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L'immigrazione prodotta

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Academic year: 2021

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Capitolo tre

L'immigrazione prodotta

Un tragitto è sempre tra due punti, ma lo spazio intermedio ha preso tutta la sua consistenza, e gode di un’autonomia come di una direzione propria.

Gilles Deleuze, Félix Guattari, Millepiani (1987)

La storia dell'emigrazione algerina si inserisce in questo elaborato come tassello di passaggio tra l'analisi del colonialismo e lo studio della componente algerina in Francia.

L'emigrazione è emersa come “figlia” diretta, intenzionale o meno, del colonialismo, che ha generato esso stesso il sottosviluppo - solitamente addotto come causa necessaria della relazione di dominio -, prima di esserne il prodotto1.

Sayad, nella distinzione di tre fasi, tre “età”, dell'emigrazione algerina2, segue esattamente il processo delle trasformazioni interne alle comunità rurali, che producono gli emigrati stessi:

In un primo momento, fino all'indomani della seconda guerra mondiale (approssimativamente), la storia dell'emigrazione degli algerini verso la Francia si confondeva con la storia di una società contadina che lottava per la sua sopravvivenza e che aspettava che l'emigrazione le fornisse i mezzi per perpetuarsi in quanto tale. In un secondo momento, per una massa di contadini non soltanto impoveriti ma totalmente proletarizzati, l'emigrazione costituiva l'occasione privilegiata – forse la sola che fosse loro concessa – per realizzare le aspirazioni che la loro nuova condizione permetteva e vietava al tempo stesso. Più recentemente (soprattutto dall'indipendenza dell'Algeria), terminato il processo in corso da tre quarti di secoli, l'emigrazione ha finito per determinare il radicamento in Francia di una comunità algerina relativamente autonoma tanto rispetto alla società francese, cui si è affiancata, quanto rispetto alla società algerina da cui trae origine3.

Queste fasi non sono l'esatta corrispondenza dei movimenti migratori, ma tracciano delle linee interpretative di essi, per vederne le sfumature, i cambiamenti, permettendoci di andare oltre i dati quantitativi.

1 Sayad A. (2002), La doppia assenza. Dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze dell'immigrato, Raffaello Cortina Editore, Milano, p. 90.

2 Ivi, in particolare pp. 43-87. 3 Ivi, p. 48.

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3.1 Dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale: controllo e stigmatizzazione

Il primo impulso migratorio dall'Algeria verso la métropole è direttamente legato alla Prima Guerra Mondiale. La Francia recluta decine di migliaia di lavoratori e soldati dalle colonie, tanto per le sue industrie, quanto per il suo esercito. In totale, l'impero coloniale francese fornirà 480.000 combattenti - dei quali 172.000 algerini - e 225.000 lavoratori - dei quali 78.560 algerini4. Il loro stanziamento è legato ai grandi settori industriali francesi, assorbiti dall'economia di guerra5: i lavoratori stranieri operano principalmente nei settori minerario e metallurgico nel Nord e a Pas-de-Calais, nelle fabbriche di Parigi e Marsiglia, nelle regioni metallurgiche dell'Est.

Come tutti i soggetti indigeni, gli algerini dipendevano dal Ministero della Guerra, in particolare dal SOTC, Service de l'organisation des travailleurs coloniaux, creato nel 1916. Questo organismo seleziona e recluta le popolazioni coloniali - in Algeria, essenzialmente cabili - da impiegare al fronte, dove, tra caserme separate dagli altri soldati e moschee “di fortuna”, saranno sotto stretta sorveglianza6. Inizialmente limitata agli anni 1916-1918, questa emigrazione di lavoro, programmata e canalizzata, costituirà il detonatore di un movimento migratorio di grande rilievo negli anni '20.

Un secondo movimento, nel periodo dell'entre-deux-guerres, è innescato dal padronato francese. Dal 1922 al 1924, 48.000 algerini erano emigrati annualmente; questo numero passa a 108.000 nel 1929 e resta circa lo stesso fino al 19397. L'economia francese ha potuto modulare l'offerta esterna di lavoro dell'Algeria, intervenendo direttamente nella regolazione del volume e dei ritmi dell'esodo rurale interno. L'economia coloniale, interamente regolata in base alle necessità di accumulazione del capitale metropolitano, ha permesso di “trasferire” nella colonia le contraddizioni che si trovava ad affrontare la metropoli, principalmente la contraddizione tra agricoltura e industria8.

4 Noiriel G. (2007), Émigration coloniale et immigration étrangère. Pourquoi dire “é”migration por les colonies et “i”mmigration pour les autres? L'exemple des Algériens et des Italiens sous la IIIe République., seminario “Pour une histoire critique et citoyenne. Le cas de l'histoire franco-algérienne”, 20-22 Giugno 2006, Lyon, ENS LSH. 5 Le Pautremat P. (2003), La politique musulmane de la France au XXe siècle. De l'Hexagone aux terres d'Islam.

Espoirs, réussites, échecs., Maisonneuve & Larose, Paris, p. 279.

6 Bernardot M., Trois configurations historiques du logement des célibataires étrangers en France au XXe siècle, Actes de l'histoire de l'immigration, 1999 (http://barthes.ens.fr/clio/revues/AHI/).

7 Stora B. (1992), p. 39.

8 Cfr. Beaugé G., “Migrations internes et migrations externes: exode rural et offre de travail algérienne en France entre 1840 et 1940”, in Costa-Lascoux J., Temime É. (a cura di), Les Algériens en France, genèse et critique d'une migration, CNRS, Actes du colloque du GRECO 13 - Grenoble, 26-27 Gennaio 1983, Publisud, Paris, 1985; Canestrari C., Colajanni L., Pazienti M. (1983).

