Capitolo 3
La sperimentazione con il fiabesco:
Haroun and the Sea of Stories
1. Premessa
La prima opera di Salman Rushdie data alle stampe dopo la proclamazione della fatwā è anche il suo primo romanzo scritto specificamente per un pubblico infantile/adolescenziale: Haroun and the Sea of Stories, pubblicato nel 1990. Il libro è la concretizzazione di una promessa fatta da Rushdie al figlio Zafar, quando il bambino non aveva ancora dieci anni, di scrivere un romanzo che anche lui potesse leggere, una volta che avesse terminato la stesura di The Satanic Verses. L’origine della trama va ricercata nelle storie che Rushdie raccontava a Zafar prima di essere costretto a vivere sotto protezione:
He had told Zafar stories while the boy took his evening bath, bath-time stories instead of bedtime ones. There were little sandalwood animals and shikara boats from Kashmir floating in the bathwater and the sea of stories was born there, or perhaps reborn. The original sea was to be found in the title of an old Sanskrit book. In Kashmir in the eleventh century A.D., a Shaivite Brahman named Somadeva had assembled a gigantic compendium of tales called the
Kathasaritsagara. Katha meant story, sarit was streams and sagara was the sea or
ocean; thus, Kathasaritsagara, the story-stream sea, usually rendered in English as the Ocean of the Streams of Story. In Somadeva’s huge book there wasn’t actually a sea. But suppose there was such a sea, where all the stories ever invented flowed in intertwining streams? While Zafar was bathing, his dad would take a mug and dip it into his son’s bathwater and pretend to sip, and to find a story to tell, a story-stream flowing through the bath of stories.1
Alcuni elementi della trama sono invece stati ricavati da una short story, The Princess Khamosh, scritta dall’autore molto tempo prima, ma mai pubblicata:
In it [a] Moroccan traveller comes to a divided country in which two tribes are at war, the Guppees, a chatterbox people, and the Chupwalas, among whom a cult of silence has grown up, and who worship a stone deity called Bezaban, that is,
without a tongue. When the Chupwalas capture the Guppee princess and threaten
to sew her lips shut as an offering to their god, war breaks out between the lands of Gup and Chup. […] Now he realized that this little tale about a war between language and silence could be given a meaning that was not only linguistic; that hidden inside it was a parable about freedom and tyranny whose potential he finally understood.2
Nonostante la promessa, per Rushdie non fu facile tornare a scrivere nel periodo successivo alla fatwā. Quando Zafar gli ricordò del “suo” libro, però, l’autore decise di rimettersi al lavoro, nel tentativo non solo di dare una parvenza di normalità alla sua nuova vita, e quindi superare ogni difficile giornata, ma anche di rendere più felice il bambino, che egli non poteva incontrare così spesso come avrebbe voluto. In quanto scrittore, tornare a produrre un’opera letteraria era l’azione che più gli sembrava naturale, e anche, viste le circostanze, “the one promise [he] was able to keep”.3 Più volte Rushdie ha sottolineato la particolarità di questo romanzo e la sua importanza, data la situazione in cui si trovava al momento della stesura: “It pleased him, then and forever afterward, that in the darkest moments of his life he wrote his brightest and most cheerful book, a book with the genuine, bona fide, well-earned happy ending he had wanted, the first he had ever come up with”.4
Il protagonista è il dodicenne Haroun, modellato su alcuni tratti caratteriali di Zafar. Poiché questo libro era inteso specificamente per lui, Rushdie in un primo momento aveva pensato di intitolarlo proprio Zafar and the Sea of Stories, ma decise in seguito di porre una certa distanza tra il figlio e il protagonista, ribattezzato con il secondo nome del ragazzo: Haroun, appunto. Lo stesso Zafar, desiderando che il romanzo si incentrasse letteralmente su di lui, si sentì all’inizio deluso, ma poi si rese conto che Haroun, curiosamente, era e non era lui, e fu catturato dalle alchimie della trasposizione affabulatoria.5
2 Ivi, p. 168.
3 G. MARZORATI, “Rushdie in Hiding”, The New York Times Magazine, 4 November 1990 http://www.nytimes.com/1990/11/04/magazine/rushdie-in-hiding.html?pagewanted=all [consultato in data 20 gennaio 2018].
4 S. RUSHDIE, Joseph Anton: A Memoir, cit., p. 230. 5 Ivi, p. 168.
Haroun vive in una tristissima e anonima città nel paese di Alifbay, con il padre Rashid, il più famoso tra i raccontastorie,6 e la madre Soraya. Un giorno, scopre che la madre è scappata con il vicino di casa, Mr Sengupta, il quale aveva oltretutto sempre aspramente criticato Rashid per l’inutilità delle sue storie scisse dalla realtà. In un’esplosione di rabbia, anche Haroun ripeterà la domanda cruciale al padre: “What’s the use of stories that aren’t even true?”. Rashid è di conseguenza devastato dalla fuga della moglie tanto quanto dalla perdita di fiducia del figlio nei suoi confronti.
Sperando nell’effetto positivo del viaggio sul loro umore, padre e figlio si recano nella Valle di G, dove Rashid è stato assunto da un politico di dubbia reputazione perché incanti il pubblico con le sue storie e lo convinca a votare per lui. Tuttavia, Rashid non riesce ad emettere altro che qualche gracchio. I due si spostano quindi nella Valle di K, dove si terrà un altro comizio a favore di Mr Buttoo. Lì alloggiano sul Lago Dull, in una barca chiamata Arabian nights plus one. Durante la notte, Haroun scopre il Genio delle Acque Iff intento a chiudere il rubinetto da cui scaturisce la riserva di storie di Rashid, che, a quanto pare, ha disdetto il suo abbonamento. Il ragazzo, deciso a restituire al padre il dono del genio narrativo, ruba ad Iff un attrezzo simile a una chiave inglese e si rifiuta di restituirlo se non potrà parlare con il Tricheco, il controllore dei “Processi Troppo Complicati da Spiegare” e quindi l’unico che possa sistemare le cose.
Iff porta quindi Haroun a Kahani, la seconda Luna che fa da satellite alla Terra, cavalcando Butt, un’upupa meccanica in grado di comunicare telepaticamente; Kahani, che gira tanto velocemente da non poter essere registrata da strumenti umani, rifornirebbe la Terra di storie. Quando raggiungono il Mar delle Storie, però, si accorgono che l’oceano è inquinato, al punto che molte delle storie risultano prive di senso. Si recano allora nella città di Gup, capitale dell’emisfero settentrionale della luna, dove incontrano il Giardiniere Galleggiante Mali e i Pesci Multifauci, Goopy e Bagha. Lì scoprono anche che la principessa Batcheat è stata rapita dagli abitanti dell’emisfero meridionale, i Chupwala, per ordine del
6 Per la traduzione dei termini e dei neologismi presenti nel romanzo si è fatto riferimento alla traduzione italiana dell’opera a cura di Ettore Capriolo: Harun e il mar delle storie, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1991.
malvagio Khattam-Shud, ideatore del piano di distruzione delle storie, contaminate dall’inquinamento.
L’esercito dei Guppee cattura una spia, che si rivela essere lo stesso Rashid, informato sull’intenzione di Khattam-Shud di sacrificare Batcheat alla divinità del silenzio Bezaban. Allora il principe Bolo, fidanzato di Batcheat, chiede a Rashid di guidarlo all’accampamento dei nemici nella Zona del Crepuscolo, la sottile “terra di nessuno” che separa Gup da Chup. Nel frattempo, Haroun fa amicizia con il soldato Blabbermouth, che scopre essere, in realtà, una ragazza.
Giunti all’accampamento, i Guppee vedono un guerriero Chupwala combattere contro la sua stessa ombra. L’uomo tenta di comunicare con loro, ma l’unico a comprendere il suo idioma, l’antico linguaggio Abhinaya, è Rashid. Mudra, il guerriero, dichiara di voler rovesciare la dittatura di Khattam-Shud e di essere disposto a collaborare con i Guppee. L’esercito, dopo innumerevoli discussioni, opta per una strategia e, in pochissimo tempo, riesce a vincere quello dei Chupwala, che, abituati al silenzio e alla segretezza, non si fidano gli uni degli altri e si danno infine alla fuga.
