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7. IPOTESI D’INTERVENTO

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Academic year: 2021

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7. IPOTESI D’INTERVENTO

Per i beni tutelati è necessario attenersi ad interventi di miglioramento, a riparazioni o ad interventi locali (NTC §8.4). Con il termine di miglioramento si deve intendere l’esecuzione di opere in grado di far conseguire all’edificio un maggior grado di sicurezza rispetto alle condizioni attuali, con un livello di protezione sismica non necessariamente uguale a quello previsto per l’adeguamento delle costruzioni. Riparazioni o interventi locali interessano invece porzioni limitate della costruzione, e devono essere soggetti a verifiche locali; nel caso dei beni tutelati è comunque richiesta anche una valutazione della sicurezza complessiva, in forma semplificata, in modo da certificare che non siano peggiorate le condizioni di sicurezza preesistenti. Per la progettazione degli interventi vengono quindi introdotti diversi livelli di valutazione:

 LV1 consente la valutazione dell’azione sismica allo SLV attraverso metodi semplificati, basati su un numero limitato di parametri geometrici e meccanici o che utilizzano dati qualitativi (interrogazione visiva, lettura dei caratteri costruttivi, rilievo critico e stratigrafico).

 LV2 (riparazione o intervento locale) – valutazioni da adottare in presenza di interventi locali su zone limitate del manufatto, che non alterano in modo significativo il comportamento strutturale accertato, per le quali sono suggeriti metodi di analisi locale; in questo caso la valutazione dell’azione sismica allo SLV per l’intero manufatto, comunque richiesta, viene effettuata con gli strumenti del livello LV1;  LV3 (intervento di miglioramento) – progetto d’interventi diffusi nella costruzione,

che per quanto possibile non dovrebbero modificare il funzionamento strutturale accertato attraverso il percorso della conoscenza (§ 4); le valutazioni devono riguardare l’intero manufatto, e possono utilizzare un modello strutturale globale, nei casi in cui questo possa essere ritenuto attendibile, o i metodi di analisi locale previsti per il livello LV2, purché applicati in modo generalizzato su tutti gli elementi della costruzione (l’esperienza acquisita a seguito dei passati eventi sismici ha infatti mostrato come, per gli edifici storici in muratura, il collasso sia raggiunto, nella maggior parte dei casi, per perdita di equilibrio di porzioni limitate della costruzione, definite nel seguito macroelementi). Il livello di valutazione LV3 può essere utilizzato

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anche quando, in assenza di un progetto di intervento, venga comunque richiesta un’accurata valutazione della sicurezza sismica del manufatto.

Questo perché, nel caso dei manufatti architettonici appartenenti al patrimonio culturale, esistono oggettive difficoltà a definire procedure di verifica dei requisiti di sicurezza analoghe a quelle applicate per gli edifici ordinari, in quanto la loro varietà tipologica e singolarità costruttiva, anche dovute alle trasformazioni subite nel corso della storia dell’edificio e allo stato di conservazione, non consentono di indicare una strategia univoca ed affidabile d modellazione ed analisi, riscontrando dunque incertezze in merito sia al modello di comportamento , sia ai parametri che lo definiscono.

L’obiettivo, dunque, è evitare opere superflue, favorendo quindi il criterio del minimo intervento, ma anche evidenziare i casi in cui sia opportuno agire in modo più incisivo. La valutazione delle azioni sismiche corrispondenti al raggiungimento di determinati stati limite consente, infatti, da un lato di giudicare se l’intervento progettato è realmente efficace (dal confronto tra lo stato attuale e quello di progetto), dall’altro fornisce una misura del livello di sicurezza sismica del manufatto a valle dell’intervento (in termini di vita nominale). Da questa impostazione risulta che spesso è opportuno accettare consapevolmente un livello di rischio sismico più elevato rispetto a quello delle strutture ordinarie, piuttosto che intervenire in modo contrario ai criteri di conservazione del patrimonio culturale.

Il problema di conciliare sicurezza e conservazione assume importanti implicazioni anche in termini di responsabilità dei diversi soggetti coinvolti nella progettazione ed esecuzione dell’opera, ai sensi delle norme vigenti. È necessario valutare, coerentemente con quanto definito nel §2.4, la vita nominale rispetto alla quale il manufatto può essere considerato sicuro nei riguardi dei diversi stati limite, a seguito dell’intervento di miglioramento sismico, della riparazione o dell’intervento locale.

Esistono manufatti d’interesse storico-artistico nei quali vengono svolte funzioni strategiche o rilevanti (ospedali, scuole, caserme, ecc). L’adozione del miglioramento, in deroga all’adeguamento, in linea di principio consiste semplicemente nell’accettare per l’edificio una vita nominale più breve, ma è evidente che se questa scende al di sotto di certi limiti la probabilità annuale di occorrenza del terremoto che porta allo SLV potrebbe risultare troppo elevata, oltre al problema di dover procedere in tempi ravvicinati ad una nuova verifica; considerate le conseguenze di un eventuale collasso, si ritiene pertanto che, al di sopra di un

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certo livello di rischio, debba essere presa seriamente in considerazione la possibilità di delocalizzare le funzioni rilevanti e/o strategiche.