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La gestione degli stranieri in Francia

E' utile fornire qualche dato sulla presenza di stranieri in Francia, non focalizzandoci, per un momento, sugli algerini, per poi coglierne le peculiarità. Il 1851 è il primo anno in cui si ha un censimento delle popolazioni francese e straniera, che conta meno di 400.000 unità, tra le quali inglesi, tedeschi e austriaci sono le nazionalità di più antico insediamento. Con la Rivoluzione Industriale arrivano belgi - che nel 1870 rappresentano il 46% degli stranieri presenti - e italiani, che ai primi del secolo diverranno la terza nazionalità, al pari degli svizzeri, dopo belgi e tedeschi9. La depressione degli anni Ottanta porta con sé fenomeni di xenofobia e un conseguente aumento del controllo sugli stranieri10.

Nel 1888 una carta d'identità per stranieri risponderà all'esigenza di controllo delle migrazioni e si apre un lungo dibattito su una “tassa di soggiorno”, pagata dal lavoratore straniero dal datore, che dovrebbe ristabilire una giusta concorrenza tra lavoratori nazionali e stranieri11.

Allo scoppio della guerra, il controllo si amplifica con l'introduzione del passaporto moderno, come atto ufficiale del paese di cui si è cittadini. Dal 1917, agli stranieri che entrano in Francia per lavorare, viene anche attribuita una carta d'identità speciale, dalla durata di due anni rinnovabile, di colore diverso a seconda del settore lavorativo di destinazione del candidato e sulla quale viene registrato ogni cambiamento di residenza.12

Nel Maggio del 1924 l'organizzazione del reclutamento della manodopera straniera è affidata a un organismo di diritto privato, la Société Générale d'Immigration (SGI), espressione diretta delle organizzazioni padronali, con lo scopo di coordinare a livello nazionale la selezione dei candidati all'immigrazione ed evitare la concorrenza tra manodopera straniera - Italia e Polonia sono allora i due maggiori paesi di emigrazione - e coloniale.

L'iter del reclutamento è estremamente burocratico e attento alla priorità lavorativa francese,

il punto di partenza di tutto il processo sono le singole richieste, nominative o generiche, suddivise per qualifiche, comunicate dalle imprese agli Uffici di collocamento locali. Questi, apposto un visto che certifica la non disponibilità in loco della manodopera richiesta, passano la pratica al Ministero interessato (Lavoro o Agricoltura). Il Ministero, verificato che tali competenze non esistono nella zona e neppure sul mercato nazionale, appone un ulteriore visto e passa la domanda ai Paesi esteri con i quali esiste un accordo di manodopera, o ai posti di frontiera dove, se non ci sono accordi bilaterali, i singoli lavoratori

9 Pegna S. (2000), Che cos'è oggi la nazione. Vecchi immigrati, nuovi immigrati, immigrazione islamica in Francia, ETS, Pisa, p. 50-51.

10 Ivi, p. 52. 11 Ivi, p. 55.

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vengono a mettersi in contatto con gli Uffici di reclutamento francesi13.

Tra il 1924 e il 1930 la SGI favorisce l’ingresso in Francia di 406.950 stranieri, un numero che corrisponde solo al 35% dei permessi di soggiorno rilasciati nel periodo. Il resto dei titoli concessi, ovvero la loro maggioranza, è rappresentato dalle regolarizzazioni dei lavoratori stranieri giunti in Francia al di fuori dei canali della SGI, e dunque al di fuori di ogni controllo statale14.

L'emigrazione algerina si troverà a lungo dispensata dal controllo e dagli obblighi previsti, come ricorda il decreto del 18 Novembre 192015, che conferma la libera circolazione tra Algeria e Francia in atto, de facto, dal 1905 e già fissata dalla legge del 15 Luglio 191416. Gli algerini sono sujets dell'Impero coloniale e possiedono la nazionalità francese, non rientrando dunque nella categoria “immigrazione”. I poteri pubblici non utilizzano mai questo termine, anzi se ne guardano bene, in quanto significherebbe ammettere, implicitamente, la legittimità di uno Stato algerino17. Contrariamente alle altre popolazioni del Magreb, gli algerini non hanno quasi mai una carta d'identità valida, non sono controllabili, nonostante i numerosi tentativi di attuare una supervisione su tale fenomeno migratorio18.

Nel 1926 il Consiglio di Stato annulla per eccesso di potere i decreti del 1924, che tentavano di imporre per l'Algeria un certificato di lavoro vidimato dal Ministero del Lavoro, un certificato medico d'idoneità e una carta d'identità con foto dell'interessato per entrare in Francia. Il Governatore d'Algeria sopprime, allora, il certificato di lavoro, ma impone, alla partenza, la presentazione del casellario giudiziario, un controllo sanitario - eliminato nel 1936 col Fronte Popolare al governo, ma ripristinato nel 1937 - e un deposito rappresentante la cauzione del viaggio di ritorno, o una somma di denaro per potersi mantenere prima di aver trovato un lavoro19. Con l'inizio della Seconda guerra mondiale, l'emigrazione verso la madrepatria è rigorosamente controllata dal Ministero del Lavoro, 13 Ivi, p. 77.

14 Costantini D., “Politiche migratorie e discriminazione: il caso francese”, Bollettino telematico di filosofia politica (http://bfp.sp.unipi.it/), messo in linea il 7 Febbraio 2009.

15 “Les travailleur algériens ne doivent plus être considérés comme des étrangers”, Journal Officiel de la République Française del 26 Novembre (corrispondente alla Gazzetta Ufficiale Italiana). Gallissot R., “Aux origines de l'immigration algérienne: le mixte fondateur franco-algérien”, in Costa-Lascoux J., Temime É. (a cura di), Les Algériens en France, genèse et critique d'une migration, CNRS, Actes du colloque du GRECO 13 - Grenoble, 26-27 Gennaio 1983, Publisud, Paris, 1985; p. 207.

