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CAPITOLO 1 Il Lean- thinking

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CAPITOLO 1

Il Lean- thinking

1.1 Premessa

L’origine del Lean-thinking è frutto dell’evoluzione e dello sviluppo delle filosofie di organizzazione del lavoro concepite in passato [1].

Definiamo “organizzazione” la divisione del lavoro tra persone i cui sforzi devono essere coordinati per raggiungere obiettivi specifici. Possiamo distinguere tre approcci allo studio dell’organizzazione.

L’approccio classico (teoria della macchina) tende a considerare l’organizzazione come un sistema chiuso, come una macchina, il cui funzionamento è di primaria importanza. La base per dividere il lavoro da farsi, in funzione del raggiungimento degli obiettivi, sta nella natura del lavoro stesso.

La soluzione ottimale dei problemi di un’azienda è data da:

 un’organizzazione razionale;

 meccanismi di regolazione e controllo per farla funzionare;

 uomini adatti ad adeguarsi.

Tale approccio si sintetizza nei due slogan:

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“Definiamo una struttura con chiare e precise responsabilità, creiamo meccanismi di pianificazione e controllo efficienti e razionali e poi cerchiamo di mettere gli uomini giusti al posto giusto”.

L’approccio relazioni umane (scuole sociali) afferma che i problemi di coordinamento che sorgono in ambito organizzativo scaturiscono dal non tenere conto dei bisogni e dei valori delle persone che compongono l’organizzazione stessa. Il lavoro, infatti, dovrebbe essere diviso nel modo più idoneo a suggerire la disposizione alla collaborazione. Non esiste una soluzione organizzativa che, attraverso la sua scientificità e razionalità, sia in grado di dare una risposta tale da garantire il perseguimento dei fini dell’organizzazione stessa. È l’uomo, con la sua capacità e volontà, l’elemento motore determinante dei successi ed insuccessi dell’organizzazione. L’organizzazione efficiente è quella che consente il massimo utilizzo delle risorse individuali e collettive e quindi la strada per massimizzare l’efficienza non è quella della regolazione razionale dei compiti e dei ruoli, ma quella del miglioramento dei rapporti fra i soggetti “attivi” nell’ambito dell’organizzazione.

Lo slogan di tale approccio è:

“Uomini capaci, un buon clima, positive relazioni interpersonali sono, per la scuola sociale, la soluzione ottimale dei problemi umani in azienda”.

L’approccio sistematico (scuole sistemiche) considera l’organizzazione nel suo ambiente.

Gli obiettivi da raggiungere vengono visti come il legame essenziale fra l’azienda e quelle parti di ambiente che sono vitali per la sua sopravvivenza e la sua espansione. Sono le decisioni, più che le attività, ad influire maggiormente sul conseguimento degli obiettivi.

La struttura organizzativa dovrebbe provvedere, prima di tutto, ai canali di comunicazione che faciliteranno le decisioni. In breve, dati certi obiettivi, identificati in funzione dello scenario esterno, le decisioni da prendere per raggiungerli ed i canali di comunicazione, necessari per attuare le decisioni stesse, devono determinare la struttura dell’organizzazione.

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Figura 1.1 – L’uomo nell'evoluzione dell'organizzazione aziendale

1.2 Il modello giapponese

Dagli anni Sessanta in poi, con il modello “Company Wide Quality Control” (CWQC) o “Total Quality” balzano prepotentemente alla ribalta i giapponesi [1].

La domanda di partenza di questa filosofia è: “Perché esiste l’azienda?”.

La risposta non è quella occidentale “per fare profitti” né quella socialista “per il benessere dei lavoratori”, ma semplicemente “l’azienda esiste perché esistono i

clienti”.

Il punto di partenza allora è: il cliente è l’obiettivo fondamentale dell’azienda (1° punto).

Inoltre, poiché il cliente, se non è soddisfatto, sceglie un altro prodotto, l’obiettivo fondamentale dell’azienda viene precisato meglio: la soddisfazione del cliente diventa l’obiettivo principale dell’azienda (2° punto). A questo punto ci poniamo la domanda: “Come si ottiene la soddisfazione del cliente?” La risposta è: la soddisfazione del cliente si ottiene attraverso la qualità (3° punto).

La deduzione logica che segue a questa affermazione è che, se la qualità è l’obiettivo prioritario dell’azienda allora tutte le persone e tutti i settori dell’azienda sono

interessati alla qualità (4° punto) e quindi ogni persona dovrà essere responsabile della qualità del proprio lavoro (5° punto). Si parla così di qualità totale.

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A questo punto i giapponesi introducono un altro concetto innovativo, il concetto di

miglioramento continuo (kaizen) (6° punto): se la qualità totale è l’obiettivo prioritario

dell’azienda, l’azienda non deve limitarsi a controllare la qualità ma deve cercare di migliorarla continuamente.

L’elaborazione del modello prosegue poi con l’adozione dell’uso dei metodi statistici (7 strumenti, PDCA, ecc.) (7° punto) per ottenere miglioramento continuo della qualità. Inoltre, se bisogna perseguire la qualità totale e il miglioramento continuo per ottenere la soddisfazione del cliente allora è necessario un addestramento massiccio, cioè la

formazione di tutto il personale dell’azienda alla mentalità della qualità e all’uso

degli strumenti statistici (8° punto).

Infine, poiché la qualità totale coinvolge tutta l’azienda ed è l’obiettivo prioritario, allora questo rinnovamento deve partire dal vertice dell’azienda che deve essere pesantemente coinvolto. Quindi la formazione deve iniziare dal vertice (9° punto). La Qualità Totale non può essere considerata una teoria rivoluzionaria. È una teoria, però, che ha l’indubbio merito di avere reso operativa la teoria, di avere proposto alle aziende sfide reali e non ideologiche e fornito un insieme coerente in tutte le sue parti. Infatti, ponendosi come obiettivo la qualità per la soddisfazione del cliente, concentra i suoi sforzi sia sul miglioramento del sistema produttivo che sull’uomo senza che nessuno dei due prevalga sull’altro.

Sicuramente, quindi, il “modello” Qualità Totale affonda le sua radici nella “scuola del management scientifico” e nelle “scuole sociali” che mettono al centro dell’azienda l’uomo.

Proprio dalla filosofia della qualità totale, nasce e si sviluppa il Lean-thinking che ne riprende integralmente i concetti. Il Lean-thinking, infatti, si muove in una logica di continuità con la Qualità Totale e ha preso da essa tutta una serie di concetti e metodi di lavoro. Oltre alla qualità totale nella pratica della teoria snella hanno grande posto anche altri modelli/“strumenti di lavoro” tipo l’ingegnerizzazione dei processi, sistemi Just In

Time, la progettazione simultanea, la gestione per valori, ecc. Il grande merito di questa

filosofia, quindi, risiede nella capacità di sistematizzare i principi delle precedenti e a dare obiettivi ed un preciso quadro di riferimento a tutte le azioni di miglioramento ed a

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stabilire quindi un preciso modo di procedere. Questa filosofia sottolinea che l’unica condizione per il successo di questo metodo consiste nell’applicazione integrale di tutti i suoi principi e delle sue tecniche, consentendo così l’elaborazione di un’unica logica aziendale globale e snella.

1.3 Le origini della Lean Production

Il Lean-thinking è una filosofia di pensiero che ha le sue radici nel Lean Manufacturing, il modello di produzione ormai noto in tutto il mondo originato dal sistema di produzione Toyota. La Lean Manufacturing ebbe il suo inizio con Henry Ford e la sua linea di assemblaggio in movimento che diventò poi il modello su cui Toyota basò il proprio sistema di produzione negli anni Quaranta:

“Una linea in continuo movimento è un flusso continuo di materiale”.

Ne consegue quindi che qualsiasi cosa che blocca o rallenta il flusso del materiale è uno spreco.

Sfortunatamente la Ford Motor Company si allontanò successivamente dalla visione originale di Henry Ford in quanto, nello stabilimento di Rouge, uno dei più grandi complessi produttivi dell’epoca, si passò dall’attenzione al flusso del materiale all’obiettivo di ottenere quanti più esemplari possibili del modello T mantenendo le macchine sempre impegnate, sia che i processi a valle fossero disponibili sia che non lo fossero. Le scorte interoperazionali crebbero a dismisura in quanto ogni macchina lavorò al proprio tempo ciclo, incurante delle richieste degli altri processi.

