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Posso prestare il fucile da caccia a un amico?

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Posso prestare il fucile da caccia a un amico?

Autore: Mariano Acquaviva | 26/09/2021

Cos’è e come si ottiene il porto d’armi per uso venatorio? Quando c’è il reato di porto abusivo? Si può dare in comodato un’arma?

In Italia, tante persone si dedicano all’attività venatoria, cioè alla caccia di animali nei modi e nei tempi stabiliti dalla legge. Muniti della necessaria licenza e dell’attrezzatura opportuna, sono davvero molti coloro che imbracciano i fucili e si recano nelle zone adibite a tale attività. La legge è tuttavia molto severa per

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quanto riguarda la possibilità di impiegare le armi, anche quando si tratta di uso venatorio. Con questo articolo risponderemo alla seguente domanda: «Posso prestare il fucile da caccia a un amico?».

Secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione, rischia di commettere reato non solo chi prende l’arma di un’altra persona, ma anche colui che l’ha prestata. E ciò anche se l’utilizzo è durato poco tempo. Questo, tuttavia, non significa che il comodato di armi sia vietato in assoluto. Se ti stai chiedendo se puoi prestare il fucile da caccia a un amico, prosegui nella lettura.

Porto d’armi per uso venatorio: cos’è?

Chi intende dedicarsi alla caccia deve munirsi del necessario porto d’armi per uso venatorio: si tratta di una licenza che l’autorità di pubblica sicurezza rilascia su richiesta del cittadino che dimostri di possedere tutti i requisiti per poter usare un’arma.

Il porto d’armi non consente solamente l’acquisto dell’arma, ma anche il suo trasporto in condizioni di sicurezza, ma solo al fine di compiere il tragitto che va dal proprio domicilio fino al luogo di caccia.

Porto d’armi uso caccia: come averlo?

Chi intende ottenere il porto d’armi per uso venatorio deve seguire un percorso stabilito dalla legge. Innanzitutto, occorre superare un esame di abilitazione alla caccia, dal quale sono esonerati coloro che hanno svolto il servizio militare.

L’esame va sostenuto presso la provincia di appartenenza.

Dopo aver ottenuto la licenza di caccia, ulteriore requisito per ottenere il porto d’armi per uso venatorio è il certificato di idoneità psico-fisica rilasciato dall’azienda sanitaria di residenza dopo aver sottoposto l’interessato a un’apposita visita medica.

Una volta che si è in possesso dell’abilitazione all’esercizio venatorio e del certificato di idoneità psico-fisica, è possibile chiedere e ottenere il porto d’armi.

La domanda va presentata alla questura, che è l’ufficio competente a rilasciare la licenza. Il rilascio avviene entro novanta giorni dalla data di presentazione

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dell’istanza.

Il porto d’armi uso caccia ha validità quinquennale. Scaduti i cinque anni, può comunque essere rinnovato. Tuttavia, per il primo anno di porto d’armi uso venatorio, l’attività venatoria può essere svolta solo con la presenza di un cacciatore in possesso di licenza da almeno tre anni.

Una volta comprata l’arma per la caccia, questa va immediatamente denunciata presso l’autorità di pubblica sicurezza più vicina (carabinieri, polizia, ecc.).

Trasporto armi caccia: come funziona?

Il porto d’armi per uso venatorio (così come quella per uso sportivo) consente il trasporto in sicurezza dell’arma dal proprio domicilio al luogo ove l’arma deve essere utilizzata. Durante il trasporto, l’arma non può mai essere utilizzata e deve essere custodita in modo da non poter essere pronta per l’uso.

Porto abusivo armi: quando è reato?

Non è possibile portare con sé un’arma senza aver acquisito la licenza. La legge [1] punisce con l’arresto fino a diciotto mesi chiunque, senza la licenza dell’autorità, porta un’arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa.

La norma è molto chiara: non si può portare un’arma fuori del proprio domicilio (o, comunque, del luogo ove è custodita e che risulta dalla denuncia fatta alle autorità), anche se la si detiene legalmente, a meno che non vi sia espressa autorizzazione dell’autorità di pubblica sicurezza, cioè della questura.

Si può prestare un’arma?

In Italia, non esiste un divieto assoluto di prestare le armi. Per la precisione, secondo la legge [2], il comodato (prestito) di un’arma è proibito, a meno che non riguardi armi per uso sportivo, da caccia o scenico. È quindi permesso prestare un fucile da caccia, ma non è permesso prestare una pistola da difesa.

Il prestito dell’arma non va denunciato alle forze dell’ordine, se esso avviene per

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poco tempo (ad esempio, per pochi minuti, oppure solo per terminare la battuta di caccia).

In caso contrario, per legge, sorge l’obbligo, in capo a chi ha ricevuto in prestito l’arma, di farne segnalazione all’autorità di pubblica sicurezza (polizia, carabinieri, ecc.) [3].

