Note di Analisi Matematica II
Ad uso degli studenti di Fisica
Romeo Brunetti
And a Heaven in a Wild Flower, Hold Infinity in the Palm of Your Hand And Eternity in a Hour
Vedere un mondo in un grano di sabbia e un universo in un fiore di campo, possedere l’infinito sul palmo di mano e l’eternità in un’ora
“Auguries Of Innocence,” William Blake (1757-1827)
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Versione del 23 maggio 2017
I Spazi metrici e normati, topologia e continuità
1 Spazi Euclidei, topologia
. . . 71.1 Spazi Euclidei, normati e metrici 7
1.2 Topologia 16
1.3 Funzioni da R
na elementi in R
m25
1.4 Topologia relativa 26
1.5 Continuazione della struttura di limite, continuità 27
2 Serie di funzioni, potenze e di Fourier
. . . 332.1 Successioni di funzioni 33
2.2 Serie di funzioni 33
2.3 Serie di potenze 33
2.4 Serie di Taylor e funzioni analitiche reali 33
2.5 Serie di Fourier 33
2.6 Dimostrazioni Teoremi Serie di Fourier 41
II Differenziabilità
2.7 Differenziabilità per funzioni a valori reali 45
2.8 Differenziabilità per funzioni a valori vettori 45
III Funzioni inverse e implicite
3 Varietà differenziali
. . . 513.1 Introduzione 51
3.2 Definizioni equivalenti di varietà 54
3.3 Teorema delle immersioni e sommersioni 62
3.4 Teorema dell’equivalenza e altre proprietà 64
3.5 Spazi tangenti e normali a varietà 68
3.6 Curve e superfici in R
370
3.7 Applicazioni 71
Bibliografia
. . . 73Testi 73
Articoli 73
I
1 Spazi Euclidei, topologia
. . . 7 1.1 Spazi Euclidei, normati e metrici1.2 Topologia
1.3 Funzioni da Rna elementi in Rm 1.4 Topologia relativa
1.5 Continuazione della struttura di limite, continuità
2 Serie di funzioni, potenze e di Fourier
. 33 2.1 Successioni di funzioni2.2 Serie di funzioni 2.3 Serie di potenze
2.4 Serie di Taylor e funzioni analitiche reali 2.5 Serie di Fourier
2.6 Dimostrazioni Teoremi Serie di Fourier
Spazi metrici e normati,
topologia e continuità
1.1 Spazi Euclidei, normati e metrici
Assumerò noto tutto quanto concerne il corso di Geometria, in particolare i risultati dell’algebra lineare, svolto dal Prof. Roberto Pignatelli. Alcuni argomenti vengono brevemente ripresi più che altro per fissare le notazioni, per il resto si faccia riferimento al corso ed al testo di base (Sernesi, vol. 1).
1.1.1 Definizione.
Si definisce prodotto scalare nello spazio vettoriale R
nsu R una forma bilineare, simmetrica, (semi) definita positiva
h; iW R
nR
n! R .v; w/ 7! hv; wi ossia, che soddisfi le seguenti proprietà:
1. Positività: per ogni v 2 R
nhv; vi 0; hv; vi D 0 ” v D 0 :
2. Linearità rispetto al primo termine: per ogni v
1; v
2; w 2 R
n, ˛
1; ˛
22 R h˛
1v
1C ˛
2v
2; w i D ˛
1hv
1; w i C ˛
1hv
2; w i : 3. Simmetria: per ogni v; w 2 R
n,
hv; wi D hw; vi :
1.1.2 Osservazione. La bilinearità in effetti è dovuta alla simmetria, scambiando i termini ed usando la linearità rispetto alla prima variabile si ha
hv; w1C w2isimmetriaD hw1C w2; vilinearitàD hw1; vi C hw2; visimmetriaD hv; w1i C hv; w2i :
Diremo ortogonali due qualsiasi vettori x; y 2 R
nper i quali hx; yi D 0.
Possiamo introdurre l’analogo del prodotto scalare per il caso dello spazio vettoriale C
nsu C.
Si ha
1.1.3 Definizione.
Una forma sesquilineare per C
nsul campo C è una mappa
W C
nC
n! C .v; w/ 7! .v; w/ ; che soddisfa le seguenti proprietà:
1. Per ogni v
1; v
2; w
1; w
22 C
n.v
1C v
2; w
1C w
2/ D .v
1; w
1/ C .v
1; w
2/ C .v
2; w
1/ C .v
2; w
2/ : 2. Per ogni v; w 2 C
ne 2 C
.v; w/ D .v; w/ : 3. Per ogni v; w 2 C
ne 2 C
.v; w/ D N.v; w/ :
Se la forma sesquilineare è simmetrica coniugata, cioè se per ogni v; w 2 C
n.v; w/ D .w; v/ ; allora viene chiamata forma hermitiana.
Il prodotto scalare standard su R
n, data la base canonica
1B WD fe
1; : : : ; e
ng, è così definito:
hx; yi : D
n
X
i D1
x
iy
iove con x
i; y
isi intendono le componenti rispettivamente dei vettori x; y rispetto all’i-esimo vettore della base ortonormale B, ossia vale la decomposizione
x D
n
X
j D1
x
je
j:
La forma hermitiana standard su C
n, data una base ortonormale B WD fe
1; : : : ; e
ng
2, è invece:
.x; y/ D
n
X
i D1
x
iy N
iLa definizione di un prodotto scalare su R
npermette anche di definire la norma euclidea/standard.
1Si ricorda che il generico elemento della base ej D .0; 0; : : : ; 0; 1; 0 : : : ; 0/|, con j D 1; : : : ; n, è un vettore colonna composto da tutti elementi nulli tranne il j -esimo che vale 1.
2È chiaro che se prendiamo Cncome spazio vettoriale su C la base standard di Rnfunziona anche in questo caso, mentre se fosse uno spazio vettoriale su R allora avremmo come elementi della base anche vettori del tipo i ek(con iDp
1), k D 1; : : : ; n, e quindi la dimensione dello spazio CnRsarebbe 2n invece di n.
1.1.4 Definizione.
Sia x 2 R
nun vettore dello spazio vettoriale R
n, spazio in cui abbiamo definito un prodotto scalare hv; wi: Si definisce norma euclidea del vettore x la quantità
kxk : D p
hx; xi D
p
nX
i D1
x
i2Non è difficile dimostrare che la norma euclidea soddisfa le seguenti proprietà:
N1. (Positività) Per ogni x 2 Rn
kxk 0 ; kxk D 0 ” x D 0 :
N2. (Omogeneità) Per ogni x 2 Rne 2 R
kxk D jj kxk :
N3. (Disuguaglianza triangolare) Per ogni x; y 2 Rnkx C yk kxk C kyk :
N4. (Disuguaglianza inversa) Per ogni x; y 2 Rnjkxk kykj kx y k :
N5. (Disuguaglianza di polarizzazione) Per ogni x; y 2 Rnhx; yi D 1
4 . kx C yk kx y k/ :
N6. (Uguaglianza di Pitagora) Per ogni x; y 2 Rnsi ha
kx ˙ yk
2D kxk
2C kyk
2se e solo se hx; yi D 0.