7.1 Intervento Uno: aumento livello di conoscenza

Conoscere bene e in maniera approfondita il fabbricato è da sempre un elemento fondamentale nello studio delle costruzioni esistenti: ciò permette di valutare in maniera più precisa il comportamento di una struttura e di realizzare interventi accurati e specifici. Spesso però non è possibile arrivare a ottenere tale livello di conoscenza: le problematiche sono di natura economica, per quanto riguarda il costo che deriva da tutto il processo che implica indagini approfondite e diffuse, ma non solo; infatti, bisogna anche tener conto della funzionalità della struttura e del suo normale svolgimento delle attività al suo interno, cercando di arrecare minor disturbo possibile a chi ne usufruisce.

Prima di andare a concepire possibili interventi, necessari per soddisfare le verifiche dettate dalle norme, ma non sempre collegati a un miglioramento del comportamento globale e locale della struttura, è quindi consigliabile per prima cosa andare ad approfondire la natura stessa del fabbricato con indagini esaustive e diffuse. Tale operazione ha quindi obiettivi ben precisi:

 conoscere la natura dei materiali usati, le loro caratteristiche meccaniche e lo stato di conservazione;

 migliorare l’accuratezza delle analisi dei carichi, spesso ipotizzate in base alle tecniche costruttive maggiormente usate all’epoca della costruzione del fabbricato;

 aumentare il livello di conoscenza, fino ad un LC3, e di conseguenza, migliorare i risultati delle verifiche, andando ad applicare un coefficiente di sicurezza minore, ovvero depenalizzando il materiale.

Nel nostro caso siamo in possesso di indagini effettuate su un altro edificio, che per molti aspetti, ci fa pensare che possa essere simile alla scuola studiata; grazie a tale intuizione, la norma ci permette quindi di utilizzare le stesse caratteristiche meccaniche dell’edificio indagato con saggi e prove su martinetti. Nonostante ciò abbiamo utilizzato un Fattore di Confidenza pari a 1.20, corrispondente a un livello di conoscenza pari a LC2, ovvero un valore intermedio.

Siamo quindi curiosi di sapere quanto il Fattore di Confidenza possa andare a incidere sulle verifiche di normativa. Per questo motivo il primo intervento proposto è quello di migliorare

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il livello di conoscenza per capire se con l’utilizzo di un coefficiente diverso, sia possibile raggiungere i requisiti necessari imposti dalla normativa.

Tramite la scheda “Parametri di Calcolo” si va quindi a impostare il nuovo Livello di Conoscenza LC3, al posto del precedente LC2, cambiando di conseguenza il Fattore di Confidenza, passando da FC=1.20 a FC=1.00.

Andiamo quindi a eseguire le analisi in precedenza descritte e ad analizzare i risultati ottenuti.

Le analisi lineari sono state svolte applicando un coefficiente di struttura q = 3.143, in conformità con il valore ricavato dall’analisi pushover effettuata.

7.1.1 Analisi statica lineare non sismica

Una volta terminata l’esecuzione delle analisi si va subito a controllare, tramite la scheda riassuntiva dei coefficienti di sicurezza, se è aumentata la percentuale di maschi murari che soddisfa le verifiche. Si fa quindi un confronto con la scheda riassuntiva dell’analisi dello Stato di Fatto.

Com’era lecito aspettarsi, si nota un buon miglioramento per quanto riguarda gli esiti delle verifiche. Si può concludere quindi che, a fronte di un maggior costo iniziale dovuto a indagini e prove sul fabbricato, si riscontra però un buon grado di miglioramento riguardante il risultato della verifica a pressoflessione complanare, che continua a non essere soddisfatta poiché per alcuni elementi permangono problemi di natura geometrica/progettuale, oppure continuano ad essere sollecitati ad un eccessivo sforzo di compressione. Andiamo dunque a vedere i risultati nel dettaglio.

Analisi Statica Lineare NON Sismica 4.5.5

% elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo % elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo PressoFlessione Complanare §4.5.6 85.7% 0.000 92.7% 0.000

Taglio per scorrimento §4.5.6 100.0% 1.634 100.0% 1.961

Taglio per fessurazione diagonale §4.5.6 100.0% 1.372 100.0% 1.512

PressoFlessione Ortogonale da modello 3D 79.1% 0.000 87.0% 0.000

PressoFlessione Ortogonale §4.5.6.2 32.6% 0.000 41.2% 0.000

FC = 1.00

SLU di Salvaguardia della Vita (SLV) Verifiche di Resistenza

Inviluppo CCC

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7.1.1.1 Verifica a pressoflessione complanare

Di seguito si riporta la visualizzazione grafica, dove si mettono in risalto i maschi murari che non soddisfano ancora la verifica a pressoflessione nel piano.

Fig. 7.1 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione complanare.

Nonostante l’aumento delle resistenza di progetto, dovuta all’utilizzo di un valore del fattore di confidenza meno penalizzante, alcuni maschi, per la maggior parte quelli snelli, non risultano verificati a causa dell’eccessivo sforzo normale a cui sono soggetti. Si nota invece che alcuni maschi murari centrali, che prima non verificano, ora invece soddisfano i requisiti della verifica della normativa.

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7.1.2 Analisi sismica lineare (Dinamica modale)

7.1.2.1 Azioni ortogonali da analisi di modello 3D

Fig. 7.2 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione ortogonale con azioni da modello 3D.

% elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo % elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo PressoFlessione Complanare §7.8.2.2.1 61.8% 0.000 74.1% 0.000

Taglio per scorrimento §7.8.2.2.2 33.2% 0.000 43.5% 0.000

Taglio per fessurazione diagonale §C.8.7.1.5 37.2% 0.256 42.2% 0.303

PressoFlessione Ortogonale da modello 3D 63.8% 0.000 71.1% 0.000

PressoFlessione Ortogonale §7.2.3 23.3% 0.039 33.6% 0.039

Destinazione d'uso: scuola Destinazione d'uso: uffici aperti al pubblico

SLU di Salvaguardia della Vita (SLV) Verifiche di Resistenza §7.3.6.1, §7.8.2.2

Costruzione esistente, solo SLU (§8.3): obbligatoria

FC = 1.20 FC = 1.20

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7.1.2.2 Azioni ortogonali convenzionali secondo §7.2.3

Fig. 7.3 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione ortogonale con azioni convenzionali.

7.1.3 Analisi statica non lineare (pushover)

Fig. 7.6 – Tabella riassuntiva dei valori ottenuti dall’analisi pushover per le curve di capacità elaborate.

Abbiamo dunque ottenuto un buon miglioramento per le verifiche a SLV, con il solo cambio del valore di FC. Per 2 curve, si riesce ad arrivare all’adeguamento dell’edificio mentre per le altre si ottengono comunque valori molto prossimi all’unità.

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Si riportano di seguito le rappresentazioni grafiche di 4 delle 8 curve elaborate; una rapida visualizzazione dell’andamento delle curve ci permette di capire se la modellazione della struttura, e la successiva analisi, è stata eseguita correttamente.

Fig. 7.7 – Curve di capacità (4 su 8) per le seguenti lungo le direzioni X e Y, per le distribuzione principale A e la distribuzione secondaria E.

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7.2 Intervento Due: cambio destinazione d’uso

L’edificio oggetto di studio fu progettato per essere una scuola adatta alle esigenze del periodo in cui veniva costruito, ovvero fine 1800. Ovviamente quindi l’architettura, la funzionalità, la disposizione degli spazi e gli aspetti tecnici erano adeguati alle necessità dell’epoca. Negli anni successivi il modo di vivere gli spazi, le norme di sicurezza, le prescrizioni igienico-sanitarie e molte altre caratteristiche che caratterizzavano un edificio scolastico sono mutate notevolmente, obbligando le amministrazioni pubbliche ad adeguare i vecchi edifici per riuscire a mantenerne la funzionalità, a volte con risultati buoni, a volte con risultati meno buoni.

Nella nostra scuola, per esempio, sono ben evidenti i segni delle variazioni subite per dover mantenere l’edificio a norma; la struttura stessa dell’edificio è mutata in maniera molto pesante, per esempio attraverso l’inserimento di nuove aule dove, originariamente, era stato previsto uno spazio per l’attività motoria. Oltretutto alcuni aspetti architettonici, caratteristici degli edifici pubblici del secolo scorso, come ad esempio le ampie finestre e gli alti soffitti (nel nostro edificio addirittura siamo a 6-7 metri circa di distanza d’interpiano), servivano per far fronte a problemi di natura igienico-sanitarie o di illuminazione. Tutti questi aspetti, negli edifici moderni oramai, sono per la maggior parte affidati a impianti tecnici, e ci si sofferma maggiormente su altre tematiche che sono diventate di maggior importanza, come per esempio il risparmio energetico o la sicurezza.

Ecco perché ci sembra opportuno valutare se effettivamente questo edificio, nato e progettato come una delle scuole migliori nel 1892, possa ancora svolgere la sua funzione di edificio scolastico a distanza di oltre 100 anni. La nostra proposta dunque è quella di cambiare la destinazione d’uso in uffici aperti al pubblico, dove si prevede un minor afflusso di persone. In questo modo non si andrebbe a perdere il valore artistico e storico dell’edificio, che rimarrebbe sempre una struttura di valore per il Comune di Livorno, si andrebbe ad “alleggerire” in termini di carichi variabili ma soprattutto l’edificio non sarebbe più costretto a svolgere l’importantissimo ruolo di edificio strategico dove, nel caso si verificasse un terremoto i grado di danneggiarlo, l’evacuazione e la sicurezza di bambini delle scuole elementari risulterebbe molto più dispendiosa e difficoltosa, rispetto a qualsiasi altra utenza che usufruisse della struttura.

Il cambio di destinazione d’uso comporta sostanzialmente la variazione dell’azione sismica a cui è soggetto l’edificio e il cambiamento di alcuni carichi variabili. Inoltre è previsto anche il

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cambio di destinazione d’uso di alcuni locali, attualmente utilizzati come magazzini o archivi, e che saranno destinati a funzioni secondarie e che ne prevedono una riduzione dei carichi agenti.

Nel dettaglio:

 la classe d’uso dell’edificio passa dalla categoria III alla II; ciò implica un minor coefficiente d’uso (pari a 1.00 anziché 1.50) e di conseguenza un periodo di riferimento per l’azione sismica VR pari a 50 anni, anziché 75. Tutto ciò si traduce,

nella modalità vista nei capitoli precedenti, in uno spettro elastico e di progetto differente. Cambiano anche i valori dei coefficienti di combinazione, diversi per gli edifici di Categoria B (Uffici), rispetto a quelli per gli edifici di Categoria C (Ambienti suscettibili di affollamento).

Fig. 7.8 – Spettro elastico e spettro di progetto a seguito del cambio di destinazione d’uso.

