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La problematica della responsabilità civile del medico con particolare riferimento al danno biologico sanitario.

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TAGETE 3-1999 Associazione M. Gioia

La problematica della responsabilità civile del medico con particolare riferimento al danno biologico sanitario.

Dr. Giovanni Battista Petti*

Un filosofo calabro, fra Martino, seguace del Campanella (il noto autore della Città del Sole) proponeva di affidare il reggimento della Giustizia ad esperti chirurghi, onde rendere giustizia rapida, tagliente, decisiva, risolutiva. Prevedeva inoltre, in conformità delle tradizioni comunali, che il medico giudice fosse straniero e che alla fine del mandato rendesse il conto, con la possibilità di essere giustiziato.

Certo è (a parte l’intuizione del barbaro monaco) che il medico è esperto di umanità e che ne cura i mali, per mantenere l’incerta integrità che i giuristi di oggi definiscono “integrità psicofisica”, così riducendo l’uomo ad unità organica materiale, sia pure dotata di intelligenza.

Come concepisce oggi il medico italiano la propria responsabilità professionale?

Ho ascoltato con attenzione le prime risposte date dagli autorevoli predecessori e mentre ascoltavo mi coglieva il timore di non aver nulla da aggiungere, essendo stati arati tutti i campi.

Invece devo dirvi, con Riccardo III: “Non posso fare ammenda nei modi che tu desideri; accetta però la gentilezza di cui sono capace”.

Con gentilezza, ma con fermezza, devo sottolineare alcune dimenticanze che possono sviare il senso della discussione in ordine di responsabilità professionale del medico ed alle sue sfere di controllo in sede deontologica, così come nelle sedi della responsabilità civile e penale.

La prima e più grave delle dimenticanze è in certo senso la più ovvia: il medico si occupa della salute umana, cioè di un diritto umano inviolabile, costituzionalmente garantito come diritto soggettivo e diritto collettivo (art. 32 Costituzione, correlato all’art. 2, che contiene la clausola generale di garanzia dei diritti umani, e con l’articolo 3 che contiene il progetto esecutivo dell’eguaglianza, come realizzazione della pari dignità, senza discriminazioni e con parità di trattamento).

In che modo il medico può violare questo diritto?.

Una risposta possibile è la seguente: recando un danno ingiunto alla salute del suo paziente, ovvero trattandolo in modo disumano, dimenticando che la funzione del medico è di rendere un servizio altamente altruistico e solidale.

Nel mio libro sul Risarcimento del danno biologico (Utet, 1997) un capitolo è dedicato al danno da attività medico sanitaria, con l’esposizione e l’approfondimento delle problematiche relative a tale situazione.

Il danno biologico sanitario è la lesione della salute (= della integrità psicofisica) derivante da un trattamento sanitario.

Il sistema della responsabilità, penale, e civile, è anteriore alla Costituzione, ed è stato costruito nel senso di attenuare od escludere la responsabilità, attraverso una clausola di salvataggio (una sorta di salvagente giuridico) che si incentra nell’articolo 2236 del codice civile.

Questa norma, di natura contrattuale, esclude la responsabilità civile del professionista quando la prestazione implica la soluzione dei problemi tecnici di speciale difficoltà, e in ordine a tali difficoltà il professionista non si trovi in situazione di dolo o colpa grave.

* Magistrato III Sez. Civ. Corte di Cassazione, Roma

Tagete n. 3-1999 Ed. Acomep

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TAGETE 3-1999 Associazione M. Gioia

E’ la norma che cristallizza l’obbligazione professionale come obbligazione essenzialmente di mezzi e non di risultato, e privilegia il professionista in danno del cliente, con l’argomento di voler ristabilire l’equilibrio del rapporto sinallagmatico contrattuale.

Sopraggiunge la Costituzione, con i suoi progetti, i suoi valori, i suoi diritti umani, tra cui, appunto, quello della salute.

Ma il salvagente dell’art. 2236 seguita ottimamente a funzionare, con il supporto della dottrina cattedratica e della Cassazione: basta ignorare il collegamento dell’art. 2043 cod. civile con i precetti a tutela dei diritti umani; è sufficiente sostenere che i diritti umani sono dei sogni contenuti in norme programmatiche: che l’art 32 è una norma programmatica; che non esiste un mezzo ermeneutico per applicare direttamente la norma.

