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1. TUMORE NEUROENDOCRINO PANCREATICO:
INTRODUZIONE
I tumori neuroendocrini pancreatici (pNETs) possono essere considerati un
sottoinsieme dei tumori neuroendocrini (NETs) ed hanno come origine le cellule
secernenti ormoni delle Isole di Langherans.
Attualmente l’incidenza dei tumori neuroendocrini pancreatici, così chiamati dal 2010, è considerata bassa se comparata ad altre entità, ossia di circa 0,4 casi per
100,000 abitanti (secondo il SEER - National Cancer Institute Surveillance,
Epidemiology and End Results) (McKenna and Edil, 2014). Su questa base, i
progressi riguardanti le tecniche diagnostiche e le nuove conoscenze apprese in
questi anni, hanno fatto sì che attualmente questi tumori rappresentino tra il 2 e il
10% di tutti i tumori diagnosticati a livello del pancreas (Eriksson and Oberg, 2000;
Metz and Jensen, 2008; Falconi et al.,2006a; Fraenkel et al.,2012) e circa il 7% di
tutti i tumori neuroendocrini, appena sotto i tumori carcinoidi gastrointestinali
(Lawrence et al., 2011; Yao et al., 2007; Oberg, 2010). Questa discrepanza
probabilmente è dovuta all’assenza di accurate registrazioni prima del 2000, poiché prima di allora, questa patologia era considerata dal decorso “benigno” o incerto (Niederle et al, 2010). I tumori neuroendocrini pancreatici inoltre colpiscono
con leggera prevalenza gli uomini (McKenna and Edil, 2014), con lieve
preponderanza per i caucasici (Halfdanarson et al, 2008) e con un picco di
incidenza tra i 60 e i 70 anni (Hauso et al, 2008; Garcìa- Carbonero et al., 2010).
Tuttavia il tumore neuroendocrino pancreatico si può presentare anche in giovane
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tipo 1 (MEN-1) o in pazienti con i sintomi di tumore neuroendocrino pancreatico di
tipo funzionale (Shorter et al, 2002; Kent et al, 1981).
1.1 Epidemiologia
Sebbene le neoplasie neuroendocrine possano presentarsi ormai ovunque nel
nostro corpo, i tumori neuroendocrini gastroenteroepatici (GEP-NEP) e polmonari
rappresentano la maggioranza. (art 9 pag 2). L’incidenza dei tumori neuroendocrini pancreatici cresce significativamente dopo i 40 anni di età e
raggiunge il picco di massima incidenza verso i 65 anni (Lawrence et al., 2011).
Inoltre il 60-90 % di tutti i pNETs sono di tipo non funzionale e data la loro natura
asintomatica nella maggior parte dei pazienti il tumore sviluppa dando origine
anche a metastasi (Halfdanarson et al., 2008; Metz and Jensen, 2008).
L’incidenza dei tumori neuroendocrini pancreatici sta crescendo, come mostra il programma della Sorveglianza, Epidemiologia, e Risultati Finali (SEER:
Surveillance, Epidemiology and End Results), secondo il quale l’incidenza è passata dallo 0,17 per 100000 persone del 1973 allo 0,47 per 100000 persone del
2007 (Lawrence et al., 2008). Similmente una crescita dell’incidenza si è registrata in Ontario, Canada tra il 1994 ed il 2009 in cui si è passati da una incidenza di 0,1
a 0,6 per 100000 persone (Hellet et al., 2015). Anche studi autoptici indicano che
la prevalenza dei tumori neuroendocrini pancreatici è più alta rispetto a quella
sospettata (Kimura et al., 1991). È interessante notare che questo andamento
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di origine neuroendocrina (Hallet et al., 2015; Yao et al., 2008) e sembra essere
legato all’aumento della loro scoperta grazie appunto all’uso sempre più frequente di immagini a sezione trasversale e alla loro maggiore sensibilità.
1.2 Presentazione clinica
A differenza di altri tumori solidi, inclusi i tumori neuroendocrini pancreatici di tipo
funzionale, i tumori neuroendocrini pancreatici di tipo non funzionale possono
rimanere asintomatici finchè non raggiungono una massa significativa. Quando poi
si fanno sintomatici, la sintomatologia è tipicamente legata o all’effetto della massa del tumore primario o alle rispettive metastasi. Molti tumori neuroendocrini
pancreatici si presentano nella regione della testa del pancreas e i sintomi ad essi
correlati sono: ittero, dolore addominale e perdita di peso. Altri sintomi meno
frequenti sono l’anoressia, la nausea, l’emorragia intra addominale e la presenza di una massa palpabile. Molti altri tumori sono invece asintomatici e possono
essere scoperti accidentalmente attraverso immagini diagnostiche eseguite in
sezione trasversale. La svariata maggioranza delle metastasi si presentano a
livello del fegato, anche se altri siti prescelti sono le ossa, il peritoneo, le ghiandole
surrenali, il cervello e la milza (Zerbi et al., 2010).
I tumori neuroendocrini pancreatici di tipo funzionale presentano i sintomi che
derivano dallo specifico ormone prodotto. I più comuni tumori funzionali sono
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si presenta soprattutto con l’ulcera peptica, il reflusso gastroesofageo e la diarrea. Altri tumori di tipo neuroendocrino pancreatico di tipo funzionale meno comuni
sono il VIPomas, il glucagonoma e il somatostatinoma.
I tumori neuroendocrini pancreatici di tipo non funzionale contrariamente, o non
producono ormoni o producono ormoni in una quantità insufficiente a produrre
sintomi, o sono associati ad ormoni che non producono sintomi. Esempio di questi
ormoni sono il polipeptide pancreatico, la cromogranina A, la grelina, la calcitonina
e la neurotensina.
Anche se la maggior parte dei tumori neuroendocrini pancreatici di tipo non
funzionale sono sporadici, approssimativamente il 10% dei tumori neuroendocrini
possono essere associati a sindromi genetiche ereditarie (Kuo et al.,2014). La
neoplasia endocrina multipla di tipo 1 (MEN1) è una patologia ereditaria
autosomica dominante caratterizzata da iperparatiroidismo (quasi nel 100%),
tumore neuroendocrino pancreatico (fino al 75%), tumore ipofisiario (meno del
50%) (Krampitz and Norton, 2013). I più comuni tumori appartenenti alla classe
neoplasia endocrina multipla di tipo 1 (MEN1), sono i tumori neuroendocrini
pancreatici di tipo non funzionale, seguiti dal gastrinoma e dall’insulinoma. Frequentemente i pazienti affetti da MEN1 sviluppano tumori neuroendocrini
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2. EZIOLOGIA E PATOGENESI
La teoria che sostiene che i tumori neuroendocrini pancreatici derivino dalle cellule
del pancreas, chiamate anche isole di Langerhans, può essere considerata
superata dalla scoperta di Vortmeyer e i suoi colleghi (Vortmeyer et al., 2004), i
quali si resero conto che la vera genesi di questa patologia andava ricercata nelle
cellule pluripotenti dei dotti pancreatici con una possibile origine comune per gli
adenocarcinomi e per i tumori neuroendocrini pancreatici. Nonostante questa
confluenza filogenetica, si possono comunque individuare delle differenze tra il
profilo molecolare associato al tumore neuroendocrino pancreatico e il tipico
adenocarcinoma duttale. Le mutazioni più comuni osservate nella genesi tumorale
dell’adenocarcinoma pancreatico si ritrovano infatti raramente nel tumore neuroendocrino pancreatico (Jiao et al., 2011). Allo stesso modo le mutazioni più
comuni osservate nel tumore neuroendocrino pancreatico, che spesso si trovano a
livello dei geni responsabili del rimodellamento della cromatina, sono
estremamente rare nell’adenocarcinoma pancreatico (Jiao et al., 2011).
Le alterazioni genetiche più frequenti nel pNET riguardano il gene MEN- 1 (gene
Multiple Endocrine Neoplasia 1), i geni DAXX/ATRX e la via di mTOR (Mammalian
Traget of Rapamycin). La perdita di 2 alleli del gene soppressore MEN-1, gene
che codifica per la proteina Menin, si presenta in circa il 25-30% dei pNETs (Corbo
et al., 2010; Capelli et al.,2009), essendo la più frequente mutazione (Jiao et al.,
2011). Infatti le mutazioni germinali di MEN1 predispongono allo sviluppo di
neoplasie multiple endocrine conosciute con lo stesso nome del gene, Sindrome
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Altri studi cromosomici e genetici, hanno dimostrato l’esistenza di molti geni con un potenziale effetto sullo sviluppo dei pNETs, ma sfortunatamente queste
scoperte non sono ancora supportate da risultati derivanti da ulteriori analisi sia
funzionali che genetiche (Chung et al., 1998; Floridia et al., 2005; Hu et al., 2010).