La legge obbliga chiunque abbia la disponibilità materiale di un’arma a farne denuncia alle forze dell’ordine. Deve dunque ritenersi che quest’obbligo sorga anche in capo a colui che gode solamente del prestito dell’arma.

Il presupposto affinché il prestito dell’arma sia lecito è che entrambi i soggetti, cioè sia colui che dà lo strumento che colui che lo riceve, siano in possesso di regolare porto d’armi.

Sarebbe dunque illegale prestare il fucile da caccia o altra arma a un soggetto che non possiede i requisiti per la detenzione, cioè che non ha la licenza.

Di tanto si è occupata, recentemente, la Suprema Corte di Cassazione. Vediamo di cosa si tratta.

Prestare fucile da caccia: quando è reato?

La Corte di Cassazione [4] ha condannato il cacciatore che, durante una battuta di caccia, ha prestato per qualche minuto il proprio fucile all’amico che lo accompagnava e che, pur non avendo il porto d’armi, non si è limitato a maneggiarlo ma ha anche sparato un colpo.

Commette dunque il crimine di porto abusivo di arma non solo chi ha ricevuto il fucile senza avere alcuna licenza, ma anche colui che l’ha prestato, a titolo di concorso nel reato.

Secondo i giudici, non può trattarsi di un gioco o di un atto goliardico, in quanto l’arma non solo transitava temporaneamente nella disponibilità del soggetto non abilitato, ma veniva anche da costui utilizzata, mentre il cacciatore lo riprendeva con il proprio cellulare.

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Fucile da caccia: si può prestare a un amico?

In sintesi, possiamo così rispondere al quesito posto nel titolo di questo articolo: si può prestare il proprio fucile da caccia, ma solo momentaneamente e a persona munita di porto d’armi per uso venatorio; in caso contrario, scatta il reato di porto abusivo.

Note

[1] Art. 699 cod. pen. [2] Art. 22, legge n. 110/75. [3] Art. 38 Tulps. [4] Cass., sent. n. 35298 del 23 settembre 2021.

Sentenza

Cass. pen., sez. I, ud. 12 marzo 2021 (dep. 23 settembre 2021), n. 35298 Presidente Tardio – Relatore Magi In fatto e in diritto Con sentenza emessa in data 4 febbraio 2016, il Gup del Tribunale di Palmi ha affermato la penale responsabilità

di C.R. e F.A. (con condanna alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione e 900 Euro di multa ciascuno), in riferimento al reato di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 12 e 14, in concorso tra loro, previo riconoscimento dell'attenuante di speciale

tenuità di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5 e applicata la diminuente per il rito abbreviato. È stata concessa la sospensione condizionale della pena. 1.1 In fatto risulta che la polizia giudiziaria aveva accertato che, in agro di (...), il C. , titolare del permesso di porto d'armi, durante una battuta di caccia, aveva sparato alcuni

colpi col suo fucile; a distanza di qualche minuto aveva passato la sua arma all'amico F. - non titolare di porto d'armi- che, a sua volta, esplodeva un colpo in

aria venendo anche filmato dall'amico. 2. La Corte d'Appello con sentenza del 2 aprile 2019 ha integralmente confermato la sentenza di primo grado, ritenendo i

motivi d'appello infondati. 2.1 II giudice di secondo grado risulta investito di doglianze in tema di: a) insussistenza del reato in quanto si era trattato di atto

goliardico o di atto compiuto per gioco; b) in subordine, illegittimo diniego di attenuanti generiche. Le conclusioni degli appellanti erano dunque per

l'assoluzione -vista la mancanza dell'elemento soggettivo del reato- (in subordine, per il F. , per la riqualificazione del fatto in quello previsto nella L. n. 110 del 1975,

art. 4, nonché sentenza di non doversi procedere ex art. 131 bis c.p.) o per la condanna al minimo di pena, previo riconoscimento delle attenuanti generiche. Il

C. aveva prospettato, inoltre, con motivi aggiunti, la derubricazione del reato in quello previsto dalla L. n. 110 del 1975, art. 20 bis. 2.2 La Corte di Appello afferma,

in sintesi, che quanto al punto sub a), deve escludersi la ricorrenza di una

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giustificazione nella condotta degli appellanti, posto che è pacifico che l'arma non solo transitò temporaneamente nella disponibilità del soggetto non abilitato (F. )

ma venne anche da costui utilizzata, mentre il C. lo riprendeva con il proprio cellulare. Va dunque esclusa la ricorrenza di una azione meramente dimostrativa e

va ritenuta pienamente integrata la fattispecie incriminatrice oggetto di contestazione. 2.3 Quanto al punto sub b), si afferma che già il giudice di prime cure ha esposto le fondate ragioni che hanno portato alla non concessione delle

attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., valutando in particolare le rischiose modalità esecutive della condotta. Del resto, l'applicazione dell'art. 5 della Legge

del 1967 consente di rendere la sanzione proporzionata al fatto. Quanto alle richieste subordinate, la Corte non accoglie le richieste di derubricazione perché,