16 Ibidem.

17 Cfr. Noiriel G. (2007).

18 Per approfondimenti sul controllo dei flussi migratori negli anni a seguire la Prima Guerra Mondiale si veda Le Pautremat P. (2003), p. 282 e segg.

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che ha la competenza di fissare i contingenti di manodopera da dirigere verso la Francia20. I migranti algerini non dipendono, dunque, dalla legislazione sugli stranieri, non sono immigrati, ma ciò non impedisce affatto che essi siano trattati come tali nella pratica sociale e dall'opinione pubblica.

Con la smobilitazione post-bellica, i migranti algerini restano privi di controllo sul territorio francese ed è in questo quadro che si sviluppano le prime preoccupazioni politiche nelle zone a forte concentrazione di popolazione algerina.

Servizi di sorveglianza ad hoc per algerini

Interpellato da consiglieri comunali in seguito a un “crime sensationnel (qui) avait appelé l'attention inquiète de l'opinion publique sur l'envahissement de la France par des éléments étrangers ou coloniaux et notamment par des émigrants Nord-africains”21, il Consiglio municipale di Parigi e il Consiglio generale della Senna creano, nel 1925, con la Prefettura di polizia di Parigi, una sezione per gli “affari indigeni nord-africani” (Service des affaires indigènes nord-africaines, detto anche Service de surveillance et de protection des indigènes nords-africains, SSPINA)22.

L'ufficio al 6 di Rue Leconte, nel XVII° arrondissement, dipende dal Ministero dell'Interno e raccoglie sevizi amministrativi, sociali e sanitari sotto il controllo della polizia. Esso gestisce contemporaneamente la sorveglianza e l'assistenza dei lavoratori provenienti da Tunisia, Marocco e Libano, come quelli provenienti d'Algeria23.

In generale gli immigrati di origine coloniale sono però esclusi dalle prestazioni sociali concesse agli altri lavoratori,

un esempio significativo riguarda il regime delle allocations familiales, creato in Francia nel 1932, e che non viene però applicato ai dipartimenti algerini. Un regime rudimentale è creato nel 1941, ma riguarda professioni salariate esercitate in maggioranza da europei. Anche con la Liberazione rimangono le sperequazioni: i lavoratori la cui famiglia risiede in Algeria ricevono solo un terzo delle allocations concesse ai lavoratori la cui famiglia risiede in Francia, mentre non ricevono affatto sussidi alla natalità24. [...] Questo mentre la

20 Cfr. Spire A. in Sayad A., L'immigrazione o i paradossi dell'alterità. L'illusione del provvisorio, Ombre Corte, Verona, 2008; p. 112

21 Il fatto fu abbondantemente commentato dalla stampa. Si veda ad esempio “Un Algérien tue deux femmes et en blesse deux”, Le Figaro, 8 novembre 1923. Cfr. Le Pautremat P. (2003); Blanchard E. (2004), La dissolution des Brigades nord-africaines de la Préfecture de police: la fin d’une police d’exception pour les Algériens de Paris (1944-1953)?, Bulletin de l'IHTP, n° 83, Giugno, dossier “Répression, contrôle et encadrement dans le monde colonial au XXe siècle”.

22 Per approfondimenti si veda Rosenberg C., Policing Paris. The Origins of Modern Immigration Control between the Wars.; Id., The Colonial Politics of Health Care Provision in Interwar Paris, French Historical Studies, Volume 27, n° 3, 2004.

23 Le Pautremat P. (2003), p. 296.

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preferenza etnica accordata ai lavoratori di origine italiana spinge nel 1947 a riconoscere l’allocation a tutti i lavoratori italiani, compresi quelli le cui famiglie vivono ancora in Italia. Questo provvedimento è esteso nel 1957 agli spagnoli e nel 1958 a tutti i comunitari.25

L'ospedale franco-musulmano di Bobigny è un'emanazione della Rue Leconte, in favore dell'accentramento strutturale di ogni informazione possibile sulle popolazioni nord-africane. Nato da un immaginario negativo e da un vocabolario stigmatizzante - la popolazione parigina temeva il contagio ed era preoccupata di “préserver son hygiène physique et morale”- l’ospedale di Bobigny è l'espressione di una medicalizzazione speciale separata26.

Il problema dell'alloggio dei lavoratori celibi darà luogo all'istituzione di un Service des foyers et dispensaires, ovvero residenze e ambulatori, a partire dal 1926. Nel 1931, con l'aiuto della Ville de Paris, vengono creati dei foyers privati a Parigi, Colombes e Genevilliers. A Parigi, dei sei dormitori aperti, cinque erano stati fondati dalla Prefettura della Senna e l'ultimo dalla Croce Rossa.27

Si costituisce così un ente unico di gestione, la “régie des foyers ouvriers nord-africains”, diretta dal segretario dell'Istituto musulmano, che troverà posto a 15.130 migranti.28

Questa strategia non è esente da precisi scopi politici. Riconoscendo diritti sociali, assicurando il benessere materiale e psicologico e tentando l'assimilazione ai costumi francesi, le autorità repubblicane tentano di evitare che i nord-africani si lancino nella lotta nazionalista o rivoluzionaria. Ma l'aspetto forse più noto dell'intera macchina di controllo ad hoc è la creazione di un “servizio di protezione”, la Brigata nord-africana (BNA). Composta da circa trenta persone, tra ex-amministratori coloniali e funzionari che hanno operato in Algeria, essa aveva funzioni di sorveglianza e controllo.

