• Non ci sono risultati.

Capitolo secondo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Capitolo secondo"

Copied!
33
0
0

Testo completo

(1)

Capitolo secondo

Il fenomeno del traffico illecito contemporaneo e la situazione nell'area del Medio Oriente

Come abbiamo descritto nel capitolo precedente, l'attività riconducibile al traffico illecito di beni culturali è riscontrabile durante il passare dei secoli, ma solo nella seconda metà dell'Ottocento iniziò a costituirsi nel fenomeno che noi oggi, purtroppo, conosciamo; ed oggigiorno esso presenta delle caratteristiche peculiari, come conseguenza della società e del mondo attuale. Possiamo notare che il processo di globalizzazione e i mutamenti dello scacchiere internazionale, in particolare quelli riguardanti il Medio Oriente, hanno non solo aumentato le dimensioni del fenomeno, ma anche amplificato le interconnesioni fra i diversi mercati, grazie soprattutto allo sviluppo di comunicazioni sempre più veloci e in grado di unire tutto il globo. In più, gli spostamenti di individui e di merci sono diventati più semplici. In secondo luogo il traffico illecito non è più solo perseguito per semplici scopi di guadagno personale. Esso è principalmente gestito da reti criminali spesso internazionali che lo sfruttano come un qualsiasi altro scambio illegale o come corollario ad altre attività, tra cui la più preoccupante è costituita dal finanziamento per atti militari e di terrorismo. Ai fini della ricerca qua presentata, tralasceremo l'aspetto riguardante i furti d'arte che rappresentano un fenomeno minoritario ma certamente si dimostrano più interessanti per quanto riguarda il loro riscontro sui media e la loro ricezione nel pubblico. Principalmente ci occuperemo delle antichità saccheggiate/scavate illegalmente, fenomeno prevalente nell'area presa in analisi. Ma è doveroso accennare che essa non è una problematica che riguarda solamente la zona del Medio Oriente, ma rappresenta un problema su scala globale ed interessa da molto vicino anche l'Europa: un esempio su tutti, il fenomeno dei tombaroli che operano in Italia saccheggiando principalmente siti etruschi o aree dell'antica Magna Grecia, ma anche i saccheggiatori di antiche tombe o siti religiosi, come monasteri e chiese, nell'Europa meridionale e orientale.

Per iniziare l'escavazione e la rimozione illegale e il conseguente saccheggio sono, per prima cosa, una minaccia per la preservazione del patrimonio storico-culturale di un'area, e poi di tutta l'umanità. É un'attività illegale perpetrata sia in siti conosciuti agli studiosi, sia in siti ancora sconosciuti o non adeguatamente investigati dalla comunità scientifica: quindi i danni arrecati sono incalcolabili. Infatti,

(2)

«Lo scavo condotto con metodo scientifico è lo scavo stratigrafico, che procede per strati, individuando nel terreno i livelli di stratificazione corrispondenti alle epoche della nostra storia. Prima di estrarre un reperto, l’archeologo studia lo strato corrispondente, dal più superficiale al più profondo, dal più recente al più antico. Lo scavo clandestino, invece, è distruttivo: ha come unico obiettivo il prodotto della ricerca, il reperto archeologico da vendere. Distrugge il sito e ne rende impossibile lo studio. Gli oggetti asportati perdono irrimediabilmente tutte le informazioni relative alla loro storia, al loro contesto, alla loro epoca»1.

Una stima approssimativa sui danni arrecati, quindi, è possibile soltanto nel caso di siti precedentemente conosciuti, avvalendosi di foto, documentazione di scavo, registri di musei o le più moderne comparazioni di immagini satellitari riguardanti il prima e il dopo l'escavazione illecita; ad esempio nel 2006 è stato calcolato che su 400 siti funerari già studiati dagli archeologi in Turchia, il 90% presentava segni di saccheggio2. Fonti

turche riportano che nel solo 1997 più di 500 saccheggiatori sono stati arrestati trovando più di una decina di migliaia di reperti in loro possesso3. Anche in Marocco sono stati

denunciati fatti analoghi: nel 2012 il ministero dei beni culturali ha stimato che il 40% delle antiche incisioni su roccia e il 10% delle pitture rocciose sono state rubate o danneggiate4.

Un'altra problematica è costituita dall'avanzamento tecnologico che ha reso accessibili siti prima difficilmente raggiungibili data la loro posizione (come deserti od oceani). Ad esso si accompagna anche l'accesso a risorse finanziare che gli stessi studiosi non posseggono. In altre parole, molto spesso i saccheggiatori sono organizzati in squadre di più individui5 ed equipaggiati con moderne tecnologie per scavare di più in minor

tempo, il tutto producendo danni inestimabili. Ma anche se generalmente essi hanno dalla loro il fattore tempo, rispetto agli studiosi che hanno concessioni limitate per le loro indagini, i saccheggiatori non sono interessati nel preservare e analizzare la storia 1 E. Franchi, Terrorismo e beni culturali #3-Vendere il patrimonio, La Ricerca, 2015, disponibile al sito

http://www.laricerca.loescher.it/arte-e-musica/1147-terrorismo-e-beni-culturali-3-vendere-il-patrimonio-culturale.html

2 C. Roosevelt, C. Luke, Looting Lydia: The destruction of an archaeological landscape in western

Turkey, in N. Brodie , M. Kersel, C. Luke, K. Tubb (Eds.), Archaeology, cultural heritage, and the antiquities trade, Gainesville:University Press of Florida, 2006, pp.173-187, in B. A. Bowman, Transnational crimes against culture. Looting at archaeological sites and the "grey " market in antiquities, in "Journal of contemporary criminal justice", n.3, Vol 24, 2008, p. 229, disponibile al sito

http://ccj.sagepub.com/content/24/3/225

3 B. A. Bowman, op. cit., p. 229.

4 J. Doole, In the News: Statistics, in " Culture without Context: The Newsletter of the Illicit Antiquities Research Center", n. 5, 1999, in J. Tribble, Antiquities trafficking and terrorism: where cultural wealth,

political violence, and criminal networks intersect, p. 6, disponibile al sito

http://www.miis.edu/media/view/37908/original/illicit_antiquities_networks_final_1.pdf

5 In generale, gli archeologi portano avanti scavi e studi in squadre dai 10 ai 50 componenti per qualche settimana, mentre i saccheggiatori molto spesso hanno a loro disposizione più tempo e possibilità di impiegare squadre formate fino a centinaia di individui; in B. A. Bowman op.cit., p. 230.

(3)

del sito. Essi puntano solo al ritrovamento di oggetti vendibili sul mercato.

«They are not interested in systematically and carefully excavating an archaelogical site in hopes of scientifically accumulating information critical to understanding the diversity of the human experience through time and space. Theirs is instead a focus on locating saleable objects with economic potential, and as such, looters work brazenly and unhindered by ethical preoccupations with site integrity, meticulous documentation, stringent analysis, and dissemination of findings», usando le parole di Bowman6.

Quindi il sito, una volta subito l'assalto dei saccheggiatori, è perso per sempre e con esso la possibilità di ricostruire un periodo e consegnarci una finestra sul passato.

Fin qui si sono descritte le problematiche legate alla fisicità del sito di rimozione illecita del bene, ma il fenomeno in sè presenta, come già accennato, una problematica emersa solamente negli ultimi decenni: il legame sempre più stretto fra sottrazione e traffico illecito di beni culturali, da un lato, e crimine organizzato internazionale dall'altro. Il collegamento fra escavazione ed esportazione illeciti e la possibilità di enormi guadagni legittimi hanno reso il traffico di antichità un settore appetibile agli occhi del crimine organizzato transnazionale. Inoltre il bene trafugato illegalmente e la facilità con cui esso riesce a cambiare status, diventando legale con documentazione falsa facilmente reperibile, ne fa un facile ed appetibile mezzo per il riciclaggio («it's a very valuable commodity that allows you to launder money very easily»7). Il traffico illecito

rappresenta infatti una delle più recenti attività per i gruppi criminali internazionali ed è quella con il più alto potenziale di crescita per il crimine organizzato, che cercando di sfruttare l'enorme domanda di mercato semplifica, incoraggia e gestisce gli scavi illeciti, il trasporto e la vendita di antichità. Inoltre gli artefatti spesso sono facili da recuperare e raggiungere, e sono altamente remunerativi data la richiesta.

L'opportunità di grandi profitti porta alla cooperazione fra gruppi criminali rivali o del crimine organizzato con organizzazioni terroristiche, una cooperazione simile a quelle rilevate per altri traffici illeciti come narcotici, fauna e esseri umani. Altra caratteristica che mette il traffico di antichità sullo stesso piano di altre attività illecite è la rete costruita attorno, cioè i legami con la popolazione locale che effettua gli scavi, trafficanti che attraverso corruzione e rotte clandestine fanno passare i reperti da un paese a all'altro violando leggi nazionali e venditori capaci di piazzare i reperti sul mercato internazionale spesso con documentazione falsa, tanto da rendere lecito l'oggetto e venderlo al maggior prezzo ricavabile.