Inoltre è già noto dal corso di geometria che vale la seguente cruciale disuguaglianza:
1.1.5 Teorema. (Disuguaglianza di Cauchy-Schwarz)
Per ogni x; y 2 R
nvale la seguente disuguaglianza:
jhx; yij kxkkyk :
Dimostrazione. Siano x; y 2 R
ndue vettori non nulli. Prendiamo 2 R. Abbiamo che kx C yk
2D hx C y; x C yi D hx; xi C hy; xi C hx; yi C
2hy; yi
D kxk
2C 2hx; yi C
2kyk
2Scegliendo opportunamente (in questo caso ponendolo uguale a
hx;yikyk2) si ottiene kx C yk
2D kxk
22 hx; yi
2kyk
2C hx; yi
2kyk
2D kxk
2hx; yi
2kyk
2Ricordando che kx C yk
20, abbiamo che
kxk
2hx; yi
2kyk
20 ” kxk
2hx; yi
2kyk
2” kxk
2kyk
2hx; yi
2: Prendendo la radice quadrata in ambo i membri dell’ultima disuguaglianza otteniamo
kxkkyk jhx; yij
L’asserto è dimostrato.
1.1.6 Osservazione. Notiamo che anche su Cnla forma hermitiana standard definisce una norma con le stesse proprietà di quella euclidea standard, tranne alcune piccole variazioni, come nel caso della identità di polarizzazione che ora diventa, per ogni x; y 2 Cndella forma
hx; yi D1
4.kx C yk kx yk C ikx C iyk ikx i yk/ :
La norma euclidea non è l’unica norma definibile su R
n. Una qualsivoglia funzione da R
na valori in R per la quale valgono le prime tre proprietà
N1,N2,N3, si dice una norma. Ad esempio,definiamo
kxk
1: D
n
X
j D1
jx
jj ; e
kxk
1: D max
1j n
jx
jj :
Non è difficile verificare che le tre citate proprietà sono verificate in entrambi i casi. Infatti, tutte sono facilmente deducibili dalle proprietà basilari dei numeri reali e dei loro valori assoluti. Ad esempio, per quanto riguarda la norma delle somme dei valori assoluti, la proprietà
N3segue dalla disuguaglianza elementare
jx C yj jxj C jyj ; per ogni x; y 2 R ;
ossia la disuguaglianza triangolare dei numeri reali R visti come spazio normato .R; j j/.
Le norme appena definite non sono le uniche che possiamo definire, ad esempio una intera famiglia che comprende tutte quelle già definite, inclusa l’euclidea, è definibile nel modo seguente;
per ogni p 2 Œ0; C1/ scriviamo
kxk
p: D
n
X
j D1
jx
jj
p!
1=p;
e non è terribilmente difficile dimostrare che sono ancora norme per ogni valore di p. Per p D 1; 2 si ritrovano l’euclidea e la norma kk
1, per dimostrare che per p generico siano norme servono strumenti più sofisticati, alcune disuguaglianze come quella denominata di Hölder che non discute- remo ulteriormente perchè non di estrema utilità per il nostro corso. Il fatto che anche la norma del massimo sia inclusa è dovuta al fatto che vale la seguente proprietà
p!C1
lim kxk
pD kxk
1;
la cui dimostrazione non è difficile. Segue infatti dall’ovvia disuguaglianza tra numeri reali positivi a; b > 0 e ogni p 2 Œ1; C1/
a .a
pC b
p/
1=p;
opportunamente generalizzata a n termini positivi. Infatti, se a b > 0 allora poiché b=a 1 .a
pC b
p/
1=pD a
1 C b
a
p1=p! a maxfa; bg ; per p ! C1 : Quindi possiamo includere anche il caso infinito nella scelta di p, p 2 Œ1; C1.
Quanto detto finora può essere opportunamente generalizzato, ed infatti nella storia della
matematica questo è quanto accaduto, a spazi lineari più generali, siano essi finito o infinito
dimensionali, senza differenza alcuna. In particolare, la nozione di spazio normato prescinde sia
dalla nozione di prodotto scalare, sia dalla eventuale scelta di una base ortonormale, che nei nostri
esempi hanno fatto da guida.
1.1.7 Esempi.
Come esempi semplici, consideriamo lo spazio lineare delle funzioni continue definite sull’intervallo chiuso Œ0; 1 a valori reali, denominato C.Œ0; 1; R/, spazio lineare su R. Una possibile norma è una variante della norma del massimo vista precedentemente
kf k
1: D sup
x2Œ0;1
jf .x/j :
In effetti, per il Teorema di Weierstrass
3visto ad Analisi Matematica I
4, l’estremo superiore in realtà è un massimo, quindi la completa analogia con la norma vista su R
ne conseguente dimostrazione che anche la norma appena definita sia in effetti una vera e propria norma. Lo spazio C.Œ0; 1; R/ è in effetti uno spazio infinito dimensionale, ma le sue proprietà come spazio normato non sono differenti da quelle dello spazio normato .R
n; kk
1/. Avremo tempo per dare corpo a questa affermazione nel prosieguo del corso.
Un possibile controesempio, di importanza cruciale per la storia della matematica, è invece legato allo spazio lineare delle funzioni integrabili secondo Riemann
5sull’intervallo chiuso Œ0; 1, denominato Riem.Œ0; 1; R/. Che sia uno spazio vettoriale segue dalle proprietà delle funzioni integrabili secondo Riemann viste ad Analisi Matematica I. Possiamo definire una “norma” scrivendo
(1.1) kf k
1:
D Z
10
jf .x/j dx ;
quindi una specie di versione “continua” della norma kk
1vista per R
n. Formalmente sembra proprio di avere una norma, il problema nasce dal fatto che la proprietà
N1ora non è soddisfatta, in particolare non è vero che kf k
1D 0 implichi che f 0, ossia la funzione identicamente nulla su Œ0; 1. Infatti, dalle proprietà dell’integrazione secondo Riemann, cambiare il valore della funzione integranda in un punto non cambia l’integrale e sulla base di questa considerazione è ovvio che la funzione indentincamente nulla ha integrale nullo come la funzione che vale sempre zero in Œ0; 1/ e vale 1 nel punto x D 1. Stesso valore nullo dell’integrale ma funzioni differenti, quindi la
N1non è vera per la norma definita sopra. Questa considerazione ha fatto da guida sia per trovare una forma di integrazione più sofisticata, culminata nell’integrazione secondo Lebesgue
6, sia nella costruzione di strutture matematiche più generali ancora di quelle degli spazi normati, dovute inizialmente in parte a Lebesgue e ad uno degli studenti di Hadamard
7, Maurice Fréchet
8. Entrambe queste generalizzazioni non saranno utilizzate in modo sistematico in questo corso.
A questo punto però è ragionevole dire che un sottospazio dello spazio delle funzioni integrabili secondo Riemann in Œ0; 1 è in realtà uno spazio normato ben definito tramite la norma in eq.(1.1), si tratta del sottospazio delle funzioni continue. In questo caso la dimostrazione della veridicidità della
N1segue dal fatto dimostrabile nella teoria dell’integrazione Riemanniana che per ogni funzione continua f in Œ0; 1 per cui esiste c 2 Œ0; 1 tale che f .c/ > 0 sia ha R
10
f > 0.
