LeLing13: Polinomi e numeri complessi.
A ¯ rgomenti svolti:
• Polinomi e non polinomi.
• Le radice della equazione x
2+ 1 = 0: i numeri complessi.
• L’inverso
1ze il coniugato.
• Radici di polinomi. Radici coniugate. La formula
−b±√ b2−4ac
2a
.
• L’algoritmo di Euclide e la sezione aurea
1+√5 2
.
• Divisione di polinomi. L’algoritmo di Euclide e le radici multiple.
E ¯ sercizi consigliati: Geoling 15.
Polinomi
Un polinomio p(X) in X e’ una espressione p(X) = a
0+ a
1X + · · · + a
nX
ndove a
1, a
2, · · · , a
nsono numeri. Se a
n6= 0 il numero n si chiama grado del polinomio p(X) e simbolicamente si scrive deg(p(X)) = n. Se tutti i numeri a
1, a
2, · · · , a
nsono nu- meri reali allora p(X) si dice polinomio reale. Se invece a
1, a
2, · · · , a
nappartengono a un campo numerico K allora si dice che p ha coefficienti in K e simbolicamente si scrive p(X) ∈ K[X]. Ovviamente p(X) ∈ R[X] significa che p(X) e’ un polinomio reale.
Di solito un polinomio si pensa come una funzione e si scrive P (x) dove la x minus- cula significa che abbiamo inserito un numero x al posto di X . I classici esempi sono la retta p(x) = ax + b e la parabola p(x) = ax
2+ bx + c.
Ovviamente esistono funzioni f (x) che non si possono ottenere mettendo x al posto di X in un polinomio. Ecco gli esempi classici: cos(x) e sin(x). Infatti, questo e’ con- seguenza del fatto che sin(x) e cos(x) hanno infinite radici e invece un polinomio p(x) ha al massimo deg(p(X)) radici
1.
A volte puo’ servire inserire al posto di X una matrice o qualsiasi altro oggetto che si possa sommare e moltiplicare. Ad esempio, se p(X) = X
3+ 2X + 1 mettendo al posto di X la matrice J = 0 −1
1 0
possiamo calcolare p(J ), che sara’ anche lei una matrice
1
Questo si dimostra usando l’algoritmo della divisione (oppure il Teorema di Ruffini).
2 × 2. Infatti, da J
3= −J risulta p(J ) = −J + 2J + 1 = J + 1. Siccome 1 rappresenta X
0allora J
0= Id
2= 1 0
0 1
e dunque p(J ) = 1 −1
1 1
.
Osservare dunque che la matrice J e’ radice della equazione X
2+ 1 = 0.
Numeri complessi
E’ ovvio che la equazione x
2+ 1 = 0 non si puo’ risolvere usando i numeri reali.
Dunque i matematici hanno inventato il numero imaginario ”i”
2. Cioe’, si decreta che i
2= −1 e ovviamente (− i)
2= −1.
Ma una volta nato il numero ”i”, siccome va pensato come un numero, dobbiamo es- sere capaci di calcolare 2 i, 4 i,
1i, i
25, 4 i +2 i
35, ecc. Insomma, e’ vero che i matematici inventano il numero ”i”, ma questa invenzione produce automaticamente molti altri numeri, cioe’ tutti quelli che possiamo escrivere come un quoziente
ab0+a1i +a2i2+···+anin0+b1i +b2i2+···+bmim
con a
1, · · · , a
n, b
1, · · · , b
mnumeri reali.
Dunque insieme alla nascita di ”i”, nascono i numeri complessi che si raccolgono nell’insieme C di numeri complessi
ab00+b+a11i +bi +a22i2i2+···+b+···+amniimncon a
1, · · · , a
n, b
1, · · · , b
m. No- tare che R e’ contenuto in C, infatti se a ∈ R allora a = −a i
2∈ C, dunque R ⊂ C.
Dunque lo studio di C e’ lo studio di questo insieme. Ecco un teorema importante.