6 Ibidem.

(4)

Ad esempio nel 2012 le autorità doganali pachistane hanno rinvenuto 6 scatole con la dicitura "artefatti senza valore commerciale" che contenevano tra le altre cose monete, gioielli, intagli di Gandharan, dal valore all'incirca di 34 milioni di dollari pronti per essere spediti a Londra, Francoforte e Dubai. Secondo alcune fonti c'è la possibilità che dietro l'operazione ci fosse stata la regia del gruppo terrorista pachistano Haqqani8 che,

seguendo l'esempio delle altre organizzazioni, ha diversificato la provenienza delle proprie finanze tassando ogni tipo di traffico, incluse mazzette in cambio di protezione per i trafficanti che muovono reperti dall'Afghanistan al Pachistan con la sicurezza di non avere ostacoli lungo la strada9. Di sicuro gli oggetti d'arte sono una alternativa meno

sospetta rispetto a grosse quantità di denaro, oro o addirittura pietre preziose come diamanti, e, se di piccola dimensione, hanno anche il vantaggio di essere facilmente trasportati ed occultati. La connessione fra gruppi criminali e traffico illecito di beni culturali è ormai avvalorata in letteratura. È possibile ritrovarla anche, ad esempio, nelle testimonianze del saccheggio del museo di Bagdad nel 2003, dove risultò evidente che chi aveva perpetrato il furto possedeva un alto livello di conoscenza, indicativo di un coinvolgimento nel crimine organizzato10. Infatti per soddisfare la domanda

internazionale di antichità, i beni devono potersi muovere da una nazione all'altra e cambiare status da illeciti a legali, e, per fare ciò, c'è bisogno in primis di una rete di contrabbandieri con abilità nel muovere merci attraverso più nazioni in maniera discreta, e, poi, metodi e mezzi per la corruzione degli ufficiali delle dogane e per fornire gli oggetti di documentazione falsa: caratteristiche che un gruppo criminale a livello internazionale possiede.

Il traffico illecito di antichità è diventato un crimine di proporzioni globali poichè implica la rimozione e l'esportazione illegale di beni culturali dai così detti source countries ( i Paesi di provenienza dell'oggetto) che forniscono/supportano la domanda dei paesi più ricchi, le cosidette market economies or countries11. Inoltre i reperti così

rinvenuti e commercializzati possono essere paragonati ai diamanti provenienti da zone di conflitto, i blood diamonds. Ed è proprio a questa analogia che si riferisce Hardy quando pone una distinzione fra reperti illeciti definendoli "blood and conflict

8 G. Peters, Haqqani Network Financing: The Evolution of an Industry, The Combating Terrorism Center at West Point, 2012, in J. Tribble, op.cit., p. 9.

9 H. Pringle, New Evidence Ties Illegal Antiquities Trade to Terrorism, Violent Crime, National Geographic, 2014, Ibidem.

10 B. A. Bowman, op.cit., p. 231. 11 Ivi, p. 232.

(5)

antiquities"12, e cioè quei beni culturali che sono presi attraverso la forza da gruppi

armati con una motivazione politica (blood antiquities) o quelli usati per finanziare gruppi che perpretano abusi dei diritti umani a scopo politico (conflict antiquities). La differenza fra i due gruppi è sottile e spesso le due categorie si mischiano fra loro. La connessione con il crimine organizzato, infatti, significa anche che il traffico illecito comprende una componente violenta: dalle minacce all'uso della coercizione per gli individui impiegati nelle squadre di escavazione e di saccheggio, alla brutalità perpetrata su guardie o vigilanti dei siti dove si vuole sottrarre illegalmente gli artefatti, anche a monito e segnale per gli altri. Inoltre, la violenza viene usata anche per regolare le questioni fra i vari gruppi; come, ad esempio, riportano le autorità turche quando dichiarano che sono maggiori le morti per dispute causate da competizione per i siti da saccheggiare, che quelle derivanti dal commercio di eroina13.

Se, però, il crimine organizzato è sempre più implicato con il traffico illecito di beni culturali, esso si pone in cima alla gerarchia e utilizza, o forse per meglio dire sfrutta, individui che hanno sempre operato scavi illegali come lavoro stagionale o di supporto all' attività principale14. Questi individui, chiamati nella letteratura anglosassone

subsistence diggers o subsistence looters15, sono spinti dalla povertà, che condiziona il

loro status sociale, a trafugare beni culturali in violazione delle leggi nazionali del proprio paese. Per esempio, si stima che tra il 97-99% degli scavi illegali in Centro America siano effettuati da questa categoria di persone16. Ma il fenomeno è presente

anche in Medio Oriente, specialmente in Iraq e Afganistan, dove, viste anche le condizioni climatiche e del terreno, il lavoro viene effettuato in piccoli gruppi che scavano diverse gallerie sotterranee, alcune anche ad una certa profondità, che si diramano tutte da un punto principale, formando una caratteristica pianta a stella. Riportando la testimonianza di un saccheggiatore di nazionalità afgana coinvolto in tali attività: «[The villagers] tried to earn as much money as possible with their finds, to put 12 S. A. Hardy, The conflict antiquieties trade: a historical overview, in F. Desmarais (ed.), Countering

illicit traffic in cultural goods. The global challenge of protecting the world's heritage, Paris, ICOM,

2015, p. 21, disponibile al sito

http://icom.museum/fileadmin/user_upload/pdf/publications/Book_observatory_illicit_traffic_version_iss uu.pdf

13 B. A. Bowman, op.cit., p. 232.

14 Infatti le attività di escavazione e recupero illecito sono spesso effettuate quando il lavoro agricolo è in pausa o è caratterizzato da un periodo improduttivo.

15 K. L. Alderman, Honor among thieves: organized crime and the illicit antiquieties trade, "Indiana Law

review", vol.45, n.3, 2012, p. 606, disponibile al sito

https://journals.iupui.edu/index.php/inlawrev/article/view/18002/18120

16 D. Matsuda, The Ethics of Archaeology, Subsistence Digging, and Artifact Looting in Latin America:

Point, Muted Counterpoint, "International j. Of cultural propriety.", n. 87, 1998, p.91, in K.L. Alderman, op. cit., p. 607.

(6)

food on the table for their children. You don’t do this for fun. . . . If you’re not desperate, you never do this »17.

Ma prima di analizzare la situazione presente in Medio Oriente oggi, cerchiamo di descrivere brevemente come si articola il fenomeno. Per illustrare il funzionamento del traffico illecito di beni culturali ci avvaliamo del modello a quattro stadi formulato da P. Campbell18, che prende nome dalle quattro categorie generali da cui è costituito: alla

base dello schema troviamo la categoria dei saccheggiatori che rappresentano lo stadio più basso, poi si incontra il gruppo degli intermediari o early stage middleman, poi i late stage intermediary e, infine, i collezionisti che rappresentano il punto conclusivo del modello. Peculiarità dello schema è che un individuo possa essere coinvolto in una o più fasi e quindi eseguire più di un'attività. I personaggi coinvolti devono possedere conoscenze e abilità anche avanzate a seconda del ruolo che ricoprono nello schema. Più sono coinvolti nelle attività delle fasi superiori più le loro conoscenze devono essere approfondite. I requisiti richiesti per praticare tali attività infatti spaziano dalla localizzazione dei siti in cui operare, alle tecniche di scavo, al trasporto degli oggetti, fino alla storia dell'arte e conoscenze in campo di contrabbando internazionale e riciclaggio. Viene da sè che con l'aumento delle capacità possedute aumentino anche i profitti che si ricavano dal traffico illecito. I saccheggiatori conoscono le zone dove operare che comprendono siti archeologici e di escavazione, ma anche depositi museali; una volta estratti i beni, essi li vendono ai contrabbandieri che conoscono le strade di transito per portare merce illegale in altri paesi e, soprattutto, hanno contatti lungo e oltre i confini, utili per il trasporto. Questo stadio coinvolge più di un individuo, in quanto i beni devono spostarsi da una nazione all'altra nel modo più discreto e veloce possibile ed è quindi necessario che più di una persona operi per far passare la frontiera, ad esempio, tra Siria e Turchia e poi un'altra ancora si occupi del trasporto dalla Turchia ai paesi europei, come può essere la Germania. A questo punto operano gli individui appartendenti al terzo stadio, i late-stage intermediaries: essi mantengono i contatti tra gli individui coinvolti nel traffico illecito e quelli che rappresentano il mondo e il mercato artistico contemporaneo. Questi intermediari rendono legittimi i beni culturali esportati illecitamente, fornendo schede e documentazione falsa tra cui atti di vendita e autorizzazioni ad esportare l'oggetto dal proprio paese di appartenenza. Con questi 17 K.L. Alderman, op. cit., p. 607.