A questo punto dimostriamo un lemma tecnico che sarà utile a breve.
1.1.8 Lemma.
Valgono le seguenti relazioni:
1. Per ogni famiglia finita fx
.1/; : : : ; x
.N /g, N 2 N, di elementi di R
nsi ha
N
X
kD1
x
.k/N
X
kD1
kx
.k/k :
3Vedere, ad esempio, Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Weierstrass
4Pagani-Salsa, vol.1, Proposizione 1.6, pag.206
5Vedi, ad esempio, Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Bernhard_Riemann
6Vedere, ad esempio, Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Henri_Lebesgue
7Vedere, ad esempio, Wikipedia: https://fr.wikipedia.org/wiki/Jacques_Hadamard
8Vedere, ad esempio, Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Maurice_Ren%C3%_Fr%C3%chet
2. Per ogni x 2 R
ne j D 1; : : : ; n, si ha
jx
jj kxk kxk
1p n kxk : 3. Per ogni x 2 R
nsi ha
kxk
1kxk p
n kxk
1:
Dimostrazione. La prima asserzione è semplicemente una generalizzazione della disuguaglianza triangolare, dimostrabile per iterazione. La seconda segue dalla seguente catena di disuguaglianze
jx
jj
n
X
j D1
jx
jj
!
1=2D kxk D
n
X
j D1
x
je
jCauchy-Schwarz
n
X
j D1
jx
jke
jk
D
n
X
j D1
jx
jj D h.1; 1; : : : ; 1/; .jx
1j; jx
2j; : : : ; jx
nj/i
Cauchy-Schwarzp
n kxk :
La terza parte segue dalla seconda prendendo dapprima il massimo rispetto a j nella prima parte e poi dalla disuguaglianza
kxk
2D
n
X
j D1
x
j2nkxk
21;
come consegue dall’applicazione dall’ovvia disuguaglianza jx
jj kxk
1.
1.1.9 Definizione.
Una distanza o metrica su R
nè una funzione d W R
nR
n! R
.x; y/ 7! d.x; y/
che verifica le seguenti proprietà:
1. (Positività) Per ogni x; y 2 R
nvale
d.x; y/ 0 ; d.x; y/ D 0 ” x D y ; 2. (Simmetria) Per ogni x; y 2 R
nvale
d.x; y/ D d.y; x/ ; 3. (Disuguaglianza triangolare) Per ogni x; y; z 2 R
nvale
d.x; y/ d.x; z/ C d.z; y/ :
La coppia .R
n; d / viene chiamata spazio metrico. In particolare, in R
n, data una base, ad esempio quella standard B, la metrica puó essere indotta dalla norma euclidea, ad esempio, e viene cosí definita:
d.x; y/ : D
p
nX
i D1
jx
iy
ij
2Anche ora, cambiando la norma che induce la metrica, si ottengono spazi metrici a priori differenti, ad esempio .R
n; d
1/ indotto dalla norma della somma dei valori assoluti, ossia
d
1.x; y/ D
n
X
j D1
jx
jy
jj ;
oppure .R
n; d
1/ indotto dalla norma del massimo, ossia d
1.x; y/ D max
1j n
jx
jy
jj ; cosí come per tutte le altre norme kk
pal variare di p 2 Œ0; C1/
(1.2) d
p.x; y/ D kx y k
p:
Che tutte siano metriche ben definite segue dalle analoghe proprietà per le norme che le definiscono.
Ci sono anche metriche che non sono indotte da norme, nel senso dell’eq.(1.2), ad esempio possiamo considerare la seguente funzione da R
nR
na valori reali
d.x; y/ D kx y k
p1 C kx y k
p;
per p 2 Œ1; C1. Che valgano le tre proprietà definenti una metrica è abbastanza semplice da verificare. Le prime due seguono dalle proprietà delle metriche indotte dalla norma kk
p, la disuguaglianza triangolare peró non è automaticamente verificata da quella indotta dalle norme e può essere dimostrata utilizzando il seguente lemma
1.1.10 Lemma.
La funzione
f .t / D t 1 C t ; per t 0 è strettamente crescente.
Dimostrazione. È facilmente verificabile che f
0> 0 in Œ0; C1/. A questo punto la dimostrazione segue le proprietà elementari dei numeri reali non negativi, ossia, poiché dati x; y; z 2 R
nho sempre
kx y k
pkx z k
pC kz y k
p; allora dal Lemma 1.1.10 ne consegue
kx y k
p1 C kx y k
pkx z k
pC kz y k
p1 C kx z k
pC kz y k
pD kx z k
p1 C kx z k
pC kz y k
pC kz y k
p1 C kx z k
pC kz y k
pkx z k
p1 C kx z k
pC kz y k
p1 C kz y k
pper cui la disuguaglianza triangolare è verificata.
1.1.11 Esempi.
Un esempio cruciale per alcune cose che vedremo nel prossimo futuro è il seguente spazio metrico, .C.Œ0; 1; R/; d
1/ in cui la metrica è indotta dalla norma dell’estremo superiore come visto in precedenza, ossia
d
1.f; g/ :
D kf g k
1D sup
x2Œ0;1
jf .x/ g.x/ j max
x2Œ0;1
jf .x/ g.x/ j :
Lo diremo lo spazio delle funzioni continue nella metrica della convergenza uniforme.
Per sviluppare meglio l’intuizione geometrica introduciamo un paio di nuovi concetti. In senso lato vedremo come affrontare il concetto di “intorno” o “vicinanza” ad un punto di R
nmediante due strategie principali, una che possiamo chiamare strategia statica, che ci condurrà alla considerazione di insiemi i cui punti sono tutti “democraticamente” vicini al punto considerato, l’altra invece una strategia dinamica, in cui la vicinanza al punto è considerata tramite successioni di punti che convergono al punto considerato. In qualche modo vediamo l’indice che etichetta la successione come una specie di tempo discreto e la successione come una traiettoria con arrivo nel punto desiderato. Queste strategie, almeno nel caso semplice di uno spazio normato come R
n, forniscono caratterizzazioni equivalenti di alcune importanti strutture matematiche. Cominciamo col caso statico.