Pierre Godin, vecchio amministratore coloniale, eletto al consiglio municipale di Parigi e ideatore del SSPINA, cerca di ricreare così nella metropoli un vero e proprio “comune scandalo: “alors qu’un travailleur français, père de deux enfants, perçoit – allocation de salaire unique comprise – 11629 francs, son camarade d’atelier, parce qu’il est algérien, n’a droit qu’à 4800 francs, soit 6829 francs de différence … Ainsi les 94.000 allocataires algériens sont frustrés d’environ 430 millions de francs par mois, soit près de 6 milliard par an ” (in A. Spire, Semblables et pourtant différents. La citoyenneté paradoxale des “français musulmans d’Algérie” en métropole, in “Genèses”, n. 53/2003, pp. 48-68; p. 65); citato in Costantini D., “Politiche migratorie e discriminazione: il caso francese”, cit.

25 Ibidem.

26 Per approfondimenti si veda Atouf E., Le service de surveillance et de protection des indigènes Nord-Africains, messo in linea il 14 Gennaio 2005 (http://www.sezamemag.net/).

27 Lyons A.H. (2004), Invisible Immigrants: Algerian Families and the French Welfare State, 1947-1974, Dissertation, University of California, Irvine; p. 154. Il dormitorio della Rue Leconte aveva 100 letti, Rue Tocqueville 250, Gennevilliers 170, Boulogne-Billancourt 350, Nanterre 72 e la Croce Rossa, nel 15° arrondissement, ne aveva 108.

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misto”29 da colonizzare.

Molto presto la BNA, approfittando della relativa autonomia dalla prefettura di polizia, non esita a oltrepassare i limiti della legalità: oltre al ricorso ai sistemi della Chikaïa o dell’Amam30, in vigore in Algeria, gli ispettori redigevano delle liste dei partecipanti agli

incontri dell'Étoile nord-africaine, al fine di privarli dei loro diritti al sussidio di disoccupazione o familiare versato da un ufficio del SSPINA. Effettuano anche pressioni sui datori di lavoro per ottenere licenziamenti, aprendo la strada al rimpatrio forzato.31

Il servizio degli “affari indigeni” viene soppresso alla Liberazione a causa del suo collaborazionismo, la BNA aveva fornito dati alla Gestapo parigina. L'amministrazione dell'immigrazione proveniente da Algeria, Tunisia e Marocco passa ai servizi sociali metropolitani, ma la Guerra d'Algeria permetterà al Ministero dell'Interno di ritrovare gran parte delle sue prerogative a partire dal 1956 e ad alcuni agenti della brigata di riprendere un ruolo attivo32.

I primi emigrati

Sayad, attraverso numerose testimonianze33, ricostruisce le diverse condizioni che hanno generato le emigrazioni, riconsegnandocene i tratti più profondi, e “ritraendo” i soggetti (sembra quasi di vederli, questi emigrati) a partire dal loro sentire. Nella prima “età” dell'emigrazione, domina la figura - che nell'immaginario collettivo resterà per molto tempo, oltre la sua reale esistenza come tale - dell'uomo, contadino, che emigra da solo e per un tempo limitato. Inizialmente, infatti, quasi tutti gli emigrati vivono in Francia in modo frugale, mandando tutti i loro risparmi in Algeria, nell'ottica di tornarvi presto.34

Il contadino riceveva l'incarico dalla sua famiglia e dalla società tutta di una missione ben precisa, limitata nel tempo e negli obiettivi: fornire alle comunità, incapaci di sostenersi con le proprie attività, di perpetuarsi in quanto tali. Costui veniva scelto secondo i criteri della società contadina e dunque né troppo giovane (dunque maturo), né scapolo (l'uomo sposato è più “controllabile”), ma, soprattutto, depositario della fiducia del gruppo. Il ritmo delle emigrazioni obbediva al calendario dei lavori agricoli e ai ritmi serrati della vita sociale 29 Nell'Algeria francese i comuni misti comprendono i centri abitati sia da indigeni che da europei. Si trattava di vaste circoscrizioni amministrative, spesso comprendenti anche luoghi non ancora pienamente colonizzati, che si distinguevano dai comuni “di pieno esercizio”.

30 Sorta di mediazioni penali e cerimonie del perdono, fondate sul Codice dell'indigenato e sulle specificità dello statuto personale dei musulmani d'Algeria. Blanchard E. (2004).

31 Ibidem. 32 Ibidem.

33 Sayad A. (2002).

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delle campagne, più che alle esigenze dell'attività delle industrie che impiegavano gli immigrati. Il soggiorno, spesso stagionale, doveva essere il più breve possibile e costituiva anche una sorta di “prova”, per l'emigrato, di solidarietà e fedeltà verso il proprio gruppo, verso il proprio onore contadino35.

A sostegno dell'emigrato sta il fatto di potersi rifugiare nel gruppo anche in Francia, ricreando strutture sociali e reti di relazioni a lui familiari. Il contatto costante lascia l'emigrazione al servizio dell'ordine tradizionale, della condizione contadina:

[gli emigrati] si tenevano a distanza da ciò rispetto a cui erano oggettivamente tenuti a distanza e utilizzavano un distanziamento psicologico e culturale che li emarginava dalla società francese e dalla sue pratiche (almeno da quelle che erano loro accessibili). Era il prezzo che dovevano pagare per svolgere un'attività di cui non potevano percepire sempre il fondamento (un'attività provvisoria, “falsa”, con una status sociale fittizio perché culturalmente e socialmente “estranea” all'attività contadina, la sola legittima) e a una condizione (condizione del salariato) ancora poco familiare e che spesso si accompagnava alla sensazione di “derogare”.36

Ma questo rapporto, quasi “pendolare”, tra Algeria e Francia non poteva resistere a lungo. L'emigrazione accelera e rinforza il processo di “decontadinizzazione”37 già avviato, spezzando il legame tra emigrato e comunità, salvaguardato fin'ora.