Il salvagente dunque funziona in tutti i campi:

a) nel campo della responsabilità penale funziona come causa di giustificazione di esonero di responsabilità per morti e per feriti e per invalidati; ovviamente non si spiega in che modo una norma civile contrattuale sia applicata, in favor rei, come causa atipica di esonero. Si dovrebbe dire che l’applicazione è per analogia iuris; ma allora quale è il principio superiore comune?

Dovrebbe ammettersi che è un principio di privilegio, di natura contrattuale, valido a derogare il superiore principio del neminem laedere.

b) nel campo della responsabilità civile, dove è applicato anche al di fuori dell’unica sede naturale possibile, quella della responsabilità contrattuale, mentre, sempre per analogia (ma si è visto che non può trattarsi di analogia iuris) lo si applica nel campo della responsabilità aquiliana.

In sintesi: artt. 2043,+2236 = non risarcibilità del danno biologico sanitario nel caso di “problemi tecnici di particolare difficoltà”; dove la colpa è ristretta all’ambito della “imperizia” e cioè della scelta dei mezzi.

Ma tale specialità della colpa (colpa per imperizia grave) finisce con l’assorbire le altre due possibili configurazioni della colpa, come la negligenza e imprudenza. Configurazioni concettualmente autonome ma, nella pratica dell’errore spesso compresenti e connesse.

Il punto di svolta, nella giurisprudenza della cassazione, civile e penale, avviene quando finalmente, la prima dimenticanza è dimenticata.

Il punto di svolta è nella costruzione della figura del danno biologico, come danno che attiene alla lesione della salute, che è un diritto umano inviolabile, ed inviolabilità, nel campo della responsabilità civile, significa risarcimento integrale del danno.

Ai giuristi, ai medici legali, ai medici in particolare, interessa sapere se questa “scoperta” sia stata un’invenzione della giurisprudenza e quale sia stato il “metodo” della scoperta, il modus procedendi.

E’ vero, che la dottrina parla di invenzione, e la Consulta, amorevolmente, di diritto vivente.

Quanto alla dottrina che assume l’invenzione ovvero ammette il ricorso all’analogia (come metodo ermeneutico) osservo che essa appartiene ad un modo culturale superato, perché non vuole cogliere il significato della tutela integrale del diritto umano violato, non vuole costituzionalizzare il sistema della responsabilità civile (cfr. Corte Cost. sent. 1986 n. 184).

Quando all’analogia, osservo che nessuna lacuna vi è nel diritto vigente: l’interpretazione logico sistematica del precetto costituzionale e della clausola generale di garanzia per l’illecito civile (art.

2043 cc), consente un’applicazione diretta della norma di tutela, completata con il suo contenuto precettivo costituzionale. Non occorre ricorrere al Kelsen e alla scuola viennese del diritto per capire i criteri ermeneutici della valenza delle norme costituzionale sui diritti umani.

Dalla sottovalutazione del diritto soggettivo alla salute, nelle sue dimensioni di diritto umano, è dunque derivata la sopravvalutazione dell’irresponsabilità professionale, con l’utilizzazione di una ciambella di salvataggio ormai quasi completamente sgonfiata.

Tagete n. 3-1999 Ed. Acomep

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TAGETE 3-1999 Associazione M. Gioia

Devo darvi una seconda cattiva notizia, sempre sul tema delle dimenticanze.

La commissione Europea, con direttiva del 20 novembre 1990, ha enunciato, a tutela del danno alla salute, il principio della responsabilità sanitaria presunta per legge del medico o dei sanitari nel caso di esito infausto o dannoso del trattamento medico chirurgo, con conseguente tutela risarcitoria integrale dinanzi al giudice ordinario.

La direttiva, essendo anteriore all’istituzione dell’Unione Europea, non ha valore giuridico di precetto, ma di progetto, di programma.

Nulla vieta alla Commissione dell’Unione di riproporla, questa volta in termini precettivi e vincolanti per gli Stati.

Come ha reagito l’ordine professionale medico a questa direttiva?