Haroun, Iff, Butt, Mali e i Pesci Multifauci, nel frattempo, viaggiano fino nella Zona Antica, la parte più vecchia della luna, dove si trova la fonte delle storie. Lì vengono catturati e portati su un’enorme nave nera dove gli uomini di Khattam-Shud creano la miscela della sostanza inquinante. L’ombra dello stesso tiranno, spaventosamente in grado di separarsi dal corpo, spiega a Haroun che il proprio piano è distruggere tutte le storie e con esse i loro mondi, rei di sfuggire al suo controllo. Per questo, egli starebbe costruendo un gigantesco tappo che blocchi per sempre la fonte delle storie. Haroun, grazie a una fiala di portentosa Wishwater, esprime il desiderio che il sole annienti le ombre di Khattam-Shud, e il desiderio si avvererà, riportando la pace su Kahani.
Guppee e Chupwala decidono di convivere in armonia, non più completamente separati. Finalmente Haroun incontra il Tricheco, che, per ringraziarlo del suo coraggio, gli offre in dono il lieto fine. Il ragazzo si risveglia sulla barca di Mr Buttoo, con un pupazzetto dell’upupa Butt. Rashid è di nuovo in grado di narrare storie meravigliose, e in questo caso ne inventa una intitolata proprio Haroun and the Sea of Stories. La folla, grazie al racconto, si ribella al politico corrotto.
Haroun e Rashid tornano a casa e scoprono che gli abitanti stanno festeggiando perché hanno ricordato il nome della città, Kahani. Ma non solo: Soraya è tornata, e si accinge a cantare di nuovo per loro.
2. Fonti letterarie e cinematografiche
Come per tutti i romanzi precedenti, anche in questo caso Rushdie dissemina il racconto di riferimenti e allusioni a testi letterari dalla provenienza più disparata. Evidente è il richiamo, presente già nel titolo, a Ocean of Rivers of Stories (o The Ocean of Story), poema monumentale di Somadeva, poeta hindu dell’XI secolo, che comprende le più antiche fiabe popolari hindu. Non solo l’immaginario radicato in The Ocean of Story, ma anche il substrato folklorico e il tono antibritannico dei racconti, nonché il modo irriverente con cui essi mettono all’indice l’avarizia e l’ipocrisia umane, possono aver avuto un particolare fascino per Rushdie.7 L’immagine di una massa fluida come simbolica sorgente mitopoietica trova analogie nel simbolismo romantico di Blake e Coleridge, ma ne esistono anche matrici più arcaiche, come quella facente capo a Ganga, la regina dei fiumi del Ramayana, che viene invocata per le sue proprietà curative poco dopo l’inizio del poema. Inoltre, nella nostra contemporaneità, il concetto secondo cui nessuna opera letteraria viene creata dal nulla richiama le bizantine speculazioni che informano il celebre racconto La biblioteca di Babele (1941) di Jorge Luis Borges.8
Fin troppo evidente è poi il richiamo alle Mille e una notte, sia per l’ambientazione orientale del romanzo, sia per la presenza di geni e altre creature mitologiche e, last but not least, per il nome ammiccante della barca su cui pernottano Haroun e suo padre: Arabian Nights Plus One. Inoltre, come si legge nel Glossario annesso al romanzo, i nomi dei due protagonisti, Haroun e Rashid Khalifa, derivano da quello del mitico califfo di Baghdad, Haroun al-Rashid, che peraltro compare in molte storie della raccolta. Un personaggio altrettanto
7 A. DESAI, “Rushdie’s World of Wonder: Haroun and the Sea of Stories”, The Washington
Post, 4 November 1990, https://www.washingtonpost.com/archive/entertainment/books/1990/11/
04/rushdies-world-of-wonder/448dcbfe-ef54-4fa2-9ac2-52b38dba3767/?utm_term=.6e6c6e3c5a43 [consultato in data 20 gennaio 2018].
frequente nelle Mille e una notte è quello che corrisponde a Rashid, ovvero al “raccontastorie” che si accampa nelle piazze di mercato e incanta gli ascoltatori con la parola.9
Nel testo è anche citato l’antico poema persiano La conferenza degli uccelli, allegoria sufista inerente alla giusta via che l’uomo deve percorrere per raggiungere la perfezione; dall’opera Rushdie riprende il personaggio dell’upupa come guida. Diversi critici hanno poi riscontrato alcune analogie con Gulliver’s Travels di Jonathan Swift, per la vena satirica e al contempo umoristica del testo, così come per il motivo del viaggiatore che entra in contatto con varie e bizzarre tipologie di comunità, in particolare quelle degli Yahoos e degli Houyhnhnms.10 Secondo Alison Lurie, la parodia di coppia romantica incarnata dal Principe Bolo e dalla Principessa Batcheat rimanda alla fiaba burlesca di William Thackeray, The Rose and the Ring.11 L’episodio degli orologi distrutti alle 11 in punto, con la conseguente capacità di concentrazione da parte di Haroun limitata a 11 minuti, sono probabili riferimenti sia al racconto fantasy The 13 Clocks (1950) dell’americano James Thurber, sia al congelamento del tempo decretato dal cuore spezzato di Miss Havisham in Great Expectations di Dickens. A un romanzo di Dickens rimanda anche la descrizione della P2C2E House, molto simile a quella dell’Ufficio delle Circonlocuzioni in Little Dorrit, immagine dalla quale Rushdie ha ammesso di essere rimasto ammaliato e incuriosito.12
Un altro testo che sicuramente torna alla mente leggendo Haroun and the Sea of Stories è Alice’s Adventures in Wonderland, evocato sia nello stile (ad esempio, per la quantità di espressioni in rima), sia in relazione ad alcuni motivi tematici. Infatti, sia Haroun che Alice entrano in un regno dall’aspetto onirico grazie all’aiuto di esseri magici e salvano questo mondo da un annientamento programmato da governanti malvagi, prima di tornare nella propria realtà. C’è una certa somiglianza anche tra i filiformi soldati Guppee (le Pagine) e le Carte che
9 M. CHANDRAN, “Fabulation as Narrative in Haroun and the Sea of Stories”, Jouvert, 7: 1, 2002, https://legacy.chass.ncsu.edu/jouvert/v7is1/chand.htm [consultato in data 20 gennaio 2018].
10 Cfr. D. GRANT, Salman Rushdie, cit., p. 95; D. DONOGHUE, “The Magical Muse: Haroun
and the Sea of Stories”, The New Republic, 203: 24, 10 December 1990.
11 A. LURIE, “Another Dangerous Story from Salman Rushdie”, The New York Times Book
Review, 11 November 1990,
http://www.nytimes.com/books/99/04/18/specials/rushdie-haroun.html [consultato in data 20 gennaio 2018]. 12 C. CUNDY, Salman Rushdie, cit., p. 91.
servono la Regina in Alice. Se in Alice il tempo si ferma durante il rito del tè con il Cappellaio Matto, anche su Kahani, dove splende sempre il sole, il tempo sembra non scorrere. Come Alice, infine, Haroun scopre che, mentre era impegnato nelle sue avventure, era in realtà addormentato. Le esperienze accumulate durante il viaggio, come nei sogni, trovano comunque dei riferimenti negli avvenimenti della sua vita reale nei giorni e nelle settimane precedenti. Il motivo della visione onirica, come quello della ricerca, può dunque essere ricondotto alla tradizione letteraria europea, dall’antichità classica al Medioevo.13
Alcuni elementi del romanzo sono simili a quelli della Storia infinita (1979) di Michael Ende. Ad esempio, la città dove vive la famiglia Khalifa è “so ruinously sad that it has forgotten its name”;14 come accade per l’Infanta Imperatrice nel libro di Ende, l’assenza del nome segnala una mancanza collettiva di immaginazione e coesione identitaria. Come Bastiano/Atreiu nella Storia infinita, Haroun è impegnato in una sorta di ricerca cavalleresca alla riscoperta di aree dell’immaginazione oramai perdute. Il ricorso al motivo della quest come catalizzatrice della diegesi rimanda, più in generale in ambito britannico, alla tradizione dei libri per l’infanzia, in cui i bambini protagonisti, come i cavalieri nei romance medievali e rinascimentali, si imbarcano in viaggi pericolosi e vivono avventure eccezionali per portare a termine una certa missione.15 Come nota Lurie nella sua recensione al romanzo, inoltre, Haroun segue anche la tradizione della fiaba classica, in cui l’eroe viaggia verso terre strane e sconosciute per spezzare la maledizione che grava sulla propria terra natia o per curare il proprio padre da un male fatale.16 È interessante notare che la maggior parte dei testi ricordati da Rushdie si basa su avventure che sottolineano in chiave metaletteraria l’importanza dell’atto narrativo e/o creativo.