1.1.12 Definizione.
Sia .R
n; d
p/ con una delle metriche d
pindotte dalle norme, e siano x
02 R
ne R > 0. Si dice sfera di centro x
0e raggio R l’insieme dei punti di R
nche hanno distanza da x
0uguale a R
S
p.x
0; / :
D fx 2 R
nW d
p.x; x
0/ D Rg :
Diremo palla aperta di centro x
0e raggio R l’insieme dei punti x 2 R
nla cui distanza da x
0è strettamente minore di R,
B
p.x
0; R/ :
D fx 2 R
nW d
p.x; x
0/ < R g :
Diremo palla chiusa di centro x
0e raggio R l’insieme dei punti x 2 R
nla cui distanza da x
0è minore o uguale di R,
B
p.x
0; R/ :
D fx 2 R
nW d
p.x; x
0/ Rg :
Chiaramente sfere e palle aperte sono sempre sottoinsiemi delle palle chiuse corrispondenti.
Nel caso euclideo conosciamo già questi insiemi e la terminologia è mutuata da questo caso basilare. Tuttavia la terminologia non deve trarre in inganno perchè gli oggetti vengono chiamate palle ma in genere sono tali solo nella metrica euclidea. Infatti, ponendoci per semplicità di visualizzazione in R
2, se consideriamo x
0D 0 ed R D 1 allora avremo le seguenti palle chiuse per p D 1; 2; C1
Figura 1.1: Palle chiuse
Da questo si evince che la qualifica palle mal si addice ai casi non euclidei, in effetti, nei casi p D 1; C1 abbiamo dei cubi più che delle sfere. Purtuttavia questa terminologia è rimasta in uso ed è quella che per brevità, abusando il linguaggio, talvolta utilizzeremo. In questa ottica il Lemma 1.1.8 ha anche una spiegazione in termini puramente geometrici usando le palle aperte, ad esempio, ossia si ha la seguente successione di inclusioni
B
1.0; 1=n/ B
1.0; 1/ B
2.0; 1/ B
1.0; 1/ ;
per cui il cubo di centro l’origine e lato di lunghezza 2=n è incluso nel romboedro di assi di lunghezza entrambi uguali a 2 il quale è a sua volta incluso nella sfera di diametro 2 a sua volta inclusa nel cubo di lato 2.
Per vedere il caso dinamico dobbiamo dapprima discutere il concetto di limite in R
n.
1.1.13 Definizione.
Sia .x
.k//
k2Nuna successione a valori in R
ne sia a 2 R
n. Diremo che la successione è convergente al punto a se lim
k!C1kx
.k/a k D 0, ossia come limite di numeri reali. In pratica, ricordando la definizione di limite in R, se per ogni > 0 esiste un n
02 N tali che per ogni n > n
0si abbia
kx
.n/a k < : In tal caso, scriveremo lim
k!C1x
.k/D a.
Il primo risultato interessante è un teorema “ponte,” che unisce in modo ancora più inequivoca- bile la convergenza in R
ncon quella in R, ossia
1.1.14 Proposizione.
Sia .x
.k//
k2Nuna successione a valori in R
ne a 2 R
n. La successione è convergente in R
ncon limite a se e solo se per ogni j D 1; : : : ; n la componente j -esima degli elementi della successione .x
j.k//
k2Nconverge in R alla componente j -esima a
jdel punto a. Quindi, in caso di convergenza,
(1.3) lim
k!C1
x
j.k/D
k!C1
lim x
.k/j
; per ogni j D 1; : : : ; n :
La dimostrazione di questa proposizione è ovvia se prendiamo in considerazione il Lemma 1.1.8.
1.1.15 Osservazioni. Facciamo alcune osservazioni. La prima è che, tenuto conto ancora una volta del Lemma 1.1.8, notiamo come una successione convergente in Rncome da definizione sia in realtà anche convergente nelle norme kk1e kk1. Quindi, c’è una sorta di “democrazia” anche nel punto di visto dinamico di vicinanza, ossia non dipende dalla norma o metrica che stiamo usando, almeno se ci restringiamo a quelle citate. Vedremo che questo è vero in senso ancora più generale più in avanti. La seconda osservazione in un certo senso anticipa uno dei punti cruciali del corso, ossia la condizione di continuità applicata alla funzione j W Rn! R che proietta ogni elemento di Rnsulla sua componente j -esima, ossia j.x/D xj
(avendo supposto la scelta di una base ortornormale). L’eq.(1.3) infatti stabilisce che la proiezione j è funzione continua in a. La terza osservazione è che, almeno per norme che derivano da un prodotto scalare, determinare la convergenza di una successione in termini della norma è equivalente a determinarne la convergenza in termini del prodotto scalare. Nel caso euclideo, ad esempio, possiamo dimostrare che la successione .x.k//k2Nè convergente in Rnad a nel senso appena visto se e solo se converge la successione dei numeri reali .hx.k/; vi/k2Nper ogni direzione v 2 Rn, al numero reale ha; vi. Un semplice uso della disuguaglianza di Cauchy-Schwarz rende l’equivalenza una verifica semplice. 1.1.16 Esempio.
Diamo una illustrazione della proposizione considerando l’esempio semplice di
una successione in R
2del tipo
x
.k/D 0 B
@
.kCek/a1
ek
k2a2
1Ck2
1 C A
per ogni a; b 2 R. Dimostriamo che tale successione converge all’elemento a D .a
1; a
2/
|2 R
2. Scrivendo la differenza x
.k/a in termini delle due componenti
.k C e
k/a
1e
ka
1; k
2a
21 C k
2a
2; con semplice algebretta si ottiene
ka
1e
k; b
1 C k
2;
da cui è evidente che la successione tende al punto a perchè convergono a zero entrambe le componenti. D’altra parte, la successione della differenza converge a zero nella norma euclidea poiché
kx
.k/a k
2D k
2a
21e
2kC b
2.1 C k
2/
2;
questa espressione tende a zero per k tendente all’infinito.
Il prossimo teorema è detto della linearità perché implica che l’insiemem di tutte le successioni convergenti in R
nè uno spazio lineare sui reali.
1.1.17 Teorema. (Teorema di Linearità)
Siano .x
.k//
k2N, .y
.k//
k2N, .
k/
k2N, successioni convergenti rispettivamente in R
ned in R. Allora vale
k!1
lim x
.k/C
ky
.k/D lim
k!1
x
.k/C lim
k!1
klim
k!1
y
.k/:
La dimostrazione è ovvia, ad esempio usando il Teorema (Proposizione) ponte visto prima in 1.1.14.
Tutto quello visto finora ha una ovvia controparte per il caso C
n, lascio a chi legge l’opportunità di controllare la veritidicità di questa affermazione.
1.2 Topologia
I concetti, statico e dinamico, di vicinanza sono cruciali per definire una struttura importante in mate- matica (ed in fisica), la topologia. Per definitezza vedremo la cosiddetta topologia euclidea standard, derivata dalla norma euclidea. In seguito, discuteremo eventuali variazioni e generalizzazioni.