Teorema 0.1. Se z ∈ C, cioe’ z =
ab00+b+a11i +bi +a22ii22+···+b+···+amniimncon a
1, · · · , a
n, b
1, · · · , b
mallora z si scrive in modo unico come:
z = x + i y dove x, y ∈ R.
Il numero reale x si chiama la parte reale di z , simbolicamente Re(z) := x mentre il numero reale y si chiama parte immaginaria e si denota Im(z), cioe’ z = Re(z)+i Im(z).
Dimostrazione. Siccome i
2= −1 segue che z =
ab0+a1i +a2i2+···+anin0+b1i +b2i2+···+bmim
=
C+D iA+B i, dove A, B, C, D ∈ R. Ecco una seconda osservazione: z = (
A+B iC+D i)(
C−D iC−D i) =
(AC+BD)+(BC−AD) i C2+D2. Risulta quindi che z = x + y i, dove x =
AC+BDC2+D2e y =
BC−ADC2+D2. Dimostrare l’unicita’ e’
facilissimo. Infatti, se esistesse un z tale che z = x + y i = x
0+ y
0i e y 6= y
0, risulterebbe i = x − x
0y
0− y
ma questo implica che i e’ un numero reale! Assurdo. Dunque y = y
0e per forza x = x
0. 2
2
A volte si usa il simbolo √
−1 per denotare i , ma si faccia attenzione poiche’ p(−1)(−1) non e’
uguale a √
−1 √
−1 .
Dopo questo Teorema possiamo ripartire pensando ai numeri complessi come le coppie z = x + y i di numeri re- ali. E’ dunque naturale pensare che un numero complesso si rappresenta nel piano R
2come il punto (x, y).
L’inverso 1 z e il coniugato z
La lettera z denota un numero complesso, cioe’ z = x+i y . La dimostrazione della propo- sizione precedente contiene l’idea di come calcolare l’inverso
1zdi un numero complesso.
E’ conveniente introdurre il coniugato z = x − y i di z come il numero complesso la cui parte immaginaria e’ di segno contrario a quello di z . Geometricamente il coniugato del punto z e’ il simmetrico rispetto all’asse x.
Ecco due proprieta’ importanti del coniugato,
Proposizione 0.2. Se z e w sono numeri complessi allora:
zw = zw z + w = z + w
Inoltre usando repetutamente la prima proprieta’ risulta z
n= z
n.
Notare che z = z se e solo se Im(z) = 0, ossia se e solo se z e’ un numero reale.
Allora ecco l’osservazione importante:
z.z = x
2+ y
2cioe’, il prodotto di un numero e il suo coniugato e’ uguale alla distanza al quadrato del punto all’origine, cioe’ il quadrato del modulo di z pensato come vettore. Siccome il modulo si denota |z| allora z.z = |z|
2.
Questo permette facilmente di calcolare l’inverso.
Proposizione 0.3. L’inverso
1zdi z 6= 0 e’
1 z = z
|z|
2= x
x
2+ y
2− y x
2+ y
2i
Dimostrazione . Eseguendo il prodotto z
|z|z2=
|z|zz2=
|z||z|22= 1, dunque
1z=
|z|z2per definizione. 2
Esempio 0.4. Ecco l’inverso di i:
1 i = − i
Il calcolo dell’inverso
1z, insieme con le operazioni di somma e prodotto ci permette di pensare a C come un campo numerico
3. Ecco come si moltiplicano due numeri complessi z = x + y i e w = a + b i:
z.w = (x + y i)(a + b i) = xa + xb i +ya i +yb i
2= xa + (xb + ya) i +yb(−1) dunque z.w = (xa − yb) + (xb + ya) i. Ed ecco una formula celebre:
|z|
2|w|
2= (x
2+ y
2)(a
2+ b
2) = (xa − yb)
2+ (xb + ya)
2= |zw|
2.
Questa formula e’ il punto di partenza della dimostrazione di Eulero del teorema di Fermat
4che i numeri naturali della forma 4k + 1 sono somma di due quadrati.