 Alcuni solai sono soggetti a una variazione dei carichi variabili Qk; in quanto edificio destinato ad uffici aperti al pubblico, il carico variabile rimane pari a 3 kN/m2, ma l’intervento prevede il cambio di destinazione d’uso di due locali, ricavati da trasformazioni successive del fabbricato ed uno attualmente utilizzato come magazzino ed archivio, per la quale è previsto un Qk = 6 kN/m2; si prevede dunque di

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rendere tale locale destinato ad un uso meno gravoso in termini di peso, ovvero classificandolo come “Uffici non aperti al pubblico”, soggetti ad un carico Qk = 2 kN/m2.

Fig. 7.9 – Sezione dell’edificio dove si sono messe in risalto le aree per cui è stata prevista una nuova destinazione d’uso.

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Le analisi lineari sono state svolte applicando un coefficiente di struttura q = 3.228, in conformità con il valore ricavato dall’analisi pushover effettuata.

7.2.1 Analisi statica lineare non sismica

Una volta terminata l’esecuzione delle analisi si va subito a controllare, tramite la scheda riassuntiva dei coefficienti di sicurezza, se è aumentata la percentuale di maschi murari che soddisfa le verifiche. Si fa quindi un confronto con la scheda riassuntiva dell’analisi dello Stato di Fatto.

Si nota che, nonostante il cambio di destinazione, non si hanno miglioramenti apprezzabili. Per l’analisi statica non sismica, ciò era anche prevedibile: infatti è l’azione sismica che maggiormente risente di tale cambiamento e, poiché non ci sono significative variazioni di carichi statici rispetto allo stato di fatto, anche i risultati ottenuti sono praticamente invariati.

Analisi Statica Lineare NON Sismica 4.5.5

% elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo % elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo PressoFlessione Complanare §4.5.6 85.7% 0.000 86.0% 0.000

Taglio per scorrimento §4.5.6 100.0% 1.634 100.0% 1.370

Taglio per fessurazione diagonale §4.5.6 100.0% 1.372 100.0% 1.373

PressoFlessione Ortogonale da modello 3D 79.1% 0.000 79.4% 0.000

PressoFlessione Ortogonale §4.5.6.2 32.6% 0.000 32.6% 0.000

SLU di Salvaguardia della Vita (SLV) Verifiche di Resistenza

Inviluppo CCC

FC = 1.20 FC = 1.20

Destinazione d'uso: uffici aperti al pubblico Destinazione d'uso: scuola

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7.2.1.1 Verifica a pressoflessione complanare

Fig. 7.10 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione complanare.

7.2.2 Analisi sismica lineare (Dinamica modale)

Una volta terminata l’esecuzione delle analisi si va subito a controllare, tramite la scheda riassuntiva dei coefficienti di sicurezza, se è aumentata la percentuale di maschi murari che soddisfa le verifiche. Si fa quindi un confronto con la scheda riassuntiva dell’analisi dello Stato di Fatto.

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Dai risultati ora si nota un leggero miglioramento, meno del 10%, per quanto riguarda la percentuale di maschi murari che soddisfano la verifica ad azioni ortogonali. Ciò è dovuto, come spiegato in precedenza, ad una differente azione sismica sollecitante.

7.2.2.1 Azioni ortogonali da analisi di modello 3D

% elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo % elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo PressoFlessione Complanare §7.8.2.2.1 61.8% 0.000 74.8% 0.000

Taglio per scorrimento §7.8.2.2.2 33.2% 0.000 48.2% 0.000

Taglio per fessurazione diagonale §C.8.7.1.5 37.2% 0.256 47.8% 0.276

PressoFlessione Ortogonale da modello 3D 63.8% 0.000 70.8% 0.000

PressoFlessione Ortogonale §7.2.3 23.3% 0.039 31.6% 0.046

Destinazione d'uso: scuola Destinazione d'uso: uffici aperti al pubblico

SLU di Salvaguardia della Vita (SLV) Verifiche di Resistenza §7.3.6.1, §7.8.2.2

Costruzione esistente, solo SLU (§8.3): obbligatoria

FC = 1.20 FC = 1.20

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Fig. 7.11 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione ortogonale con azioni da modello 3D.

7.2.2.2 Azioni ortogonali convenzionali secondo §7.2.3

Fig. 7.12 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione ortogonale con azioni convenzionali.

7.2.3 Analisi statica non lineare (pushover)

Fig. 7.13 – Tabella riassuntiva dei valori ottenuti dall’analisi pushover per le curve di capacità elaborate.

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Nell’analisi pushover si riesce a raggiungere l’adeguamento lungo le direzioni X anche per la distribuzione secondaria, e anche in direzione Y, la più penalizzante, si migliora ulteriormente il valore dell’indice di sicurezza, prossimo a 0.9.

Si riportano di seguito le rappresentazioni grafiche di 4 delle 8 curve elaborate; una rapida visualizzazione dell’andamento delle curve ci permette di capire se la modellazione della struttura, e la successiva analisi, è stata eseguita correttamente.

Fig. 7.14 – Curve di capacità (4 su 8) per le seguenti lungo le direzioni X e Y, per la distribuzione principale A e la distribuzione secondaria E.

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7.3 Intervento Tre: cambio destinazione d’uso e aumento livello di

conoscenza

Poiché, con il solo cambio di destinazione d’uso non siamo riusciti ad ottenere un beneficio soddisfacente, si consiglia un aumento del livello di conoscenza, per gli stessi importanti citati motivi in precedenza. Ci si aspetta dunque una maggiore percentuale di maschi murari verificati, giacché saranno maggiori le resistenze di progetto utilizzate nelle verifiche.

Le analisi lineari sono state svolte applicando un coefficiente di struttura q = 3.178, in conformità con il valore ricavato dall’analisi pushover effettuata.