18 P. Campbell, The illicit antiquities trade as a trans national criminal network: characterizing and

anticipating trafficking of cultural heritage, "International journal of cultural propriety", n. 20, 2013, pp.

116-117, disponibile al sito https://www.cambridge.org/core/services/aop-cambridge-core/content/view/S0940739113000015

(7)

documenti il bene è pronto ad essere venduto nel mercato legittimo dell' arte ed acquistato da collezionisti, dipendenti museali, mercanti d'arte, funzionari d'asta e tutte le altre figure che, anche con dubbi sulla legittima proveninenza dell'artefatto, decidono di soprassedere sulla vera origine di quest'ultimo, formando il quarto ed ultimo stadio. L'immagine qui sotto riassume il modello di Campbell fin qui illustrato.

(Fonte: J. Pipkins, Isil and the illicit antiquities trade, "International affair rewiev", vol. XXIV, 2016, p. 104, disponibile al sito http://www.iar-gwu.org/sites/default/files/articlepdfs/IAR%202016%20-%2005%20ISIL%20and%20Antiquities%20-%20John%20Pipkins.pdf)

Il modello appena descritto è stato poi applicato e approfondito da uno studio condotto da S. Mackenzie e T. Davies nel 2014 su scavi illeciti in un tempio della Cambogia.19.

Al primo livello pongono Thom, un individuo che insieme al suo socio si occupa sia dello stadio primario dell'escavazione ed anche del livello superiore delle operazioni di trasporto. Sotto di loro un intero gruppo di saccheggiatori e lavoratori temporanei. Questi ultimi, ogni giorno si recano nei siti indicati loro da Thom, per una piccola somma di denaro. La maggior parte del lavoro è su base volontaria, anche se ci sono lavoranti che sono stati minacciati di uso di violenza e non ricevono nessun compenso, aumentando, così, i profitti di Thom e del suo socio. I beni ricavati da questa attività vengono poi spostati a Sisiphon, a 50 chilometri dal confine con la Thailandia.

In questa città lavorano come intermediari, due fratelli di nome Sambath e Phala. Essi fanno parte di differenti gruppi militari rivali che, però, in vista di opportunità di guadagno, non si dispensano dal collaborare insieme. Mentre un fratello riceve il 19 S. Mackenzie, T. Davis, Temple Looting in Cambodia: Anatomy of a Statue Trafficking Network, "British Journal of Criminology", 2014, pp. 1-19, in J.Pipkins, Isil and the illicit antiquities trade, "International affair rewiev", vol. XXIV, 2016, pp. 104-107, disponibile al sito http://www.iar- gwu.org/sites/default/files/articlepdfs/IAR%202016%20-%2005%20ISIL%20and%20Antiquities%20-%20John%20Pipkins.pdf

(8)

pagamento, l'altro porta i beni al confine thailandese. I rapporti fra Thom e i due fratelli di Sisiphon sono esemplificativi della struttura gerarchica fra il secondo e il primo livello, basata su l'uso della forza e della minaccia. Infatti Thom ha dichiarato di avere subito intimidazioni di uso della violenza da parte dei fratelli se avesse tentato di commerciare con altri intermediari, e per avvertimento gli hanno ucciso uno zio. La struttura gerarchica viene ulteriormente confermata anche dal funzionamento dei commerci fra i due livelli: Thom manda fotografie dei beni trovati e i due fratelli se interessati gli mandano in risposta un prezzo d'acquisto. I beni dalla località di Sisiphon, passano prima da un piccolo mercante di antichità di nome Rachana che risiede a Aranyaprathet al confine sud orientale thailandese, e da lì raggiungono Bangkok. Rachana rivela che spesso ha operato con l'aiuto dell'esercito thailandese e che negli ultimi trent'anni ha assistito al passaggio di ogni singola statua proveniente dalla Cambogia. Queste poi sono vendute con relativa facilità nella capitale thailandese e comprate da individui che le esportano fuori dal paese.

A Bangkok troviamo individui che lavorano al terzo stadio e cioè gli intermediari di secondo livello che mettono in contatto i beni di provenienza illecita con il mercato internazionale, ripulendoli e facendoli passare per legittimi grazie a documenti falsificati o creati ad hoc. Infatti questi individui sono addetti a verificare l'autenticità di documentazione dei beni ed ad assegnare un valore; ma spesso la compravendita di questi oggetti è caratterizzata da un mercato "grigio" dove documenti dubbi, spesso ritenuti anche persi, fanno sorvolare sul fatto che gli oggetti provengano da zone instabili o caratterizzate da conflittualità, e quindi della possibilità che siano stati esportati illegalmente.

Le antichità poi riservano un problema in più per determinare la loro reale provenienza poichè è ritenuto usuale il loro passaggio da paesi poveri a quelli ricchi. È avvalorato da studi20 il fatto che i traffici illeciti fioriscano maggiormente in stati meno sviluppati o

cosidetti falliti perchè in essi risulta più facile la corruzione di ufficiali statali di vario grado e il controllo del proprio territorio non è più garantito, passando sotto il dominio di gruppi extrastatuali che possono sfruttare le risorse dell'area, tra cui anche i beni archeologici, per finanziarsi e portare avanti attività criminali.

Il traffico illecito, infatti, è particolarmente presente in zone di conflitto e/o instabilità 20 M. Naim, Illicit: How Smugglers, Traffickers, and Copycats Are Hijacking The Global Economy, New York, Anchor Books, 2005, p. 5, in D. Grantham, Shutting down Isis' antiquities trade, National Center for policy analysis, n. 185, 2016, p.2, disponibile al sito http://www.ncpa.org/pub/shutting-down-isis-antiquities-trade

(9)

politica e di conseguenza di insicurezza economica, e quindi dove le persone facenti parte di una fascia vulnerabile sono volontariamente partecipanti o lo fanno perchè vi sono costretti. Abbiamo visto come al primo stadio ci siano i subsistence digger, che, appoggiati, o meglio, sfruttati dai gruppi criminali, hanno oggigiorno equipaggiamenti sempre più moderni e tecnologici. Il più delle volte essi non conoscono il reale valore degli oggetti ritrovati, e vendondo i beni saccheggiati, ne ricavano sempre una parte infinitamente minore rispetto al valore reale. Spesso gli scavi sono eseguiti per andare incontro la domanda di mercato che richiede sempre più antichità greco-romane, egiziane e mesopotamiche rispetto a quelle provenienti da altre antiche civiltà. Ma se andiamo ad analizzare i dati del database Interpol che comprende più di 47,000 oggetti illecitamente sottratti, e li dividiamo per provenienza, notiamo che i reperti provenienti dall'area MENA (Middle East and North Africa) sono solo il nove percento del totale (come da grafico sotto riportato).

(Fonte: S. A. Hardy, Illicit trafficking, provenance research and due diligence: the state of the art, 2016, p.3, disponibile al sito http://www.unesco.org/new/ fileadmin/MULTIMEDIA/

HQ/CLT/pdf/Hardy_2016_UNESCO_antiquities_trafficking_review_materia.pdf )

Ciò documenta la massiccia mancanza di documentazione e di denunce di paesi con pochi strumenti e, soprattutto, anche meno risorse per monitorare il proprio patrimonio culturale. Senza contare che non viene registrata la crescita di reperti illegalmente sottratti dovuta alle concomitanti crisi politiche, economiche e conflittuali. L'instabilità non fa crescere solo le attività illegali, ma facilita anche i percorsi attraverso cui gli oggetti trafugati passano da un paese all'altro e raggiungono i mercati occidentali. Tipici paesi di transito della zona mediorientale sono il Pakistan, la Turchia e il Libano, ma ultimamente anche l'Egitto, vista la sua vicinanza con la Libia; anche se quest'ultimo incarna l'esempio di quei paesi che sono sia source contries che transit countries. Al lato

(10)

opposto troviamo il Belgio che incarna l'esempio per quei paesi che sono sia transit countries per l'ingresso dei beni illegali nel mercato "grigio" dell'arte, sia market countries21. Quasi inutile dire che i mercati finali degli oggetti esportati illegalmente

sono i paesi più ricchi anche se c'è da precisare che l'83% dell'intero commercio è concentrato in tre paesi: al primo posto gli Stati Uniti (39%) seguiti da Cina e Gran Bretagna (tutte e due al 22%). Tuttavia per gli oggetti provenienti da area MENA importanti destination countries sono anche i ricchi mercati degli Emirati Arabi e della Giordania22.

