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La liquidazione del danno biologico in sede Inail: i rapporti tra responsabilità civile ed assicurazione obbligatoria contro gli infortuni

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La liquidazione del danno biologico in sede Inail: i rapporti tra responsabilità civile ed assicurazione obbligatoria contro gli infortuni

Dr. Marco Rossetti

1. Premessa.

Il sistema dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro è fatalmente destinato ad intersecare (se non addirittura a confliggere con) il sistema della responsabilità civile. Infatti, dall’atto illecito con il quale un terzo arrechi un danno alla salute ad un lavoratore dipendente, possono sorgere tre distinti rapporti:

a. la pretesa del danneggiato nei confronti del danneggiante, avente ad oggetto il risarcimento del danno;

b. la pretesa del danneggiato nei confronti dell’Inail, avente ad oggetto il pagamento dell’indennizzo assicurativo;

c. la pretesa dell’Inail nei confronti del responsabile del danno, avente ad oggetto la surrogazione nei diritti del danneggiato.

I tre ordini di rapporti suddetti sono potenzialmente conflittuali. Infatti nel nostro ordinamento il risarcimento del danno è retto dal principio della riparazione integrale, secondo il quale al danneggiato spetta “tutto il danno, e solo il danno”. Con questa formula si vuole dire che il danneggiato non deve avere nulla di meno, ma non può neanche pretendere nulla di più del danno effettivamente subìto.

E’ dunque evidente che, se si considerano omogenei e sovrapponibili il risarcimento del danno e l’indennizzo pagato dall’Inail, il danneggiato non può cumulare l’uno e l’altro. Viceversa, se il risarcimento e l’indennizzo sono ritenuti diversi ed infungibili, il suddetto cumulo sarà pienamente legittimo.

L’intersezione tra questi tre ordini di rapporti ha creato, negli ultimi dieci anni, un tale intricato groviglio di dubbi (non sopiti neppure dall’intervento della Corte costituzionale), che un illustre autore non ha esitato a parlare, al riguardo di una autentica “questione Inail” (Giannini, La “questione Inail”, in AA.VV., Il danno - biologico - patrimoniale - morale, Milano, 1995, 125).

2. La “questione Inail”.

Fino alla riforma del 1999-2000, l’Inail assicurava, in caso d’infortunio, le seguenti prestazioni:

a. un'indennità giornaliera in caso di “inabilità temporanea”;

b. una rendita vitalizia in caso di un “infortunio o di una malattia professionale, la quale tolga (…) per tutta la vita l'attitudine al lavoro (d.p.r. 30.6.1965 n. 1125, art.

74, comma primo).

Per precisare il concetto di “attitudine al lavoro” dottrina e giurisprudenza elaborarono molte e diverse definizioni, unite però da un minimo comune

Magistrato, Assistente di studio presso la Corte Costituzionale, Roma

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denominatore: per tutte, infatti, la lesione dell’attitudine al lavoro di cui all’art. 74 t.u.:

a. era un danno la cui entità prescindeva completamente dal reddito del danneggiato;

b. era un danno che attingeva la complessiva integrità psicofisica del soggetto, limitando la sua capacità di svolgere, in futuro, un qualsiasi lavoro.

Pertanto, fino a quando non si affermò definitivamente il principio dell’autonoma risarcibilità della lesione alla salute in sé considerata (cioè il danno biologico), il sistema della responsabilità civile e quello della previdenza sociale costituivano due mondi separati, ma coordinati, in modo che tra essi non era ipotizzabile alcun conflitto. Il danno indennizzato dall’Inail (la lesione dell’attitudine al lavoro), ed il danno risarcito dal responsabile civile in caso di lesioni personali, erano considerati dalla unanime giurisprudenza (e dalla prevalente dottrina) grandezze omogenee, l’una e l’altra destinata a riparare un pregiudizio patrimoniale, o meglio, reddituale. Ed infatti:

a. in ambito civilistico, il danno alla salute era considerato risarcibile non di per sé, ma soltanto se e nella misura in cui aveva prodotto un pregiudizio reddituale, anche futuro o presunto;

b. analogamente, nel sistema dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, il pregiudizio indennizzato dall’Inail non era rappresentato dalla compromissione della salute del lavoratore in sé riguardata, ma dalla lesione dell’attitudine al lavoro del soggetto leso.