7.3.1 Analisi statica lineare non sismica

Questa volta il vantaggio, ovviamente, è maggiore rispetto al semplice cambio di destinazione d’uso; la percentuale dei maschi murari che soddisfa la verifica a pressoflessione nel piano si avvicina sempre di più al 100%, valore che però s’intuisce non potrà essere raggiunto a causa della conformazione di alcune pareti, soprattutto perimetrali.

Analisi Statica Lineare NON Sismica 4.5.5

% elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo % elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo PressoFlessione Complanare §4.5.6 85.7% 0.000 93.4% 0.000

Taglio per scorrimento §4.5.6 100.0% 1.634 100.0% 1.644

Taglio per fessurazione diagonale §4.5.6 100.0% 1.372 100.0% 1.531

PressoFlessione Ortogonale da modello 3D 79.1% 0.000 87.0% 0.002

PressoFlessione Ortogonale §4.5.6.2 32.6% 0.000 41.2% 0.000

SLU di Salvaguardia della Vita (SLV) Verifiche di Resistenza

Inviluppo CCC

FC = 1.20 FC = 1.00

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7.3.1.1 Verifica a pressoflessione complanare

Fig. 7.15 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione complanare.

Permangono dunque problemi in alcuni maschi murari centrali, eccessivamente caricati a compressione, e in altri maschi, esterni e interni, caratterizzati da una snellezza eccessiva.

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7.3.2 Analisi sismica lineare (Dinamica modale)

Anche per le azioni ortogonali si ha un buon aumento delle percentuali dei maschi murari verificati, circa il 15%, ma tuttavia ancora troppo basso per essere ritenuto soddisfacente.

% elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo % elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo PressoFlessione Complanare §7.8.2.2.1 61.8% 0.000 87.4% 0.000

Taglio per scorrimento §7.8.2.2.2 33.2% 0.000 58.5% 0.000

Taglio per fessurazione diagonale §C.8.7.1.5 37.2% 0.256 54.2% 0.343

PressoFlessione Ortogonale da modello 3D 63.8% 0.000 75.4% 0.000

PressoFlessione Ortogonale §7.2.3 23.3% 0.039 38.2% 0.046

Destinazione d'uso: scuola Destinazione d'uso: uffici aperti al pubblico

FC = 1.00

Analisi Sismica Dinamica Modale §7.8.1.5.3

SLU di Salvaguardia della Vita (SLV) Verifiche di Resistenza §7.3.6.1, §7.8.2.2

Costruzione esistente, solo SLU (§8.3): obbligatoria

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7.3.2.1 Azioni ortogonali da analisi di modello 3D

Fig. 7.16 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione ortogonale con azioni ricavate dal modello 3D.

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7.3.2.2 Azioni ortogonali convenzionali secondo §7.2.3

Fig. 7.17 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione ortogonale convenzionale.

7.3.3 Analisi statica non lineare (pushover)

Fig. 7.18 – Tabella riassuntiva dei valori ottenuti dall’analisi pushover per le curve di capacità elaborate.

Abbiamo dunque migliorato ulteriormente i valori degli indici di sicurezza ma non si è riuscito a superare l’adeguamento per le curve che già prima non supervano l’unità.

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Si riportano di seguito le rappresentazioni grafiche di 4 delle 8 curve elaborate; una rapida visualizzazione dell’andamento delle curve ci permette di capire se la modellazione della struttura, e la successiva analisi, è stata eseguita correttamente.

Fig. 7.19 – Curve di capacità (4 su 8) per le seguenti lungo le direzioni X e Y, per le distribuzione principale A e la distribuzione secondaria E.

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7.4 Intervento Quattro: piano d’irrigidimento

Il pregio del costruito storico che caratterizza il nostro Paese, impone di prendere in seria considerazione la tutela e la conservazione dell’opera originale all’interno del percorso progettuale degli interventi che mirano a garantire la sicurezza di tali edifici. Pregio che non si ravvisa solo nel caso di edifici monumentali, ma anche in tutti quegli esempi di edilizia che assume un valore perché testimonianza forte delle civiltà del nostro passato.

Pertanto è fondamentale consolidare nel rispetto della conservazione, seguendo quindi quei criteri, quei paradigmi, che ormai sono presi ad esempio nella pratica del restauro e che possono essere cosi sintetizzati:

Tendenza al minimo intervento: gli interventi devono essere meno invasivi possibile e devono essere strettamente mirati a una certa carenza, quindi motivati. Per far si che questo sia garantito, laddove necessario, si potrebbe pensare di attribuire a una stessa soluzione più di una funzione.

Ricerca della compatibilità meccanico-strutturale: l’intervento non muta la concezione strutturale, ma la integra limitatamente alla capacità di risposta alle azioni rispetto alle quali l’edificio è vulnerabile.

Ricerca della compatibilità fisico-chimica: è rivolta ad accertare che non si verifichino interazioni negative tra materiali di apporto e materiali già presenti nella fabbrica.

Reversibilità: possibilità futura di rimuovere senza danni eccessivi per l’opera l’intervento oggi effettuato.

Rispetto dell’autenticità: si riferisce sia alla configurazione architettonica e sia alla materia costitutiva, limitando al massimo le sostituzioni di materia e di superficie stratificata.

Controllo dell’impatto visivo: si tratta di quegli interventi non invasivi per i quali si accetta l’impatto visivo (non ostentato e opportunatamente contenuto) in quanto consentono di conservare la materia dell’opera (ad esempio la posa in opera di catene metalliche a vista).