Infine si osservi che la parte reale e quella immaginaria si ricavano usando il coniugato:
Re(z) = z + z 2 Im(z) = z − z
2 i
Il numero z si dice immaginario puro se Re(z) = 0. Dunque z e’ immaginario puro se z = y i, y ∈ R. Notare che la condizione z = −z e’ necessaria e sufficente affinche’ z sia immaginario puro.
3
Il primo a notare questo e’ stato il bolognese Raffaele Bombelli nel 1572.
4
http://it.wikipedia.org/wiki/Teorema di Fermat sulle somme di due quadrati
Radici di polinomi reali, radici coniugate, ecc.
Il polinomio p(x) = x
2+ 1 e’ reale ma ha due radice complesse, cioe’ i e − i. Osservare che − i e’ (per definizione) il coniugato di i. Questo succede per qualsiasi polinomio reale;
cioe’ se z e un numero complesso radice della equazione reale a
0+a
1x+a
2x
2+· · ·+a
nx
n= 0 allora il coniugato z e’ pure lui una radice. Infatti, siccome a
0, a
1, · · · , a
nsono numeri reali risulta:
a
0+ a
1z + a
2z
2+ · · · + a
nz
n= 0 = 0 a
0+ a
1z + a
2z
2+ · · · + a
nz
n= 0 , a
0+ a
1z + a
2z
2+ · · · + a
nz
n= 0 , dunque risulta:
a
0+ a
1z + a
2z
2+ · · · + a
nz
n= 0 cioe’ il coniugato z e’ radice della stessa equazione.
Proposizione 0.5. Sia p(X) ∈ R[X] un polinomio reale. Se il numero complesso z ∈ C soddisfa p(z) = 0, allora anche il coniugato z soddisffa p(z) = 0. Inoltre, se Im(z) 6= 0 allora il polinomio di secondo grado q(X) = (X − z)(X − z) = X
2− (z + z)X + zz = X
2− 2Re(z)X + |z|
2e’ reale, cioe’ q(X) ∈ R[X] e q(X) divide a p(z).
Quest’ultima proposizione si puo’ pensare come una generalizazione del teorema di Ruffini.
Siccome le radici complesse vanno in coppie la proposizione precendente ci induce a credere che un polinomio reale di grado dispari abbia sempre una radice reale. Questo fatto viene dimostrato in analisi osservando che i limiti all’infinito hanno segni diversi.
La proposizione precedente non dimostra questo fatto poiche’ non sappiamo (ancora) che tutte le radici di un polinomio sono numeri complessi... Comunque i numeri complessi ci permetteno di risolvere sempre l’equazione di secondo grado a coefficienti reali a, b, c:
ax
2+ bx + c = 0 . Infatti usando la formula
−b±√ b2−4ac
2a
risultano sempre due numeri: reali se b
2−4ac ≥ 0 o complessi nel caso b
2− 4ac < 0, cioe’
−b±i√ 4ac−b2
2a
.
Esempio 0.6. Ecco le radici della equazione x
2+ x + 1 = 0:
−1 ± √ 1 − 4
2 = −1 ± √
−3
2 = −1 ± √
3 i
2
Algoritmo di Euclide.
Euclide 300 anni avanti Cristo calcolava il massimo comune divisore M CD(a, b)
5tra due numeri a, b facilmente grazie a una osservazione molto semplice. Eccola qui:
Assumiamo che a < b:
(i) allora possiamo sottrarre a da b un numero intero di volte q e ci avanzara un resto r , cioe’
b = a.q + r, 0 ≤ r < a (ii) Il M CD(a, b) ` e uguale al M CD(r, a).
Dunque per trovare M CD(a, b) basta trovare M CD(r, a) e possiamo ripartire di (i) cercando di calcolare M CD(r, a), che intuitivamente e’ piu’ facile, poiche’ r e piu’
piccolo di a.