Recentemente alcune analisi svolte sul sequenziamento degli esoni in 68
campioni di pNETs hanno mostrato mutazioni di inattivazione somatica del gene
MEN-1 nel 44% dei casi (Jiao et al., 2011). Questi stessi studi inoltre hanno
mostrato l’esistenza di mutazioni a livello dei geni DAXX/ATRX nel 42,5% dei casi. L’alto indice di mutazioni inattivanti e missenso osservato in entrambi i geni, fanno sì che essi assumano il ruolo di geni oncosoppressori dei pNETs. Inoltre i geni
DAXX e ATRX sono anche coinvolti nel rimodellamento della cromatina nei
telomeri e sembrano giocare un importante ruolo nel processo di mantenimento
dei telomeri indipendentemente dalle telomerasi. Questo meccanismo è chiamato
allungamento alternativo dei telomeri (ALT) (Heaphy et al., 2011; de Wilde et al.,
2012; Marinoni et al., 2014; Dogeas et al., 2014) e spiega l’elevata incidenza di telomeri anomali osservati in campioni di tumori neuroendocrini pancretici (Heaphy
et al., 2011). Il verificarsi di tali mutazioni e quindi l’insorgenza delle anomalie dei telomeri sembra essere associato allo sviluppo ritardato durante la genesi del
tumore neuroendocrino pancreatico (de Wilde et al., 2012a). In quei casi inoltre, la
via PIK3/AkT/mTOR ha un ruolo cruciale nella crescita e nello sviluppo del tumore
(Missiaglia et al., 2010; Perren et al, 2000): con il lavoro condotto da Jiao e i suoi
colleghi (Jiao et al., 2011) si riuscì ad individuare nel 14% dei casi mutazioni sui
geni codificanti per le chinasi appartenenti a questa via, prevalentemente
mutazioni inattivanti su PTEN (fosfatidil inositolo 3,4,5 trifosfato 3- fosfatasi),
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(fosfatidil inositolo 4,5 bifosfato 3-chinasi subunità alfa catalitica) che portano ad
un incremento della via di trasduzione, la quale può essere inibita tramite inibitori
mTOR (everolimus, temsirolimus).
3. CLASSIFICAZIONE DEL TUMORE PANCREATICO
NEUROENDOCRINO E PROGNOSI
I tumori neuroendocrini pancreatici in base alle differenti caratteristiche istologiche
possono essere classificati in tumori ben differenziati, caratterizzati dal
mantenimento dell’architettura tipica del pancreas endocrino, con un basso grado di proliferazione. Hanno piccole cellule rotonde della stessa forma e dimensione
(Strosberg et al., 2008) con numero di mitosi inferiore a 20 per 10 campi di
osservazione (High power field). Nel 10% dei casi (Metz and Jensen 2008) sono
considerati carcinomi neuroendocrini scarsamente differenziati, caratterizzati dalla
comparsa di abbondanti necrosi, un alto indice di proliferazione e cellule polimorfe.
I tumori scarsamente differenziati possono essere considerati entità indipendenti;
infatti si comportano in modo differente ed hanno anche una prognosi peggiore
rispetto agli altri tumori neuroendocrini pancreatici (Panzuto et al., 2005; La Rosa
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3.1. Tipi di tumore neuroendocrino pancreatico
I tumori neuroendocrini pancreatici possono essere classificati anche in tumori di
tipo funzionale o non funzionale in base alla presenza o meno di sintomatologie
derivanti da un’inappropriata secrezione ormonale. I tumori neuroendocrini pancreatici di tipo funzionale possono essere a loro volta suddivisi in diverse
tipologie a seconda dei sintomi presentati dai pazienti: gli insulinomi, tumori
neuroendocrini pancreatici più frequenti, rappresentano circa la metà (45%) di tutti
i casi. Alla diagnosi presentano la così detta triade di Whipple, ossia 1) segni e
sintomi ipoglicemia, 2) glicemia <45mg/dl e 3) sua risoluzione mediante la
somministrazione di glucosio (Metz and Jensen, 2008; de Wilde et al., 2012b).
Altri tipi di tumori sono i gastrinomi che rappresentano circa il 20 % dei pNETs e
sono caratterizzati dalla presenza di ulcere gastriche e diarrea, che definiscono la
sindrome di Zollinger –Ellison, secondaria rispetto all’ipersecrezione di gastrina (Metz and Jensen, 2008; de Wilde et al., 2012b). Altre tipologie di tumori sono i
glucagonomi che rappresentano circa il 13% di tutti i pNETs di tipo funzionale, i cui
sintomi principali sono la comparsa di un eritema necrolitico migratorio (van Beek
et al., 2004) e, in misura minore, l’intolleranza al glucosio, la perdita di peso, la trombosi venosa profonda e la diarrea (Metz and Jensen, 2008; de Wilde et al.,
2012b). Altri tipi di tumori sono i VIpomas (o Sindrome di Verner-Morrison) che
rappresentano circa il 10% dei tumori neuroendocrini pancreatici di tipo funzionale;
questi sono caratterizzati da una secrezione inappropriata del polipeptide
vasoattivo intestinale che induce sintomi come la diarrea di consistenza acquosa,
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somatostinomi che rappresentano meno del 5% dei tumori neuroendocrini
pancreatici funzionali, i cui sintomi principali sono il diabete, la diarrea, il
malassorbimento, l’anemia e la perdita di peso (Metz and Jensen, 2008; de Wilde et al., 2012b; Garbrecht et al., 2008). Inoltre i tumori neuroendocrini pancreatici
possono essere responsabili, anche se non usualmente, dell’insorgenza di altre patologie come la Sindrome di Cushing, la sindrome carcinoide o l’acromegalia. I tumori neuroendocrini pancreatici di tipo non funzionale rappresentano invece tra
il 10 e il 60% di tutti i tumori neuroendocrini pancreatici (Hauso et al., 2008;
Garcìa- Carbonero et al 2010; Solcia et al., 1997; Broughan et al., 1986) e
differiscono per le loro caratteristiche istopatologiche. Questo gruppo di tumori nel
corso della malattia, presentano sintomi che sono legati al sito di crescita del
tumore, come perdita di peso, dolore addominale o dorsale, ittero o vomito e
l’insorgenza di una massa palpabile epigastrica: tutti questi sintomi sono gli stessi che si manifestano durante l’insorgenza e lo sviluppo di un tipico adenocarcinoma pancreatico duttale. Nella maggior parte dei casi la scoperta della malattia avviene
in un contesto ritardato, essendo il tumore in più dell’80% dei casi o localmente in stato avanzato o metastizzato durante la diagnosi iniziale della malattia
(Halfdanarson et al., 2008; Kloppel and Heitz, 1988). L’eterogeneità delle due tipolgie di pNETs (funzionale e non funzionale) si può riscontrare anche nella
differenza della sopravvivenza cumulativa a 5 anni che risulta essere del 97% nei
pazienti affetti da insulinoma e del 30 % in pazienti affetti da pNET metastatico
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3.2. Classificazione e stadi
Inizialmente i tumori carcinoidi erano classificati in base alla loro origine
embriologica (Willian and Sandler, 1963; Kloppel 2011), ma nel 1995 fu stabilita
una nuova classificazione che si basava sulla differenziazione istologica (Capella
et al.,1995). In seguito con l’obiettivo di sottolineare il comportamento patologico e biologico, così come il potenziale di malignità dei tumori neuroendocrini,
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), stabilì nuovi sistemi di classificazione nel 2000 e nel 2004 che avessero una chiara prognosi e
riproducibilità (Klimstra et al., 2010; Sellner et al., 2011). Più recentemente la
stessa organizzazione ha stabilito una nuova classificazione che trascura la
posizione del tumore primario concentrandosi sul grado di differenziazione,
descrivendo così tumori neuroendocrini ben differenziati e carcinomi poco
differenziati. Questa recente classificazione include anche una nuova suddivisione
che prende in considerazione l’indice mitotico Ki-67, considerando tumori neuroendocrini di primo grado quelli con un Ki-67 uguale o inferiore al 2%, tumori
neuroendocrini di secondo grado quelli con un Ki-67 tra il 3 e il 20%. I carcinomi
neuroendocrini sono caratterizzati da un Ki-67 più alto del 20% ed hanno un
comportamento più aggressivo (Bosman, 2012) (TAB.1). Contemporaneamente la
società europea del tumore neuroendocrino (ENETS), stabilì una nuova
classificazione di questi tumori, basata sulla dimensione del tumore principale
(Rindi et al., 2007) (TAB.2). Nello stesso anno fu proposta la classificazione
dell’American Joint Committee on Cancer (AJCC) basata sulla classificazione sviluppata precedentemente per adenocarcinomi pancreatici duttali (Rindi et al.,
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2006; Anon, 2010) (TAB.3). Sebbene le classificazioni ENETS e AJCC abbiano
qualche differenza nel loro sistema di classificazione, diversi studi hanno
dimostrato che entrambe sono equivalenti nella loro capacità di predirre la
sopravvivenza nei differenti stadi (Liszka et al., 2011; Strosberg et al., 2012; Liu et
al., 2013). Nonostante questo Rindi et al, osservarono che utilizzando il sistema di
classificazione di ENETS l’indice di sopravvivenza risultava essere superiore. (Rindi et al., 2012)
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TAB.3 Classificazione dei tumori AJACC. Viùdez et al., 2016. TAB.2 Classificazione secondo ENETS. Viùdez et al., 2016.