13 T. KULLMANN, “Eastern and Western Story-Telling in Salman Rushdie’s Haroun and the
Sea of Stories”, Erfurt Electronic Studies in English, 1, 1996, http://webdoc.sub.gwdg.de/edoc/ia/
eese/artic96/kullmann/1_96.html [consultato in data 20 gennaio 2018].
14 S. RUSHDIE, Haroun and the Sea of Stories, Penguin, London 1993, p. 15. I numeri di pagina delle citazioni successive verranno indicati direttamente nel corpo del testo e associati alla sigla “HSS”.
15 T. KULLMANN, “Eastern and Western Story-Telling in Salman Rushdie’s Haroun and the
Sea of Stories”, Erfurt Electronic Studies in English, cit.
16 A. LURIE, “Another Dangerous Story from Salman Rushdie”, The New York Times Book
È possibile delineare anche una sorta di parallelismo con le vicende di The Lord of the Rings: è in atto una quest per distruggere il Signore dell’Oscurità, condotta da un giovane protagonista accompagnato da un gruppetto di aiutanti volenterosi, mentre l’esercito si prepara, in un altro luogo, alla guerra vera e propria. Simile è anche l’aspetto degli stemmi dei due “cattivi”: quello di Khattam-Shud è rappresentato da Labbra Sigillate, mentre quello di Sauron è un occhio senza palpebre.17
Nel personaggio di Blabbermouth si rintraccia la figura dell’eroina romantica costretta a travestirsi da paggio, presente più volte nelle opere di Shakespeare o Sir Walter Scott.18 Quando invece Haroun, dopo aver “bevuto” una Storia, si trasforma da principe in ragno, Rushdie allude quasi sicuramente alle Metamorfosi di Kafka, il cui nome corrisponde anche a uno dei pochi suoni che Mudra è in grado di pronunciare (l’altro, “Gogogol”, rimanda al cognome di Nikolaj Gogol’, il grande romanziere ucraino di lingua russa).19 Infine, il fatto che alla fine della vicenda Oneeta Sengupta abbia trovato lavoro in una fabbrica di cioccolata potrebbe richiamare, restando nell’ambito della letteratura per l’infanzia, Charlie and the Chocolate Factory (1964) di Roald Dahl.
Per quanto riguarda il “tono” che prevale nel romanzo, lo stesso Rushdie ha dichiarato di essersi ispirato soprattutto a due autori estremamente lontani tra loro nel tempo, ma associabili nello spirito e nell’affinata policromia inventiva, ovvero Apuleio e Italo Calvino:
Although the form of this novel is that of a child’s fantastic adventure, I wanted the work somehow to erase the division between children’s literature and adult books. It was in the end a question of finding precisely the right tone of voice, and Apuleius and Calvino were the ones who helped me to find it. I re-read Calvino’s great trilogy, The Baron in the Trees, The Cloven Viscount, and The Nonexistent
Knight, and they gave me the clues I needed. The secret was to use the language of
the fable while eschewing the easy moral purpose of, for example, Aesop.20
17 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., p. 114. 18 Ivi, p. 117.
19 T. KULLMANN, “Eastern and Western Story-Telling in Salman Rushdie’s Haroun and the
Sea of Stories”, Erfurt Electronic Studies in English, cit.
Un altro fertile terreno di ispirazione è stato per lui quello della filmografia. In uno studio su The Wizard of Oz (diretto da Victor Fleming nel 1939), scritto per il British Film Institute nel 1992, Rushdie ha affermato:
The Wizard of Oz is a film whose driving force is the inadequacy of adults, and
how the weakness of grown-ups forces children to take control of their own destinies. […] Of all the movies, the one that helped me most as I tried to find the right voice for Haroun was The Wizard of Oz. The film’s traces are there in text, plain to see; in Haroun’s companions there are clear echoes of the friends who danced with Dorothy down the Yellow Brick Road. 21
In relazione al suo intento di scrivere un racconto che potesse interessare gli adulti quanto i bambini, il cinema gli è sembrato un modello interessante, a fronte del fatto che “the world of books has become a severely categorized and demarcated affair, in which children’s fiction is not only a kind of ghetto but one subdivided into writing for a number of differing age groups”. Il cinema, al contrario, “has regularly risen above such categories”.22
Un altro film che è stato di ispirazione per Rushdie è Goopy Gyne Bagha Byne (Le avventure di Goopy e Bagha, 1968) di Satyajit Ray. Si tratta di una storia fantastica per ragazzi, in bengalese, famosa in India quanto The Wizard of Oz lo è in Occidente. I nomi dei due protagonisti, che nel Glossario inserito in appendice vengono definiti “goofy heroes […] pretty fishy” [HSS 217], sono nel romanzo attribuiti ai Pesci Multifauci. Da questo film Rushdie ha ripreso anche l’espediente comico di un personaggio che adora cantare, nonostante la sua voce terribile (nel romanzo si tratta della Principessa Batcheat, nel film di Goopy).23 È possibile poi notare alcune convenzioni legate alla cinematografia di Bombay, come nella scena in cui Batcheat scende un’enorme scalinata per raggiungere il suo amato Bolo, iniziando a cantare (in modo orribile).24
Tornando in Occidente, si può segnalare che l’acronimo “P2C2E” ricorda i nomi dei due droidi della trilogia di Star Wars, RD2D e C3PO. Di sicura ispirazione per Rushdie è stato anche il lungometraggio animato Yellow Submarine (1968) del regista canadese George Dunning. Il romanzo presenta
21 S. RUSHDIE, The Wizard of Oz, FBI Publishing, London 1992, p. 18. 22 Ibidem.
23 A. TEVERSON, Salman Rushdie, cit., pp. 52-53.
24 A. DESAI, “Rushdie’s World of Wonder: Haroun and the Sea of Stories”, The Washington
diverse somiglianze con la pellicola legata alla musica dei Beatles, dal punto di vista cromatico, della trama, dei giochi di parole e dei nomi dei personaggi.25 Certi stilemi dei cartoni animati americani si riscontrano invece nella descrizione dei signori Sengupta:26 “Mr Sengupta was a clerk at the offices of the City Corporation and he was as sticky-thin and whiny-voiced and mingy as his wife Oneeta was generous and loud and wobbly-fat” [HSS 19]. Un’altra scena in cui emerge una simile enfasi fumettistico-caricaturale è quella che si svolge al terminal degli autobus nella città di G, dove le parole sulla pagina scattano per conferire quella velocità e quella particolarità che, normalmente, solo sequenze animate che si susseguono su uno schermo possono esprimere:27
One driver would start his engine, adjust his mirrors, and behave as if he were about to leave. At once a bunch of passengers would gather up their suitcases and bedrolls and parrots and transistor radios and rush towards him. Then he’d switch off his engine with an innocent smile; while on the far side of the courtyard, a different bus would start up, and the passengers would start running all over again. [HSS 32]
3. Elementi stilistici e linguistici
Quando Rushdie mostrò al figlio Zafar le prime pagine di Haroun, la reazione del bambino fu piuttosto tiepida, come racconta lo stesso autore: “He was very cool about it: he told me he thought they didn’t have enough jump. I said, ‘What do you mean by jump?’ ‘Well,’ he said, ‘Some kids might be bored.’”28 Rushdie considerò questo commento come una critica molto costruttiva, tenendo conto anche del fatto che i bambini, ben più degli adulti, non esitano troppo ad abbandonare una lettura che trovano noiosa. È quindi grazie a Zafar se l’autore è infine riuscito a individuare una nuova modulazione per Haroun:
how could I get this sense of a more crazy acceleration Zafar wanted, and I saw a need for too? Well, I got the characters moving about more – on buses, on the
25 Per un’analisi approfondita, cfr. S. ALBERTAZZI, “From Pepperland to Alifbay: The Influence of Yellow Submarine on Rushdie’s Haroun and the Sea of Stories”, Interactions, 42: 1/2, Spring-Fall 2015, http://www.fairitaly.eu/Documenti/Sette_paia_Silvia_Albertazzi.pdf [consultato in data 20 gennaio 2018].