Ford fece l’errore di trasformare lo stabilimento di Rouge in una serie di isole tra loro scollegate che si riempivano di prodotti semifiniti in attesa di essere assemblati nel veicolo finale. Le fluttuazioni della domanda del mercato venivano assorbite da una produzione che forzava i prodotti finiti nella rete dei venditori (produzione push). Il flusso di produzione (come era stato concepito da Ford nel 1914) si era trasformato nella produzione di massa.

Nel frattempo, negli anni in cui dominava la produzione di massa, il Giappone, uscito sconfitto dal secondo conflitto mondiale, si trovava a competere con vincoli che le

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industrie occidentali, specialmente americane, non avevano. Infatti, il Giappone nell’immediato dopo guerra aveva [2]:

 costi delle materie prime più elevati, poiché era un paese con scarsità di risorse che pertanto dovevano essere importate;

 rigidità salariale a causa di un pesante sistema sindacale introdotto dai vittoriosi americani;

 una domanda interna meno elevata rispetto ai paesi occidentali, considerando anche le difficoltà dettate dalla crisi economico-finanziaria che si era instaurata dopo la sconfitta del secondo conflitto mondiale.

I giapponesi, attratti dalla produzione di massa che trainava a veloci ritmi le industrie occidentali, cercarono di competere tramite prodotti similari con scarsi risultati. La produzione di massa rispettava un’equazione molto semplice, ovvero “qualità = costi” e, pertanto, con un gap di partenza sfavorevole dal punto di vista dei costi, il rischio era di produrre prodotti con ancora più bassa qualità dei prodotti occidentali.

Nel 1950 l’erede Toyota, Eiji Toyoda e il suo manager della produzione, Taiichi Ohno, si recarono presso la Ford Motor Company per capire come attuare le tecniche della produzione di massa in Toyota. Ohno intuì subito che, per i motivi sopra esposti, sarebbe stato un insuccesso. Occorreva una totale rivoluzione della mentalità delle persone e quindi una nuova cultura aziendale.

Ohno accolse, quindi, un certo numero di idee importate dall’ovest e con una lunga serie di esperimenti “sul campo”, in produzione, riuscì a sviluppare il Toyota Production System (TPS).

La linea automatica Toyota si fermava ogni volta che c’era un problema qualitativo: questo fu la base per il concetto del Jidoka (qualità intrinseca) nel Toyota Production

System.

La linea di assemblaggio in movimento di Ford fu il modello per il materiale in continuo movimento, ispirando, attraverso i libri dello stesso Ford, come “Today and

Tomorrow” dove tutti i concetti base della produzione lean venivano spiegati, i

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Ohno fece suo anche il sistema supermarket: stoccare una piccola quantità di tutti i prodotti che il proprio cliente può desiderare e rifornire man mano solo gli oggetti che vengono usati. Questo è quello che si definisce un sistema pull di produzione.

Il Toyota Production System riprendeva la varietà di mix, seppure in maniera minore, della produzione artigianale e il volume notevole di quantità prodotte dalla produzione di massa, unendo gli elevati volumi tipici di quest’ultima alla flessibilità tipica della produzione artigianale (Figura 1.2) [3].

Figura 1.2 - La Lean Production, tra produzione artigianale e produzione di massa

La Toyota, al contrario di Ford, riconobbe l’importanza dei lavoratori, che non dovevano essere solo forza lavoro, ma essere partecipi del processo e delle loro motivazioni anche attraverso incentivi quali posti di lavoro fissi e diritti superiori a quelli riconosciuti in Europa. Un’altra scoperta chiave della Toyota fu la possibilità di rendere la linea di assemblaggio flessibile al cambio di prodotti, minimizzando i tempi di setup e changeover.

L’industria americana dell’auto si svegliò solo nel 1990 quando fu pubblicato il libro “The Machine that Changed the World”, scritto dagli studiosi Womack, Jones e

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Roos e nato da un’indagine americana degli anni Ottanta sugli stabilimenti di assemblaggio auto americani, europei e giapponesi. Questo libro mise in evidenza i risultati raggiunti da Toyota e l’enorme divario tra la qualità e produttività giapponese e le industrie dell’auto americane.

Il termine Lean Production, invece, fu coniato da John Krafcik in un articolo del 1988, intitolato “Triumph of the Lean Production System” e derivato dal suo studio di tesi presso la MIT Sloan School of Management.

Alcune delle tappe fondamentali della Lean Production viste fino a qui sono messe in evidenza in Figura 1.3.

Figura 1.3 – Le tappe fondamentali della Lean Production

1.4 I principi base del Lean-thinking

La filosofia Lean ha come suo cardine la continua ricerca ed eliminazione degli sprechi contenuti nel tradizionale modo di produrre, al fine di aumentare la produzione e diminuire il consumo delle risorse disponibili.

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Per spreco, in giapponese muda, si intende ogni processo che non aggiunga valore al prodotto finale in modo diretto o che non contribuisca alla trasformazione del prodotto stesso. Ogni spreco impedisce il corretto scorrimento del flusso di valore, aumentando solo tempo e costi.

Figura 1.4 - I 7 tipi di muda

Ohno ha indicato sette tipi di muda:

1. Sovrapproduzione: consiste nel produrre una quantità di componenti o prodotti finiti superiore alla domanda. La sovrapproduzione è lo spreco più pericoloso poiché comporta l’utilizzo di risorse aziendali, l’impiego di magazzini interni per stoccare i prodotti in attesa che questi siano venduti.

2. Scorte: i materiali prodotti in eccesso rispetto ai reali fabbisogni ovunque essi si trovino, sulle linee di produzione, nei magazzini, in ordine presso i fornitori, sono considerati sprechi sia di spazio che di risorse finanziarie. Con il termine scorte si identifica infatti tutto ciò che giace in attesa di un evento ( una lavorazione successiva, la vendita) e quindi si tratta di tempo durante il quale non viene aggiunto al prodotto alcun valore. Inoltre la continua movimentazione da un luogo all’altro di materiale di scorta può creare inconvenienti legati al

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danneggiamento da trasporto. Ma non solo: il materiale in giacenza può peggiorare la sua qualità e diventare obsoleto.

3. Attese: è lo spreco più facilmente individuabile. Si manifesta ogni qualvolta un operatore non svolge alcun lavoro in attesa di materiale ( da parte del fornitore o del magazzino) o di mezzi di produzione.

4. Movimenti inutili: il lavoro utile è quel particolare tipo di movimento che produce valore. Sono da considerarsi movimenti improduttivi tutti quei tipi di movimenti che comportano spostamenti inutili dovuti a layout mal disegnati o a strutture sovradimensionate ed azioni improduttive imputabili a posti di lavoro non studiati in maniera ergonomica.

5. Trasporti: ogni volta che un prodotto viene movimentato rischia di essere danneggiato, perso, ecc. Poiché il trasporto non comporta alcuna trasformazione al prodotto che il cliente è disposto a pagare, risulta essere un’attività non a valore aggiunto. Spesso il trasporto si trasforma in uno spreco perché:

 il layout dello stabilimento è obsoleto o è stato progettato non correttamente;

 gli spazi occupati dalle linee di produzione sono eccessivi rispetto alle reali necessità;

 i materiali sono approvvigionati e stoccati in imballi che contengono pezzi in quantità eccessive e non coerenti con quelle realmente utilizzate;

 il lavoro è organizzato senza precise sequenze di prelievo e le attrezzature non sono studiate per ottimizzare i trasporti interni.

6. Rilavorazioni: ogni volta che si esegue un’operazione che produce un pezzo difettoso e necessario correggere il difetto. Un prodotto non conforme comporta per l’azienda grossi oneri sia finanziari che di immagine. I difetti rallentano la produzione ed fanno aumentare il lead time. Se poi addirittura i difetti vengono rilevati dal cliente, i costi crescono ulteriormente, poiché si rende necessario impostare una struttura in grado di gestire i reclami, sostenere le spese derivanti dalle riparazioni, dallo smontaggio e riassemblaggio e dalla consegna.

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7. Processo: questo tipo di spreco si manifesta quando il processo produttivo non dispone di mezzi (attrezzature, macchinari, operatori) e procedure adeguate. Ad esempio, si creano degli sprechi quando si utilizzano attrezzature o macchinari con capacità produttive superiori alla richiesta oppure si rende necessaria la presenza di un operatore per rimuovere i pezzi finiti dalla macchina e accatastarli in appositi contenitori invece di ricorrere, ad esempio, ad un sistema di fuoriuscita dei pezzi che, per gravità, vanno ad accatastarsi automaticamente in un determinato contenitore.