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3.3 Prognosi
In base ai recenti risultati pubblicati da Ellison et al (Ellison et al., 2014), lo
sviluppo di un sistema basato sul genere, età e indice Ki-67 (considerata una
variabile quantitativa continua), risultò essere superiore rispetto alle classificazioni
del WHO e dell’ENETS, come fattore prognostico di sopravvivenza indipendente. Allo stesso modo anche la combinazione della classificazione del WHO e della
classificazione di Hochwald, che utilizza il grado di necrosi e l’indice mitotico, sembrò essere maggiormente efficiente nel predire la sopravvivenza rispetto alle
altre classificazioni descritte sopra (Liu et al., 2013). Altri fattori responsabili di una
prognosi infausta sono l’assenza di un intervento chirurgico curativo, un alto grado istopatologico, un tumore primario non asportabile, la dimensione del tumore,
un’età superiore ai 60 anni, un’invasione neurovascolare e una malattia allo stadio IV (Rindi et al., 2006). Come in altre patologie maligne, la sopravvivenza nel
tumore neuroendocrino pancreatico può essere influenzata dalla presenza di
lesioni metastatiche (Ellison et al., 2014). La sopravvivenza media è di circa 23
mesi in pazienti con un quadro di patologia con metastasi, mentre tra i 70 e i 124
mesi per quelli con tumore localizzato (Yao et al., 2008). Per pazienti con
esclusivo coinvolgimento epatico la sopravvivenza a 5 anni è del 46% dei casi,
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4. SINDROMI FAMILIARI ASSOCIATE AL TUMORE
Sebbene la maggior parte dei tumori neuroendocrini pancreatici insorgano in
modo sporadico, in più del 10% dei casi il pNET si presenta in pazienti che
presentano sindromi di predisposizione al tumore. Ad oggi le sindromi ereditarie
conosciute associate al tumore neuroendocrino pancreatico sono quattro. La più
comune è la sindrome MEN-1, già precedentemente menzionata. I pazienti affetti
da tumore neuroendocrino pancreatico che presentano questa patologia ereditaria
sono il 5% e spesso questi pazienti sviluppano tumori pancreatici multipli. Il
potenziale maligno del tumore è legato principalmente alle dimensioni del tumore,
considerando infatti che i tumori con dimensione maggiore a 2 cm sono quelli con
la maggiore aggressività (Metz and Jensen, 2008; Falconi et al., 2006a).
Un’altra sindrome ereditara associata al tumore neuroendocrino pancreatico è la sindrome di Von Hippel-Lindau (VHL), che è una patologia ereditaria autosomica
dominante che provoca l’insorgenza di una grande varietà di tumori (compreso il pNET) a causa della mutazione del gene oncosoppressore VHL. Al contrario nei
tumori neuroendocrini pancreatici sporadici il gene VHL raramente risulta essere
mutato, ma spesso è inattivato da un meccanismo epigenetico (Meeker and
Heaphy, 2014). Generalmente i tumori neuroendocrini pancreatici hanno una
prognosi positiva, sebbene una piccola percentuale di questi evolva in una
patologia aggressiva (Hammel et al., 2000).
I tumori neuroendocrini pancreatici possono anche essere diagnosticati in altre
due patologie ereditarie, la neurofibromatosi di tipo 1 e la sclerosi tuberosa. La
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mutazione germinale a livello del cromosoma 17q11.2. Questi pazienti risultano
maggiormente predisposti a sviluppare somatostatinomi e in misura minore
insulinomi (McClatchey, 2007). La sclerosi tuberosa invece è legata a mutazioni a
livello dei geni TSC1 e TSC2. L’associazione di entrambe le mutazioni e il tumore neuroendocrino pancreatico è estremamente rara (Verhoef et al., 2015). Un altro
tipo di patologia ereditaria è MEN4 che è causata da una mutazione a livello del
gene CDKN1B, ma che ancora non risulta essere associata al tumore
neuroendocrino pancreatico (Pellegata, 2012; Thakker, 2014).
5. ALTERAZIONI GENETICHE LEGATE AI pNETs
Prima del sequenziamento del DNA somatico, la maggior parte delle conoscenze
a livello genetico sui pNETs derivavano da studi condotti sulle sindromi familiari
già menzionate. I tumori neuroendocrini pancreatici che insorgono in pazienti con
la sindrome MEN1, presentano a livello germinale mutazioni inattivanti del gene
MEN-1 sul cromosoma 11q13.1 (Chandrasekharappa et al., 1997). La proteina
codificata da MEN1, la proteina Menin, regola il rimodellamento della cromatina,
funzionando come attivatore o repressore cellula-specifico della trascrizione
genica (Agarwal et al., 1999; Hughes et al., 2004). In questo contesto la proteina
Menin porta ad un curioso paradosso: ha un ruolo oncogenico, promuovendo
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cellule neuroendocrine (Yokoyama and Cleary, 2008). Nelle cellule delle isole di
Langherans, la proteina Menin infatti attiva la trascrizione dei geni che codificano
per gli inibitori della chinasi ciclina- dipendente (CDK), per l’inibitore CDK 2C (CDKN2C) e per l’inibitore CDK 1B (CDKN1B), attraverso la metilazione della lisina 4 dell’istone H3, regolando così la progressione del ciclo cellulare (Karnik et al., 2005; Schnepp et al., 2006). La perdita della funzione della proteina Menin
nelle cellule delle isole di Langherans porta alla down-regulation dell’espressione dell’inibitore CDK 2C e CDK1B e all’interruzione della progressione del ciclo cellulare alla fase S. L’importanza del gene MEN1 nella patogenesi dei tumori neuroendocrini pancreatici è ulteriormente rafforzata da prove derivanti da modelli
di topi ingegnerizzati, nei quali il gene MEN1 è silenziato a livello germinale
provocando la formazione di una serie di lesioni che assomigliano a microadenomi
e insulinomi (Bertolino et al., 2003; Crabtree et al., 2001; Crabtree et al., 2003).
Fin dalla scoperta delle mutazioni germinali del gene MEN1 in pazienti affetti da
tumore neuroendocrino pancreatico familiare, è stato dimostrato che MEN1 risulta
mutato a livello somatico nel 22-34% dei casi sporadici di tumore neuroendocrino
pancreatico (Toliat et al., 1997; Moore et al., 2001). Oltre a MEN1 altro aspetto
che caratterizza i pNETs, è la presenza di mutazioni inattivanti su PTEN.
PTEN è un gene oncosoppressore localizzato a livello del cromosoma 10q23 che
codifica per una fosfatasi doppia lipidica e proteica a monte della via oncogenica
PI3K-Akt-mTOR (Hay N, 2005). In tumori con mutazioni del tipo “perdita di funzione” del gene PTEN, si ha un’attivazione incontrollata della via PI3K-Akt-mTOR che porta alla crescita e alla proliferazione incontrollata delle cellule e ad
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FIG.1 Via di segnalazione mTOR. Mutazioni a livello del gene che codifica per PI3K sono attivanti mentre mutazioni a livello del gene che codifica per PTEN e TSC2 sono inattivanti nei pNETs. I derivati della rapamicina rappresentano la prima generazione di inibitori del complesso mTOR ed include anche everolimus. de Wilde et al., 2012.