L’ingresso nel mondo giuridico del danno biologico ha fatto entrare in crisi i rapporti tra il sistema dell’assicurazione infortuni obbligatoria ed il sistema della responsabilità civile. Due, per quanto qui rileva, gli inconvenienti del sistema:

a. una volta affermato che, risarcendo il danno biologico si risarcisce la riduzione della validità dell’individuo, a prescindere da ogni ripercussione sul reddito, si è realizzata una parziale identità tra danno biologico e lesione dell’attitudine lavorativa, risarcita dall’Inail: l’uno e l’altra, infatti, erano liquidati in modo indipendente da ogni incidenza sul patrimonio; con la conseguenza che il danneggiante, escusso prima dall’Inail con l’azione di regresso e poi dal danneggiato con l’azione risarcitoria ordinaria, eccepiva l’estinzione dell’obbligazione risarcitoria per avvenuto adempimento;

b. specie nel caso di micropermanenti, il danneggiato poteva vantare nei confronti del responsabile soltanto il diritto al risarcimento del danno biologico (ed eventualmente di quello morale), ma non di quello patrimoniale, in quanto ben difficilmente una micropermanente poteva causare una riduzione del reddito. Pertanto l’Inail, una volta erogato l’indennizzo, quando aggrediva in via surrogatoria le somme dovute dal responsabile a titolo di risarcimento del danno biologico, incamerava l’intero risarcimento, lasciando il danneggiato a mani vuote.

L’inconveniente sub (b), in particolare, è stato portato all’esame della Corte costituzionale, la quale con tre sentenze ha “rivoluzionato” il sistema dei rapporti tra assicurazione Inail e responsabilità civile. Di queste sentenze, notissime, non importa in questa sede richiamare il decisum, sibbene alcuni passaggi delle rispettive motivazioni, e cioè:

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a. altro è l’indennizzo erogato dall’Inail, altro è il risarcimento del danno alla salute (Corte cost. 6-6-89 n. 319, in Foro it., 1989, I, 2695);

b. l’esercizio del diritto di surroga può avere ad oggetto unicamente le somme dovute al danneggiato a titolo di risarcimento del medesimo tipo di danno oggetto di copertura assicurativa: pertanto, non assicurando l’Inail il danno biologico di per se stesso, ma soltanto la compromissione dell’attitudine al lavoro, l’ente non può surrogarsi nelle somme dovute al danneggiato a titolo di risarcimento del danno biologico (Corte cost. 18-7-91 n. 356, in Foro it., 1992, I, 2340).

In seguito agli interventi della Corte costituzionale, parte della giurisprudenza si tenne appagata delle motivazioni della Consulta, ed escluse che l’Inail potesse soddisfarsi, in sede di surrogazione, sulle somme spettanti al danneggiato a titolo di risarcimento del danno biologico (Trib. Livorno 27.2.92, RGL, 1993, 663; Trib.

Parma 28.5.93, RCP, 1994, 114, AC, 1994, 698; Trib. Torino 11.12.93, AGCSS, 1994, 749, RCP, 1994, 778; Trib. Torino 7.5.94, RCP, 1994, 755; Trib. Udine 22.11.93, NGCC, 1995, 364; Trib. Napoli 9.11.94, Ipr, 1995, 405; Trib. Verona 23.2.95, NGCC, 1996, 305).

Altra parte dei giudici di merito, invece, hanno cercato di ovviare agli “effetti collaterali” prodotti dalla giurisprudenza costituzionale, e richiamati nel § che precede. Così una larga parte della giurisprudenza di merito, probabilmente nell’intento di evitare che l’azione di surrogazione dell’Inail fosse di fatto abolita, ha cercato di ricostruire il sistema dei rapporti tra assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e responsabilità civile nel modo che segue:

a. l’attitudine al lavoro di cui all’art. 74 t.u., la cui lesione è oggetto di indennizzo da parte dell’Inail, non è che la c.d. capacità lavorativa generica;

b. la capacità lavorativa generica, in quanto compromissione di uno soltanto dei molteplici aspetti dell’esistenza dell’individuo, è una componente del danno biologico;

c. ergo, l’Inail indennizza una parte del danno biologico, e precisamente quella parte che si identifica con la lesione della capacità lavorativa generica (Trib. Roma 7-4- 1997, RGCT, 1997, 612).