A questi sette principi, definiti da Ohno, Womack e Jones ne hanno poi aggiunto un ottavo e cioè la progettazione di beni e servizi che non soddisfano i bisogni dei

clienti [1].

Il punto di partenza del pensiero snello è, quindi, la caccia allo spreco partendo dall’identificazione di ciò che vale, che è utile, che va prodotto, allineando le attività che creano valore nella giusta sequenza, mettendole in atto senza interruzioni quando il cliente le richiede ed imparando ad eseguirle in modo sempre più efficace.

Figura 1.5 - I 5 principi lean

In questi concetti ci sono già tutti i cinque principi lean: 1. Definire il valore (“VALUE”);

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3. Fare scorrere il flusso (“CONTINOUS FLOW”);

4. Fare in modo che il flusso sia “tirato” (“PULL SYSTEM”); 5. Ricercare la perfezione (“PERFECTION”).

Vediamo in dettaglio i concetti introdotti. 1° principio – DEFINIRE IL VALORE

Secondo Taiichi Ohno, tutti i ragionamenti industriali devono innanzitutto distinguere ciò che costituisce valore per un cliente dal muda, dallo spreco. E il punto di partenza della caccia allo spreco non può che essere l’identificazione di ciò che vale. Il valore, quindi, viene definito dal cliente ed assume significato solamente se espresso in termini di un prodotto/servizio in grado di soddisfare le sue esigenze ad un dato prezzo ed in un dato momento.

Il consumo di risorse è giustificato solo se crea valore per il cliente finale altrimenti è spreco. Ciò impone di analizzare la propria struttura organizzativa, per poter distinguere tra le attività aziendali quelle che creano valore e quelle che assorbono risorse senza creare valore. Queste ultime vanno eliminate in quanto fonte di spreco.

2° principio – IDENTIFICARE IL FLUSSO DI VALORE

Il flusso di valore per un dato prodotto consiste nell’intera gamma di attività necessarie per trasformare le materie prime in prodotto finito.

In qualsiasi settore si riscontrano tre attività fondamentali:

 definizione del prodotto/servizio (dall’ideazione attraverso una progettazione dettagliata e l’ingegnerizzazione fino al lancio in produzione/erogazione del servizio);

 gestione delle informazioni (dalla registrazione degli ordini ad una dettagliata programmazione fino alla consegna del prodotto/erogazione del servizio);

 trasformazione fisica dalla materia prima ad un prodotto finito nelle mani del cliente/erogazione del servizio).

A queste tre attività fondamentali corrispondono quindi i tre flussi/processi principali:

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 gestione ordini;

 produzione dei beni/erogazione dei servizi.

Il secondo passo del pensiero snello è, quindi, l’identificazione del flusso di valore per ogni prodotto o famiglia di prodotti.

L’analisi del flusso di valore mette sempre in evidenza grandi quantità di muda attraverso la classificazione delle attività in tre categorie:

1. attività che creano valore (tutte quelle il cui costo può essere trasferito al cliente);

2. attività che non creano valore ma necessarie (non sono eliminabili con gli attuali sistemi di sviluppo prodotto, gestione ordini e produzione);

3. attività che non creano valore e non necessarie (possono quindi essere eliminate da subito).

Per molte operazioni di produzione, solo una piccola frazione del lavoro e del tempo totale dedicato a un prodotto aggiungono valore per il cliente finale.

Figura 1.6 – Tipica proporzione tra le attività a valore e non a valore

È indispensabile quindi, in questa seconda fase del pensiero snello, eseguire una dettagliata mappatura dei flussi.

3° principio – FARE SCORRERE IL FLUSSO

Definito con precisione il valore, identificato il flusso di valore per un dato prodotto o famiglia di prodotti ed averlo ricostruito eliminando le attività inutili attraverso la mappatura dei flussi, bisogna fare sì che le restanti attività creatrici di valore formino un flusso. Esempi tipici di interruzione di flusso di valore sono i punti di accumulo e di

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stoccaggio (sempre presenti nella produzione a lotti), le code all'entrata o all'uscita dei processi (caratteristiche della produzione ad isole) oppure le movimentazioni del materiale. Occorre quindi ridistribuire tutte le risorse e le attrezzature in modo da progettare, ordinare e realizzare in modo lean, focalizzando l'attenzione sulle necessità del prodotto e non sull'utilizzo delle attrezzature. Sostanzialmente si deve intervenire sul layout di stabilimento, passando dalla produzione in stazioni isolate o a reparti ad una linea/cella in modo da ridurre gli sprechi. Devono inoltre essere eliminati scarti, flussi a ritroso e fermate di ogni sorta con l'obiettivo di raggiungere la condizione di One-Piece

Flow anche nelle situazioni dove per ogni famiglia di prodotto si hanno diverse

varianti. Questo significa intervenire pesantemente sulle attrezzature utilizzate, per ridurre al minimo i tempi di setup o di attrezzaggio. L'ultima condizione necessaria per creare un sistema a flusso unitario è quella di garantirne il corretto funzionamento; a questo proposito è necessario che tutte le risorse siano precise, affidabili e disponibili quando richiesto dal processo. Si deve standardizzare il lavoro e anche l'operato dei lavoratori, affidando a quest'ultimi il monitoraggio del processo e creando un sistema di manutenzione.

4° principio – FARE IN MODO CHE IL FLUSSO SIA “TIRATO” (DAL CLIENTE) L’azienda deve acquisire la capacità di progettare, programmare e realizzare solo quello che il cliente vuole, nel momento in cui lo vuole.

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Allora non servono più le previsioni di vendita, si produce solamente quello di cui il cliente ha bisogno, si fa in modo cioè che sia il cliente a tirare il prodotto che vuole (logica pull) e non l’azienda a spingere verso i clienti prodotti spesso indesiderati (logica push).

5° principio – RICERCARE LA PERFEZIONE

Questo ultimo principio va interpretato nel senso di miglioramento continuo (kaizen, in giapponese). Infatti se si sono applicati correttamente i primi quattro principi si creano sinergie impensabili che mettono in moto un processo continuo di riduzione dei tempi, degli spazi, dei costi. L'applicazione dei principi lean deve essere sistematica e continua per giungere a continui miglioramenti. In questo senso il quinto principio, essendo la perfezione di un processo praticamente irrealizzabile, deve essere uno stimolo per l'incessante applicazione dei principi lean e risultare ogni volta quale un nuovo punto di partenza. Una volta finito si deve ricominciare per fare emergere nuovi sprechi non individuati precedentemente ed eliminarli.

1.5 Struttura del Toyota Production System (TPS)

Come già detto in precedenza, il Toyota Production System è un metodo di organizzazione della produzione derivato da una filosofia diversa e per alcuni aspetti alternativa alla produzione di massa.

Alla base del TPS si trova l’idea di “fare di più con meno”, cioè di utilizzare le (poche) risorse disponibili nel modo più produttivo possibile con l’obiettivo di incrementare drasticamente la produttività della fabbrica.

Il Toyota Production System viene spesso illustrato con una figura che rappresenta una “casa” che si fonda su due pilastri: il Just In Time e il Jidoka (Figura 1.8).

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Figura 1.8 - Strumenti e principi della Lean Production

L’obiettivo di questo sistema di produzione, indicato sul tetto della casa, è di raggiungere la migliore qualità, al prezzo più basso e nel minor tempo possibile. Questo sistema utilizza una serie di strumenti, esposti nel seguito, che seguono tutti il filo conduttore della caccia agli sprechi e della loro eliminazione.

1.5.1 Il primo pilastro del TPS: il Just In Time (JIT)

Un aspetto fondamentale del TPS, finalizzato all’eliminazione degli stock e delle giacenze di materiale in fabbrica, è il Just In Time, ovvero un sistema di governo del flusso logistico basato sul concetto di produrre solo quando serve, vale a dire quando si manifesta la domanda del cliente che sta immediatamente a valle seguendo il flusso del processo.

Il Just in Time è, quindi, l’insieme degli accorgimenti e di tecniche che consentono al sistema produttivo di pulsare come pulsa il mercato e, nello stesso tempo, di ottenere il

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priva di scorte ha la Il principale vantaggio del Just In Time è quello di abbassare notevolmente il livello di scorte. Le scorte permettono di evitare interruzioni nella produzione ma nascondono gli sprechi ed i problemi. Al contrario, una produzione tirata e

proprietà di mettere in luce i muda. Le problematiche e gli sprechi emergono più chiaramente mettendo in pratica il Just In Time.