26 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., p. 110. 27 C. CUNDY, Salman Rushdie, cit., p. 92.
back of a giant bird. And I worked at trying to advance the plot more through dialogue – something I’d never done much of before.29
Haroun e i suoi amici vivono una serie di avventure spericolate che conferiscono spessore drammatico agli accadimenti e all’esperienza stessa dell’infanzia. Il romanzo privilegia le atmosfere fanciullesche del divertimento, della velocità, dell’invenzione, del cambiamento, della varietà e della stravaganza rispetto alla retorica noiosa di Khattam-Shud, basata sul controllo e sull’immobilità.30 Ne risulta un racconto vivace e pieno di energia comica e invenzioni verbali argute, con uno stile ricco di anagrammi e curiosi giochi di parole.
Oltre che come fiaba, Haroun può essere visto anche come una sorta di Bildungsroman: padre e figlio, all’inizio della storia, mostrano entrambi caratteristiche infantili, e la loro avventura li farà maturare, benché in modi differenti. All’inizio della vicenda, Rashid è ben poco ricettivo: non si rende conto dell’infelicità che paralizza la sua tristissima città, è completamente ignaro della crescente frustrazione della moglie e non si fa alcun problema ad esibirsi per persone come Snooty Buttoo, che lo sfruttano per convincere i loro elettori che il mondo è migliore di come essi lo vedono e che votarli sia la scelta giusta. Al ritorno da Kahani, invece, ha ormai aperto gli occhi e racconta una storia sovversiva, che non gli frutterà nulla dal punto di vista economico, ma che porterà una nuova giustizia sociale.31
Anche Haroun matura grazie alle esperienze accumulate. All’inizio del suo viaggio, quando prova ad esprimere un desiderio con la Wishwater, fallisce: il suo desiderio è ancora quello di un bambino piuttosto ingenuo, che spera che tutto possa tornare come prima, al periodo anteriore alla “catastrofe” (l’allontanamento della madre). Ma quando, alla fine del romanzo, Haroun dovrà nuovamente esprimere un desiderio, questa volta esso si realizzerà, prospettandosi come soluzione più realistica ai problemi.32
29 Ibidem.
30 J. PLOTZ, “Haroun and the Politics of Children’s Literature”, Children’s Literature
Association Quarterly, 20: 3, Fall 1995, p. 101.
31 A. SEGAL, “Salman Rushdie and the Sea of Stories: A Not-So-Simple Fable about Creativity”, The International Journal of Psycho-Analysis, 75, Jun 1, 1994, p. 615.
La lingua utilizzata da Rushdie in questo romanzo è, nella maggior parte del testo, un inglese standard in cui sintassi e punteggiatura risultano più lineari ed essenziali rispetto a quanto avveniva nelle opere precedenti. La motivazione è probabilmente proprio il fatto che si tratta di una storia pensata appositamente per un pubblico infantile. Tuttavia, anche in questo caso l’autore non rinuncia totalmente ai giochi di parole, all’uso di registri diversi e all’impiego di termini provenienti da varie lingue. La voce narrante adotta però un registro sostanzialmente neutro, con qualche eccezione, come l’utilizzo di un gergo giornalistico, che richiama il tono dei commenti di cronaca, quando descrive ciò che i Guppee fanno con i piani di battaglia del generale Kitab:33 “These plans were itemized, scrutinized, rationalized, analysed, mulled over, chewed over, made much of, made little of, and even, after interminable wranglings, agreed” [HSS 120].
Sono le “parlate” dei diversi personaggi a dare vivacità alla lingua, con la tipica esuberanza rushdiana. Ad esempio, si trovano molteplici espressioni estrapolate dalle regioni indiane: “O! O! What is to become?” [HSS 23], si lamenta Oneeta, la vicina di casa dei Khalifa; “In the Valley of K, I will be terrifico, magnifique” [HSS 27], promette lo stesso Rashid. Le parole del Generale Kitab, invece, si colorano di più dell’impronta idiomatica britannica:34
A blasted business, confound it! Her whereabouts are not known, but most probably she will be kept prisoner in the Citadel of Chup, the Ice Castle of Khattam-Shud in Chup City, at the heart of the Perpetual Night. Spots and fogs! A bad business. Harrumph” [HSS 90-91].
Le espressioni linguistiche dei personaggi sono inoltre spesso contraddistinte da rime ed assonanze, gemellaggi fonici particolarmente amati dai bambini.35 Quasi ogni personaggio ha poi un idioletto personale, facilmente riconoscibile e moralmente connotato. L’untuoso politico Snooty Buttoo, ad esempio, ripete in modo ossessivo epiteti riferiti al raccontastorie: “esteemed Mr Rashid”, “respected
33 M. CHANDRAN, “Fabulation as Narrative in Haroun and the Sea of Stories”, Jouvert, cit. 34 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., p. 121.
35 A. DESAI, “Rushdie’s World of Wonder: Haroun and the Sea of Stories”, The Washington
Mr Rashid”, “distinguished Mr Rashid”, “eminent Mr Rashid”, “unique Mr Rashid”, “lenient Mr Rashid”, “eloquent Mr Rashid”, “gullible Mr Rashid”, “erudite Mr Rashid”, “touchy Mr Rashid”, “unappreciative Mr Rashid” [HSS 41-52]. Entrambi i personaggi chiamati “Butt”, l’autista dell’autobus e l’upupa, risultano balbuzienti quando pronunciano la parola “but”, in modo da doverla ripetere sempre almeno tre volte. Nel caso del primo, egli si esprime utilizzando moltissime metafore e un linguaggio pesantemente enfatico, ricco di frasi esclamative e graficamente marcato mediante termini che appaiono con l’iniziale maiuscola:
“‘Need to go so quickly?’ Well, my sirs, I’ll tell you this: Need’s a slippery snake, that’s what it is. The boy here says that you, sir, Need A View Before Sunset, and maybe it’s so and maybe no. And some might say that the boy here Needs A Mother, and maybe it’s so and maybe no. And it’s been said of me that Butt Needs Speed, but but but it may be that my heart truly needs a Different Sort Of Thrill. O, Need’s a funny fish: it makes people untruthful. They all suffer from it, but they will not always admit. Hurrah!” he added, pointing. “The snow line! Icy patches ahead! Crumbling road surface! Hairpin bends! Danger of avalanches! Full
speed ahead!” [HSS 35-36]
Anche la loquela dell’upupa è molto simile, benché sia costituita soprattutto da frasi impersonali e dal tono scientifico, da collegarsi al fatto che si tratta di un uccello meccanico:
Speed, most Necessary of Qualities! In any Emergency – fire, auto, marine – what is required above all things? Of course, Speed: of fire truck, ambulance, rescue ship. – And what do we prize in a brainy fellow? – Is it not his Quickness of Thought? – And in any sport, Speed (of foot, hand, eye) is of the Essence! – And what humans cannot do quickly enough, they build machines to do faster. – Speed, super Speed!” [HSS 67]
La somiglianza dei nomi di Butt e Buttoo, inoltre, li appaia come duo comico, sottolineandone al contempo la natura contrastante: rozzo ma sincero il primo, untuoso e falso il secondo. Buttoo è insomma un tiranno impopolare, che dipende dal supporto militare. La somiglianza del suo cognome con quello di Bhutto, il
Primo Ministro pakistano già preso di mira in Shame, rende l’obiettivo di Rushdie immediatamente ovvio al lettore adulto.36
La parlata di Iff procede per interminabili apposizioni e perifrasi (“‘Supplier of Story Water from the Great Story Sea,’ [Iff] bowed. ‘Precisely; the same; none other; it is I. However, I regret to report, the gentleman no longer requires the service; has discontinued narrative activities, thrown in the towel, packed it in. He has cancelled his subscription’” [HSS 57]), mentre Blabbermouth enfatizza concitatamente ogni frase: “You think it’s easy for a girl to get a job like this? Don’t you know girls have to fool people every day of their lives if they want to get anywhere?” [HSS 107]. I due Pesci Multifauci, invece, parlano costantemente in rima, completando l’uno le frasi dell’altro, in un ritmo che richiama la poesia burlesca: “‘Call me Bagha! This is Goopy!’ / ‘Excuse our rudeness! We feel droopy!’” [HSS 85].
Anche gli stessi nomi dei personaggi e dei luoghi del romanzo hanno un significato particolare, che spesso va oltre quello spiegato nel Glossario finale. “Guppee”, ad esempio, non solo gioca sul significato in Urdu della parola “Gup”, ma richiama anche i pesciolini d’acqua dolce originari dei paesi tropicali, detti comunemente “guppy”, molto colorati e diffusi come animali domestici.37 Tra questi e gli abitanti di Kahani ci sono certo delle evidenti affinità: i Guppee, infatti, sono descritti come estremamente variopinti e in continuo movimento e sono i guardiani di un oceano, per cui hanno un forte legame con l’acqua.