1.2.1 Definizione.
Un punto x 2 R
nsi dirà interno ad E R
nse esiste R > 0 tale che B.x; R/ E. Si dirà altresì esterno ad E se è interno al suo complemento E
c:
D R
nn E. I punti interni ad E si denotano col simbolo int.E/, mentre gli esterni si denotano col simbolo ext.E/. Diremo inoltre che x 2 R
nè un punto di frontiera di E se non è né interno né esterno ad E. Ossia, per ogni R > 0
B
2.x; R/ \ E ¤ ; e B
2.x; R/ \ E
c¤ ;
cioè ogni intorno sferico di x interseca sia E, sia il suo complemento E
c. I punti di frontiera
di E saranno denotati col simbolo fr.E/ (talvolta col simbolo @E).
1.2.2 Esempi.
Vediamo esempi di punti interni, esterni e di frontiera:
Dato E R W E D .a; b/, tutti i punti di E sono punti interni: int.E/ D E e fr.E/ D fa; bg;
Dato E R W E D Œa; b, int.E/ D .a; b/ e fr.E/ D fa; bg;
Dato E R W E D Œa; C1/, int.E/ D .a; C1/ e fr.E/ D fag;
Sia Q R. Poiché ogni intervallo di x 2 R contiene sia razionali, sia irrazionali si ha int.Q/ D ; ed inoltre poiché Q
cD R n Q sono i numeri irrazionali, allora ext.Q/ D ; perché anche in questo caso non esistono intervalli centrati in un irrazionale e comprendente solo irrazionali. Da quanto detto se ne deduce che fr.Q/ D R;
Data una retta r in R
2si ha int.r / D ; e fr.r / D r .
Consideriamo R
ncome sottoinsieme di se stesso, allora int.R
n/ D R
n, ext.R
n/ D ; e fr.R
n/ D ;.
Considerato ; come sottoinsieme di R
nis ha int.;/ D ; e ext.;/ D R
n, da cui fr.;/ D R
n.
Dagli esempi e dalla definizione notiamo che è sempre vero che per A R
nvale int.A/ A, mentre lo stesso non è vero per le frontiere di un qualsiasi sottoinsieme di R
n. Questa proprietà stimola una definizione cruciale
1.2.3 Definizione. (Insieme Aperto)
Un sottonsieme A R
nsarà detto sottoinsieme aperto di R
nse vale int.A/ D A.
Notiamo che l’insieme vuoto ; ha elementi che soddisfano sempre ogni condizione quindi è un aperto. Inoltre, lo spazio R
nè esso stesso un aperto. Da notare anche che per un isnieme l’essere aperto è caratteristica dell’insieme ambiente, ossia se consideriamo gli insiemi .a; b/ e R come sottoinsiemi di R allora entrambi sono aperti in R, mentre se li consideriamo come sottoinsiemi di R
nallora nessuno dei due è un aperto di R
n. Talvolta nel linguaggio omettiamo la specifica per un aperto di essere tale in un certo spazio ambiente, nella speranza che il contesto renda chiaro di quale spazio ambiente si parli. Un primo risultato interessante è il seguente, che in primis accorda le terminologie vecchie e nuove.
1.2.4 Lemma.
Ogni palla aperta di R
nè un sottoinsieme aperto di R
n.
Dimostrazione. Sia B.a; R/ la palla in esame. Allora per ogni z 2 B.a; R/ poniamo O R D kz a k, sicché R R > 0. Allora, B.z; R O R/ O B.a; R/ poiché per ogni x 2 B.z; R R/ si ha O
kx a k kx z k C kz a k R R O C O R D R ;
da cui la tesi per l’arbitrarietà di z e R.
Poiché la parte interna di un insieme caratterizza l’essere aperto o meno è interessante notare che
1.2.5 Lemma.
L’insieme dei punti interni int.A/ per ogni A R
nè il più grande aperto contenuto in A.
Dimostrazione. Dobbiamo dapprima dimostrare che int.A/ è un aperto. Se a 2 int.A/ allora esiste un R > 0 tale che B.a; R/ A, per definizione di punto interno ad A. Come nella dimostrazione del lemma precedente allora se z 2 B.a; R/ troviamo un O R > 0 tale che B.z; R R/ O B.a; R/ A.
Ripetendo il ragionamento per tutti gli elementi di B.a; R/ otteniamo che tutti i punti della palla aperta sono interni ad A ossia che B.a; R/ int.A/ e quindi che int.A/ è un aperto. Per la seconda parte, invece, se B A è un aperto, è chiaro dalla definizione che B int.A/, e quindi l’interno
di A è l’aperto più grande contenuto in A.
Una prima proprietà cruciale degli insiemi aperti di R
nè la seguente:
1.2.6 Lemma.
(i) L’unione di un numero arbitrario di insiemi aperti di R
nè ancora un aperto di R
n(ii) L’intersezione di un numero arbitrario ma finito di aperti di R
nè ancora un aperto di R
n. Dimostrazione. La prima segue dalla definizione di aperto, infatti se J è un arbitrario insieme di indici definiamo l’insieme A :
D [
j 2JA
j. Essendo formato da aperti, ogni suo elemento a 2 A appartiene almeno ad uno degli insiemi dell’unione, diciamo A
jche essendo aperto implica che troviamo una palla aperta tutta contenuta in esso, che sarà a sua volta tutta contenuta nell’unione.
La seconda proprietà invece si dimostra come segue: sia fA
jW j D 1; : : : N g la famiglia finita di aperti di R
n, con N 2 N arbitrario. Si consideri A :
D \
j D1NA
j. Se A fosse vuoto allora avremmo finito. Supponiamo altrimenti. Allora esiste a 2 A e sappiamo che a 2 A
jper ogni j . Poichè ogni A
jè un aperto allora esisteranno R
j> 0 ; j D 1; : : : ; N; tali che B.x; R
j/ A
j. Definiamo ora R D min
1j NR
j, allora per esso vale B.x; R/ A
jper ogni j ossia B.x; R/ A, quindi A è
aperto.
La definizione astratta di insieme aperto segue dall’ultimo lemma, ossia se abbiamo un insieme generico X , definire una topologia su di esso significa specificare i suoi insiemi aperti e tali insiemi vengono definiti essere i sottoinsiemi di X per cui le due proprietà appena dimostrate vengono soddisfatte in modo assiomatico. Da notare come ora la definizione sia completamente slegata dalle eventuali proprietà metriche o normiche di X . Il concetto di vicinanza ad un punto, o ad un insieme, assegnato ora è semplicemente l’appartenenza ad un insieme aperto che contenga detto punto, o detto insieme. Il passo successivo è la nozione di intorno che precisa tale vicinanza. Nuovamente lo definiamo nel nostro contesto pratico per R
n.