Ma torniamo un momento al concetto di mercato grigio; che cosa si indica con tale espressione? Lo si può definire come quel mercato in cui le attività illecite e lecite interagiscono fra loro e coesistono insieme ed il mercato illecito di beni culturali ne è un perfetto esempio. Per molti aspetti, quali la spoliazione o il furto dei beni o la corruzione, esso è assimilabile agli altri traffici illeciti ma da questi si differenzia per tre caratteristiche: primo, commerciare in antichità e possederle è legale; secondo, gli oggetti, allo stadio finale, sono venduti a prezzi molto alti; terzo, i compratori finali sono soprattutto individui di provenienza da classi socioeconomiche alte23. Detto ciò,

quindi, l'illegalità/legalità dell'oggetto risiede nel fatto di come esso è stato esportato. Abbiamo un bene illecito quando esso è stato portato via illegalmente da qualche luogo, sia esso uno scavo archeologico, un sito o un museo. Le antichità che troviamo sul mercato possono essere inserite in tre categorie24 come illustra l'immagine qua sotto.

21 S. A. Hardy, Illicit trafficking, provenance research and due diligence: the state of the art, 2016, p.3,

disponibile al sito

http://www.unesco.org/new/ fileadmin/MULTIMEDIA/ HQ/CLT/pdf/Hardy_2016_UNESCO_antiquities_t rafficking_review_materia.pdf)

22Ibidem.

23 B. A. Bowman, op.cit., p. 226.

(11)

(Fonte: B. A. Bowman, Transnational crimes against culture. Looting at archaeological sites and the "grey " market in antiquities, in "Journal of contemporary criminal justice", n.3, Vol 24, 2008, p. 227,

disponibile al sito http://ccj.sagepub.com/content/24/3/225)

I beni che rientrano nel settore bianco sono quelli trovati durante scavi archeologici debitamente autorizzati e la loro proprietà ricade nelle mani dello stato o del proprietario della terra in cui lo scavo è stato condotto. Le antichità che fanno parte di questa categoria sono presenti nel mercato in quantità esigua, poichè lo stato di appartenenza, in ottica di preservare la propria storia ed eredità culturale, non lascia che questi artefatti vengano venduti. Subito dopo incontriamo gli oggetti che ricadono nell'area grigia: sono quelli per cui i documenti di ritrovamento o provenienza sono andati persi. La maggioranza di essi sono stati esportati e venduti quando gli stati di provenienza non avevano ancora una legislazione di regolamentazione e protezione del proprio patrimonio culturale. Inoltre è da anni che essi circolano nel mercato e quindi sono considerati legali solo per una questione di tempo. Tale ambiguità rende difficile la differenziazione dei beni da quelli appartenenti all'area nera, che sono stati saccheggiati in recenti scavi non autorizzati o illegalmente rimossi da siti o musei, fenomeno il più delle volte interconnesso con situazioni di conflitto ed instabilità politica nel paese di provenienza. Essi raggiungono il mercato come scoperte accidentali o come beni grigi, cioè provvisti di documentazione falsa dove la provenienza il più delle volte è omessa e la stessa storia del bene è molto vaga. Ma come puntualizza Brodie,

«in the absence of provenance, how can licit material be distinguished from illicit? "From an old European collection" is a common enough auction appellation, but one that might hide an old family heirloom or a recently looted (or fake) piece. Who is it to know? The only cautious response is to regard all unprovenanced material as looted»25.

Le antichità poi cadono in un tipo di proprietà culturale che presenta diverse lacune in quanto formano una classe poco regolamentata che non richiede documenti pubblici o sistematici degli scambi tra le parti, di conseguenza transazioni finanziare anche di milioni di dollari possono avvenire fra privati senza il bisogno di approvazione da parte di autorità o il bisogno di pagare un' imposta sulla vendita26.

Solo pochi oggetti provengono da collezioni databili attorno al XVIII - XIX secolo; inoltre essi sono subito riconoscibili perchè con loro hanno molta documentazione sulla provenienza, su chi possedeva l'oggetto, su chi l'ha descritto e analizzato e altri dettagli. 25 N. Brodie, K. Tubb, Illicit antiquities: The theft of culture and the extinction of archaeology, London, Routledge, 2002, pp. 1-22, in B. A. Bowman, op.cit., p. 229.

(12)

L'idea che ci siano collezioni di quel tempo ad oggi a noi sconosciute e che antichità sul mercato provengano da esse è un mito27.

Una delle falsificazioni più tipiche ed usate è la "clausola del nonno": cioè la situazione in cui un oggetto viene ereditato da un parente defunto o acquistato dalla collezione di un anonimo gentleman che a sua volta era entrato in possesso del bene in questione prima che escavazioni non autorizzate e con scopi non scientifici e le esportazioni illecite venissero proibite da leggi nazionali del paese d'origine del bene28.

Inoltre, per far ottenere a un oggetto trafugato legittimità e dotarlo di una buona provenienza così da renderne più facile la vendita, si conoscono tre tipologie di metodo, che di seguito andiamo ad analizzare brevemente29.

La prima è la tipologia della certificazione di possesso da parte di un nobile o un ufficiale coloniale. Secondo gli studiosi e le autorità coinvolti nella lotta al traffico illecito, è piuttosto facile trovare dei nobili oggigiorno impoveriti in Europa che dietro pagamento, ma in certi casi non ce n'è bisogno, confermino pubblicamente la proprietà del reperto. In certi casi invece viene inventato tale possesso quando viene a mancare l'ultimo erede di una famiglia nobile. In tale categoria si inserisce la "clausola del nonno" commentata precedentemente. Ma si può anche dichiarare che gli oggetti sono stati ritrovati in qualche casa di un lontano parente deceduto e chiederne il valore. Ma quest'ultima opzione, chiamata la tattica dell'attico, è caduta in disuso conseguentemente al massiccio utilizzo su Ebay. Ciò nonostante la Gran Bretagna rimane il luogo di provenienza principe per la documentazione falsa. Ciò è dovuto in larga parte al passato coloniale del paese e alla sua capacità di fornire al tempo innumerevoli posti nel governo coloniale, tanto che le diciture "acquistato da un avo in servizio coloniale in Egitto, Yemen o altro ex possedimento britannico" sono la normalità.

Il secondo metodo viene denominato la vendita circolare e prevede tempo e pazienza. L'oggetto viene tenuto fermo per un pò di tempo dopodichè messo in vendita con la semplice dicitura "collezione privata 1970 ca", così da rimanere non verificata. Il reperto poi viene ricomprato all'asta dal suo stesso venditore sfruttando o l'anonimato che una casa d'aste fornisce sia ai venditori che ai compratori che rimangono confidenziali, o avvalendosi di un prestanome. Tutto questo fa acquistare autenticità 27 G.Wessel, Dealers and collectors, provenance and rights: searching for traces, in F. Desmarais (ed.),

op. cit., p. 2.

28 S. Hardy , Illicit trafficking, provenance..., p. 11.

29 Le tre tipologie sono prese da G.Wessel, Dealers and collectors... , in F. Desmarais (ed.), op. cit., pp. 6-9.

(13)

all'oggetto per il solo fatto che le case d'aste garantiscono per ogni oggetto che vendono e in più l'oggetto acquista la dicitura comprato all'asta X della casa d'aste Y. Tutto ciò al solo costo delle commissioni che la casa d'aste tiene per sè ( e il costo dell'eventuale prestanome). Altra tecnica appartenente alla stessa tipologia è quella di usare il Registro dell'arte perduta (ARL) per ottenere una falsa provenienza. L'ARL è un database privato di all'incirca 300 mila oggetti rubati o mancanti usato da molti soggetti privati o istituzionali. Se si invia una richiesta su un reperto e questo si dimostra essere rubato, l'ARL manda automaticamente una segnalazione alle autorità di polizia. Ma se la verifica certifica che il reperto non è presente nel database, si riceve un certificato che permette ai venditori di dimostrare che hanno eseguito il loro dovere. Si può anche, con bassisismo rischio, offrire un oggetto a un museo per esporlo temporaneamente. Esso entra nel catalogo e acquista un background apparentemente legale.