La coppia costituita da Iff e Butt richiama, come è evidente in particolare nel titolo del quarto capitolo, “An Iff and a Butt”, le due congiunzioni che, nel mondo reale, spesso trattengono e limitano, alludendo contemporaneamente a un clima di discussione e dibattito aperto. “No ifs, no buts” è la classica risposta che si dà ai bambini quando mettono in discussione l’autorità genitoriale: lo stesso Rashid liquida così una delle tante domande del figlio sui misteri delle storie: “So now kindly desist from this Iffing and Butting and be happy with the stories you enjoy” [HSS 18]. Ma i “se” e i “ma” hanno un ruolo importante nella percezione della realtà dei bambini: non solo fungono da strumenti per contestare il primato della
36 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., p. 112.
37 C. COPPOLA, “Salman Rushdie’s Haroun and the Sea of Stories: Fighting the Good Fight or Knuckling Under”, Journal of South Asian Literature, 26: 1-2, 1991, p. 232.
visione del mondo degli adulti, ma affermano anche, su una scala più ampia, l’atto del mettere in dubbio e del dissentire all’interno della società.38 È quindi una scelta tutt’altro che casuale, da parte di Rushdie, sceglierli come compagni di viaggio di Haroun.
Gli stessi nomi di padre e figlio sono particolarmente adatti per questi personaggi, in quanto ispirati a Haroun al-Rashid (786-809 d.C.), quinto califfo abbaside, durante il cui magnifico regno Baghdad raggiunse l’apice culturale. Questo califfo simboleggiò la tolleranza, l’apertura e il raggiungimento di un delicato equilibrio tra vita culturale e religiosa. Padre e figlio tentano nel romanzo di raggiungere una simile situazione di tolleranza ed equilibrio. Come la mitica corte del califfo, famosa non solo per la sua opulenza, ma anche per il patrocinio offerto a poeti, uomini di lettere, religiosi e musicisti, anche la reggia di Gup City è grandiosa, con i suoi giardini, le fontane e le cupole disposte in modo armonioso.39
Per quanto riguarda i luoghi, di particolare rilevanza sono i nomi assunti dalla Valle di K, dove Rashid deve esibirsi per Mr Buttoo. In entrambi i casi, si tratta di giochi di parole dagli echi francesizzanti, che alludono al ruolo affidato alla valle all’interno della vicenda: “Kache-mer” (in francese “cache mer”) si collega al fatto che qui si nasconde il Mar delle Storie, mentre “Koshe-mar” (in francese “cauchemar”) può riferirsi all’incubo affettivo e creativo che Haroun e Rashid stanno vivendo.40
4. Un’interpretazione in chiave di allegoria politica
Poiché Haroun è stato il primo libro pubblicato dopo la fatwā, è quasi impossibile non notare punti di contatto tra la vicenda narrata e la situazione in cui si trovava Rushdie al momento della stesura. Per questo, la maggior parte dei critici, soprattutto negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione, non ha esitato a cogliere nel romanzo un’allegoria politica volta a denunciare la
38 C. CUNDY, Salman Rushdie, cit., p. 88.
39 S. MORTON, Salman Rushdie: Fictions of Postcolonial Modernity, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2008, p. 84.
repressione della creatività e della libertà di espressione da parte di dittatori e tiranni. In quest’ottica, è apparso istintivo identificare Khattam-Shud con Khomeini.
Da un lato, l’inquinamento dell’Oceano evocherebbe il tentativo di assumere il controllo oltre i confini del proprio paese. Dall’altro, poiché i diversi “flussi di storie” circolanti nell’Oceano non hanno un ordine preciso, ma possono essere e sono costantemente intrecciati tra loro, dando adito a nuove interpretazioni, vi si può individuare un richiamo alle sure (capitoli) del Corano. Le ripartizioni testuali del Corano non sono infatti sistematizzate in modo lineare e coerente, ma possono essere lette seguendo ordini diversi con il variare del contesto. Rushdie mostrerebbe così come la visione del mondo irrigidita ed autocratica di Khomeini comporti in effetti una corruzione della fluidità e della qualità polisemica della Parola.41
È innegabile che l’autore promuova l’importanza della scrittura e della creatività in un mondo che corre costantemente il rischio di essere sottomesso a un’uniformità di pensiero da un dittatore assetato di potere. In senso lato, Khattam-Shud può anche essere visto come il prototipo di qualsiasi autocrate che governi nel nome di un’ideologia politica o teologica inconfutabile. In realtà, egli non sembra nemmeno avere un’ideologia ben articolata; potrebbe essere la voce di qualsiasi tiranno a pronunciare la frase “The world is for Controlling” [HSS 161]. Comunque sia, egli odia le storie perché minacciano lo schema di controllo che sta cercando con così tanta fatica di consolidare. Non è un caso che, nelle battute di Khattam-Shud, le parole semanticamente associate al controllo appaiano scritte con la maiuscola (“They are all there to be Ruled. And inside every single story, inside every Stream in the Ocean, there lies a world, a story-world, that I cannot Rule at all” [HSS 161]), veicolandone il desiderio di governare sulle menti e i pensieri delle persone.42 Estraendo il cervello a Butt dopo la cattura, i Chupwala dimostrano infatti come ogni tipo di pensiero, anche quello di un uccello meccanico, debba essere silenziato. Il tentativo di Khattam-Shud è quello di vanificare le facoltà relazionali e comunicative dei sudditi tramite le Leggi del Silenzio: nella sua autocrazia non c’è bisogno di discutere niente, perché tutte le
41 S. MORTON, Salman Rushdie: Fictions of Postcolonial Modernity, cit., p. 85.
questioni sarebbero già risolte. Per questo, ogni luogo pubblico riconducibile a forme di dibattito intellettuale, etico o artistico è stato chiuso: scuole, tribunali, teatri. Nella terra di Chup esiste un “modo unico” di pensare le cose, cosicché il dialogo è messo all’indice e all’intelletto si ricorre solo per reprimere, oscurare e limitare.43
“Khattam-Shud” è un nome dagli accenti fatalistici che significa “completely finished, over and done with” [HSS 218], e che simboleggia dunque il desiderio (vano) di imporre il silenzio sulla libera espressione, sia essa riferita o meno a storie fantastiche. In senso politico e metaletterario, si può affermare che il tiranno personifichi Khomeini, la voce della fatwā che cerca di imporre il più definitivo dei silenzi su Rushdie-Rashid.44 Che la dittatura di Khattam-Shud rappresenti le teocrazie islamiche è suggerito anche dall’allusione alla Kahaba, la sacra pietra nera al centro della Mecca: il culto di Bezaban prevede infatti l’adorazione di un “colossus carved out of black ice” [HSS 101].45
Chup sembra essere organizzata molto meglio e in modo più efficiente di Gup, dove tutti parlano ininterrottamente in un groviglio babelico. Questo però significa anche che a Gup City ogni decisione è esposta pubblicamente e sottoposta alla discussione, mentre a Chup è la segretezza ad ammantare ogni aspetto della vita. Esemplificativo è, a tal proposito, l’episodio della battaglia tra i due schieramenti, all’interno del quale le Pagine disomogenee di Gup, ognuna delle quali riporta un’opinione diversa, potrebbero rappresentare i giornali di una qualsiasi nazione democratica. Qui Rushdie si schiera in modo evidente dalla parte dell’informazione pubblica, del diritto dei cittadini di venire a conoscenza e avere la possibilità di commentare tutte le decisioni politiche, poiché un dibattito sano porterà sempre maggiori benefici rispetto a un silenzio forzato, che genera soltanto sospetto e diffidenza. L’apparente efficienza di Chup risulta allora una piatta e soffocante copertura, destinata ad implodere appena è costretta a confrontarsi con una realtà che resiste all’assimilazione.46
43 J. PLOTZ, “Haroun and the Politics of Children’s Literature”, Children’s Literature
Association Quarterly, cit., p. 102.
44 C. CUNDY, Salman Rushdie, cit., p. 89.
45 M.S. PIMENTEL BISCAIA, “Desire and Ideological Resistance: Fabulation in Haroun and
the Sea of Stories”, Forma breve, 3, 2005, p. 245.