Dopo avere fatto a lungo discutere dottrina e giurisprudenza, la tesi della parziale coincidenza tra danno biologico e danno indennizzato dall’Inail è pervenuta infine all’esame della Corte di cassazione. Il giudice di legittimità ha provato a dare una sistemazione organica alla materia, articolando il seguente sillogismo:

a. l’attitudine al lavoro di cui è menzione nell’art. 74 d.p.r. 1124/65 è nozione diversa dalla “capacità lavorativa generica”, considerata un aspetto del danno biologico: la prima è nozione che fa riferimento ad una capacità di lavoro in atto, e quindi esprime un danno patrimoniale; la seconda è nozione - ormai superata, in quanto assorbita da quella di danno biologico - che fa riferimento ad una qualità della persona;

b. pertanto, danno biologico e lesione dell’attitudine al lavoro costituiscono due danni distinti e separati;

c. ergo, né il datore di lavoro può sottrarsi al risarcimento del danno biologico invocando l’esonero; né l’Inail può agire in regresso nei confronti del datore di

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lavoro, aggredendo le somme da questi dovute al lavoratore a titolo di risarcimento del danno biologico (Cass. 22-1-1998 n. 605, in Foro it., 1998, I, 1923).

3. Le riforme del 1999-2000.

I contrasti e le incertezze di cui si è appena detto, hanno indotto il legislatore a modificare radicalmente l’assetto della materia, e ad estendere la copertura assicurativa prestata dall’Inail anche al danno biologico.

Il cammino di questa riforma è iniziato con la l. 17.5.1999 n. 144 (recante

“Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali”), con la quale era stato delegato il Governo a prevedere, tra l’altro, la sussunzione nell'oggetto dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali del danno biologico (art. 55, lettera s, l.

17.5.1999 n. 144).

In attuazione di tale delega, il governo ha tempestivamente emanato il D.lgs.

23.2.2000 n. 38, il cui art. 13 ha previsto:

a. la sussunzione nella copertura assicurativa del danno biologico (comma 2);

b. i criteri per la liquidazione del relativo indennizzo (comma 2, lettera a);

c. una nuova disciplina per la liquidazione del danno da riduzione o perdita della capacità di produrre reddito (comma 2, lettera b);

d. una organica disciplina per la valutazione delle sopravvenienze (aggravamenti o miglioramenti) e delle invalidità plurime (commi 4-7);

e. una norma espressa per l’ipotesi di morte del lavoratore infortunato (comma 9).

Completa la disciplina una definizione di “danno biologico”, sia pure espressamente limitata ai soli fini dell’assicurazione obbligatoria, ed “in via sperimentale” (art. 13, comma 1).

Dalla riforma emerge un sistema nel quale l’Inail indennizza il danno biologico quando l’invalidità permanente supera un certo grado percentuale; quando, poi, il danno è particolarmente elevato, all’indennizzo del danno biologico si aggiunge un quid, che tenga conto delle ripercussioni patrimoniali (presunte iuris et de iure) del danno alla salute.

I criteri di indennizzo di cui all’art. 13 D.lgs. 38/2000 non erano tuttavia self executing, in quanto per potere essere concretamente applicati richiedevano una serie di tabelle, che prevedessero rispettivamente:

a. il valore monetario del punto di invalidità, in base al quale liquidare il danno biologico in forma di capitale;

b. il valore monetario delle rendite, in base alle quali liquidare il danno biologico in forma di capitale;

c. i coefficienti in base ai quali moltiplicare il reddito dell’infortunato, per liquidare il danno da ridotta capacità produttiva;

d. i gradi percentuali di invalidità corrispondenti a ciascuna singola menomazione.

Queste quattro tabelle sono state approvate col d.m. 12.7.2000 (in ritardo, quindi, rispetto al termine fissato dall’art. 13, comma 3, D.lgs. 38/2000, scaduto il 5.5.2000), la cui emanazione ha sancito la definitiva operatività del nuovo sistema.

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4. Gli effetti della riforma.

La riforma di cui al D.lgs. 38/2000 può, a buon diritto, essere considerata

“epocale” per il nostro ordinamento. Essa dovrebbe produrre, tra gli altri, quattro ordini di effetti particolarmente significativi ai fini che qui interessano.

In primo luogo, ovviamente, l’estensione della copertura assicurativa apprestata dall’Inail al danno biologico eviterà che il lavoratore infortunato sia costretto a rivolgersi al responsabile del danno per ottenere il relativo risarcimento.

L’azione risarcitoria del danneggiato nei confronti del responsabile residuerà, però, in tutti quei casi in cui l’indennizzo dall’Inail non abbia coperto interamente il danno, liquidato secondo i criteri adottati in sede di responsabilità civile.