Emigrare come atto individuale di emancipazione

A partire dal 1947, l'afflusso degli algerini trasferiti in Francia cresce a ritmo costante: dai 20.000 dell'immediato dopoguerra si passa a 180.000 nel 1955.38 Al contrario, il resto della popolazione straniera non è praticamente aumentato, anzi, il numero di belgi, polacchi e spagnoli è diminuito.39 La manodopera algerina è particolarmente richiesta, in quanto, considerata fenomeno di mobilità interna, non è contabilizzata né regolamentata dall'Office Nationale pour l'Immigration (ONI)40, che aveva il compito di registrare gli ingressi, per i quali era stata fissata una quota.

La libertà di circolazione si era interrotta tra Francia e Algeria durante la seconda guerra mondiale e l'emigrazione era stata sospesa totalmente tra il Novembre 1942 e il Novembre 1945, ma riprende con lo Statuto dell'Algeria del 20 Settembre 1947 e gli algerini entrano, 35 Sayad (2002), p. 48 e segg.

36 Ivi, p. 52.

37 Bourdieu P., Sayad A. (1964), in particolare pp. 15-60. 38 Pegna S. (2000), p. 102.

39 Noiriel G. (2006).

40 Organismo creato il 2 Novembre 1945 tramite ordinanza, che sostituisce in tutte le sue competenze la S.G.I. A differenza di quest'ultimo l'O.N.I. ha carattere pubblico, ma nel suo Consiglio di amministrazione siedono anche i rappresentanti delle forze produttive, inclusi i sindacati, che ne usciranno però nel 1948.

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da questa data fino al 1962, in Francia come francesi. Nonostante ciò, viene loro attribuito dall'amministrazione l'appellativo Français musulman d'Algérie (FMA).

La Guerra d'Algeria, scoppiata nel 1954, marca una rottura radicale, sia nell'afflusso migratorio, sia rispetto alla percezione del popolo prima dominato. Essa pone, innanzitutto, un freno all'emigrazione algerina, ma il contesto di crescita economica rende necessaria la venuta di manodopera, respingendo così le perplessità “etniche” dominanti. Sotto la pressione degli industriali, si rompe il monopolio dell'ONI e una circolare del 18 Aprile del 1956 permette la regolarizzazione ex post di tutti gli immigrati che abbiano un lavoro regolare41.

Gli stereotipi, già negativi, marcano gli algerini come nemici e spesso il discorso politico oppone l' “integrazione riuscita” dei vecchi immigrati europei all' “integrazione difficile”, ovvero impossibile, dell'immigrazione postcoloniale. La strategia dei poteri pubblici trasforma i vecchi colonizzati in nuovi stranieri.

L'emigrato di questa seconda fase è sostanzialmente diverso da coloro che lo precedono, sia nello spirito, sia, concretamente, nella gestione dell'esperienza migratoria e di ogni aspetto della propria vita (spese, alimentazione, impiego del tempo...).42 La disaffezione generalizzata verso il lavoro della terra e le condizioni di vita antiquate sarà il sentimento comune, che porterà il nuovo tipo di emigrato a smettere di essere contadino “nello spirito e nelle intenzioni, indipendentemente dall'emigrazione e spesso molto prima di essere emigrato”43.

Egli non parte per perpetuare la società contadina, ma confida nell'emigrazione per cambiare la propria esistenza. Non emigra per assistere il gruppo, ma per emanciparsi dalle sue costrizioni. Non si tratta più di un atto collettivo, inteso come volontà della comunità che sacrifica un suo membro, ma di un atto esclusivamente individuale, seppur comunque con ricadute positive sui familiari in termini economici.

La guerra, con gli spostamenti di popolazione, favorisce lo sradicamento e l'inurbamento. Tra il 1954 e il 1966 le dieci maggiori città algerine (capoluoghi di dipartimento) hanno assorbito il 75% delle migrazioni interne al paese44. L'urbanizzazione del futuro emigrato tende a divenire tappa precedente dell'emigrazione in Francia, mentre, in altri casi, è la famiglia di un emigrato che tende a urbanizzarsi in una città algerina. Anche il ritorno in patria è molto diverso: ora, l'emigrato fa risaltare in ogni cosa la sua posizione 41 Costantini D. (2009b).

42 Si veda Sayad A. (2002). 43 Ivi, p. 57.

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di distanza dal gruppo e dalla condizione di contadino; prima, il ritorno era un processo di reintegrazione “quasi rituale”45. Oltre alla ridefinizione dei rapporti con la comunità tutta, si hanno anche differenti relazioni familiari, con un rovesciamento delle gerarchie, dovuto alla dipendenza economica dei più anziani dai giovani emigrati. La mentalità calcolatrice associata all'uso della moneta e l'individualismo che ne consegue modificano lo stile di vita e minano il sentimento di solidarietà che rinsaldava i legami tra l'emigrato e il proprio thamourth (famiglia, villaggio, comunità nel suo insieme)46.

Il nuovo emigrato differisce dal precedente anche per la relativa “integrazione”, almeno nella condizione operaia, ed è perciò costretto a un confronto con la società francese, non ripetendo il comportamento di autosegregazione che caratterizzava i primi immigrati.