1.2.7 Definizione.
Sia A R
nnon vuoto. Un intorno aperto di A è un insieme aperto che contiene A, e un intorno di A è un qualsiasi insieme che contiene un intorno aperto di A. Un intorno dell’insieme fxg, per ogni x 2 R
n, è anche chiamato un intorno del punto x. Possiamo denotare un intorno di x col simbolo U.x/.
1.2.8 Osservazioni. (A) Facciamo prima notare che un punto x 2 A Rnè un punto interno di A se e solo se A è un intorno di x. Infatti, x è interno ad A se e solo se appartiene a int.A/ che è un aperto contenuto in A.
(B) Anche la nozione di intorno può essere assiomatizzata. Nel caso di intorni (aperti) di un punto fissato si ha che per essere tali devono soddisfare (almeno) le seguenti proprietà:
1. Ogni punto x 2 Rndeve possedere almeno un intorno U.x/;
2. Per ogni coppia di intorni U1.x/; U2.x/ di x si ha che U1.x/\ U2.x/ deve contenere un intorno di x;
3. Se y è un punto in un intorno U.x/ di x, allora deve esistere un intorno U.y/ di y contenuto in U.x/;
4. (assioma di separazione di Hausdorff) Se x ¤ y allora esistono almeno un intorno U.x/ di x e almeno un intorno U.y/ di y tali da non avere nessun punto in comune, ossia
U.x/\ U.y/ D ; :
Queste proprietà vennero formulate come assiomi per una famiglia di intorni in uno spazio topologico da Hausdorff9nel 1919. Il punto cruciale che permette una comprensione del perchè tali proprietà siano ragionevoli è dato dal fatto che nel nostro caso concreto una famiglia di intorni è dato, ad esempio, dalle palle aperte centrate nel punto prefissato x 2 Rn. Ci sono altre possibili variazioni per le proprietà degli intorni ma non le discuteremo in questo corso. In genere le palle aperte con centro in x 2 Rnvengono chiamate anche intorni sferici, per enfatizzare il concetto di intorno. Da notare che gli intorni di un punto possono essere di natura completamente generica, non necessariamente essere obbligatoriamente sferici, ma anche
cubici, rettangolari oppure più generali ancora.
9Vedere, ad esempio, Wikipedia:https://en.wikipedia.org/wiki/Felix_Hausdorff
Avendo precisato meglio il concetto statico di vicinanza tramite gli intorni, passiamo ora a definire i primi passi per meglio definire il concetto dinamico di vicinanza. Questo ha come punto nodale la seguente definizione.
1.2.9 Definizione.
Un punto x 2 R
nsi dirà punto di accumulazione per l’insieme A R
nse ogni sfera aperta centrata in x contiene almeno un punto di A n fxg. Se un punto x 2 A non è un punto di accumulazione per E, viene detto punto isolato.
Ogni punto interno di A è un punto di accumulazione, mentre i punti di frontiera possono essere sia punti di accumulazione, sia punti isolati. L’insieme dei punti di accumulazione di A viene detto derivato di A e viene indicato con A
0oppure con D.A/. Se A
0D A, di dice che A è perfetto. Se A
0D ;, l’insieme A è detto discreto.
1.2.10 Osservazione. Se un insieme è discreto, tutti i punti appartenenti all’insieme sono punti isolati, ma l’implicazione inversa non vale. Ad esempio: consideriamo la successione A :
D fn1 W n 2 Ng .0; 1;
in questo caso, ogni punto della successione è un punto isolato, ma A0 ¤ ;, in quanto 0 è un punto di accumulazione! Un altro esempio peculiare e pregnante è costituito da N a seconda se lo interpretiamo come sottoinsieme di R oppure come sottoinsieme di R, ove con Rsi intende l’insieme dei reali esteso, ovvero R[ f 1; C1g, allora nel primo caso N è un insieme discreto, ossia N0D ;, mentre nel secondo caso il derivato non è vuoto perché C1 costituisce un punto di accumulazione per N!
1.2.11 Teorema.
Sia E R
nun insieme, e sia x un suo punto di accumulazione. Ogni intorno U.x/ contiene infiniti punti di E.
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista un intorno U.x/ che contenga un numero finito N 2 N di punti di E, che indichiamo con x
1; x
2; : : : ; x
N. Consideriamo l’intorno sferico B.x; /
di centro x e raggio definito nel modo seguente:
D min
1j N
d.x; x
j/ > 0 :
Questo intorno sferico non contiene punti di E, a parte x. Di conseguenza, considerando l’intorno U.x/ coincidente con il suddetto intorno sferico, abbiamo trovato un intorno di x che non contiene punti di E. Ma questo è un assurdo, in quanto x è un punto di accumulazione per E. L’asserto è
quindi dimostrato.
Siamo pronti ora a definire un concetto cruciale tanto quanto quello di insieme aperto.
1.2.12 Definizione.
Un insieme E R
nviene detto chiuso se E
cè aperto.
È ovvio che l’insieme vuoto è chiuso e che tale è l’intero R
n. Notiamo anche che gli insiemi di R
nnon sono porte, ossia esistono insiemi che non sono necessariamente né chiusi né aperti, come ad esempio l’insieme Œa; b/ in R. Vale peró il seguente ovvio risultato
1.2.13 Teorema.
E R
nè aperto ” E
cD R
nn E è chiuso.
1.2.14 Esempi.
Esempi interessanti:
L’intervallo E R W E D .a; b/ è aperto, mentre R n E D . 1; a [ Œb; C1/ è chiuso;
Q non è né aperto, né chiuso: infatti, anche R n Q non è né aperto, né chiuso;
Sia data una retta E D f.x; y/ 2 R
2W y D ˛xg; in questo caso, i semipiani individuati dalla retta sono aperti, e di conseguenza E è chiuso.
Il primo risultato interesssante è quello che accorda vecchia e nuova terminologia come nel caso degli aperti.
1.2.15 Lemma.
Ogni palla chiusa di R
nè un chiuso di R
n. Dimostrazione. Sia C :
D B.a; R/ una palla chiusa centrata in a 2 R
ne di raggio R 0. Con- sideriamo un generico punto b 2 C
c, e poniamo r D kb a k. Poiché r R > 0, allora B.b; r R/ C
c, poiché per la disuguaglianza triangolare inversa, si ha che se x 2 B.b; r R/
allora
ka x k ka b k kx b k > r .r R/ D R :
Questo significa che ogni punto in B.b; r R/ è a distanza maggiore del raggio della palla chiusa C quindi è nel suo complementare, poiché questo è vero per ogni punto della palla aperta B.b; r R/
allora abbiamo dimostrato che C
cè aperto e quindi che C è chiuso in R
n. Come per gli aperti, i chiusi soddisfano una coppia di proprietà importanti.