Esempio 0.7. Vediamo come usando ripetutamente l’osservazione di Euclide si trova facilmente il M CD(53241, 3215). Allora, secondo Euclide abbiamo:
M CD(53241, 3215) = M CD(3215, 1801)
poich` e 1801 ` e il resto della divisione di 53241 per 3215. Allora, possiamo applicare an- cora la stessa idea di Euclide, cio` e M CD(3215, 1801) = M CD(1801, 1414). Ancora una volta, M CD(1414, 387) = M CD(387, 253). A questo punto l’idea ` e chiara e possiamo scrivere:
M CD(53241, 3215) = M CD(3215, 1801) = M CD(1801, 1414) = M CD(1414, 387) =
= M CD(387, 253) = M CD(253, 134) = M CD(134, 119) = M CD(119, 15) = M CD(15, 14) = 1 Dunque, il M CD(53241, 3214) ` e 1, cio` e 53241 e 3214 sono primi tra di loro.
I Greci applicavano l’idea del calcolo del M CD(a, b) per tutti i numeri a, b non necessariamente interi, cioe’ dati due numeri a, b cercavano una unita’ di misura comune d, cioe’ un numero d tale che a, b siano multipli interi di d. Ma se a, b non sono interi l’algoritmo non termina necessariamente, cioe’ protrebbe accadere di andare sempre
5
Si puo’ pensare al d = M CD(a, b) come ad una unita’ di misura comune ad entrambi i numeri a, b ,
cioe’ a, b sono multipli interi di d , che e’ il piu’ grande numero con questa proprieta’.
avanti sottraendo dal divisore il resto, senza mai arrivare ad un resto che divide un divisore. Ecco un tipico esempio. Prendiamo a = 1 e x un numero maggiore di a = 1, che soddisfa
x
1 = 1 x − 1 .
Siccome x > 1 allora 0 < x − 1 < 1 dunque il resto r della divisione di a = 1 e x e’
r = 1 − x:
x 1 = 1
r .
cioe’ il rapporto tra x e 1 e’ uguale al rapporto tra 1 ed il resto r . Siccome:
ba
=
ab00,
b = q.a + r , 0 ≤ r < a =⇒
ar
=
ar00,
b
0= q.a
0+ r
0, 0 ≤ r
0< a
0allora segue che la divisione continuera’ per sempre, dando sempre 1 come divisore e il resto sempre nella stessa proporzione come all’inizio:
x1=
1r; infatti l’esempio e’ stato costruito appositamente per evitare che l’algoritmo termini.
Risolvendo l’equazione x
2− x − 1 = 0 risulta x = 1 + √
5 2 ,
che e’ la diagonale di un pentagono regolare di lato 1
6. Osservare che il resto r della divisione tra x e 1 e’ la diagonale del piccolo pentagono (formato dalle diagonali) il cui lato e’ 1 − r . Dunque questo dimostra che la pro- cedura della divisione non termina mai, poiche’ si trova sempre un pentagono regolare piu’ piccolo (formato dalle diagonali del piu’ grande).
Siccome l’algoritmo di Euclide applicato a 1 ed a un numero razionale
pqtermina sempre, abbiamo dimostrato il seguente importante teorema.
Teorema 0.8. I numeri 1 e
1+√5
2
non sono commensurabili, cioe’
1+√5
2
e’ irrazionale
7
.
6
Il numero x =
1+√5
2
si chiama numero d’oro o sezione aurea.
7
Questo fu scoperto da Ippaso di Metaponto, un pitagorico, che dicono peri’ per non aver mantenuto
segreta questa scoperta.
0.1 Fattorizzazione
Quando a, b sono numeri interi, per trovare M CD(a, b) di solito si fattorizzano a e b e si prendono tutti i primi comuni con il minimo esponente. Matematicamente si puo’
scrivere cosi’:
Se
a = Y
i
p
aiie b = Y
i
p
biiallora
8M CD(a, b) = Y
i
p
min{ai i,bi}dove p
i` e la successione di numeri primi, cio` e p
1= 2, p
2= 3, p
4= 5, etc.
