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Appunti sulla struttura logico-formale della motivazione - Judicium

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Academic year: 2022

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ROSARIO RUSSO

Appunti sulla struttura logico-formale della motivazione1

Sommario: I. premesse teoriche minime - II. la struttura formale della motiva- zione - III. l’insidia dell’assorbimento

Niente è più importante della motivazione della decisione; ma niente è più personale di essa. Perciò questi appunti vogliono essere soltanto un modo per verificare insieme a- gli esimi Colleghi che avranno la pazienza di leggerli quel poco che, in forza del mio vissuto professionale, sono riuscito ad elaborare.

I. PREMESSE TEORICHE MINIME

1. Innanzi tutto, il format della motivazione va rapportato al tipo di controversia vel di decisione. Rileva perciò non solo la fondamentale differenza tra quaestio facti e quaestio iuris (non poche volte difficilmente separabili), ma anche la rilevanza nomofilattica della decisione stessa, potendosi distinguere a questo scopo almeno tre livelli:

1.1. primo livello: ricorsi che, impegnando in massimo grado la funzione nomofilattica della Suprema Corte (contrasti di giurisprudenza tra le Sezioni Sem- plici, questioni di particolare importanza) dovrebbero essere avviati immediatamente alla cognizione delle Sezioni Unite affinché siano decise con il surplus di certezza legale e di stabilità, conferito alle loro sentenze dal novellato art. 374 c.p.c.; è appena il caso di ribadire con riferimento a tali ricorsi che alla maggiore difficoltà della loro trattazione e decisione corrisponde un altissimo valore esemplare e didascalico: si pensi a quante controversie non sarebbero sorte (davanti ai Giudici di merito e in sede d’impugnazione) se le decisioni delle Sezioni Unite sull’art. 345 c.p.c. fossero state adottate appena qualche anno prima

!

1.2. secondo livello: a livello intermedio (e residuale) i ricorsi, pur privi di evidenza decisoria, in cui si richiede alla Suprema Corte soltanto l’applicazione alle singole fattispecie dei suoi precedenti ovvero di indiscussi principi giuridici;

1.3. terzo livello: decisamente in basso, i ricorsi inammissibili, improcedibili ovvero che presentano comunque una lampante evidenza decisoria (in senso positivo o negativo).

2. Da parte lasciando per il momento la distinzione tra questioni in iure e questioni in fatto (su cui v. infra sub par. n. 4.2.B.a), è agevole rendersi conto che ciascuno dei tre descritti normotipi decisionali esige un metodo decisionale appropriato:

2.1. talvolta (secondo e terzo livello nomofilattico), la decisione si esaurisce nella de- finizione della controversia (c.d. controversia del caso singolo) e perciò è rivolta soprattutto ai litiganti, ai quali deve essere resa in modo comprensibile ed esau-

1 Relazione destinata all’Ufficio di Formazione dei Magistrati approdati in Cassazio- ne dagli Uffici di merito.

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Par. (2.1 – 4.1) - Pagina 2 [di 4]

riente; ovviamente la motivazione sarà ancora più snella a misura che risulti lam- pante l’evidenza decisoria;

2.2. talaltra (primo livello) la decisione (questa volta, per così dire, di utilità ripetuta) è destinata a costituire precedente, sicché il suo uditorio è ben più vasto ed il suo ef- fetto ben più autorevole: ne consegue che il suo insegnamento o il suo principio di diritto, frutto di un impegno più incisivo (ma anche più professionalmente gratifi- cante), deve essere di agevole reperimento e comprensione (v. infra sub par. n.

4.3).

3. Ancorché per convenzionale comodità si usi (specialmente nella risoluzione della quaestio iuris) il ragionamento sillogistico, in nessuno di questi correlati tipi moti- vazionali, la narrazione giuridica è puramente deduttiva; soltanto in apparenza sem- bra maggiormente deduttiva quella impegnata nella decisione delle quaestiones iu- ris. In realtà qualunque decisione giudiziaria coinvolge inevitabilmente la logica, l’esperienza, la cultura, l’essere, il vissuto, il cognitum ed il volutum dell’interprete, sicché (per semplificare) il migliore approccio teorico sembra quello proprio della filosofia ermeneutica (con il connesso 'circolo') o se si vuole della re- torica à la manière de Perelman. Perciò negli ordinamenti in cui il Decidente è privo di legittimazione popolare, affinché, anche costituzionalmente (art. 111, 6°