1.2.16 Teorema.
1. Sia F una famiglia arbitraria di chiusi di R
n. Allora T
F 2F
F è un chiuso di R
n.
2. Sia F una famiglia finita di chiusi di R
n. Allora S
F 2F
F è un chiuso di R
n.
Dimostrazione. La dimostrazione è ovvia dalle definizioni di insiemi chiusi e aperti e usando la legge di de Morgan per il complemento di unioni e intersezioni di insiemi. Possiamo definire, a questo punto, una operazione analoga all’operazione di prendere l’interno di un insieme e definire
1.2.17 Definizione.
Per ogni sottoinsieme A R
n, definiamo la chiusura o aderenza di A l’insieme A :
D A [ fr.A/. Un generico punto x 2 A viene detto aderente ad A.
È chiaro da questa definizione che un punto aderente ad A è o un punto isolato di A oppure è un punto di accumulazione per A, appartenente o meno ad A.
Il legame tra chiusura e interno di un insieme viene sviluppato nel seguente
1.2.18 Lemma.
(i) Sia A R
n. Allora . A /
cD int.A
c/, in particolare la chiusura di A è un insieme chiuso in R
n. Inoltre, A
cD int.A/
c.
(ii) La chiusura A di A è il più piccolo insieme chiuso di R
ncontenente A.
Dimostrazione. La seconda parte è ovvia dal Lemma 1.2.5, prendendo il complementare degli insiemi. Per la prima parte, è chiaro dalla definizione che A A. Affinché un punto x non sia di aderenza per A è sufficiente allora che sia un punto interno al complemento A
c, ossia .A/
cD int.A
c/, oppure, per complementazione, A D .int.A
c/
c. Poiché un interno è sempre un aperto allora A è un chiuso. Applicando quest’ultima identità al sottoinsieme A
csi ottiene l’ultima
parte del punto (i).
Il teorema seguente comincia a mettere in luce le proprietà dinamiche di vicinanza.
1.2.19 Teorema.
Sia E R
n. Le seguenti affermazioni sono equivalenti:
1. E è chiuso;
2. fr.E/ E;
3. E
0E;
4. E D E;
5. Per ogni successione di punti .x
.k//
k2Nin E convergente ad un limite, diciamo a 2 R
n, ne consegue che a 2 E.
Dimostrazione. Dimostriamo la seguente catena di implicazioni .1/ H) .2/ H) .3/ H) .4/ H) .5/ H) .1/.
.1/ H) .2/.
Sia E chiuso e x 2 fr.E/. Allora o x è punto isolato di E e quindi appartiene ad E, oppure è un punto di accumulazione per E, quindi se x è interno ad E allora è chiaramente appartenente ad E mentre se x non è interno allora è sulla frontiera di E. Poiché vale fr.E/ D fr.E
c/, allora se x 2 fr.E/ allora x 2 fr.E
c/, ma poiché E
cè aperto allora x … E
c, quindi x 2 E, ossia fr.E/ E.
.2/ H) .3/.
Sia fr.E/ E ed x di accumulazione per E (ossia x 2 E
0). Allora poiché x non è isolato allora o è interno ad E e quindi x 2 E, oppure è nella frontiera fr.E/ ma poiché fr.E/ E allora x 2 E e l’implicazione E
0E è vera.
.3/ H) .4/.
Se x 2 E allora è sufficiente discutere il caso in cui x 2 fr.E/. Allora o x è isolato e quindi x 2 E oppure è di accumulazione, ma l’ipotesi E
0E ancora implica che x 2 E. Quindi E E.
Poiché l’inclusione opposta è sempre vera, allora si ha la tesi, E D E.
.4/ H) .5/.
Il punto limite a è di aderenza per E, quindi a 2 E, ma per ipotesi E D E allora a 2 E.
.5/ H) .1/.
Supponiamo che E
cnon sia aperto (ossia E non sia chiuso). Per negazione della proprietà di insieme aperto, allora esiste a 2 E
c, ossia tale che a … E, per cui per ogni R > 0 B.a; R/ š E
c, ovvero B.a; R/ \ E ¤ ;. Poiché vale per ogni R > 0, allora considero la successione R D 1=k, k 2 N, in base alla quale posso scegliere una successione di elementi x
.k/2 E tali che kx
.k/a k < 1=k.
Questo implica che a è di accumulazione per E. Per la .5/ allora a 2 E ed otteniamo una
contraddizione.
Una terminologia utile per il futuro è la seguente
1.2.20 Definizione.
Sia A E. A è denso in E se N A D N E.
Ad esempio, Q è denso in R, come già sappiamo per altre vie.
1.2.21 Definizione.
Sia E R
n. E si dice limitato se esiste un intorno sferico B.x; R/ di centro x 2 R
ne raggio R > 0 tale che E B.x; R/.
La definizione da un’altra prospettiva: sia D :
D fd.x; y/ W x; y 2 Eg R. Se E è limitato, allora esiste M 0 tale che d M per ogni d 2 D. Per il teorema di completezza dei reali, allora D ammette un estremo superiore. Definiamo diametro di E la quantità
diam.E/ :
D sup D :
1.2.22 Teorema. (di Bolzano-Weierstrass)
Un sottoinsieme E R
nlimitato ed infinito (contenente infiniti elementi) ammette almeno un punto di accumulazione.
Dimostrazione. Per pigrizia (“è una virtù”) e semplicità, supponiamo di essere in R
2. Conside- riamo il rettangolo T
0WD Œp
0; q
0 Œr
0; s
0 che contiene E (che esiste in quanto E è limitato).