Terza e ultima tipologia sono i documenti forniti ad hoc ai reperti. Questi documenti il più delle volte sono preparati negli stessi paesi di origine dei reperti o nei paesi di transito, vista anche la facilità con cui trovare un notaio per confermare il tutto. In Europa viene segnalata la Svizzera come paese fornitore di questi documenti soprattutto per vendere negli Stati Uniti. Anche in questo caso compare la dicitura convenzionale di un precedente possessore che ha il pezzo nella sua collezione da 40 anni e che ora lo sta vendendo. I documenti spesso sono resi più veritieri usando carta antica o vecchie macchine da scrivere anche se molto spesso vengono fatti errori, soprattutto cronologici. Ma alla fine il sistema funziona sempre quando sia il venditore sia l'acquirente svolgono il loro ruolo: è quest'ultimo soprattutto che deve porsi e fare poche domande. Chi fornisce documentazione falsa non si preoccupa della verosomiglianza dei dati, contando anche sulla possibilità di corrompere chi lavora alle dogane e al tacito assenso che caratterizza una parte del mercato dell'arte; alcuni esempi che riporta Hardy nel suo studio, che di seguito illustriamo, dimostrano quest'affermazione30.

Ad esempio, l'impero del trafficante d'arte illecita Subhash Kapoor, che quando fu arrestato nel 2011 era valutabile attorno ai 110 milioni di dollari, era basato su documenti che portavano intestazioni o firme false di individui membri della sua famiglia o collezionisti sconosciuti o irraggiungibili. Altro esempio è rappresentato dalla Hassan Fazeli Trading LLC, che nel 2008 ha esportato dagli Emirati Arabi Uniti agli Stati Uniti una testa di statua rappresentante il re assiro Sargon II. La vera provenienza 30 Tutti gli esempi riportati di seguito sono stati presi da S.Hardy, Illicit trafficking, provenance..., pp. 11-12.

(14)

del reperto era irachena e raggiungeva un valore di un milione e duecentomila dollari statunitensi. Ma per aggirare il divieto di commerciare in reperti iracheni privi di documentazione, la Fazeli dichiarò che proveniva dalla Turchia e aveva un valore di appena 6.500 dollari. Fortunatamente i documenti furono ritenuti falsi dalla dogana statunitense e la testa poi fu rimpatriata nel 201531. Nel 2011 invece la Fazeli esportò

una statua di Persefone, di provenienza libica, dagli Emirati Arabi Uniti alla Gran Bretagna, dove raggiunse l'attenzione della dogana britannica solo nel 2013. La documentazione fornita era confusa e raccontava di una storia di passaggi di proprietà tra lo stesso Hassan Fazeli e altri individui, certificando che la statua aveva un secolo di vita e un valore attorno i sessanta - settantacinque mila sterline, mentre in realtà la statua aveva più di duemila anni e un valore stimabile fra un milione e mezzo - due milioni di sterline. Portata all'attenzione degli esperti non ci volle molto per certificare la vera età del reperto e accertare la sua reale storia: la statua era stata trafugata dal sito patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO di Cirenaica. La statua fu subito restituita allo stato libico, ma la società responsabile, paradossalmente, non fu incriminata di alcun crimine. Tutti questi casi sono andati a buon fine, e cioè almeno il traffico è stato scoperto, fermato e gli oggetti restituiti, ma essi rappresentano la minoranza rispetto a tutte le altre situazioni in cui la documentazione è fasulla ma l'oggetto raggiunge lo stesso i mercati occidentali e viene acquistato.

Nel 2014 l' European Fine Art Foundation (TEFAF) ha stimato l'intero traffico di opere d'arte per il solo 2014 pari a un valore di 51 miliardi di dollari32. Mentre l'Unesco ne

denuncia uno illegale da 4 miliardi annui, anche se le stime non sono ufficiali e molte tendono a essere più cospicue33. Le antichità e i reperti sono poi per definizione finiti,

cioè non più prodotti, irrepetibili e di numero contenuto; ciò fa sì che il loro valore sia fra i ricavi più alti di tutto il traffico illecito. Il prezzo delle antichità è in continua crescita, raggiungendo valori anche dieci volte superiori rispetto alla decade passata, ma paradossalmente al saccheggiatore vanno le briciole mentre il venditore finale riesce a ricavare dalle 50 alle 1000 volte in più di quanto pagato34. Non sorprende quindi che

31 Hardy inoltre fa notare che anche se i documenti fossero stati ritenuti validi, l'illecito sarebbe continuato in quanto in Turchia vige una rigida legislazione sulle esportazioni di beni culturali dal 1923, erede della precedente legislazione Ottomana in vigore, almeno sul territorio turco, dal 1869. Ibidem. 32 C. McAndrew, TEFAF Maastricht Art Market report 2015, European Fine Art Foundation, 2015 in M. D. Danti, The finance of global terrorism through cultural property crime in Syria and northern Iraq, 2015, p.3, disponibile al sito http://docs.house.gov/meetings/FA/FA18/20151117/104202/HHRG-114-FA18-Wstate-DantiM-20151117.pdf

33 J. Tribble, op. cit., p. 4.

34 Queste stime sono possibili grazie ai casi di antichità ritrovate e che fanno luce sugli aspetti del traffico illecito, in J. Tribble, op. cit., p. 5.

(15)

questo non sia un mercato totalmente trasparente con numerose infiltrazioni criminali al suo interno. Dalla consultazione della letteratura in merito se ne conclude che si tratta di un mercato opaco, frammentato e senza regole ad ogni livello. Il progresso di internet poi, ha dato un maggiore impulso all'illegalità. Infatti sul web si può estendere esponenzialmente la rete di compratori e raggiungerne altri più facilmente rispetto ai normali canali di vendita, ma soprattutto si riducono i rischi tipici del contrabbando di opere d'arte.

Sulla connessione tra traffico illecito e web, Brodie fa un interessante e dettagliato studio, che qui riportiamo brevemente35. Come descrive lo studioso, possiamo affermare

che con il lancio nel 1995 del sito di aste online Ebay, contemporaneamente sia nato e cresciuto anche il mercato in internet di antiquità. Ciò ha fatto sì che anche società che praticavano la vendita diretta si siano trasformate in gallerie virtuali, chiamate internet dealers, mentre altre società si sono formate come vere e proprie case d'aste, chiamate internet auctions. Sul web si possono trovare veri propri mercati, uniti insieme da un semplice link ad un unico indirizzo web36. Quello che fa da padrone è la transazione fra

privati, anche geograficamente distanti fra di loro, che attraverso la rete possono interagire in tempo reale. In più il mercato cibernetico raggruppa una classe di collezionisti più etereogenea, soprattutto socio-economicamente parlando, rispetto alle lussuose gallerie di Londra e New York, privilegiando anche il fatto che attraverso l'uso della rete le merci possono essere depositate in luoghi più economici facendo diminuire anche i prezzi. Il problema che si pone è che essendo per la maggior parte transazioni fra privati in modo pressochè anonimo, i documenti non sono richiesti, favorendo gli oggetti di provenienza illecita. Con l'aumento della domanda si assiste ad un aumento dei falsi venduti che è opinione comune passi tutta da Internet. Nel 2009 11 vendite di antichità su 99 su Ebay si sono rivelate copie e falsi37, tuttavia si ritiene che molti falsi,

specialmente quelli più raffinati, si trovino anche dai venditori convenzionali.38

Con il passare degli anni il mercato su internet aveva raggiunto tali dimensioni che nel 2006 l'UNESCO, in collaborazione con INTERPOL e ICOM, pose in atto una azione 35 N. Brodie, The Internet Market in Antiquities in Countering illicit traffic in cultural goods, in F. Desmarais (ed.), op. cit., p.11.

36 Brodie cita l'esempio di Trocadero che raggruppa numerosi venditori d'arte e antichità; e anche Vcoins specializzato inmonete anche antiche; in questi siti il possibile acquirente atrraverso parametri di ricerca può sfogliare i vari cataloghi dei venditori affiliati al sito. Ad esempio nel Febbraio 2015 Vcoins aveva al suo interno 137 venditori di konete antiche con un totale di 91,764 oggetti per un valore totale di oltre 22 milioni di dollari, Ivi, pp. 11-12.

37 Ibidem. 38 Ibidem.

(16)

comune per frenare la vendita illecita di antichità. La collaborazione si è tramutata in un elenco di azioni che tutti, ma soprattutto i compratori, dovrebbero seguire prima di effettuare un acquisto (esse sono poi state poste d'obbligo in ogni sito di vendita di antichità e oggetti d'arte). Il testo letteralmente recita:

«With regard to cultural objects proposed for sale, and before buying them, buyers are advised to: i) check and request a verification of the licit provenance of the object, including documents providing evidence of legal export (and possibly import) of the object likely to have been imported; ii) request evidence of the seller’s legal title. In case of doubt, check primarily with the national authorities of the country of origin and INTERPOL, and possibly with UNESCO or ICOM» 39.