Figura 1.9 - Gli effetti di alti e bassi livelli di scorte sui problemi

Il Just In Time si compone di tre sotto elementi: 1. Sistema P

2. Sistema One-Piece Flow;

Sistema Pull

ull;

3. Takt Time.

, il materiale non avanza nel processo produttivo in base a un rogramma di produzione fissato a priori, come avviene in un sistema push, ma ogni In un sistema pull

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che fissa i ritmi di tutte le fasi precedenti, fino

 po totale di produzione (P) come il tempo di attraversamento cumulativo le materie prime a quello in

tto e il momento in cui vuole che questo prodotto parte è richiamata direttamente da chi la usa, cioè dal reparto a valle, e viene messa a disposizione quando occorre [5].

Il ritmo di ogni reparto è deciso da quello della lavorazione successiva e, in definitiva, è la fase finale di assemblaggio

all’acquisto delle materie prime. Ciò significa che nessuno a monte dovrebbe produrre beni o servizi fino al momento in cui il cliente a valle, sia interno che esterno, non li richiede.

Per chiarire meglio le differenze tra push e pull definiamo: il tem

di un prodotto, dal momento in cui vengono ordinate

cui esse vengono trasformate in prodotto finito. P è l'orizzonte temporale minimo con il quale la produzione deve guardare al mercato finale determinando il programma di produzione;

 il tempo di consegna (D) come l'intervallo di tempo compreso tra il momento in cui il cliente ordina un prodo

gli venga consegnato. Il suo valore è generalmente fissato dal cliente o dal mercato ed è quindi un dato non modificabile dalla produzione.

Un sistema produttivo viene definito:

Push se 1 D ; P 1  D P .  Pull se

In Figura 1.10 e in Figura 1.11 sono riportati, rispettivamente, un esempio di sistema

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Figura 1.10 - Sistema Push

Figura 1.11 - Sistema Pull

La risposta della filosofia giapponese è diametralmente opposta rispetto a quella tradizionale. Essa individua in azienda due ruoli fondamentali [4]:

 il cliente che deve richiedere il materiale del quale ha bisogno per soddisfare le richieste di chi ha a valle senza ricorrere a previsioni;

 il fornitore che deve predisporre di una scorta tale da soddisfare le richieste del cliente.

Tale sistema di pianificazione è noto col termine giapponese di kanban (che significa “cartellino”), un sistema basato sulla standardizzazione delle unità prodotte e trasportate e l’uso di un cartellino che si muove con il materiale.

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Grazie al meccanismo dei kanban, è necessario fornire il programma dettagliato di produzione esclusivamente al reparto finale, che è l’unico a diretto contatto con i consumi dei clienti. È perciò il funzionamento di tipo pull dell’intero sistema a stabilire la programmazione della produzione dei vari reparti a monte rispetto a quello finale. I vari reparti sono a conoscenza del programma indicativo giornaliero, in modo da predisporre la propria capacità produttiva. In un sistema tradizionale di controllo della produzione, la definizione del programma di produzione comporta invece l’emissione dei diversi programmi per tutti i reparti che producono i componenti. L’adeguamento alle variazioni della domanda richiede la modifica di tutti i programmi; di conseguenza l’azienda si cautela tramite la presenza di scorte relative alle diverse fasi di lavorazione. Perché il sistema di controllo della produzione pull con kanban possa funzionare con bassi livelli di scorta intermedia è necessario che:

 il carico di lavoro sulle varie fasi del ciclo produttivo sia ben livellato e il tasso di consumo dei componenti sia costante;

 non si abbiano domande sporadiche di molto superiori alla media;

 i lotti di produzione siano piccoli.

Infatti, se una fase a valle prelevasse i pezzi in maniera fluttuante nel tempo e nelle quantità, la corrispondente fase a monte sarebbe costretta a dimensionarsi, in termini di macchine, manodopera e materiali, per soddisfare tali punte massime di domanda. La situazione sarebbe ancora più evidente via via che si risalisse a ritroso nel processo produttivo, dove le fluttuazioni tendono ad ampliarsi. Se il sistema fosse dimensionato per i carichi di lavoro medi, allora le punte anormali di domanda potrebbero essere soddisfatte solo ricorrendo ad apposite scorte. I magazzini interoperazionali posti a valle di ciascuna fase consentono di sopportare, per brevi periodi, tassi differenti di produzione tra le varie fasi.

Quindi riveste particolare importanza la definizione della sequenza finale di assemblaggio, la quale dovrebbe essere cambiata raramente. L’aumento o la diminuzione delle quantità prodotte viene affrontato ricorrendo ad una capacità produttiva flessibile, in termini di ore giornaliere effettivamente lavorate producendo un numero maggiore o minore di sequenze o modificando leggermente la sequenza [8]. Le variazioni nella tipologia di domanda e, quindi, nel mix produttivo e nelle relative

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(shojinka) che è in grado di svolgere svariate mansioni e condurre più macchinari anche contemporaneamente. Nonostante quanto detto sopra, è importante sottolineare che è necessario, per avere un sistema di produzione Just In Time efficiente, che le fluttuazioni nel tempo dei volumi di produzione siano ridotte. Infatti possedere e gestire la flessibilità che sarebbe richiesta con elevate fluttuazioni risulterebbe estremamente costoso. Indicativamente il sistema produttivo controllato con kanban ha una flessibilità tale che riesce ad adeguarsi ad oscillazioni giornaliere della domanda, rispetto a quanto pianificato mensilmente, non superiori al 10%.

Per conseguire una conformità del 100% dei pezzi prodotti dalla linea di produzione, gli addetti alle macchine sono addestrati anche a controllare la qualità dei pezzi lavorati ed ad individuare direttamente a valle della propria lavorazione i difettosi bloccandoli prima che avanzino lungo le lavorazioni successive. Evidentemente effettuare lavorazioni su un pezzo già difettoso corrisponderebbe ad una inutile perdita di capacità produttiva e, quindi, ad una inefficienza.

Il concetto della qualità al 100% viene esposto più dettagliatamente nel secondo pilastro del Toyota Production System, il Jidoka.

Sistema One-Piece Flow

Il processo a flusso continuo è un concetto che implica che gli articoli vengano trattati e trasportati direttamente uno alla volta da una fase di processo alla successiva. Ciascuna fase di lavorazione opera solamente sul pezzo di cui la fase successiva necessita e appena prima che la necessità si manifesti [5].

In questo modo, i singoli pezzi passano da una fase produttiva all’altra senza accumuli tra le macchine, contribuendo [7]:

alla riduzione della Time Line (il materiale attraversa i reparti nel modo più rapido);

 all’ottenimento della massima flessibilità;

 all’abbattimento in misura importante delle scorte intermedie (Work in Process - WIP);

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 al recupero di spazio fisico all’interno della linea, grazie all’impiego di macchinari più piccoli, che vengono avvicinati tra loro per la presenza di piccoli lotti.

Figura 1.12 - Sistema One-Piece Flow

Purtroppo, non sempre il sistema One-Piece Flow è possibile. Questo succede ad esempio quando:

 le lavorazioni a monte del processo adottano macchine con tempi ciclo troppo lenti per i livelli produttivi dell’assemblaggio finale, che solitamente lavora su 1 o 2 turni;

 nel processo esiste una lavorazione che ha tempi di setup inevitabilmente più lunghi rispetto alle altre fasi (es. i semilavorati vengono realizzati con grosse macchine automatiche e assemblate manualmente nella fase finale).

In questi casi, è necessario ripiegare verso soluzioni che più si avvicinano al sistema

One-Piece Flow e che siano caratterizzate quindi da lotti minimi, set-up e spedizioni

frequenti, macchine sincronizzate, affidabili e fisicamente vicine.

Lavorare a flusso significa migliorare su tutti questi punti: più flusso, più velocità, più qualità, meno sprechi.

Takt Time

Il Takt Time viene espresso attraverso un numero e indica il tempo in cui deve essere ottenuta un’unità di prodotto. E’, pertanto, uno strumento che serve a legare la

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tratta, in sostanza, del ritmo della produzione necessario per rendere disponibile al cliente un singolo prodotto.