Consideriamo ora i 4 rettangoli ottenuti tracciando gli assi dei segmenti (gli intervalli Œp
0; q
0 e
Œr
0; s
0). In almeno uno di questi sottoinsiemi, poiché per ipotesi E è infinito, si troveranno infiniti elementi; indichiamo il suddetto sottoinsieme con T
1WD Œp
1; q
1 Œr
1; s
1, ove con p
1; q
1; r
1; s
1indichiamo, a seconda della scelta, uno dei punti inziali p
0; q
0e il punto medio
p0Cq2 0per il primo intervallo, e r
0; s
0e
r0Cs2 0per il secondo. Consideriamo le due, delle quattro che ne risultano (il procedimento è analogo per l’altro intervallo), successioni
fP
ng
n2ND fp
0; p
1; : : : ; p
n; : : : g fQ
ng
n2ND fq
0; q
1; : : : ; q
n; : : : g
Esse sono entrambe monotone, in particolare la prima crescente e la seconda decrescente (non necessariamente strettamente), per costruzione. Si ha quindi che
p
0p
1: : : q
0q
1: : :
Siano dati h; k 2 N; 8n h ^ n k vale che p
hp
nq
nq
k. Abbiamo così dimostrato che la successione fP
ng
n2Nammette un maggiorante; di conseguenza, essendo la successione fP
ng
n2NR, per l’assioma di Dedekind (cfr. assioma di continuità o assioma di completezza) essa ammette un estremo superiore supfP
ng
n2N. Sappiamo quindi che supfP
ng
n2Nq
k8k 2 N;
l’insieme fQ
ng
n2Nammette quindi un estremo inferiore inffQ
ng
n2N. Si ha così che supfP
ng
n2NinffQ
ng
n2NDato che avevamo precedentemente identificato il comportamento delle successioni come ri- spettivamente crescente e decrescente, possiamo dedurre che lim
n!1P
nD supfP
ng
n2Ne lim
n!1Q
nD inffQ
ng
n2N. Possiamo altresì osservare che
8n 2 N q
np
ninffQ
ng
n2NsupfP
ng
n2N0 Poiché per come abbiamo costruito le successioni q
np
nD
q p2n, abbiamo che
q p
2
ninffQ
ng
n2NsupfP
ng
n2N0
Per n ! 1 la quantità a sinistra della catena di disuguaglianze tende a 0, e quindi si ha che inffQ
ng
n2ND supfP
ng
n2N. Indichiamo questo valore con x
1, mentre quello ottenuto ripetendo il procedimento per l’altro intervallo verrà denominato x
2. Sia x 2 R
2W x D .x
1; x
2/: possiamo osservare che x D T
1nD0
T
n(in un certo senso può essere considerato un intorno degenere;
osservazione per quanto viene detto dopo). Consideriamo l’intorno sferico B.x; / di centro x e di raggio . Per l’osservazione precedente, posso trovare n./ tale che T
n./ B.x; /. In particolare, n deve essere tale da garantire che la massima possibile distanza all’interno di T
n(maggiorata dalla diagonale del quadrato avente come lato il maggiore fra
q p2ne
s r2n) p
2
q p2n< .
Risolvendo si ottiene che n Œlog
2. p
2
q p/ C 1. Poiché per costruzione i T
ncontengono infiniti
punti di E, l’asserto è dimostrato.
1.2.23 Definizione.
Sia E R
n. Sia F una famiglia di aperti di R
ntale che S
F 2F
F E.
Diremo allora che F è un ricoprimento di E.
1.2.24 Definizione.
Un sottoricoprimento di E R
nè una sottofamiglia G F che ricopre E.
1.2.25 Definizione.
Un sottoinsieme E R
nsi definisce compatto se da ogni suo ricoprimento F è possibile estrarre un sottoricoprimento finito G D fG
1; : : : ; G
Ng, per qualche N 2 N, tale che S
Ni D1
G
iE.
È assai utile studiare gli spazi compatti perché sono molto simili a degli spazi finiti; il fatto che siano contenuti in ricoprimenti finiti consente sempre di “approssimare” l’intero spazio con un numero finito di punti, ad esempio, il sottoricoprimento finito può essere formato da palle aperte centrate in tanti punti appartenenti all’insieme compatto pari alla cardinalità del sottoricoprimento dell’insieme compatto. Il seguente teorema fornisce la caratterizzazione degli insiemi compatti in R
n.
1.2.26 Teorema. (di Heine-Borel)
Sia E R
n. Le seguenti affermazioni sono equivalenti:
1. E è compatto.
2. E è chiuso e limitato.
Dimostrazione. Per pigrizia e semplicità poniamoci in R
2. La generalizzazione a n qualsiasi non richiede altro se non iterazioni del procedimento.
1. Dimostriamo la condizione necessaria.
Verifichiamo prima l’implicazione della limitatezza. Considero gli intorni sferici B.0; n/
di centro 0 e di raggio n 2 N. Si ha che S
n2N
B.0; n/ D R
2: quindi la famiglia B WD fB
1; : : : ; B
n; : : : g è un ricoprimento di R
2. Poiché E R
2, B ricopre E. Ma E per ipotesi è compatto, indi per cui da B posso estrarre un sottoricoprimento finito di aperti E che ricopre E. In altre parole, considero il sottoinsieme fk
1; : : : ; k
Ng N tale che S
Ni D1
E
kiE. Posso spingermi oltre: poiché fk
1; : : : ; k
Ng è un sottoinsieme finito di N, posso facilmente individuarne il massimo N k WD maxfk
1; : : : ; k
Ng. Vale che B.0; N k/ S
Ni D1
E
kiE. Di conseguenza, E è contenuto in un intorno sferico B.0; N k/ di centro 0 e raggio Nk, ed è quindi limitato (cfr. Definizione 14).
Verifichiamo ora l’implicazione della chiusura. Dimostro che il complementare in R
ndi E E
cè aperto, ovvero che 8x 2 E
c9B.x; / W B.x; / E
c. Fissia- mo x. Per ogni y 2 E definisco ı.y/ WD
kx yk2. Considero l’intorno sferico B.y; ı.y// al variare di y in E. Ottengo una famiglia B di aperti che ricopre E.
Poiché E è compatto, da B posso estrarre un sottoricoprimento finito di E: esisto- no y
1; : : : ; y
N2 E W S
Ni D1
B.y
i; ı.y
i// E. Considero il minimo delle distanze ı WD minfı.y
1/; : : : ; ı.y
N/ g. A ı corrisponde, in quanto funzione degli y
i, un certo
N
y. Considero ora l’intersezione B.x; ı/ \ B. N y; ı/ che è uguale all’insieme vuoto, in quanto sono entrambi intorni sferici di raggio delta, che ho definito come la semilun- ghezza del segmento Œx; y. Ciò vale anche per qualsiasi y
i; i D 1; : : : ; N . Quindi B.x; ı/ \ S
Ni D1
B.y
i; ı.y
i// D ;. Ma allora B.x; ı/ E
c. Poiché vale per un qualsiasi x 2 E, E
cè aperto, e quindi E è chiuso.
2. Devo ora dimostrare la condizione sufficiente; per farlo, passo attravero la dimostrazione che un qualsiasi rettangolo T WD Œa; b Œc; d è un compatto e che ogni sottoinsieme chiuso di un compatto è un compatto.
Supponiamo che da un ricoprimento F del rettangolo T non sia possibile estrarre un sottoricoprimento finito di T
0. Procediamo in un modo analogo a quello che si utilizza nella dimostrazione del teorema di Bolzano-Weierstrass (cfr. Teorema 6): dati m
jWD
bj2aje n
jWD
dj2cj, si considerino i segmenti Œa
j; m
j, Œm
j; b
j, Œc
j; n
j e Œn
j; d
j, che individuano 4 rettangoli di cui almeno uno (sia esso T
j) non può essere ricoperto da una sottofamiglia finita di F (per l’ipotesi iniziale, ndr). Si ripeta il procedimento per T
j. Si ottiene una successione fT
ng WD fT
0T
1T
n: : : g di sottoinsiemi di T
0non ricopribili da una famiglia finita di aperti la cui intersezione è il punto x D .x
1; x
2/ D T
n2N