Agli occhi sia della società di partenza che di arrivo, il fattore di legittimazione dell'emigrazione è e resterà sempre il lavoro:

la busta paga, la busta paga, solo questo![...]Vai in posta per spedire i soldi. Devi dimostrare che li hai guadagnati, cioè che non li hai rubati. Alla mutua devi dimostrare che lavori. Credo che anche se muori, in Francia devi dimostrare di aver lavorato, che sei morto lavorando. [...]Se non muori per una disgrazia, devono trovarti addosso le buste paga. Non hai il diritto di morire in un altro modo. Allora, qui che cosa sei?47

Si assiste sempre più a un'emigrazione per la durata della vita attiva, piuttosto che per limitati periodi,

tutta la mia vita è qui [mostra un portafoglio pieno, contenente cedolini, attestati di lavoro, stati di servizio, corrispondenza dei servizi sociali e del fondo pensionistico, tutti documenti che per tutta l'intervista non ha smesso di sistemare nel portafoglio per tirarli fuori un momento dopo]. E' riassunta qui dentro; ci ci sono la mia pena, il mio sudore, il mio sangue...Sì, il mio sangue, perché ho versato il mio sangue, sono stato ferito. Ho corso per mettere insieme tutto questo, credevo di essere stato derubato e che mi avrebbero divorato tutto il mio lavoro. Qui ci sono ventitré anni di lavoro. E ancora mi hanno rubato quattro anni. I primi anni non c'erano tutto questo, non sapevamo di tutte queste cose: hai lavorato, ecco i tuoi soldi, vedi un po' tu che farne.48

45 Ivi, p. 53. 46 Ivi, p. 51.

47 Intervista di un emigrato di 28 anni, in Francia da tre, relativamente ben istruito (tre anni di scuola secondaria), in Sayad A. (2002), pp. 65-66.

48 Intervista a un emigrato di 63 anni, in Francia in attesa della liquidazione della pensione, a cura di Abdelmalek Sayad in Sayad A. (2002), p. 61.

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3.2 L'immigrazione postcoloniale e la “provvisorietà permanente”

Negli ultimi anni dell'Algeria francese l'emigrazione continua ad aumentare, con un prolungamento dei soggiorni e la generalizzazione a tutte le regioni algerine. Le tendenze precedenti si accentuano e la comunità algerina in Francia assume sempre più una struttura permanente, intesa come rete di solidarietà, pronta ad accogliere ogni nuovo arrivo. Se, da un lato, la comunità assicura la permanenza dell'emigrato, dall'altro, mantiene il suo senso di provvisorietà49, marcando spesso una netta distanza dalla società francese:

Allora si comprende come l'ambiguità delle relazioni mantenute con le due società e come le contraddizioni racchiuse nella loro condizione, alcune generate, altre trasformate e aggravate dall'immigrazione, abbiano potuto spingere gli emigrati soltanto a perpetuare l'illusione collettiva di un'emigrazione provvisoria, a dispetto delle smentite provenienti dal mondo reale. Infatti, esercitandosi a dissimulare e a dissimularsi la verità della sua condizione, l'emigrazione algerina ha finito col riunire in Francia una popolazione di emigrati che, quasi senza accorgersene, ha formato una “piccola società” relativamente autonoma.50

Gli accordi di Évian, firmati nel Marzo 1962, istituiscono il principio di libera circolazione tra Francia e Algeria, perpetuando sostanzialmente il regime derogatorio rispetto agli altri stranieri, vigente fino a quel momento per gli algerini. Questi, infatti, sono dispensati dall'obbligo del permesso di soggiorno e vengono a dipendere da convenzioni bilaterali, formulate per rispondere agli interessi dei governi francese e algerino. Resta il fatto che agli algerini si impone la scelta tra la nazionalità francese e quella algerina: nel secondo caso si diventa, però, ufficialmente stranieri, seppure con con regimi derogatori e comunque con il diritto, salvo un breve periodo, al ricongiungimento familiare51.

Il pensiero dei negoziatori francesi era di lasciare ai compatrioti rimasti in Algeria la possibilità di raggiungere liberamente la madrepatria, ma non si immaginava un tale afflusso di algerini in Francia (il saldo migratorio arriva a 480.000 nel 1963).

La regolazione dell'emigrazione

Politicamente, l'Algeria ha bisogno di raccogliere tutti i cittadini sotto un identità nazionale ricostituita, ma la situazione economica non permette di assicurare un impiego a tutti coloro che torneranno in patria. Il governo algerino ammette la necessità dell'emigrazione come soluzione alla disoccupazione, bilanciandola con misure restrittive 49 Ivi, p. 81.

50 Ivi, p. 82. 51 Infra, p. 59.

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verso tale scelta. Un decreto algerino del 29 Maggio 1963 esige dai candidati all'emigrazione un visto dell'Office national de la main-d'œuvre (Onamo), accordato solo se il candidato non ha trovato lavoro dopo un mese dall'iscrizione all'ufficio.

Vi saranno tentativi delle autorità francesi di riequilibrare i flussi migratori a favore di nazionalità diverse da quella algerina, concretizzatisi in accordi bilaterali con Marocco e Tunisia nel 1963, con Jugoslavia e Turchia nel 1965. Gli accordi con i paesi del Magreb configurano esplicitamente la selezione di un'immigrazione strettamente da lavoro: prevedono un età inferiore ai quarant'anni, garanzie per il trasferimento delle economie in patria e l'uguaglianza di trattamento sul lavoro, nonché l'accesso alla formazione professionale continua52.

Accanto a questi, due accordi franco-algerini metteranno fine al regime derogatorio di Évian, che, come si è detto, vigeva de facto da inizio secolo.

Il protocollo del 10 Aprile 1964 (accordo Nekkache-Granval) costituisce una prima restrizione al principio di libera circolazione, introducendo un controllo quantitativo, sanitario e professionale: la autorità francesi impongono che sia fissato un contingente per ogni trimestre (inizialmente fu di 7.000 lavoratori), in funzione dei bisogni del mercato del lavoro francese, e il governo algerino ottiene che i candidati all'emigrazione siano selezionati dall’Onamo.

Questa organizzazione formale dell’emigrazione lascia comunque aperta una breccia: l’emigrazione algerina può perpetuarsi oltre le filiere normative passando come semplice turismo (che gode della libera circolazione), per poi fare appello all’articolo 7 della dichiarazione dei principi di Évian ed esercitare un attività professionale in Francia.