In secondo luogo, la riforma dovrebbe finalmente evitare il rischio di duplicazioni risarcitorie: infatti, se l’infortunato, dopo avere percepito l’indennizzo dell’Inail, convenisse in giudizio il responsabile del danno per ottenere il risarcimento, questi potrà agevolmente eccepire l’inesistenza del danno, per essere stato già ristorato dall’Inail.

In terzo luogo, quel che più rileva, la riforma ha comportato una “legittimità costituzionale sopravvenuta” dell’art. 1916 c.c..

Si è già accennato al fatto che la Consulta, nella sentenza n. 356 del 1991, aveva fondato la declaratoria di illegittimità costituzionale sull’assunto che il danno biologico non era assicurato dall’Inail, e quindi quest’ultimo non poteva agire in rivalsa su somme dovute al danneggiato per tale titolo. La surrogazione, affermò la Corte, poteva avvenire solo su poste risarcitorie che fossero oggetto di copertura assicurativa Inail.

Di conseguenza, ora che il danno biologico è per legge oggetto di assicurazione obbligatoria, viene meno la ragione per la quale l’art. 1916 c.c. era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo.

L’ammissibilità di una “legittimità costituzionale sopravvenuta” ha fatto registrare pareri diversi tra i pochi autori che si sono occupati dell’argomento (Pinardi, La Corte, i giudici ed il legislatore. Il problema degli effetti temporali delle sentenze di incostituzionalità, Milano 1993, 66; Patrono, Legge (vicende della), in EdD, XXIII, Milano 1973, 926; Saitta, Un presunto ripensamento della Corte costituzionale in tema di crediti da lavoro: validità “sopravvenuta” o esatta individuazione delle norme a suo tempo invalidate?, in Gcost, 1972, 2108), ma si consideri che, se si ritenesse tuttora vigente l’art. 1916 c.c. nel testo risultante dall’intervento della Consulta, si giungerebbe all’evidente paradosso che l’Inail, pur essendo obbligato ad indennizzare il danno biologico, non potrebbe poi agire in rivalsa nei confronti del responsabile, per recuperare le somme pagate all’assicurato.

In quarto luogo, per effetto della riforma, deve ritenersi definitivamente superato ogni riferimento alla nozione di “attitudine al lavoro”. Stabilisce infatti l’art.

13, comma 2, d. lgs. 38/2000, che “in caso di danno biologico, i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro e a malattie professionali verificatisi o denunciati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto ministeriale di cui al comma 3, l'INAIL

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nell'ambito del sistema d'indennizzo e sostegno sociale, in luogo della prestazione di cui all'articolo 66, primo comma, numero 2), del testo unico, eroga l'indennizzo previsto e regolato dalle seguenti disposizioni”.

La legge prevede dunque che l’erogazione dell’indennizzo per danno biologico avvenga “in luogo” della rendita prevista dall’art. 66, n. 2, d.p.r. 1124/65. Pertanto, sebbene sia stato lasciato formalmente in vita l’art. 74 del d.p.r. 1124/65 (il quale continua a stabilire che “deve ritenersi inabilità permanente assoluta la conseguenza di un infortunio o di una malattia professionale, la quale tolga completamente e per tutta la vita l'attitudine al lavoro”), non può dubitarsi che l’erogazione del capitale o della rendita esaurisca le prestazioni dovute dall’istituto.

5. I criteri di accertamento e liquidazione del danno biologico.

Il D.lgs. 38/2000 ha previsto che l’accertamento del danno biologico avvenga in base ad una apposita “tabella delle menomazioni”, approvata con d.m. 12.7.2000, elaborata - per espressa previsione di legge - tenendo conto degli aspetti “dinamico- relazionali” del danno alla salute. Si tratta del primo esempio nel nostro ordinamento di un barème destinato esclusivamente alla valutazione medico legale del danno biologico, recepito in un provvedimento normativo.

Per quanto attiene invece alla liquidazione dell’indennizzo, il legislatore ha scelto due criteri diversi ed alternativi.