Il Takt Time si calcola dividendo il tempo disponibile per la produzione per la domanda, ognuno dei due termini riferito allo stesso orizzonte temporale:

Domanda Produzione la per e Disponibil Tempo Time Takt

Si noti bene che il Takt Time non deve però essere confuso con il Cycle Time (Tempo Ciclo), che è il tempo lavorativo manuale necessario al completamento del processo analizzato.

Conoscendo anche il tempo ciclo si ricava il numero di operatori necessari:

Time Takt Time Cycle operatori n 

Una volta noti questi due fondamentali dati si può implementare il flusso continuo all'interno della cella di produzione, dove il Takt Time è il ritmo con cui si muove il sistema ed anche il parametro con il quale effettuare il bilanciamento delle mansioni tra operatori e stazioni di assemblaggio.

Quindi, riassumendo:

Caratteristiche Obiettivi

Sistema Pull

Il flusso produttivo viene alimentato dalle richieste

del Cliente

Ottimizzazione degli stock, con conseguente riduzione

dei costi

Sistema One-Piece Flow

L’avanzamento del materiale avviene un pezzo

alla volta, con flusso continuo

Riduzione della Time Line, massima flessibilità,

riduzione del WIP, recupero di spazio fisico

Takt Time

La produzione viene realizzata rispettando il

Takt Time

Far pulsare il sistema di produzione allo stesso

ritmo del mercato Tabella 1.1 - Caratteristiche e obiettivi dei Sistemi Pull, One-Piece Flow e del Takt Time

(24)

Poiché il sistema di produzione JIT viene gestito utilizzando ridotte scorte di sicurezza, è necessario, per affrontare le variazioni di domanda e gli imprevisti, che sussista uno stretto rapporto di collaborazione tra l’azienda e i propri fornitori che devono essere disposti a stare dietro alle esigenze produttive dell’azienda stessa. Perciò i fornitori dovrebbero trovarsi vicino al cliente ed essere informati della produzione. Così i fornitori, coinvolti pienamente nel processo produttivo, dovrebbero fornire piccoli volumi di componenti, in pratica il fabbisogno giornaliero, il più tardi possibile in modo da dare rifornimenti sincroni con la produzione [8].

È essenziale che i lotti di produzione siano piccoli (può capitare che siano anche unitari) per consentire di raggiungere alcuni obiettivi richiesti dal sistema JIT: linea di produzione bilanciata, brevi lead time di produzione, controllo del WIP, alta flessibilità del sistema produttivo. Ridurre la dimensione dei lotti che si muovono assieme lungo il processo produttivo ha l’effetto di rendere il flusso di materiali più snello e tirato: viene ridotto il tempo che i primi articoli lavorati del lotto, dopo il completamento di una lavorazione, devono attendere perché possano avanzare verso la lavorazione successiva. Perché un qualsiasi sistema produttivo possa funzionare efficientemente con lotti piccoli è indispensabile che siano ridotti al minimo possibile i tempi di setup per il riattrezzaggio delle macchine nei cambi di produzione. Se questo non accadesse, il sistema andrebbe incontro a perdite di tempo così elevate da rendere la tecnica JIT assolutamente inutilizzabile. L’abbattimento dei tempi di setup può essere conseguito con le seguenti attività:

 studio e modifica dei prodotti direttamente in fase di progettazione con criteri di modularità e di raggruppamento per famiglie;

 studio e modifica dei processi produttivi;

 standardizzazione dei cicli di lavoro;

 studio e modifica delle attrezzature di montaggio e lavoro;

 esecuzione, per quanto possibile, delle operazioni di attrezzaggio in ombra alle lavorazioni.

Queste attività sono sintetizzate nella filosofia SMED (Single Minute Exchange of Die), in base alla quale l’obiettivo che si prefigge l’azienda è riuscire a “cambiare un’attrezzatura in un minuto”.

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1.5.1.1 Il sistema kanban

Per far sì che un sistema a logica pull funzioni correttamente, l'azienda deve disporre al suo interno di un perfetto sistema di trasmissione delle informazioni lungo tutto il processo produttivo, per sapere esattamente cosa produrre e a quale ritmo produrlo. Il metodo più utilizzato è il cosiddetto kanban, che consiste essenzialmente in un ordine di lavoro.

Le informazioni contenute nel kanban si riferiscono a cosa produrre o cosa movimentare e sono, generalmente, l’individuazione univoca dell’articolo oggetto del prelievo/produzione, le lavorazioni relative alla fase a monte e a valle, il numero di

kanban rispetto al numero complessivo di kanban emessi, le caratteristiche del

contenitore. È importante evidenziare che i pezzi devono essere movimentati e immagazzinati in contenitori standard di capacità prestabilita. Non è quindi possibile realizzare una quantità di prodotto diversa da quella associata al contenitore [5].

Il vantaggio principale del sistema kanban è quello di ridurre la sovrapproduzione. Suo obiettivo è quello di produrre solo ciò che è ordinato (come tipologia), quando è ordinato, e nelle quantità ordinate. Usato in questo modo, il kanban agisce come un sistema di informazioni che unisce i processi uno con l'altro, collegando armoniosamente l'intero flusso di valore richiesto previsto per il cliente.

La prima regola del controllo kanban è che non si può produrre se non si ha a disposizione un cartellino di autorizzazione. I reparti a monte devono, perciò, produrre solo le parti che sono state consumate dalle fasi a valle anche con l’eventualità di lasciare fermo il centro di lavoro se il tabellone dove vengono raccolti i kanban risultasse vuoto.

La seconda regola da rispettare scrupolosamente, strettamente legata alla precedente, impone che i reparti a valle possano approvvigionarsi da quelli a monte solamente dei pezzi che effettivamente servono, nella quantità necessaria e al momento del consumo. La Figura 1.12 illustra schematicamente il processo di prelievo e deposito prodotti mediante l’utilizzo del sistema kanban tra due stazioni consecutive (indicate con A e B).

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Figura 1.13 - Funzionamento del sistema kanban

Si hanno due principali tipologie di kanban:

Kanban prelievo: gestisce la movimentazione di un contenitore di pezzi tra due specifici centri di lavorazione. Il kanban prelievo circola tra il punto di stoccaggio in entrata del centro di lavorazione utente e il punto di stoccaggio in uscita del centro produttore.

Quando il prelievo di materiale viene fatto presso un fornitore il cartellino prende il nome di kanban fornitore.

Kanban ordine di produzione: è utilizzato per la gestione del Work In Process tra processi. Esso riporta le istruzioni sulle operazioni di produzione per il reparto a monte di un contenitore standard per sostituirne uno appena prelevato dal suo punto di stoccaggio in uscita. Tale cartellino circola, pertanto, solo tra un centro di stoccaggio in uscita e il relativo centro di produzione.

Nel caso in cui i tempi di setup siano elevati e la produzione a lotti risulti inevitabile, si utilizza un’altra tipologia di kanban, chiamato kanban segnale. In questo caso la produzione deve avviarsi se, dopo successivi prelievi di contenitori da parte del reparto a valle, viene raggiunta la posizione del kanban segnale attaccato ad un certo contenitore. Così il kanban segnale ha lo scopo di individuare il livello di riordino del magazzino interoperazionale. Tale kanban consente perciò di gestire la produzione Just

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kanban di segnale, quello triangolare e quello rettangolare (materiale). Il primo ordina

l’esecuzione di una data operazione relativa ad un certo lotto di produzione. Il secondo indica invece una necessità di materiali.

Figura 1.14 - Funzionamento del kanban segnale

Il funzionamento di un sistema kanban si basa su alcune semplici regole:

 al momento di effettiva necessità, la fase a valle va a prelevare da quella a monte i pezzi che le servono nella quantità necessaria; tale prelievo può avvenire solamente se muniti di apposito kanban (denominato, in questo caso, kanban prelievo) su cui è indicata la quantità che deve essere prelevata);

le fasi a monte, solo se in possesso di apposito kanban (denominato, in questo caso, kanban ordine di produzione), sono chiamate a produrre esclusivamente i prodotti che sono prelevati dalle fasi a valle, nelle quantità richieste ed indicate, ancora una volta, nel kanban; la produzione si concretizza così nel riempimento di un contenitore che viene munito, anche esso, di kanban;

se il flusso produttivo si interrompe per mancanza di un kanban ordine di produzione, l’operatore della fase a monte va ad aiutare il collega della fase a valle; accade il viceversa se il reparto a valle non ha contenitori pieni da prelevare; questo evita, ad esempio, che in caso di guasto del reparto a valle si accumuli WIP tra due reparti;

non può esistere un contenitore sprovvisto di kanban;

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senza che avanzino lungo le fasi successive;

il numero di kanban deve essere il minimo possibile per limitare il WIP, compatibilmente con la possibilità del sistema produttivo di adeguarsi alle piccole fluttuazioni della domanda del mercato.