Ebay, il sito preso come riferimento nell'analisi di Brodie, sembra in regola con i dettami Unesco e ciò è riscontrabile anche effettuando una comparazione fra Ebay Germania e Ebay USA: i due siti risultano, all'apparenza, in linea, ma in pratica mostrano delle differenze. Preso un giorno a caso per compiere una ispezione sui due siti40, su quello tedesco si trovavano poche antichità e tutte accompagnate da immagini

rappresentanti anche la relativa documentazione. Contemporaneamente Ebay USA offriva migliaia di antichità prive di qualsiasi documentazione e provenienti tutte da venditori non residenti negli Stati Uniti: ciò, a parità di linee guida seguite dall'azienda , dimostra una differenza di auto regolamentazione dovuta soprattutto alla mancanza di supervisione esterna. Infatti in Germania è presente l'agenzia del Landesdenkmalpflege41, una istituzione federale atta ad ispezionare e controllare tutto

ciò che riguarda il patrimonio; autorità che invece manca negli Stati Uniti. Tutto ciò suggerirebbe che il mercato si sia spostato da paesi con un stretto controllo a quelli che hanno controlli meno rigidi o addirittura non ne prevedono, come USA e Gran Bretagna. Il problema che pone Internet è la sua continua evoluzione, sviluppo e ampliamento di uso, che fa sì che il traffico illecito trovi nuovi modi di sfruttarli, mentre la legislazione rimane indietro e non riesce a tenere il passo.

Come vedremo meglio nel capitolo successivo, i trafugatori siriani usano whatsapp e skype per vendere i reperti saccheggiati , mentre nel giugno 2015 sono state individuate numerose pagine Facebook per la vendita di antichità illecite provenienti da Siria e Iraq42.

Tutto quanto detto fin qui fa trapelare anche una buona dose di complicità dello stesso mercato dell'arte e anche delle stesse legislazioni nazionali in materia, che non sanno 39 Ibidem.

40 Brodie nel suo studio prende in considerazione il 12 febbraio 2015, Ivi, p.17. 41 Letteralmente l'autorità per la protezione dei monumenti.

(17)

porre normative chiare e restrittive per arginare il problema. Il fatto è che il mercato ha raggiunto dimensioni talmente rilevanti che è difficile cercare anche solo di controllarlo e spesso manca anche la collaborazione della categoria dei commercianti d'arte che molto spesso si trincerano dietro una sorta di solidarietà di classe ed evadono i quesiti o eludono il confronto con gli studiosi del tema. Ad esempio, sull'argomento dell'enorme quantità di reperti presenti con dubbia o addirittura senza documentazione, le associazioni di venditori replicano con il fatto che la documentazione non è stata obbligatoria fino agli anni Ottanta del secolo scorso e inoltre non era richiesta nessuna approvazione nè documentazione per l'esportazione di tali beni43. Inoltre le associazioni

di categoria sottolineano il fatto che gli stessi paesi di provenienza dei reperti sono colpevoli di non salvaguardare il loro patrimonio. Ma chiedere questo a tali paesi è quasi irreale visto il caos politico che la maggior parte di essi presenta, senza contare che in una economia di mercato l'offerta è determinata dalla domanda44.

Leggendo uno studio di Wessel sul mercato contemporaneo delle antichità ci si rende conto subito della situazione. Lo studioso fa subito notare come, sfogliando semplicemente un catalogo di una vendita d'asta, si noti subito che la descrizione della provenienza sia ormai diventata di consuetudine sommaria, regna la vaghezza e le diciture si ripetono: «precedente collezione europea privata» o «acquistato prima del 1970»45. Anche qui il mondo dei venditori si giustifica con il fatto che sono osservate

misure di privacy atte a contrastare attività di furti o tenere nascosta la vendita perchè il mondo dei collezionisti è ristretto e sapere che un tuo oggetto è in vendita è come dichiarare di aver bisogno di liquidità. Ma il problema si estende anche alle aste on line o addirittura agli annunci che si possono trovare sui quotidiani. Wessel ce ne illustra uno su cui ha personalmente investigato, trovato sul Allgemeine Zeitung del 7 marzo 2015. L'annuncio offriva una collezione privata risalente agli anni 50 di all'incirca 200 pezzi di arte islamica e pre colombiana. Telefonando al numero dell'annuncio si veniva a sapere che la collezione veniva venduta insieme e che non esistevano documenti per i singoli pezzi ma solo foto in bianco e nero della collezione e pochissimi documenti risalenti al 1982. «Ora la questione sta nel credere o non alla veridicità della collezione e come i compratori si comportano di fronte a casi del genere»46.

43 U. Kampmann, ufficio stampa della IADAA (International Association of dealers in ancient art), in G.Wessel, Dealers and collectors... , in F. Desmarais (ed.), op. cit., p. 2.

44 Ibidem.

45 Anno della firma della Convenzione Unesco sul traffico illecito di beni culturali. 46 Ivi, pp. 4-5.

(18)

Come visto precedentemente, spesso a una situazione di instabilità politica corrisponde anche un alto tasso di traffico illecito di beni culturali. É interessante inoltre notare la connessione fra instabilità politica e conflittualità da una parte, e, l'aumento delle vendite dei beni culturali dei paesi interessati da tali crisi dall'altra: tra il 2011 e il 2013, ad esempio, come riportano i grafici qua sotto, gli Stati Uniti hanno raddoppiato il numero di beni importati dalla Siria, come era successo qualche anno prima ai beni di provenienza egiziana in corrispondenza delle rivolte della Primavera Araba.

(Fonte: D. Grantham, Shutting down Isis' antiquities trade, National Center for policy analysis, n. 185, 2016, p.2, disponibile al sito http://www.ncpa.org/pub/shutting-down-isis-antiquities-trade)

Analizzando velocemente il mercato delle antichità egiziane negli ultimi vent'anni, se ne può avere una conferma. Nel 1997 fu fermato un network criminale che comprendeva il britannico Jonathan Tokeley-Parry, il quale camuffava antichità provenienti dalla repubblica egiziana come souvenirs turistici per facilitarne il trasporto. Essi poi venivano forniti di una documentazione che li faceva passare per essere appartenenti alla collezione di un tale Thomas Alcock, persona totalmente inesistente, per agevolarne la vendita negli Stati uniti presso il mercante d'arte Frederick Schultz. Con la loro cattura e condanna si pensava di aver reso il mercato più trasparente e più legale, pensando di aver assestato un importante colpo al traffico illecito e un avviso per tutti gli altri contrabbandieri. Purtroppo basta considerare le aste presso Sothesby's New York e la provenienza degli oggetti in catalogo dalla data della condanna dei due trafficanti, per accorgersi che da allora il traffico è aumentato. Come riportano i grafici,

(19)

a parte una leggera flessione nel 2000, le vendite di antichità egiziane sono cresciute a un tasso costante dal 2001 in poi (quindi dopo l'arresto e il falimento della richiesta d'appello per Schultz), senza contare il picco di crescita che si è registrata in corrispondenza con l'inizio della primavera araba. Ciò sorprende visto che era ben conosciuto, e sostenuto da prove evidenti, il saccheggio dei beni egiziani in quantità massiva e la diffusa mancanza di documenti ritenuti veritieri per gli artefatti venduti all'asta negli Stati Uniti47.

(Fonte: S. A. Hardy, Illicit trafficking, provenance research and due diligence: the state of the art, 2016, 47 S. A. Hardy, Illicit trafficking, provenance..., p. 13.

(20)

p.14, disponibile al sito http://www.unesco.org/new/ fileadmin/MULTIMEDIA/ HQ/CLT/pdf/Hardy_2016_UNESCO_antiquities_trafficking_review_materia.pdf )

Per analizzare meglio la tendenza possiamo considerare il mercato delle monete, uno degli oggetti preferiti dai trafficanti viste le ridotte dimensioni e gli alti profitti che fanno raggiungere. Riportando lo studio di Fanusie48, vediamo come si sia costruito un

vero e proprio condotto (l'autore parla di pipeline) che dai paesi mediorientali giunge negli Stati Uniti portando con sè una enorme quantità di reperti principalmente di origine illecita. La commissione americana per il commercio internazionale stima una crescita del 412% dal 2010 al 2014.

C'è da precisare come simili attività siano riscontrabili anche in Europa anche se gli studi sul tema sono in minoranza.

I dati comunque mostrano un aumento in concomitanza con le crisi conflittuali che rendono più liquefatte le frontiere. Come già premesso particolarmente pronunciato è il commercio di monete antiche, con Libano e Turchia a fare da ponte per il trasporto. Numerosi report inoltre documentano che gli ufficiali delle frontiere turche molto spesso chiudono un occhio favorendo tali trasporti illeciti. Da questi paesi gli oggetti seguono la già conosciuta via dei Balcani, già sfruttata per il traffico di migranti e di droghe. Una volta in Europa essi raggiungono i mercati americani.