Per le invalidità permanenti di grado dal 6 al 15,9%, l’indennizzo viene erogato in forma di capitale. Per tale liquidazione, il legislatore ha adottato il sistema più diffuso tra i giudici di merito, quello del “punto variabile”. Questo sistema esige, come noto, la predisposizione di una funzione matematica di crescita del valore monetario del punto d’invalidità, in ragione crescente rispetto al crescere del grado di invalidità, ed in ragione decrescente rispetto all’età della vittima. I valori del punto d’invalidità sono indicati in due tabelle, una per i maschi e l’altra per le femmine, approvate con d.m. 12.7.2000

Per le invalidità permanenti di grado dal 15,9% in su, l’indennizzo viene erogato in forma di rendita. Il valore della rendita prescinde del tutto dalla retribuzione del danneggiato, ed è indicato in un’apposita tabella, anch’essa approvata con d.m. 12.7.2000.

Non è invece indennizzato il danno biologico che comporti una invalidità permanente inferiore al 6%.

Il sistema di indennizzo del danno biologico introdotto dal d. lgs. 38/2000 può dunque così riassumersi:

a. le minipermanenti (0-5%) ed il danno biologico temporaneo non sono indennizzati;

b. le invalidità medie (6-15%) sono indennizzate in forma di capitale, e liquidate col sistema del punto variabile;

c. le invalidità gravi (>15%) sono indennizzate in forma di rendita.

Il sistema è completato dalla previsione, per le invalidità di grado superiore al 15,9%, di un aumento della rendita proporzionale al reddito del danneggiato, al fine di tenere conto delle conseguenze patrimoniali del danno biologico. La percentuale di

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retribuzione da porre a base del relativo calcolo viene determinata moltiplicando il reddito del danneggiato per un coefficiente, anch’esso approvato con d.m. 12.7.2000, variabile in funzione del grado di invalidità permanente.

E’ stato calcolato che un lavoratore quarantenne, con una invalidità dell’8% ed una retribuzione annua di 30 milioni, mentre prima della riforma nulla poteva avere dall’Inail, ora ha diritto ad un indennizzo in capitale di 11.520.000 lire. Lo stesso lavoratore, con una invalidità del 15%, mentre prima della riforma poteva avere una rendita annua di 2.508.000 lire, ora potrà contare su un indennizzo capitale di 36.000.000 di lire (Biffi, Infortunio in itinere e danno biologico, in Dir. prat. lav., inserto n. 15, 2000, XXIII).

6. Aspetti problematici.

Il D.lgs. 38/2000, pur avendo avviato a soluzione molti dei problemi per l’avanti dibattuti, non ha però risolto tutti i casi dubbi, ed è anzi prevedibile che farà sorgere alcuni dubbi interpretativi.

Il più evidente limite della riforma consiste nel fatto che essa è stata portata a termine in modo scollegato ed avulso dai progetti miranti a disciplinare per legge il risarcimento del danno biologico in sede di responsabilità civile.

In questo modo, si corre il rischio che il danno biologico in ambito Inail sia concepito, valutato e liquidato in modo diverso rispetto al danno biologico in responsabilità civile.

C’è il rischio che sia concepito in modo diverso, perché la definizione di cui all’art. 13 D.lgs. 23.2.2000 n. 38 pare fare riferimento ad una nozione statica (o strutturale) del danno alla salute, incentrata com’è sulla nozione di “lesione”

dell’integrità psicofisica. Per contro, in ambito di responsabilità civile il danno biologico è prevalentemente concepito come un danno dinamico (o funzionale).

Questo rischio, in verità, può essere evitato da una attenta lettura dell’art. 13 D.lgs.

38/2000. Infatti è vero che, nel comma primo di tale norma, il danno biologico viene definito puramente e semplicemente quale “lesione” dell’integrità psicofisica; tuttavia è anche vero che nel successivo comma 2, lettera a, si precisa che la “tabella delle menomazioni”, in base alla quale valutare il grado di invalidità permanente, deve essere redatta in modo da tenere conto degli aspetti “dinamico-relazionali” della menomazioni. Ebbene, se davvero il legislatore avesse voluto adottare una nozione

“statica” del danno alla salute, non si comprenderebbe il successivo richiamo ai suddetti aspetti dinamico relazionali della menomazione.

C’è, poi, il rischio che il danno biologico sia valutato in modo diverso in ambito Inail rispetto al contesto della responsabilità civile, in quanto il medico dell’Inail è obbligato a fare riferimento alla “tabella delle menomazioni” di cui all’art.

13, comma 2, lettera a, D.lgs. 23.2.2000 n. 38, mentre il medico legale nominato dal giudice o scelto dalla parte, nel valutare il danno biologico, non ha alcun obbligo di avvalersi di un barème piuttosto che di un altro, salvo che nel caso di micropermanenti causate da sinistri stradali, per le quali la legge impone il riferimento al barème (ancora, peraltro, inesistente), di cui all’art. 5 L. 5/3/2001

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n. 57.