Riassumendo, il sistema kanban ha diversi vantaggi:

• bassi costi associati al trasferimento di informazioni; • fornisce veloci tempi di risposta ai cambiamenti; • delega responsabilità agli operatori di linea;

• è una tecnica semplice che non richiede l’utilizzo di computer è pertanto comporta costi di implementazione contenuti;

• i lead time di produzione risultano ridotti.

Di contro, però, si hanno anche un certo numero di svantaggi. Il sistema kanban funziona meno bene in condizioni di risorse produttive condivise. Nel caso in cui una stazione a monte produca alcuni componenti differenti tra loro, una richiesta di produzione kanban dovrà molto probabilmente attendere in quanto altri componenti sono in produzione. Questo comporta un innalzamento del WIP necessario. Inoltre, poiché ogni codice componente necessita del suo specifico kanban, il sistema diventerà più complesso da gestire del caso in cui la risorsa produttiva risulti dedicata a una specifica produzione. Questo sistema non è quindi adeguato in sistemi job shop del tipo

Make To Order, in cui la variabilità è alta e la domanda è estremamente non stazionaria.

La produzione non può essere bilanciata in quanto i colli di bottiglia si spostano continuamente. L’alto livello di variabilità comporta un alto livello di scorte poiché è difficile sapere quale scorte mantenere in giacenza se si lavora su ordine. Tutto ciò comporta che:

è impossibile dimensionare il numero di kanban;

 si otterrebbe il mantenimento a giacenza di WIP non necessario quando il corrispondente articolo non viene prodotto per molto tempo (i contenitori vengono infatti riempiti una volta vuoti);

(29)

variazioni frequenti nei mix e nei volumi della domanda creano problemi in quanto bisogna variare continuamente il numero di kanban necessari;

il sistema kanban in sé non elimina la variabilità. Ne segue che lunghi e imprevedibili down time, ad esempio dovuti a guasti, possono “distruggere” il sistema e portare a rotture di stock in linea). Anche problemi di qualità, come scarti e rilavorazioni, possono influenzare negativamente il buon funzionamento del sistema;

la produttività di un sistema kanban non è gestita ma è il risultato del controllo del WIP e dei valori noti dei tempi ciclo di produzione;

 l’introduzione frequente di nuovi prodotti è piuttosto difficoltosa per la necessità di introdurre cartellini kanban per tutte le parti e i componenti nuovi;

 il sistema è inappropriato nei processi produttivi continui in cui le varie fasi della produzione sono fortemente collegate l’una all’altra: non c’è bisogno infatti di kanban per regolare il flusso di materiali in quanto l’intero processo è assimilabile ad un’unica macchina.

1.5.1.2 SMED – Single Minute Exchange of Dies

La Metodologia SMED fu sviluppata da Shigeo Shingo presso gli stabilimenti della Mazda, Mitsubishi e Toyota negli anni 1950 e 1960 [9]. Originariamente si parlava di attrezzamento “ad una cifra” per indicare che il tempo era indicato da un numero in minuti prima di una cifra sola, cioè inferiore a 10 minuti. Attualmente l’attrezzamento è in molti casi ridotto a valori inferiori al minuto e viene allora chiamato attrezzamento istantaneo.

La metodologia SMED si propone la riduzione e la semplificazione delle attività per il cambio delle attrezzature e per le regolazioni che precedono la produzione. Tale approccio rappresenta la prima vera strategia per l’analisi e riduzione dei tempi di setup in contrapposizione all’approccio tradizionale secondo il quale i tempi di attrezzaggio sono fissi e pertanto risulta necessario:

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 minimizzare la varietà dei prodotti realizzati;

 combinare i lotti di produzione;

 realizzare grandi lotti per ogni tipo di prodotto.

Figura 1.15 – Perdite di produzione dovute al setup

L’approccio SMED è costituito da una fase preliminare e da quattro fasi successive che sono di seguito brevemente descritte.

Fase preliminare – Organizzare, osservare, registrare

In questa fase viene creato un gruppo di lavoro basato su esperti ma introducendo anche un “non addetto” che permetterà di “sfidare” le norme e le procedure di lavoro consolidate.

Le operazioni elementari dell’attività di setup (mediamente da 10 a 20 fasi) devono essere chiaramente identificate e tempificate mediante un’opportuna modulistica.

Fase 1 – Separare l’attrezzamento “interno” (internal setup) dall’attrezzamento

“esterno” (external setup)

Alla base del sistema SMED vi è la separazione tra attività di:

 “Set-up a bordo macchina o interno”, caratterizzate da operazioni che richiedono obbligatoriamente la macchina ferma;

 “Set-up esterno”, caratterizzate da operazioni che possono essere svolte con la macchina in funzione.

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Fase 2 – Convertire l’attrezzamento “interno” in attrezzamento “esterno”

La seconda fase rappresenta il concetto più importante per quanto riguarda l’ottenimento dell’attrezzamento “ad una cifra”. Richiede di minimizzare il setup a bordo macchina trasferendo, per quanto possibile, tutte le operazioni al setup esterno. Si basa su due importanti attività:

 riesaminare tutte le operazioni per vedere se sono state erroneamente considerate come interne;

 trovare un modo per convertire queste operazioni in esterne.

Fase 3 – Semplificare tutte le operazioni elementari presenti nei due tipi di setup

Al fine di ridurre ulteriormente i tempi di attrezzaggio, tutte le operazioni devono essere analizzate in dettaglio. Vengono applicati principi specifici (come l’adozione di operazioni in parallelo, l’utilizzo di sistemi di bloccaggio veloce, l’implementazione di sistemi per l’eliminazione degli aggiustamenti o l’utilizzo di sistemi visuali) per ridurre i tempi necessari delle varie operazioni, principalmente per le attività di attrezzaggio interno.

Fase 4 – Documentare le procedure interne ed esterne

In questa fase viene documentato e controllato il nuovo processo di attrezzamento definendo un modo/ciclo standard di riferimento per eseguirlo.

I risultati che si possono ottenere con l’applicazione della metodologia SMED sono di seguito elencati:

 riduzione dei tempi di fermo-linea;

 riduzione dei tempi di attrezzaggio e regolazione;

 minori errori di attrezzaggio;

 miglioramento della qualità di prodotto;

 maggiore sicurezza del lavoro.

Oltre a questi risultati, di tipo diretto, si ottengono anche risultati indiretti quali:

riduzione degli stocks;

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razionalizzazione di utensili e attrezzature.

1.5.2 Il secondo pilastro del TPS: il Jidoka

Il termine Jidoka può essere definito come “automazione con un tocco umano”.

Il concetto fondamentale che viene espresso dal Jidoka è che la qualità deve essere costruita nel processo, affinché l’output sia qualità al 100%.

A tal fine è necessario il verificarsi di 2 condizioni:

 l’impianto o la macchina devono fermarsi quando la qualità non è più assicurata: introduzione del concetto di stop della macchina;

l’intervento umano sulla macchina o sull’impianto non deve alterare in nessun modo la qualità dell’output.

Tali condizioni possono essere garantite se vi è l’immissione, nel sistema produttivo, di grandi “dosi di intelligenza”, che consentono di ottenere macchine “intelligenti”. Tale iniezione avviene mediante un intervento attivo da parte dell’operatore, che viene posto pertanto al centro del processo, quale garante del risultato finale, e investito di grandi responsabilità operative [7].

L’uomo, infatti:

è autorizzato a fermare la linea ed evitare il proliferare di anomalie, nel caso in cui noti un difetto;

 viene coinvolto nella risoluzione dei problemi attraverso l’elaborazione e la costruzione di Poka Yoke, semplici accorgimenti che consentono all’operatore di verificare la correttezza dell’operazione che si sta per compiere o che si è appena terminata;

 viene incentivato ed abituato ad applicare il metodo dei “5 Perché”, che consente di scoprire qual è la causa alla radice di un determinato inconveniente, in modo da eliminarla totalmente.

In questo modo è possibile realizzare l’obiettivo finale del Jidoka, ovvero lo sblocco del legame rigido uomo-macchina e il passaggio da un concetto di automazione ad uno di

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e quindi l’uomo può dedicarsi ad attività a valore aggiunto. Lo sblocco di questo legame è uno dei grandi contributi del nuovo sistema produttivo, che riduce o annulla in gran parte i muda dovuti alle attese degli operatori.