L’obiettivo di compatibilità tra sicurezza e conservazione, sembra essere raggiungibile percorrendo la via dell’intervento di miglioramento sismico, individuando cosa conservare e da qui far scaturire il come conservare in sicurezza. Il miglioramento rappresenta un freno agli

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interventi invasivi che caratterizzano l’adeguamento, favorendo la conservazione del comportamento strutturale originario e l’uso di tecniche di intervento tradizionali.

Gli interventi debbono essere primariamente finalizzati alla limitazione o riduzione significativa delle carenze gravi legate a errori di progetto e di esecuzione, a degrado, a danni, a trasformazioni, e ad altri fattori per poi prevedere l’eventuale rafforzamento della struttura esistente.

Dall’analisi dello Stato di Fatto abbiamo chiare le problematiche che affliggono il fabbricato; esse erano già intuibili con una semplice ispezione visiva e riflettendo sulla geometria degli elementi e dell’intero fabbricato. Come già descritto nel capitolo precedente, la struttura soffre le verifiche a causa della sua stessa conformazione architettonica: le pareti molto alte e snelle, infatti, penalizzano la risposta strutturale del fabbricato sollecitato ad azioni ortogonali al piano. Tale comportamento, e la conseguente verifica, è dipendente da vari fattori ma solo alcuni di questi sono gestibili dal progettista; tra quelli su cui si può intervenire più facilmente ci sono: la qualità della muratura, lo spessore della muratura e la luce libera di inflessione. Per migliorare la qualità della muratura generalmente gli interventi consigliati possono essere realizzati per via diretta, mediante aumento delle capacità meccaniche, ad esempio effettuando iniezioni di miscele leganti leggermente espansive, o indiretta mediante contenimento della deformazione trasversale effettuato per contrasto con elementi esterni, che possono essere costituiti da cerchiature metalliche o da materiali fibrorinforzati.

Per intervenire invece sulle caratteristiche geometriche del pannello, si può aumentare la sezione oppure diminuire la luce libera deformabile. L’utilizzo di contrafforti (localizzati, lungo la parete da presidiare, su strisce verticali opportunatamente distanziate) e speroni (estesi sulla totalità della parete da presidiare) era in passato utilizzato nelle costruzioni per migliorarne le condizioni di equilibrio. Questa tecnica veniva in passato, e può tuttora, essere utilizzata in presenza di fenomeni di ribaltamento di pareti perimetrali di edifici. In maniera simile si può pensare di aumentare la sezione di una parete, non obbligatoriamente perimetrale, per aumentare la sua resistenza alla rotazione, allo scorrimento e allo schiacciamento delle pareti murarie. Al fine di esplicare un efficace contributo alla stabilità d’insieme è fondamentale collegare entrambe le parti, quella esistente e quella di nuova costruzione. Solo attraverso adeguati collegamenti s’impedisce che, sotto l’effetto della

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rotazione della parete (sia essa provocata da spinte statiche o da condizioni sismiche), si instauri un fenomeno di mutuo scorrimento lungo la superficie di contatto.

La nostra ipotesi d’intervento si focalizza invece nell’andare a diminuire la luce deformabile dei maschi murari, in particolare è necessario conferire una maggiore resistenza nei confronti della deformazione causata da carichi ortogonali e per fare ciò si prevede l’inserimento di un telaio piano, formato da elementi in acciaio, a una quota di circa 5.50 metri dal piano di calpestio, per ogni impalcato. Tale intervento permetterebbe dunque di aumentare la rigidezza fuori piano dei maschi, diminuendone la luce deformabile, ma anche di aumentare il risparmio energetico dovuto al riscaldamento delle aule: infatti, un noto problema degli edifici che presentano un’altezza utile netta elevata, riguarda il fabbisogno energetico elevato necessario per riscaldare l’ambiente; tale problematica è ancor più sentita se si parla di ambienti scolastici dove è necessario mantenere una temperatura ben definita per ottenere un livello di comfort ambientale interno indispensabile per il corretto svolgimento dell’attività al suo interno e per la salute dei suoi utenti. Tale obiettivo è quindi realizzabile andando a realizzare un controsoffitto che andrebbe a diminuire l’altezza netta utile: essa però resterebbe sempre di circa 5.50 m per ogni piano, ovvero ampiamente conforme ai limiti dettati dalle norme. L’altezza del telaio controventato è obbligata dall’altezza massima delle finestre: infatti, il telaio sarà inserito ad una quota poco maggiore dell’altezza delle aperture. L’aspetto estetico non ne risentirà molto, perché in alcune aule (quelle del piano secondo) è già presente un controsoffitto, mentre nei piani inferiori non sono presenti elementi architettonici di pregio o valore che saranno nascosti dal controsoffitto, ma solamente sono visibili all’intradosso gli elementi costituenti dei solai in legno.

L’intervento richiama i principi degli interventi d’irrigidimento dei solai nel proprio piano con croci di S. Andrea di acciaio, con la differenza che, nel nostro caso, si pone il piano d’irrigidimento a una quota differente dal solaio, sulla quale non si va a intervenire.