Cost.), il dictum diventi, anziché mero arbitrio («un pugno sul tavolo»), legittimo e giusto iussum giudiziario è necessario che la decisione sia realmente persuasiva e riveli 'onestamente' e 'umilmente' quel che il Decidente (cioè quegli che, etimologi- camente, 'recide' gli argomenti, e perciò la controversia) vi ha immesso di suo, del suo 'esserci' esistenziale (soltanto sub specie giuridico?). Essa consente ben vero all’universo giuridico ed agli stessi giudicati di 'giudicare' il giudicante in quanto ta- le: da questo punto di vista il giusto 'timore' (della verifica, per non dire del control- lo) della Dottrina (ma anche delle Corti sovranazionali e, per tramite della Stampa, del Popolo, nel cui nome non a caso la decisione viene emessa) rende un grande servizio ai Giudici ed all’ordinamento tutto, perché in un sistema realmente demo- cratico nessun 'potere' deve avere (e deve avere la responsabilità di dettare) l’ultima parola. Dunque, per quanto tendenzialmente destinata ad inverare hic et nunc l’ordinamento ed a rendere imperituro quel che, partecipando dell’essere, è in natu- ra fragile e precario - talvolta a prima vista indecidibile o addirittura indicibile (e- semplare il «caso Englaro») - in realtà la decisione è sempre una risposta provviso- ria che pone ermeneuticamente altre domande, in un continuo processo dialettico.

Da questo punto di vista ogni decisione dovrebbe concludersi con due parole, 'perdono' e 'grazie': 'perdono', perché le Parti hanno consentito al decidente di giudi- care loro consimili e di esprimere (con le sue risposte, che finiscono per essere do- mande) il suo giuridico 'esserci' in rapporto alla controversia, se pure in forza di un dovere funzionale imposto dall’ordinamento, secondo leggi democraticamente emanate; 'grazie', giacché le Parti si sono spontaneamente 'sottomesse' all’autorità - meglio alla funzione - giudiziaria, così miracolosamente sublimando in dialettica logico-giuridica (affidata per l’appunto alle Istituzioni giudiziarie) l’immanente cor- rosiva 'violenza' insita nella lite stessa. Per stemperare e fare parzialmente perdona- re la tracotanza del iussum, tanto insostenibile (il «nolite iudicare» ha una valenza anche laica) quanto necessaria, chi sia 'condannato' a giudicare gli altri o gli affari altrui (talvolta i più intimi e delicati) non può fare altro che 'dimostrare', nella mo- tivazione per l’appunto, con umiltà ed onestà la 'sofferenza' della decisione stessa.

II. LA STRUTTURA FORMALE DELLA MOTIVAZIONE

4. Personalmente opto per una motivazione 'strutturata' secondo il seguente format:

4.1. LA VICENDA (anziché SVOLGIMENTO DEL PROCESSO)

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Par. (0 – 4.2.C.a) - Pagina 3 [di 4]

(rappresenta sostanzialmente una 'introduzione' generale per consentire al lettore di immergersi gradualmente e fruttuosamente nella fattispecie e nella controversia;

ovviamente vanno espunti circostanze ed avvenimenti privi di rilievo ai fini della de- cisione;

personalmente preferisco che specifiche circostanze e momenti fattuali vengano in- seriti nella trattazione delle singole censure, affinché queste risultino in sede pro- pria più comprensibili)

4.2. LE VALUTAZIONI (anziché MOTIVI DELLA DECISIONE)

4.2.A. PREMESSA

[contiene precisazioni specialmente di rito (tempestività, ammissibilità, etc.) e indica, se del caso, l’ordine della successiva trattazione, ivi comprese le ra- gioni per cui va trattato eventualmente con priorità il ricorso incidentale (Se- zioni Unite n. 5456 / 2009):

in tal modo non è affatto necessario – come è dato leggere in molte decisioni – l’elencazione di tutti i motivi, prima della loro analitica trattazione]

4.2.B. RICORSO PRINCIPALE (O INCIDENTALE) 4.2.B.a. 1° MOTIVO

 Vizio in iure:

 In fatto: esplicitazione della fattispecie

 la sentenza impugnata

 la censura (in diritto)

 il responso:

 In iure: interpretazione delle norme applicabili

 conclusioni

 ovvero Vizio motivazionale, con due alternativi esiti:

 se non sussista il vizio, è inutile ricapitolare (come avviene assai spesso, spe- cialmente nelle decisioni penali) la motivazione esposta dal Giudice di merito;

basterà dire, per esempio, che «Con questa censura parte ricorrente tenta di ac- creditare una valutazione dei fatti divergente da quella affermata, con apprezza- mento immune da vizi logici, dal giudice di merito; in particolare…………»;

stabilire se una censura giaccia completamente sul piano fattuale vel attinga al livello interpretativo è il proprium dell’attività del giudice di legittimità, ma è decisamente inutile cercare di racchiudere in poche battute (con la reiterazione di formule raramente esaustive) l’enorme bagaglio culturale che spinge l’interprete ad escludere il vizio motivazionale: più semplice spiegare ad un cie- co dalla nascita quale sia il colore rosso;

 se sussista il vizio, occorre invece evidenziare l’illogicità o l’insufficiente logi- cità della narrazione esposta dal Giudice di merito: per esempio:

- non è plausibile affermare che il teste sia attendibile perché aveva gli occhi azzurri;

- non è plausibile che sia affermato, al fine dell’usucapione, il possesso di un’intera area di 1000 mq sol perché un piccolo edificio che vi insiste sia stato ampliato di alcuni mc. (esempio tratto da una recente fattispecie oggetto di ricorso);

4.2.B.b. 2° MOTIVO

 Come sopra 4.2.B.c. ETC.

4.2.C. RICORSO INCIDENTALE (O PRINCIPALE)

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Par. (4.2.C.a – 6) - Pagina 4 [di 4]

4.2.C.a. 1° MOTIVO 4.2.C.b. 2° MOTIVO 4.2.C.c. ETC.

4.2.D. SPESE

(qualunque compensazione deve essere adeguatamente motivata)

4.3. P.Q.M. (ovvero CONCLUSIONI)

[È questo (non la c.d. motivazione) il 'luogo' più adatto per indicare il principio di dirit- to, che deve essere possibilmente privo di ratio decidendi, rappresentando una regula iuris, ancorché di formazione giudiziaria, corredata soltanto dalle necessarie specifica- zioni fattuali: ed è il luogo più consono perché in questi casi la funzione nomofilattica prevale sulla pur connessa (ma sostanzialmente ancillare) funzione decisoria].

5. Al pari del presente documento, il format decisionale sopra descritto dicesi struttu- rato (lo prevede Winword, e tutti gli altri sistemi di videoscrittura), perché si avvale di titoli e subtitoli nonché della numerazione automatica dei singoli paragrafi; esso presenta numerosi vantaggi:

5.1. rende visivamente percepibile lo specifico tema trattato, il che è apprezzabile so- prattutto nelle decisioni più rilevanti dal punto di vista nomofilattico, che vengono studiate come qualunque testo giuridico;

5.2. agevola il rinvio da un paragrafo all’altro;

5.3. affranca l’estensore dal compito di aggiungere e a volte di reiterare i c.d. connet- tori sintattico- logici («in secondo luogo», 'inoltre', «passando ad altro argomento», 'perciò') e le connessioni logico - simboliche ('and', 'aut', 'vel', 'e/o', etc.);

5.4. rende palpabile la catena logica delle argomentazioni;

5.5. gode di una nobile ascendenza nella filosofia neopositivista 2 nonché di una au- torevole convalida nelle decisioni della Corte di Strasburgo.

III. L’INSIDIA DELL’ASSORBIMENTO

6. A fronte di una decisione di condanna specifica, se la censura sull’an debba essere accolta, appare del tutto ovvio che resti assorbita quella (logicamente dipendente) sul quantum. Ma non sempre lo scacchiere è così semplice. Lo si nota soprattutto quando, dopo la decisione del giudice del rinvio, la questione torni all’esame della Suprema Corte: lì si tocca con mano quanto insidioso sia il dichiarato assorbimento.

Per evitare tale mina vagante, non v’è che un sistema: allorché la decisione debba proseguire davanti al giudice di rinvio, bisogna immedesimarsi nella posizione di quest’ultimo e considerare non l’output dalla Corte, ma l’input che resta da decidere in sede di rinvio. Molto spesso sarà necessario che la Suprema Corte evidenzi quali questioni - ed in quali precisi termini - si ritengano meritevole di assorbimento.

2 La famosa proposizione («Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere»), con cui si conclude il celeberrimo Tractatus (1922) di L. WITTGENSTEIN, è catalogata con il n. 7;

prima di essa l’Autore enuncia la proposizione 4.127, che è il settimo commento alla proposi- zione 4.12, che a sua volta costituisce il secondo dei commenti alla proposizione 4.1.

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