Non soddisfacendo nessuna delle due parti, il 27 Dicembre 1968, dopo lunghi negoziati, si arriva a un nuovo accordo: mantenimento della libera circolazione dei turisti e controllo da parte delle autorità algerine sulla selezione dei candidati all'emigrazione. L'amministrazione francese potrà invece controllare l'insediamento degli algerini in Francia e costringerli al possesso di un permesso di soggiorno. I due paesi si impegnano a fissare congiuntamente, ogni tre anni, il contingente annuo di lavoratori algerini autorizzati ad andare a lavorare in Francia, stabilizzato a 35.000 dal 1969 al 1971, poi ridotto a 25.000 per i due anni successivi e con possibilità di revisione en cas de crise grave affectant sérieusement la situation de l'emploi en France.53

Ogni lavoratore selezionato dall'Onamo dispone di nove mesi per trovare lavoro, in caso 52 Pegna S. (2000), pp. 106-107.

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contrario è costretto a lasciare la Francia. Il lavoro da diritto a riceve un “certificato di residenza” della validità di cinque anni (dieci anni per coloro che risiedono in Francia da più di tre anni), che vale come permesso di soggiorno e di lavoro. A partire dal 1° gennaio 1969, ogni cittadino algerino in Francia sprovvisto di certificato di residenza è passibile di una misura di allontanamento e l'introduzione di nuovi lavoratori può avvenire ormai solo nel quadro del contingente annuo. Non è più accettata alcuna regolarizzazione in loco54,

mentre ad esempio i portoghesi continuano a beneficiarne ampiamente55.

L'accordo del 1968 vige tutt'oggi alla luce di tre emendamenti - 1985, 1994 e 2002 -, che tendono a equiparare il regime degli algerini, prima derogatorio, a quello degli altri stranieri56.

Il blocco dell'emigrazione e la politica del ritorno

Con la seconda metà degli anni '60 la congiuntura economica rallenta, mentre la presenza dei lavoratori stranieri acquista, lentamente, visibilità politica. La circolare Marcellin-Fontanet, all'inizio del 1972, annuncia la fine dei trente glorieuse, subordinando il permesso di soggiorno all'esercizio di un lavoro, negando la pratica delle regolarizzazioni e, dunque, rendendo possibile l'espulsione dei lavoratori immigrati. Il datore di lavoro dovrà depositare domanda presso l'Agenzia Nazionale per l'Occupazione, che deve controllare che non sia disponibile manodopera nazionale in quel settore, e deve farsi carico del viaggio e dell'alloggio del nuovo immigrato.

Nello stesso anno, vengono varati alcuni provvedimenti, dal valore sopratutto simbolico: l'eleggibilità degli stranieri nei consigli d'impresa, l'organizzazione di una rete di accoglienza, informazione e orientamento per i lavoratori e le loro famiglie57. Una legge definisce il razzismo come un delitto e lo rende perseguibile per via giudiziaria, ma ciò non impedirà il crescendo di violenze contro magrebini nell'estate del 1973. Cinquantadue morti e numerosi feriti nel corso dell'anno, riporta Tahar Ben Jelloun58.

Il 19 Settembre 1973 il presidente algerino Boumédienne, nel corso di una riunione dei Paesi non allineati, dichiara l’arresto immediato dell’emigrazione verso la Francia. 54 Si veda Pegna S. (2000), p. 103 e segg.

55 Spire A. in Sayad A. (2008), p. 113.

56 La situazione degli stranieri in Francia è regolata dalla legge Céséda (Code de l’Entrée et du Séjour des Étrangers et du Droit d’Asile), n° 911 del 24 Luglio 2006, JORF n°170 del 25 Luglio 2006.

57 Pegna S. (2000), p. 113.

58 Jelloun T.B. (1998), Ospitalità francese, Editori Riuniti/Theoria, Roma. La prima edizione francese è del 1984: la scrittura del libro segue l'assasinio di Taoufik Ouannès, 9 anni, il 9 Luglio 1983, nel quartiere dei « 4000 » alla Courneuve, periferia parigina. Vedi anche Mills-Affif E. (2004), Filmer les immigrés: les représentations audiovisuelles de l'immigration à la télévision française 1960-1986, De Boeck Université; p. 14 e segg.

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Ufficialmente la misura fa seguito al clima razzista francese, ma tale decisione si inscrive anche nel contesto della politica economica interna dell’Algeria e ha una portata geopolitica molto più ampia.

Da un lato l'Algeria ha voluto “manifestare pubblicamente, al momento di prendere la Presidenza della Conferenza (dei Paesi non allineati, n.d.r.), che essa ha ormai i mezzi di imporre costrizioni all'antica potenza coloniale, di obbligarla a un trattamento più rispettoso dei suoi cittadini e soprattutto di dimostrare che, in una situazione ormai favorevole, l'Algeria non ha più bisogno dell'emigrazione”59. Dall'altro, “la dichiarazione algerina si inserisce con autorità nella dialettica complessa delle correnti politiche e associative dell'emigrazione in Francia. Con l'aumento e la diffusione delle lotte operaie e sociali degli immigrati, gli Algerini in Francia sviluppano un proprio tessuto associativo complesso, parte nazionalistico, parte su base operaia. [...] Con questa manovra lo Stato algerino frena questo sviluppo di un'autonomia, o di un pluralismo”.60

Un anno più tardi, il 3 Luglio 1974, il governo francese decide la sospensione provvisoria dell’immigrazione di manodopera, che sarà, di fatto, definitiva.

Un altro provvedimento fondamentale sarà quello sul ricongiungimento familiare: una prima circolare del Luglio 1974, due settimane dopo quella del blocco della manodopera, vietava la venuta di nuovi immigrati, anche se familiari di immigrati già presenti nel Paese; gli obblighi internazionali impongono però che esso sia riconosciuto come un diritto, perciò viene emanata la legge del 29 Aprile 197661.