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Sulla base dei dati dell’ibridazione genomica comparativa, che rivelano la perdita del braccio del cromosoma 10q nel 25% dei casi di tumore neuroendocrino
pancreatico (Speel et al., 1999), Perren et al analizzarono il gene PTEN in una
serie di tumori neuroendocrini pancreatici di tipo sporadico e identificarono in un
terzo dei tumori presi in esame, la perdita di eterozigosi a livello del cromosoma
10q23, sebbene le mutazioni somatiche fossero rare (circa 3%) (Perren et al.,
2000).
Altre rare mutazioni ereditarie che causano i tumori neuroendocrini pancreatici
sono le mutazioni germianali a livello del gene TSC2. La proteina codificata dal
gene TSC2 regola il segnale di mTOR a valle di Akt. Data l’importanza della via PI3K-Akt-mTOR nella patogenesi dei tumori neuroendocrini pancreatici, Missiaglia
et al individuarono i profili di espressione delle proteine codificate dai geni PTEN e
TSC2 in circa il 70% dei tumori sporadici primari, e identificarono la
down-regulation della trascrizione di entrambi nell’80% dei casi; la perdita dell’espressione dei geni PTEN e TSC2 era correlata alla riduzione di pazienti liberi da malattia e alla riduzione della sopravvivenza globale (Missiaglia et al.,
2010). Queste scoperte costituirono la base per la prima terapia target di successo
realizzata in pazienti con tumore neuroendocrino pancreatico che aveva lo scopo
di bloccare la via mTOR.
In aggiunta alle mutazioni genetiche sono state descritte numorose altre anomalie
di espressione che si verificano in presenza di tumori neuroendocrini pancreatici
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D1, che promuove il passaggio dalla fase G1 alla fase S del ciclo cellulare,
legandosi a CDKs; questo tipo di modificazione è stato osservato in circa metà dei
casi di tumore neuroendocrino pancreatico (Chung et al., 2000). Inoltre
paragonando il profilo di espressione proteica di cellule di tumore neuroendocrino
pancreatico e di cellule non tumorali delle isole di langherans, è stata trovata in
circa metà dei casi una down-regulation dell’inibitore 1 del CDK che ha la funzione di bloccare la progressione della fase G1 del ciclo cellulare (Maitra et al., 2003).
Ecco quindi che il controllo anomalo del ciclo cellulare sembra essere una via
chiave coinvolta nella patogenesi del tumore neuroendocrino pancreatico.
Un progresso importante nei confronti della biologia del tumore neuroendocrino
pancreatico si è avuto con la pubblicazione nel 2011 da parte di Jiao et al (Jiao Y
et al., 2011) (TAB.4) in cui è stato sequenziato il DNA esosomiale in 10 casi di
tumore neuroendocrino pancreatico primario (fase della scoperta), e di seguito è
stato eseguito uno screening per individuare mutazioni nei più comuni geni alterati
in altri 58 casi di pNET (fase di convalida). Sullo stesso gruppo di tumori su cui i
ricercatori avevano già precedentemente sequenziato il DNA esosomiale
dell’adenocarcinoma duttale pancreatico (PDAC), sono stati in grado di confrontare le alterazioni genetiche del tumore esocrino con quelle del tumore
neuroendocrino (Jones et al., 2008). In particolare le mutazioni che definiscono lo
scenario genetico degli adenocarcinomi duttali pancreatici, come le alterazioni
frequenti del gene oncogeno KRAS e le mutazioni caratterizzate da “perdita di funzione” o da delezione omozigote dei geni CDKN2A e SMAD4 non sono stati riscontrati nel tumore neuroendocrino pancreatico. Con una prevalenza del 5% il
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tasso di mutazioni a livello del gene TP53 è significativamente più basso del 70%
osservato nell’adenocarcinoma duttale pancreatico. Inoltre gli adenocarcinomi duttali pancreatici sembrano avere generalmente un grado di complessità genetica
maggiore rispetto ai tumori neuroendocrini pancreatici, con una media di 66
mutazioni somatiche dei PDAC contro le 16 dei pNETs. Inutile aggiungere che
queste caratteristiche genetiche contribuiscono alle differenze che si osservano
nella storia naturale dei due tumori.
Non sorprendentemente il gene MEN1 è risultato essere il maggiormente mutato
nei tumori neuroendocrini pancreatici con una percentuale di alterazione del 44%
dei pNETs (Jiao et al., 2011). In aggiunta al gene MEN1 furono trovati nella via
PI3K-Akt-mTOR molte altre alterazioni genetiche in presenza di pNETs: come
mutazioni dei geni PTEN, TSC2 e PIK3CA nel 16% dei casi di tumore
neuroendocrino pancreatico. Di queste mutazioni quelle dei geni PTEN e TSC2
sono mutazioni che portano a perdita di funzione.
La scoperta più significativa derivante dal sequenziamento del DNA esosomiale
somatico di pNETs, è stata l’identificazione di mutazioni somatiche ricorrenti in due geni, DAXX e ATRX, che in precedenza non erano state associate al tumore.
Questi geni risultavano mutati nei tumori neuroendocrini pancreatici,
rispettivamente del 25% e del 18% (Jiao et al., 2011). Alterazioni del gene ATRX o
DAXX sono inoltre mutualmente esclusive (ossia non si verificavano entrambe
nello stesso tumore): ciò suggeriva che le proteine codificate operavano nella
stessa via. Inoltre cambiamenti nella sequenza nucleotidica spesso portano a
mutazioni non-senso, una caratterista tipicamente associata a geni
21
alterazioni a livello dei geni ATRX e DAXX hanno sensibilmente una
sopravvivenza più lunga rispetto a pazienti con tumori aggressivi. Inoltre, pazienti
con tumore neuroendocrino pancreatico che presentano mutazioni a livello dei
geni ATRX e DAXX e più mutazioni a livello del gene MEN1 presentano una
sopravvivenza di 10 anni dopo l’asportazione del tumore. Il numero di pazienti con ogni tipo di sottotipo di mutazione risulta piuttosto basso, ecco che queste
scoperte necessitano di essere confermate in grande scala; comunque queste
scoperte indicano che esiste un’intrigante associazione genetica con la prognosi. Per quanto riguarda le funzioni svolte dai geni ATRX DAXX, la perdita delle loro
funzioni induce l’insorgenza o la progressione del tumore neuroendocrino pancreatico. Entrambe le proteine codificate da questi geni, partecipano
all’assemblaggio dell’eterocromatina, in particolare all’incorporazione dell’istone H3 alle terminazioni telomeriche dei cromosomi (Elsaesser and Allis, 2010;
Goldberg et al., 2010; Lewis et al., 2010).
Poiché le proteine codificate dai geni ATRX e DAXX sono importanti per il
mantenimento dell’eterocromatina a livello dei telomeri, Heaphy et al utilizzarono la tecnica di FISH, specifica per i telomeri, (Fluorescence in Situ Hybridization),
una tecnica quantitativa molto precisa che ha la funzione di marcare le
terminazioni telomeriche (Meeker et al., 2002; van Heek et al., 2002), per
esaminare lo stato dei telomeri in un gran numero di tumori neuroendocrini
pancreatici geneticamente caratterizzati ( Heaphy et al., 2011a; Heaphy et al.,
2011b). Con questa tecnica fu osservata una perfetta correlazione tra la perdita di
funzione dei geni ATRX o DAXX e la presenza di un meccanismo di
22
allungamento alternativo dei telomeri (ALT) (Heaphy et al., 2011a). Il fenotipo
dell’ALT può essere facilmente identificato dalla presenza di segnali super luminosi (fluorescenti) specifici per i telomeri ed è presente solo nel 3% di tutte le
neoplasie (Heaphy et al., 2011b). L’associazione tra l’inattivazione dei geni ATRX e DAXX e il fenotipo ALT potrebbe spiegare le precedenti osservazioni negli altri
tipi di tumore che collegavano il fenotipo ALT con un miglioramento della prognosi
(Hakin-Smith et al., 2003; Ulaner et al., 2003).