Automazione (Movimento) Autonomazione (Lavoro)

Persone

Movimento necessario per svolgere il lavoro e movimento sprecato sono mescolati e confusi

tra loro

Eliminati i muda, il processo è disegnato in modo efficiente

Macchine L’uomo fa da supervisore alle

macchine

Nelle macchine la priorità progettuale è la capacità di fermarsi autonomamente

Linee

L’automazione fa risparmiare solo lavoro (non riduce il numero di

persone)

L’autonomazione risparmia manodopera e ottimizza il

personale

Anomalie Il processo non si arresta se non

interviene qualcuno a fermarlo

Le macchine rilevano i difetti e si fermano

Guasti I guasti sono frequenti e le

ripartenze lunghe

La macchina si ferma prima di rompersi o rompere

utensili/attrezzature; appena risolto il problema può ripartire

Difetti Numerosi, continui, producono

anormalità

Non produce difetti, non li trasmette lungo la linea Tabella 1.2 - Da automazione a autonomazione

1.5.2.1 Sistemi Poka Yoke

Con il termine giapponese Poka-Yoke si indica un dispositivo o la forma di un oggetto che, ponendo dei limiti al modo in cui una operazione può essere compiuta, forza l'utilizzatore ad una corretta esecuzione della stessa (evitare “yokeru” gli errori di distrazione “poka”).

Il già citato Shigeo Shingo è stato uno dei maggiori esponenti dello Zero Quality Control, un approccio che fa largo uso dei principi Poka-Yoke. Shingo ha distinto tre tipi di Poka-Yoke:

1. il metodo del contatto (contact method): le caratteristiche fisiche di un oggetto (la sua forma, il suo colore, ...) permettono di distinguere la posizione corretta o impediscono di connettere tra loro degli oggetti evitando i malfunzionamenti causati da un errato contatto;

(34)

2. il metodo del valore fisso (fixed-value method) controlla se è stato compiuto un certo numero di operazioni;

3. il metodo delle fasi di lavoro (motion-step method) controlla se sono state eseguite, nel loro ordine corretto, tutte le fasi di un determinato processo.

Un metodo Poka-Yoke è un qualsiasi meccanismo in grado di impedire che un errore sia commesso, oppure in grado di rendere l'errore immediatamente chiaro.

Un esempio di sistema Poka Yoke è riportato in Figura 1.15.

Figura 1.16 - Esempio di sistema Poka-Yoke

La capacità di trovare gli errori "a colpo d'occhio" è fondamentale perché, come afferma Shingo, i difetti del prodotto sono causati dagli errori dei lavoratori e quindi tali mancanze devono essere attentamente individuate ed analizzate [10]. Ne consegue che gli errori degli operatori non si convertiranno in difetti se individuati ed eliminati anticipatamente. Il costo del controllo è minimo, così come il costo per eliminare le imperfezioni componente da parte di un lavoratore distratto.

1.5.3 L’Heijunka

L’Heijunka è una tecnica di livellamento della produzione che equilibra il carico di lavoro all’interno della cella produttiva minimizzando, inoltre, le fluttuazioni di

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fornitura. Essa assicura la distribuzione uniforme di manodopera, materiali e movimenti.

Figura 1.17 - Andamento del volume di produzione prima e dopo l'implementazione dell’Heijunka

Gli elementi principali della produzione Heijunka sono:

livellamento del volume di produzione;

livellamento del mix di produzione.

L’Heijunka consiste fondamentalmente nel [7]:

 polverizzare il più possibile i lotti di produzione, anche se vi fosse la possibilità di aggregarli;

 mantenere costante il volume di output prodotto. Di conseguenza, tale sistema:

 guarda un orizzonte vicino;

 pianifica una sequenza di piccoli lotti standard che ripete con una frequenza proporzionale alle vendite;

 consente di modificare la sequenza di produzione in caso di variazione delle vendite;

 rivede periodicamente i volumi totali di vendita e regola di conseguenza l’output totale della linea.

(36)

in termini di tempi di consegna: i piccoli lotti e la distribuzione equilibrata nel tempo non privilegiano articoli particolari e tutti tendono ad avere lo stesso tempo di consegna;

in termini di magazzino: i piccoli lotti vengono consumati in tempi brevi e reintegrati solo quando necessario da altri piccoli lotti. I magazzini sono bassi o non esistono;

in termini di risorse a monte: i piccoli lotti necessitano di poco materiale per volta e la loro distribuzione nel tempo consente un agevole ripristino del supermarket;

in termini di assorbimento picchi di mercato: il livellamento del mix di prodotto consente, sul breve termine, di assorbire agevolmente fabbisogni improvvisi;

in termini di centri di lavoro specializzati: il livellamento dei piccoli lotti offre ai centri di lavoro due grandi vantaggi:

- la loro attività è costante e la velocità dipende dalla percentuale di

utilizzo del semilavorato sulla linea;

- la loro capacità può essere dimensionata sul reale fabbisogno del

semilavorato e non sulla massima velocità della linea;

in termini di mancanza del materiale: qualora mancasse il materiale solo particolari modelli ne verrebbero coinvolti e il lavoro potrebbe continuare sugli altri.

1.5.4 Lo Standardized Work

Il Toyota Production System organizza tutti i lavori attorno al “movimento umano”, e crea una sequenza efficiente di produzione che eviti ogni muda. Il lavoro organizzato in questo modo è chiamato “Lavoro standardizzato”, da non confondere con l’utilizzo di standard durante l’attività lavorativa. Il lavoro standardizzato consiste nell’applicazione di tre concetti:

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2. Working Sequence;

3. Standard In-Process Stock.

Il Takt Time, come già descritto, è il tempo in cui deve essere ottenuta un’unità di prodotto.

Il Working Sequence si riferisce alla definizione di sequenze di operazioni univoche per uno stesso processo, che porta un operaio a produrre beni di qualità in modo efficiente, riducendo le scorte e i rischi di infortunio o malattia.

Lo Standard In-Process Stock è la quantità minima di componenti che deve essere sempre a portata di mano per la produzione. Essa consente al lavoratore di fare il suo lavoro in modo continuo, eseguendo una stessa sequenza di operazioni ogni volta nello stesso ordine.

1.5.5 Il Kaizen

Nel Toyota Production System il cambiamento è una filosofia di vita, grazie ad un principio aziendale fondamentale di miglioramento continuo, conosciuto con il termine

Kaizen.

Kaizen significa che in tutta l'organizzazione ogni componente di un team cerca di

migliorare le modalità operative e che persone di tutti i livelli all'interno dell'azienda partecipano a questo processo di miglioramento. Nell’utilizzo pratico, il Kaizen descrive un ambiente in cui l’azienda e gli individui che vi lavorano si impegnano in maniera proattiva per migliorare i processi. La base del miglioramento è quella di incoraggiare le persone ad apportare ogni giorno piccoli cambiamenti nella loro area di lavoro. L’effetto complessivo di tutti questi piccoli cambiamenti, nel tempo, diventa significativo, specialmente se tutte le persone ed i loro responsabili si impegnano in prima persona nel seguire questa filosofia.

I miglioramenti, di solito, non sono accompagnati dall’utilizzo di tecniche sofisticate o costose o dall’impiego di materiali particolari. Invece di investire più soldi nell’acquisto di nuovi macchinari o attrezzature, infatti, il Kaizen porta l’organizzazione a fare più attenzione a dettagli importanti che, spesso, vengono trascurati. I manager, dunque,

(38)

vengono incoraggiati a migliorare l’efficienza delle infrastrutture già esistenti piuttosto che ad investire ulteriori risorse comprandone di nuove.

Il Kaizen richiede anche di avere le idee chiare su cosa si deve realizzare, fissando scopi e obiettivi del miglioramento in modo ben definito. Si tratta di un atteggiamento positivo che si focalizza su ciò che deve essere fatto, piuttosto che su ciò che può essere fatto.

Il miglioramento continuo si basa su tre principi chiave: 1. TPS – Thinking People System;

2. 5 Perché; 3. 5S.