«Imports of collector’s coins from the eastern Mediterranean to the U.S. increased significantly in recent years. Non-gold collector’s coins brought into the U.S. [...] increased 177 percent between 2010 and 2014, while imports of gold collector’s coins increased 48 percent during the same period. Non-gold coins imported from Turkey more than doubled, from $1 million in 2010 to $2.3 million in 2014. Lebanon

also had no historical, archaeological, or ethnographic goods declared entering the U.S. in 2010, but exported roughly $214,000 of them in 2014. Israel saw a 466-percent rise in non-gold coin exports to the U.S. during that period»49.

Anche Brodie si interessa al fenomeno prendendo in considerazione un periodo più ampio in relazione ai reperti iracheni. Egli riferisce come tra il 1990 e il 2003, nonostante la legislazione nazionale irachena e l'embargo delle Nazioni Unite, il traffico illecito non si sia fermato, ma anzi abbia prosperato approfittando della grave crisi del paese, e per farlo si avvale dello studio delle vendite di reperti antichi nelle aste tenute

48 Y. J. Fanusie and A. Joffe, Monumntal fight: countering the islamic state's antiquities trafficking , Center on sanctions and illicit finance at Foundation for defence of democracies, 2015, pp. 16-17, disponibile al sito http://docs.house.gov/meetings/FA/FA18/20151117/104202/HHRG-114-FA18-20151117-SD001.pdf

(21)

da Christie's50. In particolare il focus è puntato su oggetti con scrittura cuneiforme

perchè reperibili solo in Iraq e quindi rappresentativi delle antichità di quel paese. Le vendite aumentano fino al 2003, e stessa cosa si riscontra sul mercato di New York analizzando la casa d'aste Sothesby. Da sottolineare è che i reperti in questione sono tutti di provenienza non specificata, quindi, prosegue l'autore, può essere stato portato fuori dal paese intorno agli anni '90 e dopo la Risoluzione 66151. Proprio la provenienza non

specificata permette alle case d'asta di continuare a vendere antichità illecite nonostante il divieto contenuto nelle risoluzione. Nel maggio 2003 un altra risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU, la 1483, tolse l'embargo commerciale sui prodotti iracheni tranne che sulle armi e sugli oggetti culturali: l'art 7 specificava che il commercio in reperti iracheni era proibito quando «reasonable suspicion exists that they have been illegally removed» dall'entrata in vigore della risoluzione 661 e ne facilitava il ritorno in patria. Ma dall'aprile del 2003 si può notare un brusco calo di vendite di reperti forse dovuto anche alle ricaduta che le immagini del sacco del museo di Bagdad aveva avuto sull' immaginario collettivo. Allo stesso tempo bisogna vedere questo calo anche in un' altra prospettiva e considerare l'uso dei nuovi canali di comunicazione che forniscono maggiore privacy, meno controlli e quindi meno rischi e più collegamento diretto con i possibili compratori. Infatti al dicembre 2006 si potevano trovare ben 55 siti diversi per la vendita di antichità, di cui 23 avevano oggetti con scrittura cuneiforme. Chiaramente la realtà può essere peggiore perchè ciò che si trova su questi siti non vuol dire che sia l'intera offerta di reperti e quindi fa presumere che ce ne siano molti altri. In più questi non presentano un precedente possessore, nè indicano la provenienza specifica ma solo un vago “Mediterraneo Orientale” e ciò sta a significare una alta probabilità di reperti illeciti nonostante le risoluzioni e le legislazioni internazionali.

La stessa analisi viene ripetuta da Brodie nel 2008, scoprendo che nel frattempo non solo i volumi delle vendite erano ripresi ma erano anche aumentati. Vengono riportati anche due casi significativi. Uno è costituito dalle tavolette con scrittura cuneiforme vendute all'epoca dalla galleria Barakat: 229 oggetti in tutto che formavano il 69% del volume sul mercato. Ad una analisi degli oggetti esse presentavano una forma simile e soprattutto nomi ed iscrizioni che si ripetevano, facendo pensare ad un archivio 50 Tra le tre maggiori case d'aste (Christie's, Sothesby, e Bohnam's) proprio la prima è stata scelta per l'analisi perchè l'unica che mantiene vendite per tutto il periodo in questione, in N. Brodie, The market in

Iraqi antiquities 1980-2008, Archaeology, Center Stanford University , 2008, disponibile al sito

https://web.stanford.edu/group/chr/cgi-bin/drupal/files/Market%20in%20Iraqi%20antiquities %20(2008)%20txt.pdf

(22)

rinvenuto in uno stesso sito, anche se il venditore dichiarava di aver tali oggetti in magazzino dal 1956, collezione interamente comprata da un venditore giordano con provenienza da tutta l'area mediterranea.

L'altro caso è quello costituito dai The Nebuchadnezzar Larsa bricks, le quali sono tavolette contenenti una stessa iscrizione52, di cui alcuni esempi sono visitabili presso il

British Museum. Nel 2008 sei di queste tavolette erano in vendita presso diversi siti. La presumibile provenienza è il sito di Larsa in Iraq che mostra segni di saccheggio già dai tempi della seconda guerra del golfo. Per quanto sia stato visionato da esperti del National Geopraphic e studiosi britannici nel 2003 non è dato di sapere se abbia subito furti anche se ciò è molto presumibile. Inoltre le tavolette in vendita presentavano segni inequivocabili di utensili usati per tagliarle e portarle via. Contattati i venditori, qualcuno di essi non ha rivelato la provenienza, mentre altri hanno dato la solita collezione britannica databile all'incirca agli anni 6053.

Dopo l'introduzione generale veniamo ora ad esaminare la situazione dei principali stati componenti l'area mediorientale per comprenderne le specifiche peculiarità e problematiche. La maggior parte delle antichità sul mercato provengono da questa zona poichè qui vi è stata la genesi delle tre grandi religioni monoteistiche e le antichità presenti nell'area coprono un vasto periodo di tempo e diverse culture. Inoltre nell'area l'opportunità di traffico è maggiore visto l'endemica instabilità politica o la conflittualità che influenza negativamente la sicurezza soprattutto a livello del patrimonio e la diffusa corruzione negli strati politico-amministrativi.

Gli stati presi in analisi sono l'Egitto, il Libano, l' Iraq e la Siria. Il primo paese è particolarmente interessante visti i recenti fatti della primavera araba e il particolare rapporto che la sua popolazione ha con il proprio retaggio storico. Il Libano invece è un paese già preso in considerazione nel primo capitolo ma qua si è brevemente analizzato il periodo della guerra civile e il suo attuale ruolo di paese transito nel traffico illecito di beni culturali medio orientali. Le ultime due nazioni invece sono ancora oggi caratterizzate da instabilità politica, in Siria addirittura è in corso una guerra civile, e parte dei loro territori è posta sotto controllo del gruppo terroristico dell'Isis. Questo ultimo punto verrà meglio analizzato nel capitolo successivo, centrato proprio sull' Isis e lo sfruttamente del patrimonio culturale dei territori assoggettati.

52 «Nebuchadnezzar, king of Babylon, provisioner of Esagil and Ezida, prime son of Nabopolassar, king of Babylon, am I. Ebabbaca, the temple of Shamash in Larsa I restored as it was before, for Shamash, my lord», in N. Brodie, The Iraqi market...,

(23)

L'Egitto

Anche sotto il regime di Mubarak, erano effettuati i furti e i saccheggi di siti archeologici , ma dopo la primavera araba del 2011 l'attività di escavazione illecità è diventata pandemica nell'intero territorio egiziano; in più agli abituali mercati di Europa e Nord America si sono aggiunti quelli dell'estremo oriente e dei paesi del golfo arabo, aumentando considerevolmente la domanda.54

Data cruciale è stata il 28 gennaio 2011, quando il ritiro della polizia fece sì che la folla si riappropriasse illegalmente del proprio patrimonio culturale. Ciò accadde perchè sotto il regime di Mubarak la stessa popolazione ne era stata allontanata. Ad esempio, per motivi di sicurezza molti siti archeologici erano circondati da mura, la maggior parte delle missioni archeologiche erano affidate a team di ricercatori stranieri e le loro scoperte venivano divulgate solo in lingua occidentale. Questo allontanamento della popolazione dalla propria storia e dalle proprie radici era sottolineato dal fatto che gli egiziani stessi non erano abilitati nemmeno a costruire relazioni economiche a scopo turistico : infatti i profitti turistici andavano in larga parte a grosse compagnie estere. Anche i regimi post 2011 hanno considerato le popolazioni limitrofe a siti archeologici come una minaccia, quindi esse non vennero coinvolte nelle decisioni sul patrimonio o lo sviluppo degli stessi siti. Ciò ha fatto da supporto alle idee di gruppi per lo più di ispirazione Salafita, la stessa corrente ideologica dell'Isis, che hanno persuaso la popolazione a credere che il patrimonio appartenesse a una cultura corrotta55 in

contraddizione con i precetti islamici del Corano. La corrente ha lanciato numerose fatwa sul patrimonio dell'antico Egitto dichiarando che il commercio in antichità non è un peccato religioso se riguarda oggetti che rappresentano idoli56.