Di qui la conseguenza che, a causa della non corrispondenza tra i valori indicati nella “tabella delle menomazioni” e quelli suggeriti dai barèmes più diffusi, il danno biologico in sede previdenziale “valga” di più dello stesso danno in sede di responsabilità civile. Così, per fare qualche esempio: la voce 348 della tabella Inail (castrazione totale) prevede una invalidità permanente del 30%, mentre per la stessa menomazione la Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente (Milano 1996, 228) suggerisce una invalidità permanente del 40%. In un caso simile l’infortunato, dopo avere ottenuto l’indennizzo Inail, potrebbe convenire in giudizio il responsabile del danno, allegando di avere subìto un danno biologico non interamente coperto dall’indennizzo Inail, e chiedendo la condanna del responsabile al risarcimento del danno differenziale. Con la duplice conseguenza, da un lato, che il datore di lavoro non sarà affatto garantito dall’Inail in tutti quei casi in cui la percentuale di invalidità prevista dalla “tabella delle menomazioni” sia inferiore a quella prevista dalle altre barèmes medico legali (e sarà quindi costretto a continuare a stipulare polizze assicurative per la copertura del danno differenziale); e dall’altro che potrà ripresentarsi il rischio di duplicazioni risarcitorie e, comunque, l’incentivo per il danneggiato ad introdurre un giudizio civile nei confronti del responsabile, nella speranza che la non coincidenza tra “tabella delle menomazioni” e le altre barèmes gli consenta di lucrare sul danno differenziale.

Né varrebbe continuare ad osservare che il danno indennizzato dall’Inail è cosa diversa dal danno civilistico, in quanto il danno biologico (cioè la compromissione della salute) non può che essere uguale per tutti, a parità di età e di menomazione, e comunque la “tabella delle menomazioni” è comprensiva, per espressa previsione di legge, degli aspetti “dinamico-relazionali” della menomazione: essa, cioè, tiene conto delle ripercussioni del danno anche sulle attività extralavorative.

Insomma, la perdurante diversità dei criteri in base ai quali si “misura”

l’invalidità permanente in ambito Inail ed in sede di responsabilità civile lascerà in vita il c.d. danno differenziale, e non consentirà il pieno conseguimento degli effetti voluti dal legislatore (Poletti, Danno biologico da infortunio sul lavoro: al via la sperimentale riforma del testo unico Inail, in DR, 2000, 466).

C’è, infine, il rischio che il danno biologico in sede Inail ed in ambito di responsabilità civile sia liquidato in modo diverso.

Si immagini, a questo riguardo, l’ipotesi di un lavoratore ventenne il quale subisca un danno alla salute, al quale residui una invalidità permanente valutata dalla

“tabella delle menomazioni” nella misura del 6%. Per questa menomazione, l’Inail indennizza il danno biologico con la somma di £ 9.600.000.

Si immagini altresì che la stessa invalidità, anche in sede di responsabilità civile, sia valutata dai principali barèmes medico legali nella misura del 6%.

Questa identità di valori percentuali non sortirà alcun effetto, in tutti quei casi (e sono moltissimi) in cui i valori di punto ordinariamente adottati dagli uffici giudiziari per la liquidazione del danno biologico (ovvero i valori stabiliti dall’art. 5 l. 5.3.2001 n.

57, nel caso di danni derivanti da sinistri stradali) non coincidano con i valori applicati dall’Inail, e risultanti dalla “Tabella indennizzo danno biologico”, di cui al

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d.m. 12.7.2000. Anche in questo caso, infatti, ove i valori liquidati dai giudici in sede civile siano superiori a quelli liquidati dall’Inail, il danneggiato avrà tutto l’interesse ad agire nei confronti del responsabile per chiedere il risarcimento del danno differenziale: una differenza, si badi, che non è nell’ordine delle cose (una menomazione è sempre una menomazione), ma nei criteri di valutazione adottati dall’Inail (per legge) e dalla giurisprudenza (in via equitativa, in assenza di una legge).

In definitiva, sussiste ed è reale il rischio che la riforma di cui al D.lgs. 38/2000 non abbia eliminato, ma abbia semplicemente ridotto il rischio di conflitto tra il sistema dell’assicurazione obbligatoria, e quello della responsabilità civile.

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