TAB. 4 Alterazioni genetiche nei tumori neuroendocrini pancreatici e potenziali terapie target. Jiao et al., 2011.
23
In sintesi il sequenziamento del DNA esosomiale di tumori neuroendocrini
pancreatici ha permesso di definire le vie genetiche chiave che risultano alterate in
questi tumori e che possono avere implicazioni terapeutiche e prognostiche. Infatti
ad esempio un semplice test di immunomarcatura per entrambi i geni ATRX e
DAXX su campioni di pNETs asportati, se supportata da studi più vasti, potrebbe
fornire utili informazioni sulla prognosi. Numerose domande rimangono comunque
senza una risposta, come l’identificazione del meccanismo principale attraverso il quale le alterazioni a livello di ATRX e DAXX producono il fenotipo ALT
promuovendo così la patogenesi del tumore neuroendocrino pancreatico. Se il
risultante fenotipo ALT è la base per un miglioramento della sopravvivenza dei
pazienti (probabilmente prevenendo l’insorgenza della diffusa instabilità cromosomica e la prognosi infausta che accompagna queste caratteristiche)
(Thompson et al., 2010) o è semplicemente un fenomeno secondario, questo è
ancora da accertare.
Studi funzionali che utilizzano appropriati modelli animali o in vitro possono aiutare
a chiarire le funzioni telomeri–indipendenti di ATRX e DAXX che sono necessarie per la soppressione tumorale. Lo sviluppo di tali modelli, potrebbe inoltre essere
utile per identificare potenziali bersagli che possono essere usati per progettare
terapie specifiche che producano un effetto letale specificatamente a livello delle
cellule neoplastiche con perdita della funzione di ATRX e DAXX, scoperta che
potrebbe avere implicazioni terapeutiche che vanno oltre i tumori neuroendocrini
24
6. DIAGNOSI
I pazienti con tumori neuroendocrini pancreatici necessitano di una completa
valutazione per quanto riguarda i sintomi, sia quelli associati ai tumori funzionali,
sia i sintomi direttamente correlati con il tumore primario o quelli dovuti alle sue
metastasi. In questi casi è inoltre molto importante esaminare attentamente il
percorso medico passato e la storia familiare e dovrebbe essere intrapreso un
esame fisico completo. Fondamentalmente la diagnosi dei tumori neuroendocrini
pancreatici si basa su una completa valutazione biochimica e radiografica.
Esiste una grande varietà di tecniche diagnostiche (radiologica, metabolica,
sierica, endoscopica) che partecipano attivamente alla diagnosi del tumore
neuroendocrino pancreatico così come alla definizione degli stadi del tumore. Le
tecniche diagnostiche per immagini come gli ultrasuoni, la tomografia
computerizzata con contrasto (CT), la risonanza magnetica per immagini (MRI),
sono utili per individuare e stabilire l’estensione del tumore primario e/o le sue metastasi; la Scintigrafia per i recettori della somatostatina (SRS) con l’isotopo 111 dell’Indio o l’isotopo 99 del Tecnezio come radiomarcatori hanno lo stesso scopo diagnostico; mentre la Tomografia ad emissione di positroni con Gallio- 68
ha una maggiore sensibilità, soprattutto nella diagnosi di piccole lesioni (Rossi et
al., 2014). L’endoscopia ad ultrasuoni così come la diagnosi attraverso l’aspirazione con ago sottile (FNA) sono consigliate soprattutto per l’individuazione di tumori pancreatici di piccole dimensioni.
25
La determinazione per mezzo dei marcatori sierici come la cromogranina-A e il
polipeptide pancreatico, così come la determinazione con gli ormoni specifici per
la presentazione clinica si eseguono su tutti i pazienti sia al momento della
diagnosi che durante il corso della patologia (Rossi et al., 2014).
6.1. Marcatori sierici
Specifici dosaggi ormonali sono necessari per stabilire la diagnosi di ciascun tipo
di tumore neuroendocrino pancreatico funzionale ed individuare le caratteristiche
specifiche della sindrome (McKenna and Edil, 2014). Specificamente, per gli
insulinomi sono necessari durante la determinazione del glucosio a digiuno la
misurazione dell’insulina plasmatica, della proinsulina e del peptide-C (Metz and Jensen, 2008; de Herder et al., 2006; de Herder, 2007). Per quanto riguarda il
gastrinoma, è necessario conoscere il valore della gastrina sierica da sola o
durante un test di provocazione della secretina (Metz and Jensen, 2008; de
Herder et al., 2006; Berna et al., 2006a; Berna et al., 2006b; de Herder, 2007). Per
quanto riguarda la sindrome VIPoma è necessario conoscere i livelli del peptide
intestinale vasoattivo (VIP); per il glucagonoma invece si ricercano nel plasma i
livelli di glucagone (Metz and Jensen, 2008; Jensen, 2009; O’Toole et al., 2006; Oberg and Eriksson, 2007; de Herder, 2007).
26 6.1.1. CROMOGRANINA A E B
Diversi marcatori tumorali hanno facilitato la diagnosi e il monitoraggio di molte
neoplasie neuroendocrine (Landry et al., 2014). Tra tutti molto importanti sono la
cromogranina A e B. Entrambe fanno parte della famiglia della granina e sono
immagazzinate e secrete dalle vescicole presenti nelle cellule neuroendocrine,
insieme ad altri peptidi, ammine e neurotrasmettitori (Taupenot et al., 2003). La
cromogranina A può essere usata come marcatore in pazienti che presentano sia
tumori neuroendocrini pancreatici funzionali che non funzionali (Metz and Jensen,
2008; de Herder, 2007; Oberg and Eriksson, 2007; Ardill, 2008). La cromogranina
A è la più studiata (Nobels et al., 1998) e la più usata, ma non è perfetta.
Stridsberg et al riportarono infatti le condizioni comuni in cui si possono innalzare i
valori di questo marcatore e dare luogo così a falsi positivi; alcune di queste sono:
la diminuzione della funzionalità renale, il trattamento con inibitori di pompa
protonica (Stridsberg et al., 2007) e anche l‘ipertensione essenziale (Takiyyuddin et al., 1990). Queste problematiche di misurazione non si presentano invece con
la cromogranina B (Stridsberg et al., 2007). La più importante caratteristica di
questi marcatori è che essi non sono solamente secreti dai tumori funzionali ma
sono secreti anche da quei tumori neuroendocrini meno differenziati che non
secernono ormoni noti (Eriksson et al., 2000). Una elevata quantità di
cromogranina A risulta aumentata nel 50-100% dei pazienti con tumori
neuroendocrini (Oberg, 1997). I livelli di cromogranina A possono essere associati
al tumore primario: nel 100% dei gastrinomi, nell’89% dei feocromocitomi, nell’80% dei tumori carcinoidi, nel 69% dei tumori endocrini del pancreas di tipo
27
non funzionale, nel 50% dei carcinomi midollari della tiroide. Inoltre i livelli ematici
dipendono anche dalla massa tumorale, dal carico o dalla progressione e dalla
natura maligna del tumore (Nobels et al., 1997; Bilek et al., 2008). Tumori piccoli
possono essere associati a valori normali di cromogranina A. La sensibilità e la
specificità della cromogranina A dipende da molti fattori. Ad esempio la sensibilità
può variare dal 77.8% all’84% e la specificità dal 71.3 all’ 85.3% a seconda del dosaggio utilizzato, inoltre di grande importanza è stabilire il valore di cut off che
dà la massima sensibilità senza compromettere la specificità (Zatelli et al., 2007).