Con il codice deontologico del 1995 che semplicemente la ignora.

Cosa altro è questo codice se non un codice etico, che considera il rapporto medico - paziente, nel suo farsi dinamico e funzionale?

E la “presunzione”, che opera sul piano dell’onere probatorio, non investe anche il nodo del

“consenso informato”, divenendo elemento sostanziale del contenuto del rapporto che corre tra medico - malato?

Dunque mi sembra che anche per questa strada europea la riforma della responsabilità civile del medico vada in una direzione che conduce ad un aumento del rischio professionale ed alla necessità di prevedere una sua congrua assicurazione civile, come avviene nel resto del mondo civile e come è stato autorevolmente documentato dal Dr. Daneo, legale rappresentante dell’ERC (uno dei massimi enti mondiali di riassicurazione).

Infine, sempre per completezza di informazione, e per indicare quale è il trend vincente sulla problematica in questione, ricordo che con la recente legge 28 agosto 1997 n. 296 l’Italia ha dato ratifica ed esecuzione al Protocollo XI alla Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo. Il protocollo, che contiene la riforma della Corte Europea dei diritti dell’uomo e la possibilità di ricorsi individuali (art. 33) interessa per un principio generale, per l’ordinamento dell’Unione Europea, e quindi anche per l’ordinamento giuridico italiano.

Il principio è enunciato nell’art. 41 (Equa soddisfazione) che recita:

“Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il ritto interno dell’Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”.

Insisto ancora sulla valenza di questo principio: è principio generale del nostro ordinamento, a valenza costituzionale, poiché attiene ai diritti inviolabili dell’uomo, riconosciuti e garantiti dall’art.

2 della Costituzione italiana.

Ora la situazione risarcitoria, per i danni consequenziali al danno biologico, così come per il danno tanatologico, è in Italia chiaramente incompleta, posto che il diritto “vivente” intende restrittivamente il cosiddetto. danno futuro o la tutela a conviventi more uxorio o il ristoro ai genitori della giovane vittima.

Cosa esprime questo principio europeo se non una specificazione del neminem laedere per la lesione dei diritti umani?

Ed allora, provocatoriamente, non potrà chiedersi al giudice italiano di applicarlo, magari per analogia iuris?

Perché costringere il danneggiato ad attendere un giudicato negativo e a ricorrere alla Corte Europea quando il principio di equa soddisfazione può integrarsi con la clausola generale dell’art.

2043 del cod. civile?

In conclusione, tenendo conto anche delle considerazioni svolte dai miei illustri predecessori, mi sembra di poter sottolineare tre linee attuali di tendenza:

Tagete n. 3-1999 Ed. Acomep

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TAGETE 3-1999 Associazione M. Gioia

• una tendenza europea, di riforma della responsabilità professionale del medico, che conduce ad un principio di responsabilità presunta, molto prossimo al principio della responsabilità oggettiva. Questa tendenza deriva dal considerare il servizio medico come diritto sociale e la prestazione medico sanitaria come funzionale al diritto inviolabile della salute. Nel rapporto medico - paziente la professionalità è al servizio del malato.

• una tendenza interna, del diritto vivente: che è quella di sgonfiare il salvagente dell’art. 2236 e di privilegiare il campo della responsabilità aquiliana del medico, rispetto al campo della responsabilità contrattuale.

• una terza tendenza, che pure è europea, ma che è in parte stata recepita dai medici, è data dal rapporto informazione - rischio - consenso.

Il concetto di “consenso informato” esprime l’incontro tra le due conoscenze, quella del paziente, che acconsente al trattamento e quella del trattamento che il medico propone, in quanto, a sua volta, compiutamente informato delle condizioni fisiche e psichiche del suo paziente. Nell’ambito del corretto rapporto giuridico tra questi due soggetti, il consenso è l’elemento essenziale, contenutistico, e nello stesso tempo elemento di valutazione della responsabilità professionale.

Da queste tendenze deriva per il medico un impegno a migliorare la propria professionalità, tenendo conto di quella che è la sua alta collocazione in una società di servizi che vuole essere rispettosa dei diritti umani.

Tagete n. 3-1999 Ed. Acomep

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