Khattam-Sud non richiama soltanto Khomeini, ma anche Mr Sengupta. Non sono solo i tiranni o i dittatori, infatti, a ostacolare la libertà di scrivere ed ascoltare storie, ma anche coloro che esasperano l’approccio del razionalismo pragmatico.47 I nemici di Rashid sono quindi due: Khattam-Shud, che detesta le storie e si attiva per distruggerle definitivamente, e Mr Sengupta, che ne mette in dubbio l’utilità; da un lato si registra un’aperta ostilità e dall’altro emerge un’indifferenza in grado di minare la creatività stessa.48
In numerose occorrenze il personaggio di Khattam-Shud è evocato con parole e definizioni terribili, come quella che lo ritrae nei termini di “Arch-Enemy of all Stories, even of Language itself. He is the Prince of Silence and the Foe of Speech” [HSS 39]. Questo rende il suo potere e il terrore che esso incute ancora maggiori, quasi mistificandoli.49 Ma quando finalmente Haroun incontrerà il Gran Sacerdote, questi si rivelerà un ometto dall’aspetto insignificante, in tutto e per tutto simile a Mr Sengupta: entrambi vengono descritti come “skinny, scrawny, measly, weaselly, snivelling clerical type[s]” [HSS 153]. Nella realtà dei fatti, Khattam-Shud risulta dunque insopportabilmente noioso, perfino dal punto di vista della voce, monotona e priva di inflessione (la sua è “a voice nobody would ever have remembered” [HSS 153]), e non ha nulla di particolare che lo distingua dai suoi seguaci. Khattam-Shud e le sue guardie vengono in sostanza descritti in modo opposto rispetto a quanto accade solitamente nei libri per ragazzi, dove i “cattivi” hanno un aspetto minaccioso e inquietante.50
L’identificazione di Khattam-Shud con Mr Sengupta contribuisce, al contrario, a farlo percepire come una figura comica, da pantomima, dotata di un’unica caratteristica distintiva: il non avere immaginazione alcuna.51 È chiaramente un ipocrita, dal momento che parla in modo logorroico, mentre vieta ai sudditi di esprimersi liberamente. Il suo potere metamorfico (la sua ombra riesce a ingigantirsi rispetto al corpo) gli dà inoltre un aspetto grottesco che ben riflette la
47 T. KULLMANN, “Eastern and Western Story-Telling in Salman Rushdie’s Haroun and the
Sea of Stories”, Erfurt Electronic Studies in English, cit.
48 M. CHANDRAN, “Fabulation as Narrative in Haroun and the Sea of Stories”, Jouvert, cit. 49 M.S. PIMENTEL BISCAIA, “Desire and Ideological Resistance: Fabulation in Haroun and
the Sea of Stories”, Forma breve, cit., p. 245.
50 D.C.R.A. GOONETILLEKE, Salman Rushdie, cit., p. 115. 51 D. GRANT, Salman Rushdie, cit., p. 71.
mostruosità interiore del personaggio.52 Rushdie rappresenta dunque il Nemico del Dialogo sia come un mostro orribile, sia come una creatura disprezzabile e vile.53
Riprendendo il grande tema della “banalità del male”, l’autore sembra voler sottolineare che la responsabilità della deriva totalitaria di un governo ricade anche sulle persone che minimizzano il pericolo quando esso penetra ad esempio negli ingranaggi della burocrazia, e che non si rendono conto che le situazioni degenerano sull’onda della codardia o della negligenza collettiva.54 Khattam-Shud ha infatti “normalizzato” azioni abominevoli come l’avvelenamento dell’Oceano, al punto che le misure repressive stesse dei Chupwala appaiono una questione di ordinaria (e monotona) amministrazione:55
As for the Chupwalas, all of whom belonged to the Union of the Zipped Lips, and were the Cultmaster’s most devoted servants – well, Haroun kept being struck by how ordinary they were, and how monotonous was the work they had been given. There were hundreds of them in their Zipped Lips cloaks and hoods, attending to the tanks and cranes on the deck, performing a series of mindless, routine jobs: checking dials, tightening joints, switching the tanks’ stirring mechanisms on and off again, swabbing the decks. [HSS 152]
Questo è divenuto possibile proprio grazie alle Leggi del Silenzio: quando nessun dialogo si instaura tra le persone, la paura si acuisce e la loro immaginazione viene manipolata per alimentare ulteriormente quella paura, contribuendo così a rafforzare il potere centrale.56 La diffidenza reciproca è infatti un ingrediente essenziale su cui si erige un pilastro del totalitarismo.
Il fatto che Khattam-Shud sia l’unico tra i Chupwala in grado di separarsi totalmente dalla propria ombra suggerisce la scissione tra bene e male, coscienza e sfrenata volontà di dominio, evocando un tipo di fanatismo che comincia con la
52 M.S. PIMENTEL BISCAIA, “Desire and Ideological Resistance: Fabulation in Haroun and
the Sea of Stories”, Forma breve, cit., p. 245.
53 R.S. KRISHNAN, “Telling of the Tale: Text, Context, and Narrative Act in Rushdie’s Haroun
and the Sea of Stories”, The International Fiction Review, 22: 1/2, 1995, p. 72.
54 M.S. PIMENTEL BISCAIA, “Desire and Ideological Resistance: Fabulation in Haroun and
the Sea of Stories”, Forma breve, cit., pp. 245-246.
55 J. PLOTZ, “Haroun and the Politics of Children’s Literature”, Children’s Literature
Association Quarterly, cit., p. 102.
56 M.S. PIMENTEL BISCAIA, “Desire and Ideological Resistance: Fabulation in Haroun and
divisione e termina con picchi di crudeltà e terrore. È proprio nel fenomeno della divisione dell’io, nella netta e distruttiva separazione di quelle che dovrebbero essere qualità complementari, che Rushdie colloca il “germe letale”. L’immagine di Mudra che combatte con la propria ombra è un potente simbolo di questa lacerazione, con la quale si nega la naturale multidimensionalità dell’esperienza, qui ridotta nei termini binomici di luce/buio, caldo/freddo, aggregazione/isolamento. Quando finalmente si ristabilisce la pace, questa è significativamente accompagnata da una serie di incontri tra individui e famiglie, giorno e notte, dialogo e silenzio.57
5. Una lettura postcoloniale
La maggior parte dei critici angloamericani non ha avuto esitazioni nell’individuare in Haroun un’allegoria della situazione personale dell’autore, con raccordi con i principî della democrazia e della libertà artistica. Eppure, se si fa attenzione ad alcuni altri elementi presenti nel romanzo, emerge una rappresentazione dei rapporti tra le popolazioni di Kahani che conferisce significati collaterali alla storia. La vicenda è, infatti, costruita solo ad un primo livello su una serie di opposizioni binarie che distinguono i Guppee dai Chupwala. Come ricorda M.K. Booker, la produzione di Rushdie
consistently embraces contradictions, privileging the plural over the singular, the polyphonic over the monologic. One of the clearest ways in which it does so is by carefully constructing dual oppositions […] only to deconstruct those oppositions by demonstrating that the apparent polar opposites are in fact interchangeable and mutually interdependent. His deconstruction of oppositions functions as a transgression of the boundaries societies (especially authoritarian ones) maintain to define themselves.58
Anche in questo testo, pur destinato a un pubblico infantile, la strategia adottata da Rushdie rientra nelle dinamiche sopra descritte: la conclusione della vicenda,
