riconoscimento di un danno biologico temporaneo a scalare, in base a valori decrescenti per periodi di tempo successivi, consente una stima meglio e più esattamente adeguata all’evolvere delle condizioni clinico-funzionali della malattia e rappresenta una razionale direttiva di risarcimento. In altri termini, scandendo l’incapacità temporanea in una scala variamente, liberamente ed ampiamente graduabile si pone una base scientifica di equo risarcimento del danno, una volta che sono state fatte le doverose premesse sulla malattia, sulla evoluzione e sulle sue ripercussioni. Infatti, se la lesione incide grandemente sulla vita relazionale in quanto compromette l’autonomia del danneggiato, determina un impedimento del soggetto, richiede attività prevenzionale per evitare ricadute e pericolo d’aggravamento, e così via dicendo, sussiste, a mio avviso, la completa perdita temporanea della validità del leso.

*Prof Domenico Vasapollo - Medico Legale - Bologna

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