Un altro vantaggio della cromogranina A è quello di distinguere tra pazienti che
presentano metastasi e quelli invece che ne sono privi; questo dipende anche dal
test e dai valori di cut off utilizzati, con una sensibilità del 57-63.3% e una
specificità del 55.6-71.4% (Zatelli et al., 2007). La cromogranina A però dovrebbe
essere utilizzata con attenzione in pazienti trattati con analoghi della
somatostatina, poiché questi agenti riducono in modo significativo i livelli di
cromogranina A (Oberg and Eriksson, 2007; Oberg et al., 2004). Nei pazienti
trattati con dosi stabili di analoghi della somatostatina, un consistente aumento dei
livelli plasmatici di cromogranina A nel tempo può riflettere la perdita di controllo
della secrezione e/o la crescita tumorale (de Herder, 2007; Oberg and Eriksson,
28 6.1.2. POLIPEPTIDE PANCREATICO (PP)
Il polipeptide pancreatico è considerao un altro marcatore biochimico non
specifico. In uno studio condotto da Panzuto et al a Roma nel 2004, la sensibilià
nei tumori funzionali risultò del 54% mentre del 57% per i tumori non funzionali,
del 63% per i tumori pancreatici e del 53% per i tumori gastrointestinali. La
specificità invece risultò del 81% rispetto ai pazienti sani e del 67% rispetto a
pazienti con tumori non endocrini. Ma se il polipeptide pancreatico si combinava
con la cromogranina A, la sensibilità era maggiore rispetto a ciascuno marcatore
da solo. Dunque quando usati in combinazione, la sensibilità di questi marcatori è
del 96% per tumori neuroendocrini gastroentero pancreatici (GEP NETs), del 95%
per i tumori non funzionali e del 94% per i tumori pancreatici (Panzuto et al.,
2004).
6.1.3. ENOLASI NEURONE SPECIFICA (NSE)
Le enolasi neurone specifiche, sono enzimi che si trovano soprattutto in cellule di
origine neuronale o neuroectodermica. Le NSE sono state trovate nei carcinomi
tiroidei e prostatici, nei neuroblastomi, nel carcinoma polmonare a piccole cellule,
nei GEP NETs e nei feocromocitomi. Nonostante l’elevata sensibilià di questo marcatore (100%), il suo uso è limitato a marcatore biochimico ematico per tumori
neuroendocrini a causa della sua specificità estremamente bassa (32.9%) (Bajetta
29
6.2. Immagini tecniche
Immagini della localizzazione del tumore primario e della sua estensione sono
necessarie in tutte le fasi di trattamento dei pazienti con tumore neuroendocrino
pancreatico. È essenziale conoscere l’estensione del tumore per determinare se è necessaria una asportazione chirurgica per risolvere e curare la patologia oppure
se invece è necessaria una citoriduzione, se ancora è opportuno un trattamento
per uno stato avanzato di metastasi durante la fase di revisione per valutare gli
effetti di un trattamento antitumorale, o se è necessario aggiungere ulteriori
trattamenti diretti contro il tumore (Metz and Jensen, 2008; Jensen, 2009; Noone
et al., 2005; Kloppel et al., 2008). I tumori neuroendocrini pancreatici di tipo
funzionale (in particolare insulinomi, gastrinomi duodenali) sono spesso di piccola
dimensione e di difficile individuazione. Possono essere utilizzate una grande
varietà di differenti tecniche di immagini come ad esempio tecniche di immagini
convenzionali come CT, MRI, ULTRASUONI, ed altre. (Rockall and Reznek, 2007;
Virgolini et al., 2005; Gibril and Jensen, 2004; Sundin et al., 2007).
In ogni paziente in cui si sospetta un tumore neuroendocrino pancreatico
dovrebbero essere eseguite analisi con immagini a sezione trasversale. La
tomografia computerizzata (CT) rimane la tecnica di prima scelta, data la sua
buona sensibilità, specificità e accessibilità. I tumori neuroendocrini pancreatici
sono solitamente caratterizzati da lesioni ben circoscritte che appaiono ben
evidenziate (iperintense) dalla scansione con il mezzo di contrasto. Infatti vi è
qualche evidenza secondo la quale l’ipoassorbimento nelle immagini nella fase arteriosa sia associato a tumori maggiormente aggressivi e con una prognosi
30
ancor più infausta (Worhunsky et al., 2014). Allo stesso modo, la presenza di
calcificazioni all’interno di questi tumori evidenziati con la CT, è associata alla presenza di un tumore ad uno stadio molto avanzato e con metastasi a livello dei
linfonodi (Poultsides et al., 2012). Un’altra tecnica alternativa che fa uso di immagini è la risonanza magnetica (MRI) che ha il vantaggio di esporre il paziente
ad una dose inferiore di radiazioni. Inoltre la MRI può essere più sensibile nel
rilevare piccole lesioni pancreatiche e metastasi epatiche rispetto alla TC (Sundin
et al., 2009; Dromain et al., 2005). Mentre gli ultrasuoni hanno un ruolo limitato
nella diagnosi dei tumori neuroendocrini pancreatici, la tecnica degli ultrasuoni
intraoperatori (IOUS) è molto sensibile nell’identificare piccoli tumori neuroendocrini pancreatici (Hiramoto et al., 2001), così come l’endoscopia ad ultrasuoni (EUS) tramite aspirazione con ago sottile delle lesioni identificate, che
rappresenta una tecnica molto valida per la rilevazione, localizzazione e diagnosi
(Rosch et al., 1992). La scintigrafia recettoriale con analogo marcato della
Somatostatina (SRS), chiamata anche OctreoScan, è una tecnica di immagini total
body che utilizza l’Indio- 111 marcato con pantetreotide, un analogo della somatostatina. I vantaggi di questa tecnica includono l’identificazione di siti metastatici sconosciuti e il fornire importanti informazioni sulla espressione
funzionale dei recettori della somatostatina, tutte informazioni che possono
guidare alla scelta della terapia sistemica più adeguata (Schillaci et al., 2010).
Sebbene meno utilizzate rispetto alla SRS, tecniche più nuove di immagini
utilizzano il Gallio-68 marcato con 1,4,7,10- tretrazociclododecano- N,N,N,N-acido
tetracetico-d- phe(1)-Tyr(3)- octreotide (68 Ga-DOTA-TOC) che promette di fornire
risultati anche superiori alla convenzionale SRS (Hofman et al., 2012; Gabriel et
31
positroni (PET) che utilizza il radioisotopo fluorodesossiglucosio-18; questa
tecnica non viene tipicamente utilizzata per la diagnosi di tumori neuroendocrini
pancreatici di tipo non funzionale, ma con l’uso di nuovi radioisotopi traccianti può rivelarsi più vantaggiosa (Koopmans et al., 2008; Koopmans et al., 2006). In
generale abbiamo che tumori ben differenziati danno risultati positivi con la
OctreoScan e negativi con la PET, mentre per i tumori poco differenziati è vero
l’opposto (Squires et al., 2015).
7. TRATTAMENTO
La scelta del trattamento della patologia deve essere guidata dalla conoscenza
dello stadio in cui si trova la malattia, dalla valutazione dei fattori di rischio, dalla
valutazione dello stato funzionale del tumore, dalla presenza o dall’assenza di comorbidità (Rossi et al., 2014). Data la differenza sia nella biologia che
nell’aggressività tra tumori neuroendocrini pancreatici ben differenziati e poco differenziati, un’accurata diagnosi istopatologica, compreso il ki-67, è necessaria per ben indirizzare le strategie di trattamento. Tutti questi risultati possono
influenzare la scelta del trattamento di prima linea da intraprendere (Klimstra et al.,
32
7.1. Chirurgia
La chirurgia rimane l’unico intervento curativo per i tumori neuroendocrini pancreatici di tipo non funzionale e rappresenta infatti il trattamento di base in
molti casi. I candidati idonei che si sottopongono ad un intervento chirurgico
mostrano una sopravvivenza significativa se paragonati a quelli non sottoposti ad
intervento chirurgico. Hill et al (Hill et al., 2009) dimostrarono che esisteva una
differenza di sopravvivenza media, in pazienti che presentavano tumore
localizzato e metastizzato, di 114 mesi per i pazienti sopposti ad un intervento
chirurgico contro i 35 mesi per quelli non sottoposti ad intervento chirurgico. E’ importante che per ogni singolo paziente sia individuato il giusto trattamento
chirurgico in base alla caretteristiche del tumore e al suo stadio, ma in generale i
tumori neuroendocrini pancreatici di tipo non funzionale dovrebbero essere
asportati. Comunque, dato l’aumento dei tumori neuroendocrini pancreatici di tipo non funzionale asintomatici scoperti casualmente, vi è un crescente interesse nell’ osservazione e nella sorveglianza di pazienti con piccoli tumori asintomatici. Lee
et al (Lee et al., 2012), analizzarono retrospettivamente 77 casi di pazienti affetti
da piccoli tumori neuroendocrini pancreatici di tipo non funzionale sporadici senza
evidenza di invasione locale o di metastasi. La dimensione media iniziale del
tumore era di 1.0 cm con assenza di progressione documentata della malattia o di
mortalità durante un periodo medio di 45 mesi. Inoltre, Bettini e i suoi colleghi
(Bettini et al., 2011), scoprirono che dei 51 pazienti con tumore neuroendocrino
pancreatico di tipo non funzionale, con dimensione < ai 2 cm, diagnosticato
33
specifica per la malattia nel lungo termine. Altre analisi basate sulla popolazione
hanno cercato di indagare in questa direzione, ma sono state limitate a causa di
problemi riguardanti la metodologia (Gratian et al., 2014; Sharpe et al., 2015; Kuo
et al., 2013). Finchè non saranno disponibili risultati migliori, le linee guida ENETS
affermano che l’osservazione intensiva dei tumori dovrebbe essere effettuata per i tumori neuroendocrini pancreatici di tipo non funzionle di dimensione < 2 cm, ma i
rischi ed i benefici devono essere attentamente valutati in ogni paziente (Falconi et
al., 2012).