57 D. GRANT, Salman Rushdie, cit., pp. 97-98.
58 M.K. BOOKER, Techniques of Subversion in Modern Literature: Transgression, Abjection,
and the Carnivalesque, Gainsville, Florida 1991, p. 50, citato in R.S. KRISHNAN, “Telling of the
Tale: Text, Context, and Narrative Act in Rushdie’s Haroun and the Sea of Stories”, The
infatti, non vede, come diversi critici hanno invece supposto, la vittoria definitiva della Luce sull’Oscurità, bensì una fusione delle due, che getterebbe le basi per una società migliore. Stranamente, trattandosi di una storia per l’infanzia, in questo caso il Male non viene sconfitto dal Bene, poiché diversi elementi della narrazione rendono impossibile accertare un simile impianto didascalico.59
Estendendo lo sguardo a un terreno storico-politico che affonda le radici nella colonialità (e nella critica postcoloniale), si può ipotizzare che Haroun indaghi le conseguenze sui civili tanto delle dittature locali, quanto di progetti legati al colonialismo e all’imperialismo.60 La principale divisione della luna, ad esempio, non è qui tra Est e Ovest, ma tra Nord e Sud, fatto che ricorda la ripartizione del globo durante la fase di apogeo dell’imperialismo. La Terra di Gup, sempre baciata dal sole, si trova nell’emisfero nord di Kahani, mentre quella di Chup, perpetuamente al buio, è al sud. In modo corrispondente, gli abitanti del nord sono ritratti come benevoli e civilizzati, mentre i loro nemici vengono percepiti come malvagi e regrediti. È possibile individuare una distinzione molto simile nelle tradizionali mappe geopolitiche coloniali: da un lato stavano gli abitanti del nord del mondo, ossia europei e nordamericani, “illuminati” da una cultura di stampo cristiano e caucasici, quindi con la pelle bianca (“light”); dall’altro, si trovavano le popolazioni “barbare” e pagane, di pelle scura (africani e asiatici).61
Nel romanzo, benché assumano forme e aspetti diversissimi tra loro, gli abitanti di Gup risultano tutti gradevoli alla vista. La descrizione di Mudra, invece, il primo Chupwala incontrato, coincide con un umanoide spaventoso:
His face was painted green, with scarlet lips, exaggerated black brows and eyes, and white stripes on his cheeks. […] Then he glimpsed the warrior’s eyes, and a chill struck at his heart. What terrifying eyes they were! Instead of whites, they had
blacks; and the irises were grey as twilight, and the pupils were white as milk [HSS
124-125].
59 E. KÖNIG, “Between Cultural Imperialism and the Fatwa: Colonial Echoes and Postcolonial Dialogue in Salman Rushdie’s Haroun and the Sea of Stories”, The International Fiction Review, 33: 1, January 2006, https://journals.lib.unb.ca/index.php/IFR/article/view/705/1035 [consultato in data 20 gennaio 2018].
Vale la pena menzionare anche che la valenza allegorica contrapposta di luce e oscurità era una sorta di topos nel discorso coloniale. Impegnandosi nella propria “missione di civilizzazione”, le società coloniali “illuminate” tanto dalla ragione quanto dalla luce divina intesero sradicare i costumi selvaggi, le religioni pagane e l’ignoranza dei popoli sottomessi. Questa missione fornì ai colonizzatori la cornice ideologica di cui necessitavano per impossessarsi di fatto delle risorse naturali e umane delle terre soggiogate e sfruttarle a fini economici.62 Questo è esattamente ciò che accade su Kahani. Le Teste d’Uovo (tecnocrati ed ingegneri) di Gup hanno infatti introdotto sistemi tecnologici in grado di fermare la rotazione del loro satellite, così da appropriarsi in modo definitivo della luce del sole, risorsa vitale di estrema importanza. Come chiosa Eder, se nella contemporaneità figure come Khomeini sono riuscite a salire al potere, è in parte con la complicità silenziosa di un mondo occidentale che si è arrogato il diritto alla “luce” – a forme di democrazia illuminata – lasciando il resto del globo avvolto in un buio disorientante e insidioso.63
I regni di Gup e Chup sono presentati come opposti sotto diversi punti di vista: la maggior parte dei nomi dei personaggi e dei luoghi sembra indicare, infatti, una lotta tra democrazia e dittatura in sfere nettamente polarizzate. I personaggi, in particolare, ricordano personificazioni di vizi o virtù; ma, ancor prima, nella Terra di Gup i nomi derivano da parole in inglese e in hindustani che denotano il dialogo, mentre nella Terra di Chup i nomi degli abitanti rimandano al silenzio.64 Le due società sembrano dunque incarnare elementi contrastanti – dialogo e silenzio, luce e oscurità, libertà di espressione e censura, democrazia e dittatura – che identificano i Guppee con i “buoni” e i Chupwala con i “cattivi”.
Questo acquista un senso anche perché il personaggio di Haroun, e il lettore con lui, viene introdotto a Kahani da Iff e Butt, entrambi abitanti di Gup, che spiegano il funzionamento della luna dal loro punto di vista. La loro ottica assurge a cardine per la descrizione delle vicende successive, con un codice morale che
62 Ibidem.
63 R. EDER, “Nightingale in a Cage: Haroun and the Sea of Stories by Salman Rushdie”, Los
Angeles Times, 11 November 1990, http://articles.latimes.com/1990-11-11/books/bk-5969_ 1_
salman-rushdie [consultato in data 20 gennaio 2018].
64 E. KÖNIG, “Between Cultural Imperialism and the Fatwa: Colonial Echoes and Postcolonial Dialogue in Salman Rushdie’s Haroun and the Sea of Stories”, The International Fiction Review, cit.
assume lo status di autorità costituita.65 Sono infatti il loro mondo e il loro Oceano delle Storie che Haroun vede minacciati dal “lato cattivo”, e, poiché adora le fiabe ed è alla ricerca del dono narrativo di suo padre, egli sembra accettare il punto di vista presentatogli. Benché Gup si mostri al protagonista concretamente e Haroun possa verificare di persona ciò che Iff e Butt gli raccontano al riguardo, per quanto riguarda Chup e i suoi abitanti si hanno soltanto informazioni riportate e filtrate dal punto di vista dei Guppee, che spiegano come l’altra popolazione di Kahani rappresenti tutto ciò che andrebbe eliminato: silenzio, oscurità, freddo. Lo stesso Iff è indotto ad ammetterlo: “When it comes to the Land of Chup and its people the Chupwalas, it’s all mostly gossip and flim-flam, because it’s generations since any of us went across the Twilight Strip into the Perpetual Night” [HSS 79].
Ma il giovane Haroun è un osservatore attento e intelligente, che non rinuncerà a criticare le abitudini e le opinioni degli abitanti di Gup quando non si trova d’accordo con loro. Il suo status di “altro”, di straniero indipendente e autonomo dal punto di vista ideologico, affiora ogni volta che Haroun mette in discussione il modo di ragionare dei Guppee; una delle sue prime reazioni ai commenti di Iff e Butt è condensata nell’esclamazione: “That’s totally illogical” [HSS 79]. Il suo rifiuto della logica binaria è testimoniato anche nell’episodio dell’incontro con Mudra, nel quale si evidenzia il dualismo innaturale tra il gergo del guerriero, artificioso e grottesco, e la grazia dei suoi movimenti silenziosi. In questo passaggio Haroun non si sofferma però sulle singole opposizioni, ma su come le differenze esistenti tra Gup e Chup possano rientrare in un quadro di complementarietà e cooperazione:66 “‘[I]t’s not as simple as that. […] If Guppees and Chupwalas didn’t hate each other so,’ he thought, ‘they might actually find each other pretty interesting. Opposites attract, as they say’” [HSS 125].
Non è solo la persona di Haroun, tuttavia, a relativizzare l’interpretazione secondo cui Guppee e Chupwala rappresenterebbero il Bene e il Male in maniera assoluta; più volte il testo mostra infatti come entrambi siano responsabili di azioni riprovevoli e che le differenze percepite tra i due mondi hanno una componente di arbitrarietà. Già a partire dal livello linguistico, i morfemi “Gup” e “Chup” suonano molto simili, a sottolineare una connessione implicita tra le due
65 Ibidem. 66 Ibidem.
culture. Inoltre, i suffissi Gupp-“ee” e Chup-“wala” sembrano potersi riferire a una situazione di sottomesso e dominatore.67 Benché in inglese il suffisso “-ee” possa assumere significati differenti in base ai verbi a cui è associato, nella sua accezione principale e più diffusa esso indica un soggetto che subisce un’azione o ne è beneficiario (es. trainee). La definizione del termine “wallah”, di origine hindu, è invece “someone who is responsible for a particular activity or who does a particular job”.68
Se è poi impossibile negare che il rapimento della principessa dei Guppee sia un atto malvagio, significativamente, al momento della sua cattura, Batcheat stava sconfinando nel territorio dei Chupwala. Ella sembra essere affascinata suo malgrado dal regno nemico, e la società dei Guppee in generale pare condividere la sua fascinazione per il lato oscuro della luna, come spiega Iff:
[Y]oung people of Gup do go into the Twilight Strip […] most frequently. Living in the sunlight all the time, they wish to see the stars, the Earth, the Other Moon shining in the sky. It is a daredevil thing to do. […] Dark, my sirs, has its fascinations: mystery, strangeness, romance… [HSS 103]
Sono inoltre numerosi i casi in cui Gup e i suoi abitanti sono resi oggetto di ridicolo dal narratore e dal protagonista, o in cui viene messa in dubbio la legittimità dei loro valori. Il loro parlamento è chiamato “Chatterbox”, ad indicare la ridondanza oziosa di discorsi nel centro del potere democratico. Allo stesso tempo, il Glossario informa i lettori che Gup significa “gossip”, “nonsense” e “fib” [HSS 218], accennando al fatto che, molto probabilmente, non è saggio fidarsi sempre dei racconti dei Guppee.