TPS – Thinking People System

Nel Toyota Production System i componenti di un team sono spinti a pensare al processo e a prendere le decisioni adeguate per mantenerlo scorrevole, piuttosto che agire solamente come macchine. Questo coinvolgimento crea un forte senso di responsabilità per l'esito del processo, migliorando la qualità ed il morale. Anche questo è indispensabile per il successo del Kaizen. Il Kaizen non si basa solo su miglioramenti sviluppati e realizzati da esperti o dirigenti ma coinvolge tutti coloro che prendono parte attiva al processo produttivo in modo diretto, a seconda dell'estensione delle conoscenze, delle abilità e dell'esperienza.

5 Perché

Il Kaizen richiede che la logica ed i vantaggi di tutti i miglioramenti siano valutati con attenzione prima della loro realizzazione. La concezione dei “5 Perché” è stata sviluppata per ottenere proprio questo.

Ogni miglioramento pianificato deve essere messo alla prova domandando “Perché?” per cinque livelli, verificando che la logica ed il valore del miglioramento siano sicuri.

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Figura 1.18 - Logica dei “5 Perché”

5S

Il metodo 5S, così chiamato poiché fa riferimento a cinque termini giapponesi che iniziano tutti con la “S”, si focalizza sui principi di ordine, organizzazione, pulizia e standardizzazione. Tale tecnica permette di aumentare la produttività, e allo stesso tempo, migliorare sia la qualità che la sicurezza e può essere applicata in qualsiasi settore.

Nello specifico le 5S sono [1]:

1. SEIRI – Selezionare. Consiste nel classificare il materiale presente in un’area, identificandolo ed eliminando ciò che non serve. Inoltre gli articoli necessari devono essere divisi in tre categorie: articoli di uso frequente, articoli di uso occasionale e articoli di uso raro.

2. SEITON – Sistemare. Consiste nel disporre ciò che serve in modo che sia semplice ed efficiente accedervi e tenere il materiale in questo modo. L’obiettivo di questo punto è “Ogni cosa al suo posto e un posto per ogni cosa”. 3. SEISO – Splendere. Consiste nel pulire tutto, mantenerlo pulito e utilizzare le

attività di pulizia per assicurarsi che l’area di lavoro e i macchinari in essa contenuti siano in perfette condizioni. Infatti, mentre si eseguono operazioni di pulizia, si può cogliere l'occasione per esaminare macchine, strumenti e attrezzature. Se ispezione e pulizia vengono eseguite sistematicamente sono rapide e poco dispendiose, e nel lungo periodo permettono un consistente risparmio di tempo.

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4. SEIKETSU – Standardizzare. Consiste nel creare principi per tenere l’area in ordine, organizzata e pulita, e rendere tali principi visibili e ovvi per tutti. L'utilizzo di standard aiuta le persone ad abbandonare le abitudini errate ed a familiarizzare con le nuove procedure.

5. SHITSUKE – Sostenere. Consiste nel formare le persone e dare ad esse le necessarie informazioni affinché tutti in azienda seguano i principi del 5S. Consiste inoltre nell’eseguire audit periodici per la verifica in modo che il costante monitoraggio delle prestazioni permetta di individuare nuovi obiettivi nell'ottica del miglioramento continuo.

Figura 1.19 - Le 5S

I maggiori benefici che derivano dall’applicazione del 5S sono:

 sicurezza: un posto pulito, organizzato e ordinato è un posto di lavoro più sicuro;

 miglior flusso produttivo ed efficienza: eliminando materiale inutile ed organizzando ciò che serve, il 5S riduce il tempo necessario per cercare e trovare ciò che occorre. Indicazioni visive mostrano a chiunque dove vanno tenute le cose. Pulire e ispezionare i macchinari riduce i tempi improduttivi, in quanto si evidenziano i problemi prima che essi possano provocare rotture e guasti;

 miglior qualità: si ottiene grazie alla pulizia e alle ispezioni giornaliere, e al fatto che il materiale obsoleto non può essere usato per errore, essendo stato rimosso dal luogo di lavoro;

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 controllo del proprio posto di lavoro: con il 5S ciascuno organizza il proprio posto di lavoro mediante:

- l’identificazione di ciò che è necessario nell’area di lavoro; - l’assegnazione di un posto logico ad ogni cosa;

- il mantenimento delle cose come stabilito.

1.5.6 Altri strumenti del TPS

Vengono ora esposti altri principi base del Toyota Production System.

1.5.6.1 La Value Stream Mapping (VSM)

Tra le tecniche essenziali per l’applicazione del Toyota Production System, un’attenzione particolare merita il Value Stream. Esso viene definito come l’insieme di tutte le azioni a valore aggiunto normalmente richieste, a partire dalla materia prima, fino alla consegna al cliente [7]. Il presupposto sul quale si basa l'analisi dell'intero flusso del valore non è il miglioramento del singolo processo, ma l'ottimizzazione globale e continua.

Gli obiettivi di tale strumento sono molteplici:

 aiutare a vedere il flusso, più che concentrarsi sul singolo processo;

 vedere dove è lo spreco e quali sono le cause;

 fornire un linguaggio comune a tutti i livelli dell’organizzazione;

 mostrare il legame tra il flusso del materiale e il flusso dell’informazione;

 visualizzare gli effetti dei miglioramenti pensati per implementare il flusso;

 costituire la base di un piano di azioni, evitando scelte tecniche casuali.

Gli obiettivi possono essere sintetizzati in quanto segue: ottenere il flusso continuo, con il minimo spreco, il minor lead time, la migliore qualità.

La Value Stream Map è la rappresentazione grafica di questa tecnica e si realizza in due fasi:

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1. Rappresentazione dello stato attuale, eseguita seguendo il prodotto nel suo flusso attuale e individuando ogni fase che coinvolga materiali e informazioni. Una volta disegnato lo stato attuale è possibile rilevare gli sprechi che possono essere:

- eccesso di scorte (inteso anche come spreco di spazio); - setup troppo alti;

- basso up-time (qualche macchina risulta poco affidabile);

- lead time (cioè il tempo complessivo di attraversamento della produzione) eccessivo rispetto al tempo di processo.

2. Rappresentazione dello stato futuro, di come si vorrebbe far fluire il valore, eliminando gli sprechi dello stato attuale. Se i miglioramenti al processo verranno realizzati, lo stato futuro mostrerà un’organizzazione dove:

- i lead time e le scorte sono sensibilmente minori rispetto allo stato attuale;

- è possibile lavorare con una persona in meno (aggregando fasi in cui viene realizzata la stessa attività, è possibile liberare almeno una risorsa); - è possibile ridurre gli spazi occupati;

- ci sono meno scarti.

Un esempio di mappatura dello stato attuale e di quello futuro è riportato in Figura 1.20 e in Figura 1.21.

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Figura 1.20 - Mappatura dello stato attuale

Figura 1.21 - Mappatura dello stato futuro

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1. identificare il prodotto o la famiglia di prodotti;

2. disegnare i processi e i flussi attuali utilizzando una serie di semplici icone unificate predisposte allo scopo, in grado di rappresentare sia flussi fisici sia flussi di informazioni del sistema di pianificazione della produzione;

3. mappare lo stato attuale (stato “As-is”) in termini di valore creato ed individuare gli sprechi;

4. analizzare le inefficienze e le perdite;

5. mappare lo stato futuro (stato “To be”) e applicarsi per raggiungere le condizioni future programmate.

1.5.6.2 La Total Productive Maintenance (TPM)

Nei nuovi sistemi produttivi occorre ricomporre i processi per cui la manutenzione non può più essere considerata una funzione accessoria alla produzione ma, viceversa, come parte integrante di essa. Ciò, ovviamente, ha portato ad una evoluzione della manutenzione che è passata da attività di riparazione ad attività di prevenzione del guasto. Da questo punto di vista la manutenzione è diventata un’attività strategica. Nel nuovo modello organizzativo, tutta l’impresa, dal management fino agli operatori di linea, deve contribuire non solo a mantenere in buono stato gli impianti ma, soprattutto, a migliorarne l’efficienza [11].

L’integrazione delle funzioni produttive e manutenzione prende il nome di Total

Productive Maintenance (TPM).

La TPM è, quindi, un approccio alla manutenzione, ideato per minimizzare le fermate indesiderate degli impianti e massimizzare il loro impiego. Con questo approccio, si considera l’intero ciclo di vita dell’impianto, dalla sua progettazione, alla sua gestione e successiva dismissione. L’obiettivo è l’aumento di efficienza degli impianti e quindi l’aumento di produttività. Con questa filosofia la manutenzione non si esaurisce più nel singolo intervento operativo e occasionale, bensì l'obiettivo è portare al minimo le emergenze e gli interventi manutentivi non programmati.

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