Tumori neuroendocrini pancreatici di piccole dimensioni possono tranquillamente
essere sottoposti ad enucleazione indipendentemente dalla loro localizzazione nel
pancreas, purchè siano lontani dal dotto pancreatico e sia mantenuta l’integrità della struttura durante l’enucleazione (Crippa et al., 2007). L’enucleazione può essere eseguita in diverse modalità: aperta, in laparoscopia o robotica. Questa
tecnica non ha un impatto rilevante né sulla morbidità, né sulla mortalità, né sulla
durata della degenza ospedaliera né sulla sopravvivenza (Pitt et al., 2009). Per
quanto rigurada invece tumori neuroendocrini pancreatici di tipo non funzionale più
vasti ed aggressivi è consigliata una asportazione formale. Tumori presenti a
livello della testa del pancreas richiedono la pancreatoduodenectomia (PD),
mentre quelli presenti a livello del corpo o della coda richiedono una
pancreatectomia distale, ossia l’asportazione del corpo e della coda del pancreas, che può avvenire preservando o meno la milza. La pancreatectomia distale
spesso può essere eseguita con tecniche estremamente poco invasive, che quindi
comportano una dimizione della morbilità, una diminuzione della perdita di sangue
durante l’intervento, una riduzione della durata della degenza ospedaliera e una riduzione di effetti collaterali (Venkat et al., 2012). La pancreatectomia distale
34
eseguita con tecniche minimamente invasive, ha guadagnato in modo molto lento
popolarità a causa della difficoltà di apprendimento di questa tecnica e dei tempi
operativi più lunghi. Tuttavia recenti studi hanno dimostrato che si tratta di una
tecnica sfruttabile con potenziali benefici sia in termini di morbilità che di esiti
(Correa-Gallego et al., 2014; Croome et al., 2014).
Un altro aspetto molto importante preso in considerazione in molti studi, è il
coinvolgimento linfonodale nei pazienti con tumore neuroendocrino pancreatico
(Curran et al., 2015; Hashim et al., 2014; Krampitz et al.,2012). Krampitz
(Krampitz et al.,2012) et al scoprirono che un coinvolgimento dei linfonodi positivo
era associato ad un intervallo di tempo più breve per lo sviluppo di metastasi
epatiche e ad una sopravvivenza a lungo termine inferiore.
Allo stesso modo, Hashim et al (Hashim et al., 2014) scoprirono che la positività
del coinvolgimento dei linfonodi era associata a pNETs di maggiori dimensioni,
localizzati a livello della testa del pancreas, con un alto Ki-67 e con un’invasione linfovascolare. Inoltre, un coinvolgimento linfonodale è stato associato ad una
diminuzione della sopravvivenza media dei pazienti liberi dal tumore. Questi dati
quindi supportano la teoria secondo la quale la linfoadenectomia di routine è
fondamentale durante l’asportazione tumorale nei pNETs, ma esistono anche polemiche secondo le quali si pensa che si possa rinunciare alla linfoadenectomia
durante l’enucleazione.
Curran et al (Curran et al., 2015) dopo aver analizzato il database SEER non
rilevarono la presenza di metastasi linfonodali in nessun pNETs di basso grado <1
cm. Al contrario invece Gratian et al (Gratian et al., 2014), trovarono che tra i
35
(NCDB) il 33%, presentava metastasi linfodonali locali e l’11% metastasi a distanza rispetto al tumore primario. Ecco quindi che l’asportazione formale del tumore con linfoadenectomia dei linfonodi adiacenti, al contrario dell’enucleazione, rappresenta la procedura di prima scelta per i pNETs con dimensione maggiore di
2 cm, con un alto grado di differenziazione, o con calcificazioni radiografiche.
Per quanto rigurada i pazienti con tumore neuroendocrino pancreatico che
presentano metastasi epatiche, il trattamento chirurgico dovrebbe sempre essere
scelto. Infatti anche se l’asportazione potrebbe essere associata ad un alto tasso di recidiva, questa tecnica permette di aumentare la sopravvivenza dei pazienti
liberi dalla malattia e permette un miglior controllo dei sintomi (Saxena et al., 2012;
Chamberlain et al., 2000; Cusati et al., 2012; Musunuru et al., 2006; Birnbaum et
al., 2015; Touzios et al., 2005). Saxena et al eseguirono uno studio di meta analisi
su 1469 casi di GEP-NET con metastasi epatiche e rilevarono a 3,5 e 10 anni un
tasso di sopravvivenza rispettivamente dell 83%, 70,5% e 42% in seguito alla
resezione epatica. Quando nei pazienti non può essere praticata l’asportazione chirurgica si ricorre ad altre tecniche come l’ablazione termica o l’embolizzazione dell’arteria epatica, strategie utili che riescono a migliorare il controllo locale del tumore e ad attenuare i sintomi (Chamberlain et al., 2000; Musunuru et al., 2006;
Touzios et al., 2005; Mayo et al., 2011). Anche il trapianto di fegato è una tecnica
che è stata descritta per pazienti selezionati affetti da GEP-NET. Tuttavia il
trapianto di fegato nel caso di metastasi epatiche da tumore neuroendocrino
pancreatico, è associato a risultati peggiori e in genere non è consigliabile
36
Nel contesto delle malattie metastatiche rimane la polemica che riguarda il ruolo
dell’asportazione chirurgica del tumore primario (Falconi et al., 2012; Bettini et al., 2009; Capurso et al., 2011). A questo proposito Capurso et al (Capurso et al.,
2011) hanno effettuato una revisione sistemica su questo argomento ed hanno
individuato un miglioramento della sopravvivenza complessiva nei pazienti
sottoposti ad asportazione chirirgica del tumore primario in 2 casi di coorte
retrospettivi su 3.
7.2. Altri trattamenti
Tra le tecniche utilizzate per il trattamento locale del tumore vi è l’ablazione locale, che comprende la radiofrequenza (RF), l’ablazione a microonde, l’iniezione di etanolo o la crioterapia, tutte tecniche utilizzate soprattutto per il trattamento di
metastasi epatiche. La tecnica senza dubbio più utilizzata e testata è la
radiofrequenza, sia come trattamento definitivo, sia come trattamento adiuvante la
chirurgia. Data la bassa morbilità e l’elevato grado di controllo locale, questa tecnica è utilizzata regolarmente, specialmente per piccole lesioni di dimensioni
inferiori ai 5-7 cm (Rossi et al., 2014), sebbene i risultati migliori si ottengano in
lesioni di dimensioni inferiori ai 3 cm, in cui si ottengono risultati a lungo termine
37
si traduce in miglioramenti secondari, ad una diminuzione della secrezione
ormonale e in una sua ottimizzazione del catabolismo (Mazzaglia et al., 2007;
Gillams et al., 2005; Elvin et al., 2005).