Il telaio ipotizzato è composto da tre elementi diversi:

 Profili in acciaio UPN 200 continui e perimetrali, da collegare alle murature tramite sistemi di ancoraggio iniettati con tirafondi ad un passo di circa 60 cm, su cui poggeranno gli altri elementi del telaio; per quanto riguarda la tipologia di ancoraggio questo verrà approfondito nel capitolo successivo;

 Travi IPE 180 che formeranno le travi principali del telaio; la dimensione del profilo è stata dimensionata tenendo conto della deformabilità massima consentita, che deve

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rimanere nei limiti di L/200: per soddisfare tale requisito è quindi necessario un profilo non minore dell’IPE 180, poiché le luce massime sono elevate, dell’ordine di 7 m;

 Diagonali formati da doppi profili a L60x60x6, collegati tra loro, saldati in opera a fazzoletti metallici, a loro volta collegati ai profili precedentemente descritti; essi svolgeranno il ruolo di controventi nel piano e dovranno essere dimensionati in modo tale da resistere sia ad azioni di trazione sia ad azioni di compressione.

Fig. 7.20 – Immagine in pianta del telaio ipotizzato.

Le spinte statiche delle volte, se non opportunatamente contrastate, sono la causa principale dei loro dissesti; l’arrivo di un evento sismico può peggiorare la situazione. Al fine di evitare questi fenomeni è bene quindi che le strutture spingenti siano dotate di presidi almeno atti ad

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assorbire le spinte statiche, evitando cosi fenomeni di dissesto sulle volte ed eventuali cinematismi fuori dal piano delle pareti che sorreggono le stesse volte.

Gli incatenamenti metallici possono essere realizzati all’intradosso, alla quota delle reni, o all’estradosso in modo da occultarli alla vista, anche se in questo caso potrebbero non essere efficaci come nel primo caso (alle reni, punto in cui si esplica la spinta).

Nei riguardi della spinta derivante delle volte a botte, presenti nella nostra scuola, si può pensare di intervenire disponendo le catene ad un interasse opportuno.

Il procedimento per il dimensionamento delle semplici catene disposte al fine di assorbire la spinta delle volte a botte, si può sinteticamente riassumere cosi:

 Si determina il tiro che deve assorbire la catena al fine di impedire il cinematismo di collasso;

 Si dimensiona a trazione la catena;

 Si dimensiona il capochiave esterno, tenendo conto dei meccanismi di rottura che si possono instaurare.

La muratura deve quindi essere in grado la resistenza a punzonamento causata dal tiro che va ad assorbire la catena.

Si procede dunque al dimensionamento del tirante da inserire: è necessario trovare, tramite le formule di Scienza delle Costruzioni, la spinta orizzontale causata una forza verticale distribuita che agisce sull’arco e per fare ciò si utilizza il modello dell’arco a tre cerniere. L’arco a tre cerniere è un elemento articolato isostatico, le cui reazioni vincolari si possono ricavare con le sole condizioni di equilibrio del corpo rigido. In questa situazione, che può essere considerata come uno stato limite di collasso, nelle tre sezioni indicate è consentita la rotazione e si ha un comportamento a cerniera.

Le equazioni di equilibrio sono sufficienti a risolvere il problema dell’equilibrio della struttura. Dato che in una struttura isostatica, le reazioni vincolari dipendono solo dai punti di applicazione delle forze, sia attive che reattive, ai fini del ragionamento che segue è possibile considerare l’arco come composto da due travi rettilinee e caricato con un carico q per unità di lunghezza proiettata sull’orizzontale la cui risultante vale quindi q*2l. Tralasciando ulteriori passaggi risolutori, si arriva allo schema risolutore che interessa il nostro caso:

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Fig. 7.21 – Schema di arco a tre cerniere con carico distribuito.

Dal calcolo delle reazioni vincolari risulta che il vincolo cerniera esterna esercita sull’arco una forza orizzontale; il vincolo in questione rappresenta un corpo esterno (il terreno, una trave di fondazione, un piedritto ecc) che esercita un’azione sull’arco in esame, opposto alla spinta. Il valore della spinta è inversamente proporzionale alla freccia dell’arco e viene assorbita dall’elemento catena.

Si è ipotizzato di inserire una catena all’incirca ogni 2.5 metri ma tale posizionamento dovrà essere verificato in loco, per evitare posizionamenti in punti deboli della muratura; si è risolto dunque il dimensionamento andando prima a calcolare la spinta dell’arco e successivamente l’aria minima necessaria per opporsi alla spinta, scegliendo infine un tirante di diametro 18 mm in acciaio S235, che soddisfa ampiamente le nostre esigenze.

Per riportare l’intervento delle catene sul software di calcolo Aedes PCM si va semplicemente a cambiare la tipologia di solaio utilizzato per modellare la volta a botte: dalla scheda proprietà, infatti, si modifica la tipologia, passando da “volta a botte” a “solaio piano”; tale modifica è giustificata dal fatto che, inserendo i tiranti, si eliminano le spinte e di conseguenza, il comportamento statico della volte può essere equiparato a quello di un solaio piano.

Di seguito si riporta una tabella riassuntiva, dove si riassumono i calcoli usati per dimensionare i tiranti da usare.

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Infine si mostrano in pianta e in sezione l’ubicazione degli interventi proposti. Si può notare che il piano d’irrigidimento non è disposto uniformemente su tutto l’edificio. Questo accade poiché alcune aree dove tale telaio non è stato previsto, sono adibite a locali tecnici in cui andrebbe approfondita l’effettiva possibilità di introdurre un telaio in acciaio come prima descritto.

Fig. 7.22 – Sezione longitudinale dell’edificio con evidenziato in rosso il piano d’irrigidimento proposto.