nonostante l'azione di cessione di arma da soggetto titolare di porto d'armi a soggetto di ciò sprovvisto, si sia estrinsecata in modo temporaneo, l'azione ha integrato gli estremi del reato contestato, seppur con l'attenuante della L. n. 895

del 1967, art. 5. Sul punto richiama precedenti di legittimità che hanno ritenuto integrata la cessione temporanea in casi analoghi. Sulla richiesta di applicazione

dell'art. 131 bis c.p., introdotta dal F. , richiamata la natura giuridica della particolare causa di non punibilità, la Corte ribadisce che le concrete modalità

d'azione dei due soggetti non fanno propendere per la particolare tenuità e la conseguente esigua entità del danno o del pericolo. Oltretutto, la difesa non ha addotto e specificato, sul punto, concreti elementi a sostegno di questa richiesta.

3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di legge - C.R. , articolando due motivi. 3.1 Al primo motivo si deduce erronea applicazione

di legge e assoluta mancanza di motivazione con riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto. Le circostanze di fatto come ricostruite in sede

di merito non permettono di addivenirsi all'affermazione per cui si sarebbe trattato di una "cessione" in senso proprio, in senso giuridico e penalmente rilevante, del

fucile. La condotta di porto dell'arma esigerebbe l'esercizio di un potere di fatto sull'arma, non di un momentaneo rapporto di pochi minuti sotto il diretto controllo

del soggetto titolato. La sentenza della Corte d'Appello non spende argomenti riguardo la sussistenza dell'elemento soggettivo in capo al C. ; non vi è prova della

consapevolezza di quest'ultimo della mancanza del titolo abilitativo dell'amico F. . 3.2 Al secondo motivo si deduce assoluta mancanza di motivazione con riferimento

alla richiesta di derubricazione del reato contestato in quello previsto dalla L. n.

110 del 1975, art. 20 bis, comma 1 e 3. La Corte non ha confutato la validità della proposta difensiva, cioè a dire la qualificazione del fatto come previsto nel suddetto art. 20 che parla di "consegna" dell'arma a soggetto minorenne o a persona anche parzialmente incapace, a tossicodipendenti o a-persone o a persone

impedite nel maneggio, nel contesto di luoghi in cui può svolgersi l'attività venatoria. 4. Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi addotti, tesi ad ottenere rivalutazioni su punti adeguatamente scrutinati

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in sede di merito. 4.1 Ed invero, quanto alla conformità tra fatto concreto e fattispecie oggetto di contestazione (dedotta al primo motivo di ricorso), questa Corte di legittimità - in casi analoghi - si è già espressa, ritenendola sussistente (v.

Sez. I n. 20186 del 2018). Va premesso che in tema di armi la legislazione è ispirata ad un condivisibile rigore, in ragione delle potenziali conseguenze lesive di

condotte poste in essere da soggetti inesperti. Il rapporto, anche temporaneo, con l'arma - purché di durata apprezzabile comporta l'obbligo della denunzia (e la

verifica dei requisiti soggettivi di idoneità) anche se la detenzione deriva da affidamento, cessione o qualsivoglia altro motivo (così Sez. I n. 3490 del 26.9.1986, rv 175396; Sez. I n. 6912 del 29.4.1992, rv 190557). 4.2 Ora, il caso in

esame - per come congruamente ricostruito in sede di merito ha visto il trasferimento dell'arma, durante la battuta di caccia, dal soggetto “titolato” a quello “non titolato”. Costui ha adoperato l'arma. Ciò, effettivamente, attribuisce al

fatto - come si è ritenuto in sede di merito caratteri di illiceità del porto, atteso che non si è trattato di una semplice “esibizione” dell'arma ma di un - sia pur temporaneo - impossessamento da parte del soggetto sprovvisto di abilitazione. A nulla rileva, sul punto, la compresenza del soggetto “titolato”, ribadita nel ricorso,

posto che la durata apprezzabile del “rapporto diretto” tra il soggetto “non titolato” e l'arma determina la fuoriuscita di questa dalla sfera di controllo del legittimo detentore e - specularmente - l'ingresso nel dominio volontaristico della persona sprovvista di titolo, il che è aspetto sufficiente a concretizzare (proprio per

l'assenza di una reale volontà di cessione definitiva) l'illegittimità del porto. 4.3 Quanto al secondo motivo, la prospettazione difensiva non risulta conforme al

testo della decisione, posto che la Corte di merito ha motivato circa l'inquadramento tipico del fatto, in ciò escludendo la ricorrenza - in modo pienamente condivisibile - di ipotesi di reato diverse e meno gravi. La volontaria cessione temporanea dell'arma a soggetto privo di titolo abilitativo ha determinato

il porto abusivo della medesima - attribuito in concorso - e non una diversa figura di reato. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ai sensi dell'art.

616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa

di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende che stimasi equo determinare in Euro 3.000,00. P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

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