Il personaggio della Principessa Batcheat veicola sia una sovversione dell’ideale di bellezza femminile celebrato in Europa, sia una decostruzione del tradizionale sfondo romantico spesso presente nelle fiabe.69 La principessa, che impone al popolo varianti delle fiabe più famose – con l’adorato Principe Bolo
67 Ibidem.
68 https://www.macmillandictionary.com/dictionary/british/wallah [consultato in data 20 gennaio 2018].
69 E. KÖNIG, “Between Cultural Imperialism and the Fatwa: Colonial Echoes and Postcolonial Dialogue in Salman Rushdie’s Haroun and the Sea of Stories”, The International Fiction Review, cit.
come protagonista – è infatti descritta come una fanciulla dalla voce estremamente sgraziata e l’aspetto fisico sgradevole, con dentatura e naso talmente brutti che è sufficiente evocarli, senza aggiungere aggettivi, per renderne l’idea. Inoltre, pur non essendo odiata come certe malvagie regine nelle fiabe, non è neppure il tipo di principessa adorata dal popolo: nessuno dei suoi sudditi è infatti convinto che salvarla dai suoi rapitori sia una motivazione sufficiente per andare in guerra. Anche il Principe Bolo è raffigurato più come un querulo piagnucolone, tanto galante quanto sciocco, che come un eroe romantico. Benché i loro titoli li elevino ipso facto a protagonisti di una storia d’amore, come è tipico delle fiabe, essi non catturano l’interesse del lettore, e tanto meno quello dei loro sudditi e dello stesso Haroun.70
Un ulteriore elemento di ridicolo riguarda la descrizione dell’esercito dei Guppee in battaglia. Colpito dai loro scaldanaso rossi, Rashid il raccontastorie sentenzia: “This is beginning to look like a war between buffoons” [HSS 179]. L’esercito dei Guppee è anche equipaggiato con degli elmetti le cui luci li fanno sembrare come
a regiment of angels or saints, because they all had shining haloes around their heads. The combined wattage of all these ‘haloes’ would just about enable the Guppees to see their opponents, even in the Perpetual Darkness; while the Chupwalas, even with their fashionable wrap-around dark glasses on, might be somewhat dazzled by the glare. [HSS 179]
Questa descrizione chiaramente ridicolizza i “santi” della storia coloniale e contemporaneamente indica come la vista dei colonizzatori sia impedita: essi non sono in grado di penetrare l’oscurità dell’Altro e la loro retorica non è sufficiente a “illuminarne” la mente. Inoltre, proprio come novelli colonizzatori occidentali, i Guppee vanno in battaglia armati di libri: il loro esercito è una Biblioteca che consiste di Pagine organizzate in Capitoli e Volumi. I libri, simboli dell’ethos
70 R.S. KRISHNAN, “Telling of the Tale: Text, Context, and Narrative Act in Rushdie’s Haroun
illuminista e della diffusione della conoscenza, potevano infatti trasformarsi in un’arma “a lungo termine” impiegata per indottrinare le popolazioni colonizzate.71
Un’altra caratteristica che differenzia in modo sostanziale Guppee e Chupwala è il ricorso alla violenza: i soldati di Khattam-Shud non solo rapiscono Batcheat e le sue ancelle, ma il loro intento finale è quello di cucirle le labbra e sacrificarla al loro idolo. Un loro soldato è disposto a farsi saltare in aria pur di uccidere i governanti di Gup e, durante la ridicola battaglia contro i Guppee, alcuni guerrieri Chupwala letteralmente si pugnalano alle spalle a vicenda. I Guppee, invece, amano la pace e detestano perfino l’idea degli spargimenti di sangue. Lo stesso Iff, fin dall’inizio, potrebbe recuperare probabilmente senza troppa fatica il proprio Utensile per Disinserire, che Haroun gli ha rubato, ma il genio non ci prova nemmeno, e preferisce condurre Haroun su Kahani, contravvenendo alle proprie leggi. Inoltre, le punizioni dei Guppee anche per un reato grave come lo spionaggio risultano così lievi da apparire ridicole:
‘What do Guppees do to spies, anyhow?’ [Haroun] yelled bad-temperedly at Iff. ‘I suppose you rip out their fingernails one by one until they confess. Do you kill them slowly and painfully, or quickly with a million volts in an electric chair?’ The Water Genie (and every other Guppee who heard this outburst) looked horrified and affronted. ‘Where did you pick up such bloodthirstiness?’ Iff cried. ‘Absurd, an outrage, I never heard the like.’ – ‘Well, then, what?’ Haroun insisted. – ‘I don’t know,’ panted Iff as he struggled to keep up with the charging boy. ‘We’ve never caught a spy before. Maybe we should scold him. Or make him stand in the corner. Or write I must not spy one thousand and one times. Or is that too severe?’ [HSS 97-98]
Le uniche espressioni violente da parte dei Guppee provengono, non a caso, dal principe Bolo, con le sue esplosioni di rabbia per la sorte della promessa sposa: “I should cut off your ears, have them sautéed in a little butter and garlic, and served to the hounds!” [HSS 181]. Ma nel romanzo l’epiteto usato più frequentemente per descrivere questo personaggio è “foolish”, ed è evidente che i suoi sudditi ne hanno un’opinione piuttosto negativa, tanto da
71 E. KÖNIG, “Between Cultural Imperialism and the Fatwa: Colonial Echoes and Postcolonial Dialogue in Salman Rushdie’s Haroun and the Sea of Stories”, The International Fiction Review, cit.
trovarlo spesso causa di imbarazzo. Bolo sembra quindi costituire un’eccezione rispetto al comportamento retto e pacifico dei suoi concittadini.
Per quanto riguarda le colpe che gravano su Gup, se ne hanno esempi fin dall’inizio. I Guppee, infatti, pur lamentandosi per l’inquinamento dell’Oceano, ammettono di essere stati loro a trascurare quelle acque per troppo tempo e, evidentemente, nel lungo periodo “trascurare” il proprio patrimonio può condurre all’autodistruzione: “[W]hat will happen to the Ocean – to us all?”, lamenta Iff, “We have ignored it for too long, and now we pay the price” [HSS 87]; e di nuovo: “It’s our own fault […]. We are the Guardians of the Ocean, and we didn’t guard it” [HSS 146].
I Guppee sembrano pensare che l’Oceano appartenga esclusivamente a loro e lo reclamano come tale, ma l’ubicazione della sua fonte nell’oscura Zona Antica al Polo Sud avvalora la tesi, mai apertamente dichiarata, sul convergere delle radici di entrambe le civiltà. In qualche modo, le condizioni di trascuratezza dell’Oceano segnalano il desiderio dei Guppee di “dimenticare” la storia relativa a queste stesse radici: “We let [the stories] rot, we abandoned them, long before this poisoning. We lost touch with our beginnings, with our roots” [HSS 146]. Anche le imprese di civilizzazione in terre esotiche sono state descritte in modo simile dagli storici europei nel Settecento e nell’Ottocento, con un recidere sistematico della cultura e dell’identità europee rispetto a un approccio antropologicamente olistico.72
La colpa principale dei Guppee, però, è quella di aver privato i Chupwala del sole grazie alla loro tecnologia, fatto che ha giocato un ruolo cruciale nel costituirsi della società di Chup. Che questo regno non sia sempre stato buio e ammutolito è confermato da ciò che Rashid dice quando informa i Guppee della reale situazione sotto la dittatura di Khattam-Shud: “In Chup City the schools and law-courts and theatres are all closed now, unable to operate because of the Silence Laws” [HSS 101]. Questo significa, dunque, che prima delle Leggi del Silenzio anche agli abitanti di Chup piaceva confrontarsi in aula, leggere e andare a teatro: in altre parole, comunicare. Che i Chupwala non siano effettivamente l’opposto speculare dei Guppee emerge inoltre dalla descrizione di ciò che accade