A partire dal 1977 la politica della Francia in materia di immigrazione si fonderà sul ritorno, prima volontario, poi organizzato, di centinaia di migliaia di stranieri verso il proprio paese d’origine62. In questo contesto, l’Algeria costituisce la priorità del governo francese, nella misura in cui la comunità algerina, con 819.000 presenze, è la più numerosa e gioca un ruolo politico e sindacale particolarmente importante63.

59 Weil P., La France et ses étrangers, citato in Pegna S. (2000), p. 114. 60 Ivi, p. 115.

61 Lo stesso giorno il governo, presieduto all’epoca da Jacques Chirac, pubblica un decreto che ne vuole limitare le conseguenze, impedendo l’accesso al mercato del lavoro a coloro che avrebbero approfittato della legge. Il decreto – contestato dalle associazioni sindacali e di sostegno agli immigrati – viene annullato dal Consiglio di stato con una decisione dell’8 dicembre 1978, che lo trova incompatibile con il diritto dello straniero alla conduzione di una vita familiare normale. Nel 1993 il Consiglio costituzionale consacra il ricongiungimento familiare – che è protetto anche dall’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani - come principio costituzionale. Costantini D., “Politiche migratorie e discriminazione: il caso francese”, cit.

62 Nel 1977 si crea un primo sussidio al ritorno volontario di 10.000 franchi (c.d. “million Stoléru”, dal nome del Segretario di Stato Lionel Stoleru, all'orgine del provvedimento); nel 1978, hanno inizio i rientri forzati, ovvero l'obbligatorio rispedimento al paese d'origine.

63 D'Hauteville L., Algériens: feu la liberté de circulation, in Plein Droit n°29-30, “Cinquante ans de législation sur les étrangers”, Novembre 1995 (http://www.gisti.org/doc/plein-droit/29-30/algeriens.html).

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Per imporre la sua politica di partenze forzate la Francia dispone oltretutto di un mezzo di pressione potente: gran parte dei certificati di residenza, prodotti con l’entrata in vigore dell’accordo del 1968, scadono nell’Aprile del 1979, dunque se ne può minacciare il mancato rinnovo64. Un accordo sotto forma di scambio di lettere è firmato il 18 Settembre 1980: la Francia non ha potuto imporre la partenza di 500.000 algerini in cinque anni, né la soppressione del regime specifico applicato agli algerini in Francia; l’Algeria è riuscita a preservare l’accordo del 1968 e il principio del rientro volontario. Ma la filosofia generale degli accordi è profondamente modificata.

Mentre prima si organizzava la venuta di lavoratori algerini, ora si incita il loro ritorno al paese d’origine. L’obiettivo ufficialmente proclamato è l’incoraggiamento alla partenza volontaria di 35.000 lavoratori all’anno. In cambio la Francia finanzierà aiuti al reinserimento in Algeria, previsto per 400.000 lavoratori tra il 1981 e 199065.

Il reinserimento è concepito dallo Stato algerino come un atto di sovranità nazionale, che elimina uno dei più dolorosi meccanismi ereditati dal periodo coloniale. Il processo di reintegrazione è volto al “riassorbimento” di una popolazione divenuta marginale, estranea alla propria società d'origine, ma che è ritenuta essere predestinata a tornare nella propria terra, per rispettare la propria condizione di immigrato, che in quanto tale, deve tornare al suo posto.

Con la politica del ritorno si esprime appieno il pensiero di Stato, che vede l'immigrazione come presenza subordinata, che richiede sempre un'opera di legittimazione, una ragione che le è esterna, un alibi (il lavoro, in questo caso), in assenza del quale si troverebbe al limite dell'assurdità rispetto alla ragione nazionale dello Stato66.

Tre formule vengono predisposte per attuare il ritorno: l'allocation-retour, un sussidio; la formazione professionale; la creazione di imprese di tipo industriale. Queste prescindono da questioni molto più ampie, che investono la volontà personale dei soggetti, le reali possibilità di riuscita dei progetti e il contesto socio-familiare nel quale dovrebbe effettuarsi la scelta. Il dominio, inteso come rapporto di forza asimmetrico, non è ancora terminato.

Fino al Marzo 1982, solamente 3.000 dossier per l'allocation-retour sono stati depositati; ci sono state 50 domande di formazione professionale e 200 per la creazione di imprese67. 64 Ibidem.

65 Bourenane M.N., “Éléments pour une approche critique de la question de l'immigration algérienne en France”, in Costa-Lascoux J., Temime É. (a cura di), Les Algériens en France, genèse et critique d'une migration, CNRS, Actes du colloque du GRECO 13 - Grenoble, 26-27 Gennaio 1983, Publisud, Paris, 1985.

66 Sayad A. (2008), p. 94. Il capitolo 3, “Il ritorno: elemento costitutivo della condizione di immigrato”, fornisce un'analisi più ampia dell'argomento.

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L’arrivo della sinistra al potere marca l’abbandono ufficiale della politica del ritorno, tuttavia, un nuovo scambio di lettere del 31 Agosto 1983 restringe la libertà di circolazione dei turisti algerini, imponendo loro, oltre al passaporto, una carta di sbarco e un biglietto di ritorno, cosi come, in alcuni casi, una certificazione di accoglienza68.

Proseguire nell'analisi significherebbe esaminare la legislazione sull'immigrazione fino ai giorni nostri69, quell'intricato campo di leggi volto a difendere la “fortezza Europa”, ma non è questo l'intento del lavoro. Alcuni elementi giuridici sono stati forniti al fine di comprendere quanto il rapporto di dominazione Francia-Algeria sia perdurato nel tempo, ma soprattutto quanto l'immigrazione sia, di per sé, prodotto di un rapporto di forza, pregresso o contingente che sia.

68 D'Hauteville L. (1995).

69 Per un'interessante analisi delle politiche migratorie della Francia fino agli anni più recenti si veda Costantini D. (2009b).

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