Anche se di religione diversa, pure le comunità copte cristiane in Egitto si sono rivelate, in maggioranza, vicine al pensiero delle correnti islamiche. Esse vedono nell'antico Egitto una civiltà del male poichè il faraone si è reso colpevole di aver allontanato e perseguitato Mosè. Tutto ciò ha reso il popolo egiziano incapace di identificarsi nella 54 Paesi del golfo arabo con preferenze su reperti islamici mentre i mercati occidentali hanno preferenza su oggetti dell'antico egitto, in M.Hanna, Documenting Looting Activities in Post-2011 Egypt, in F. Desmarais (ed.), op. cit., p. 47.

55 Ibidem.

56 Nel 2010 il Shaykh Muhammad Hassan ha lanciato sul patrimonio egiziano una fatwa e molti l'hanno preso sul serio , anche se poi ha dovuta ritirarla dopo le proteste e le pressioni da parte dei media; ma nel 2011 un altro Shaykh (Muhammad Shahhat della Da’wa Salatita di Alessandria) ha dichiarato che la cultura dell'antico egitto è corrotta e le statue andrebbero ricoperte con della cera, in M. Hanna,

(24)

tradizione e nel proprio retaggio storico e ha favorito l'aggressione al patrimonio57. Con

il crollo del regime quindi prelevare illegalmente reperti e antichità non era visto come un atto illecito. Tutto questo veniva supportato da insistenti voci, rimaste per lo più senza prove, secondo cui anche gli alti ufficiali del governo trafficavano, per tornaconto personale, in antichità. Ne consegue che il patrimonio sia stato percepito come una mera proprietà statale invece che come diritto culturale proprio della persona e l'art 50 della Costituzione (« il popolo ha diritto sul proprio patrimonio e la sua protezione») non ha ancora avuto effetto, anche considerando i minimi sforzi del nuovo governo per cambiare la situazione58.

Purtroppo la crescita rapida ed esponenziale di tale fenomeno ha creato parecchi problemi: in primis, uno di carattere sociale e cioè lo sfruttamento minorile. In molti casi l'uso di bambini per esplorare tunnel e gallerie ha portato alla morte prematura di numerosi di questi59. Altro fenomeno è l'aumento di frodi riguardanti falsi, visto che

specialmente in aree periferiche ed oasi, gli abitanti usano nascondere reperti falsi per poi farli scoprire a ricchi provenienti da Egitto e da altri paesi arabi. Ma il fatto più grave è l'aumento di violenza e il coinvolgimento del traffico "arte-per-denaro". Con la parallela crisi in Libia i confini sono diventati più liquidi e più atti a simili traffici. I siti archeologici quindi sono presi di mira da bande equipaggiate di geosonar che arrivano anche all'omicidio per proteggere un sito scoperto o conquistarne uno appartenente ad un gruppo rivale. Queste gang hanno spesso conoscenze archeologiche, anche se si vocifera siano aiutati da esperti stranieri e che lavorino spesso per compratori o collezionisti. Inutile aggiungere che nella loro ricerca di reperti distruggono i siti di estrazione, facendo perdere all'intera comunità internazionale un patrimonio di informazioni e conoscenze riguardo gli stessi scavi. Le gang in più poi sfruttano i locali giocando sul fatto della diffusa disoccupazione, mentre loro offrono un pagamento giornaliero sicuro.

Ovviamente subito si è inserito il crimine organizzato transnazionale, dando supporto ai gruppi locali, trafficando antichità insieme a droga e armi, e passando per paesi di transito come Israele, perfetto vista la vicinanza con l'Egitto e soprattutto per il fatto che 57 Anzi è documentato che molti saccheggiatori, perfino copti, soprattutto se non hanno i mezzi per permettersi tecnologie come sonar, si avvalgano di Shaik ritenuti magici in quanto sanno predire il luogo in cui effettuare lo scavo al-Bagoushi, Ibidem.

58 Tenendo conto del fatto che molti siti presso il Delta del Nilo e il Cairo sono andati persi per la mancanza da parte del governo di portare un piano urbanistico di costruzione di nuovi palazzi preservando le aree di interesse archeologico-culturale, Ivi, p. 48.

59 I bambini e gli adolescenti si dice che vengono mandati a provvedere per la propria istruzione, un espressione che cela lo sfruttamento di questi nel traffico illecito di antichià, Ibidem.

(25)

qui il commercio di antichità è legale. Qui si raccolgono reperti dall'intera regione e si smistano verso le varie destinazioni, tra cui i paesi del golfo dove la vendita avviene alla luce del sole60. Infatti si ritiene molto probabile che migliaia degli oggetti trafugati

dal 2011 in poi siano passati attraverso i tunnel fra l'Egitto e Gaza, e da lì abbiano raggiunto Tel Aviv dove legalmente sono stati venduti o inviati nei paesi mercato di destinazione, passando per la Turchia.

Purtroppo le strade intraprese dai reperti per arrivare sui mercati di destinazione sono molteplici e non si fermano alle conosciute rotte terrestri attraverso paesi di passaggio/raccolta e poi paesi-mercato. Soprattutto nei casi di medi-piccoli oggetti, essi lasciano l'Egitto anche attraverso valige diplomatiche, come nel caso delle due statue trafugate dal sito di Mit Rahina attraverso una valigia diplomatica belga in attesa che si fermassero le ricerche della polizia locale. Gli oggetti più piccoli invece possono essere trasportati semplicemente via aereo dentro i bagagli dei turisti: ciò specialmente nei casi di libri, manoscritti e paramenti copti, poichè la pergamena o la fibra tessile non è visibile attraverso i metal detector. Anche monete e piccola gioielleria spesso tentano la stessa strada, ma questi per via del loro materiale spesso vengono individuati in aereoporto. Materiale ligneo di dimensioni grandi come sarcofagi o pannelli copti viaggiano mescolati in container contenenti oggetti lignei contemporanei dal porto di Damietta o da Port Sa'id61, avvantaggiandosi del fatto che gli ispettori possono

perquisire solo il 6% dei container pronti per l'esportazione. In più per la maggior parte gli ispettori non hanno le tecnologie adatte per contrastare il fenomeno ed infatti fino al 2014 il porto di Ain Sokhna e l'aeroporto di Sohaj erano sprovvisti di checkpoint per le antichità62.

Il Libano

Anche se provvisto di una buona legislazione in materia di protezione del patrimonio, durante la sanguinosa guerra civile che colpì il paese negli anni Ottanta del Novecento l'escavazione illecita raggiunse picchi senza precedenti e si propalgò anche nelle zone più periferiche, anche se le aree più colpite furono l'area della Beqaa e il Sud.

Diversamente dall'Egitto in questo caso non si sono riscontrati scopi religiose dietro i saccheggi ma solo motivi economici, di facile guadagno. In questo furono aiutati dalle 60 Hanna riporta l'esempio della galleria Barakat ad Abu Dhabi che vende antichità illegali provenineti

da tutta l'area indisturbata dagli sforzi del governo egiziano per fermare il commercio, Ibidem. 61 Ivi, p. 56.

Riferimenti

Documenti correlati

40 Si Mouchette, telle une nouvelle Ève, doit « recommen- cer l’histoire du vieil univers », c’est à cause du choix qu’elle doit nécessairement faire entre l’Espoir divin et

Nel 2018 Comieco ha erogato più di 97 milioni di euro a oltre 5.500 Comuni in convenzione, a fronte delle ton- nellate di carta e cartone raccolte.. Nel 2019, l’impegno eco- nomico

Fissata la dimensione delle forze di lavoro e data una funzione di produzione, il tasso naturale di disoccupazione determina il livello naturale della produzione.. Nel breve

in relazione ai momenti di maggiore criticità della situazione politico-economica italiana»: tali artifici “temporali/informativi”, compiuti in consapevole e

La popolazione della Venezia-Giulia e di Trieste ha espresso già innumerevoli volte durante la lotta di liberazione la sua volontà che tutto questo territorio insieme

Trovare la tensione di ognuna di esse Forze: di gravit` a, tensione delle funi Nel punto in cui le funi si incontrano la risultante deve essere nulla. Il momento rispetto a questo

Negli anni più recenti, considerando i livelli raggiunti ma anche alcuni incentivi al settore produttivo, la produzione con finalità non abitative mostra maggiore vitalità, e

CAPITOLO PRIMO “Contratto e mercato agroalimentare: il problema dello squilibio di forza contrattuale tra le parti”:.. Evoluzione dei meccanismi a protezione dell’operatore agricolo