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Fig. 7.23 – Distribuzione in pianta dell’intervento proposto: in rosso sono evidenziati i telai del piano d’irrigidimento mentre in viola sono indicati i tiranti da inserire nel corridoio coperto da volte a

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Per modellare tale intervento con il software Aedes PCM si sono fatte due ipotesi e due modelli tridimensionali della struttura:

 In un modello abbiamo solo variato la rigidezza ortogonale delle aste dei maschi murari, di una quantità pari alla distanza tra il piano d’irrigidimento e il piano sovrastante; in questo modo si va a modificare la luce deformabile per azioni ortogonali per ogni asta calcolata dal software.

 In un altro modello invece sono stati “tagliati” i maschi murari a un’altezza pari a quella d’inserimento del telaio in acciaio; anche in questo caso il risultato ottenuto è quello di aver ridotto la luce deformabile dell’asta; in questo modello però non sono stati verificati i maschi murari facenti parte di quei piani compresi tra il telaio e il piano sovrastante, poiché tale modellazione non rispecchierebbe in maniera adeguata la realtà dell’edificio e di conseguenza le verifiche perderebbero di valore.

Fig. 7.24 – Modellazione strutturale dell’edificio a seguito del “taglio” dei maschi murari: sono stati creati dei piani in corrispondenza di ogni impalcato: impalcato deformabile esistente e impalcato

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7.4.1 Analisi sismica lineare (Dinamica modale)

Poiché l’intervento, e di conseguenza la sua funzionalità, riguarda le azioni fuori piano, anche le verifiche da eseguire riguardano le verifiche a pressoflessione ortogonale, con azioni calcolate da modello 3D e con azioni convenzionali che vengono effettuate a seguito dell’analisi dinamica modale.

Immediatamente, si può fare una prima verifica sulla bontà dei modelli di calcolo, analizzando le deformate dei primi modi di vibrare della struttura. Avendo modificato il modello precedente ci sembra corretto andare a controllare che le deformate siano conformi alla tipologia costruttiva.

Fig. 7.25 – Tabella riassuntiva dei modi di vibrare e delle masse partecipanti e rispettive deformate; modello con 3 piani.

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Fig. 7.26 – Tabella riassuntiva dei modi di vibrare e delle masse partecipanti e rispettive deformate; modello con 6 piani.

Andiamo quindi a confrontare i risultati ottenuti dai due modelli per valutare se c’è corrispondenza tra i due modelli.

% elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo % elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo PressoFlessione Complanare §7.8.2.2.1 85.0% 0.000 71.4% 0.000

Taglio per scorrimento §7.8.2.2.2 46.9% 0.000 31.0% 0.000

Taglio per fessurazione diagonale §C.8.7.1.5 44.4% 0.258 37.7% 0.179

PressoFlessione Ortogonale da modello 3D 88.1% 0.071 73.6% 0.000

PressoFlessione Ortogonale §7.2.3 45.8% 0.137 45.6% 0.069

Analisi Sismica Dinamica Modale §7.8.1.5.3

SLU di Salvaguardia della Vita (SLV) Verifiche di Resistenza §7.3.6.1, §7.8.2.2

Costruzione esistente, solo SLU (§8.3): obbligatoria

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I risultati confermano che c’è corrispondenza tra i due modelli che, in maniera diversa, schematizzano lo stesso intervento.

Si sceglie però un solo modello da confrontare con lo stato attuale; il modello scelto è quello con soli 3 piani poiché la modellazione con più piani comporta aspetti che, a detta degli stessi programmatori del software, devono essere approfonditi.

Dal confronto dello Stato Attuale e lo Stato di Progetto, si nota un netto miglioramento, di oltre il 20%, dei maschi murari che soddisfano la verifica. Questo conferma la bontà dell’intervento e il suo effettivo apporto benefico per la risposta strutturale ad azioni ortogonali. Si specifica però, che l’intento della presente tesi è solo quello di fornire ipotesi d’intervento, i quali dovranno poi essere dettagliatamente studiati, sia a livello locale, sia a livello globale; infatti, a parere di chi scrive, tale intervento va a modificare il comportamento globale della struttura, soprattutto se realizzato solo in alcune aree dell’edificio e non su tutto il piano. Questo aspetto dovrà quindi essere tenuto in conto per valutare la variazione della risposta strutturale dell’edificio.

% elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo % elementi verificati Coeff. Di Sicurezza Minimo PressoFlessione Complanare §7.8.2.2.1 61.8% 0.000 85.0% 0.000

Taglio per scorrimento §7.8.2.2.2 33.2% 0.000 46.9% 0.000

Taglio per fessurazione diagonale §C.8.7.1.5 37.2% 0.256 44.4% 0.258

PressoFlessione Ortogonale da modello 3D 63.8% 0.000 88.1% 0.071

PressoFlessione Ortogonale §7.2.3 23.3% 0.039 45.8% 0.137

Analisi Sismica Dinamica Modale §7.8.1.5.3

SLU di Salvaguardia della Vita (SLV) Verifiche di Resistenza §7.3.6.1, §7.8.2.2

Costruzione esistente, solo SLU (§8.3): obbligatoria

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7.4.1.1 Azioni ortogonali da analisi di modello 3D

Fig. 7.27 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione ortogonale con azioni ricavate dal modello 3D.

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7.4.1.2 Azioni ortogonali convenzionali secondo §7.2.3

Fig. 7.28 – Visualizzazione grafica in vista assonometrica dei maschi murari che non soddisfano la verifica a pressoflessione ortogonale convenzionale.

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