Un’altra tecnica ampiamente testata per pazienti con metastasi epatiche è l’embolizzazione dell’arteria epatica (TAE) con o senza chemioterapia intraarteriosa (TACE). Dal momento che quasi l’80% delle metastasi epatiche sono alimentate da vasi che nascono dall’arteria epatica (Mc Kenna and Edil., 2014), è stato ipotizzato che questo accesso arterioso potrebbe essere utile
poiché consente di esporre il tumore ad agenti antineoplastici evitando così il
tessuto sano. Molti studi hanno dimostrato la fattibilità di questa tecnica, con
risultati promettenti sia in termini di risposta al trattamento (tra il 35 e l’80%) sia in termini di sopravvivenza media (20-36 mesi) (Akahori et al., 2013; Fiore et al.,
2014; Ruszniewski et al., 1933b; Gupta et al. 2005; Strosberg et al., 2006;
Eriksson et al., 1998). Ad oggi non ci sono studi clinici randomizzati che mostrano
differenze significative tra una tecnica e l’altra, ma sembra che ci sia la tendenza a favorire la TACE basandosi sulla risposta al trattamento e sul tasso di
sopravvivenza, ma a scapito di un leggero aumento della tossicità (Fiore et al.,
2014; Gupta et al., 2005). Storicamente la radiazione esterna sui tumori del fegato
ha mostrato scarsi risultati e questo in parte è dovuto alla limitata capacità del
parenchima epatico sano di sopportare la dose di radiazione necessaria al
trattamento delle lesioni metastatiche (Lawrence et al., 1995; Lawrence et al.,
1992). Negli ultimi 15 anni è stata sviluppata una strategia terapeutica
originariamente ideata negli anni 70, che mira a fornire efficaci dosi di radiazioni
per i tumori del fegato, senza danneggiare irreparabilmente il tessuto sano.
38
biocompatibili impregnate di isotopi radioattivi. La teoria su cui è fondata questa
tecnica si basa sulla vascolarizzazione preferibilmente arteriosa delle lesioni
metastatiche a livello del fegato, sulla vascolarizzazione molto irregolare, con una
maggiore proliferazione endoteliale, fistole arterovenose e alterazioni strutturali
delle arteriole, delle venule e dei capillari (Hirst, 1994). L’isotopo più utilizzato è il 90Y, il quale emette raggi beta, caratterizzati da una bassa capacità di
penetrazione nei tessuti (in media di 2.5mm e massimo 11 mm); come
trasportatori si utilizzano microsfere di resina o vetro aventi un diametro di 25-40
micrometri. Queste sfere sono iniettate nell’arteria epatica o nei suoi rami e si distribuiscono in base alle caratteristiche del flusso arterioso epatico, in base alla
differenza tra la vascolarizzazione del tessuto tumorale e quella del tessuto non
tumorale, o in base alla dimensione del tumore. Anche se questa è una tecnica
ben tollerata a causa della bassa penetrazione delle radiazioni, ci possono essere
serie complicazioni se le sfere vengono accidentalmente introdotte in altri organi
come il tratto digerente o i polmoni. Alcuni studi hanno valutato l’efficacia dell’irraggiamento selettivo del fegato con le sfere impregnate di 90 Y in tumori neuroendocrini pancreatici metastatici (Rhee et al., 2008; Kalinowski et al., 2009;
Kennedy et al., 2008; Cao et al., 2010). Il più grande studio finora si basa su
un’analisi retrospettiva di 148 pazienti che ha dato come risultato il controllo radiologico nel 90% dei casi con una sopravvivenza media di circa 6 anni
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7.3. Terapia sistemica
In quei pazienti con tumore neuroendocrino pancreatico in cui i trattamenti
chirurgici sono falliti e/o non sono praticabili, la terapia sistemica trova un ampio
consenso nel trattamento (Rossi et et al., 2012). Infatti nella maggior parte dei casi
purtroppo i pazienti o manifestano metastasi oppure vanno incontro a recidiva nei
due anni successivi all’intervento chirurgico. Ecco che sono necessarie terapie sistemiche (Panzuto et al., 2011).
7.3.1. ANALOGHI DELLA SOMATOSTATINA
La maggior parte dei tumori neuroendocrini pancreatici, sia di tipo funzionale che
non funzionale, mostra l’espressione di almeno uno dei 5 sottotipi di recettori della somatostatina esistenti. Attualmente sia l’octreotide (sviluppato negli anni 80), sia il lanreotide, sono comunemente usati. Entrambi presentano elevata affinità di
legame con i recettori della somatostatina di tipo 2 (SSTR2) e in misura minore
con i recettori della somatostatina di tipo 5 (SSTR5) (McKenna and Edil, 2014;
Rossi et al., 2014). Il pasirotide è un altro analogo della somatostatina, che
presenta un’elevata affinità per tutti i tipi di recettore della somatostatina ad eccezione del tipo 4 ed avendo una affinità tra le 3 e le 40 volte superiore per il
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recettore SSTR1 e SSTR5 rispetto all’octreotide e al lanreotide è usato per la sindrome di Cushing (Grozinsky-Glasberg et al., 2008). Gli analoghi della
somatostatina sono utilizzati nella maggior parte dei tumori neuroendocrini
pancreatici con l’intento di ridurre la sovraproduzione di ormoni e così i sintomi derivanti, ma non sono molto usati nei casi di insulinoma, in cui l’assenza del recettore della somatostatina può generare una risposta inibitoria nella secrezione
di glucagone quando si utilizzano gli analoghi della somatostatina e quindi un
peggioramento dell’ipoglicemia (McKenna and Edil, 2014; Kunz, 2015). Pertanto è importante eseguire il test della somatostatina per prevedere l’efficacia degli analoghi della somatostatina (Metz and Jensen, 2008; Massironi et al., 2010;
Sadaria et al., 2013) nel caso di tumori neuroendocrini pancreatici che non sono
insulinomi. Dose e tempo di somministrazione di tali analoghi della somatostatina
sono scelti per migliorare i sintomi secondari della secrezione ormonale (Strosberg
et al., 2014). Nonostante la sua elevata affinità per i recettori della somatostatina,
pasirotide fino ad oggi non ha dimostrato di essere più efficace nel controllo dei
sintomi secondari all’ipersecrezione dell’ormone (Kulke et al., 2014). Gli analoghi della somatostatina possono rallentare la crescita del tumore mediante il legame
con i recettori della somatostatina, effetto che può essere raggiunto anche in
modo indiretto attraverso l’inibizione dell’angiogenesi, l’induzione dell’apoptosi, e/o la diminuzione del rilascio dei fattori di crescita (Metz and Jensen, 2008; Panzuto
et al., 2006). La loro efficacia nei tumori neuroendocrini pancreatici è stata testata
in diversi studi (Appetecchia and Baldelli, 2010; Strosberg and Kvols, 2010). In
questo contesto e sulla base dei risultati osservati nei pazienti con tumori a livello
dell’intestino medio, in cui è stato usato il rilascio ritardato di octreotide (Rinke et al., 2009), è stato sviluppato il test clinico prospettico randommizzato Clarinet
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(FIG.2) (Controlled Study of Lanreotide Antiproliferative Response in
Neuroendocrine Tumours). Oltre ai tumori dell’intestino medio questo studio include anche pazienti con tumori neuroendocrini pancreatici e pazienti con tumori
neuroendocrini di origine sconosciuta a condizione che siano di grado istologico 1
o 2 e con un Ki67 < 10%. In questo studio, che comprende 205 pazienti, è stato
comparato l’uso di lanreotide con il placebo e sono state osservate differenze significative nell’intervallo progressione della malattia/guarigione (la mediana non si raggiunge nel gruppo trattato con Lanreotide, mentre si ha un valore di 18 mesi
nel gruppo trattato con il placebo HR:0,47, p< 0,001). Nell’intera popolazione trattata la differenza è stata significativa: il tasso di sopravvivenza dei pazienti
liberi da progressione di malattia è di 2 anni per i pazienti trattati ed è risulatato
doppio rispetto al placebo (65.1% contro 33%) (Caplin et al., 2014). Altri studi
hanno poi mostrato una promettente attività nell’uso della combinazione di analoghi della somatostatina a lento rilascio e inibitori di mTOR o di
antiangiogenentici come il, bevacizumab (Yao et al., 2008c; Pavel et al., 2011;
Toumpanakis and Caplin, 2013). Attualmente sono in corso studi di fase III per
42 7.3.2. INTERFERONE
L’interferone alfa è usato soprattutto per il trattamento dei sintomi che derivano dall’iperproduzione di ormoni, principalmente in combinazione con gli analoghi della somatostatina (Rossi et al.,2014; Oberg et al., 1994). È anche utilizzato per i
suoi effetti antitumorali specialmente per tumori che hanno una lenta crescita con
un basso grado di differenziazione, raggiungendo una stabilizzazione clinica e
radiologica nel 30-80% dei casi (Metz and Jensen, 2008; Oberg 2010).
FIG. 2 Risultati dello studio Clarinet che comprende pazienti trattati con lanreotide vs placebo. Caplin et al., 2014.