Dunque se entrambi numeri a, b sono facili da fattorizare allora si puo’ utilizare la formula precedente per calcolare il M CD(a, b). Ma fattorizare un numero ` e difficile e quindi abbiamo bisogno di un metodo piu’ efficiente per calcolare il M CD(a, b).
Massimo Comune Divisore tra polinomi.
L’idea di Euclide si puo’ usare anche per trovare il M CD(P (X), Q(X)) tra due polinomi P (X) e Q(X)
9, cioe’ assumendo deg(P (x)) ≥ deg(Q(X)) se R(X) e’ il resto della divisione di P (X) per Q(X) allora:
M CD(P (X), Q(X)) = M CD(Q(X), R(X)) .
Dunque, siccome il grado del polinomio R(X) e’ sempre piu’ piccolo del grado del div- idendo P (X), risulta che dopo un numero finito di passi si ricava il M CD(P (X), Q(X)).
Esempio 0.9.
M CD(X
5− 3X
2+ 1, X
3+ 2X
2− 2) = M CD(X
3+ 2X
2− 2, −X
2+ 4X − 3) =
= M CD(−X
2+ 4X − 3, 15X − 14) = M CD(15X − 14, −31 225 ) = 1
dunque X
5− 3X
2+ 1 e X
3+ 2X
2− 2 sono primi tra di loro, cioe’ sono coprimi.
8
l’esponente 0 indica che il primo non divide il numero, cioe’ non si trova nella fattorizazione.
9
Questa e’ una idea del matematico persiano Omar Khayyam (1048-1131).
Il M CD(P (X), P 0 (X)) e le radici multiple di P (X).
Sia P (X) = a
0+ a
1X + · · · + a
nX
n= 0 una equazione algebrica di grado n. Il teorema di Ruffini
10dice che se sappiamo che λ e’ una radice della equazione algebrica precedente, cioe’ P (λ) = 0, allora X − λ divide P (X) e viceversa.
Dunque supponiamo che per qualche ragione conosciamo in anticipo una radice λ di P (X) e ci serva trovare un’altra radice. L’utilita’ del teorema di Ruffini e’ ridurre il problema a una equazione di grado n − 1. Vale a dire, il Teorema di Ruffini ha la seguente morale: se conosciamo una radice λ della equazione algebrica P (X) = 0, possi- amo fattorizare P (X) = (X − λ)Q(X) e continuare la ricerca delle radici della equazione Q(X) = 0. Osservare che Q(X) si trova dividendo P (X) per X − λ. Il Teorema di Ruffini dice semplicemente questo.
Una radice λ di P (X) = 0 si dice multipla se λ e’ inoltre radice di Q(X) = 0, cioe’ il polinomio (X − λ)
2divide P (X). L’esponente piu’ grande r tale che (X − λ)
rdivide P (X) si chiama indice della radice. Una radice non multipla si chiama semplice;
si osservi che l’indice di una radice semplice e’ 1.
E’ notevole il fatto che per decidere se P (X) ha delle radici multipli non sia necessario trovarne le radici.
Teorema 0.10. Un polinomio P (X) ha una radice multiple α se e solo se P (α) = P
0(α) = 0.
Piu’ in generale, P (X) ha una radice multiple se e solo se lui stesso e la sua derivata P
0(X) non sono coprimi, cioe’ il M CD(P (X), P
0(X)) 6= 1. Inoltre le radici multipli di P (X) sono esatamente le radici del M CD(P (X), P
0(X)).
Ecco due esempi per capire l’importanza (e come funziona) questo teorema.
Esempio 0.11. Il polinomio P (X) = X
3+ X
2+ −1 ha radici multiple? Risposta: No.
Infatti P
0(X) = 3X
2+ 2X = X(3X + 2) e i numeri 0 e
−23non sono radici di P (X).
Esempio 0.12. Il polinomio P (X) = X
5− 5X
3+ 4X − 1 ha radici multiple? Risposta:
No. Infatti basta rimboccarsi le maniche e fare vedere dopo qualche divisione che M CD(X
5− 5X
3+ 4X − 1, 5X
4− 15X
2+ 4) = 1
Invece
10