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Radici e sviluppi del bilinguismo greco-latino nella provincia romana di Sicilia: i casi di Catania e Messina

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I

NDICE

PREMESSA ... 4

CAPITOLO I ... 7

Il panorama culturale e linguistico dell’Impero Romano ... 7

1.1 Lingue e linguaggi... 7

1.2 La Grecia conquistata conquista il suo dominatore feroce: opposizione e integrazione tra Greci e Romani all’interno di un unico impero. ... 16

1.3 Fenomeni di interferenza linguistica tra greco e latino: prestiti, calchi e code-switching ... 23

1.3.1 L’impero bilingue ... 23

1.3.2 Bilinguismo individuale e bilinguismo collettivo ... 23

1.3.3 I bilingui e i monolingui ... 26

1.3.4 Gli intermediari: interpreti, traduttori e divulgatori ... 28

1.3.5 Una nuova identità linguistica e culturale ... 30

1.3.6 L’appropriazione della seconda lingua da parte dei Romani ... 32

1.3.7 L’ellenizzazione del latino: introduzione di elementi stranieri ... 34

1.3.8 Nascita di una lingua ibrida ... 35

1.4 Il bilinguismo greco-romano nell’epigrafia ... 39

CAPITOLO II ... 43

Il multilinguismo della Sicilia dalle popolazioni pre-elleniche alla dominazione romana .... 43

2.1 Introduzione ... 43

2.2 Popoli indigeni e contatti linguistici ... 44

2.3 La koiné dorica siciliana ... 47

2.4 Il bilinguismo della Sicilia romana ... 48

2.5 Indagini statistiche sulla lingua dell’epigrafia siciliana ... 50

2.6 Riflessioni sull’epigrafia della Sicilia ciceroniana... 59

2.7 Il panorama linguistico delle colonie romane siciliane ... 62

2.7.1 La colonia di Siracusa ... 62

2.7.2 Bilinguismo nell’epigrafia pubblica delle colonie siciliane. ... 65

2.7.3 Bilinguismo nell’epigrafia funeraria ... 67

2.7.4 Indagini sull’uso del greco e del latino negli epitaffi di Siracusa, Lipari, Catania, Messina, Termini Imerese e Palermo. ... 69

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2

2.7.6 Considerazioni sul bilinguismo all’interno delle comunitá linguistiche ... 76

CAPITOLO III ... 82

Il bilinguismo nell’epigrafia funeraria di Catania ... 82

3.1 Introduzione ... 82

3.2 Provenienza delle iscrizioni catanesi ... 83

3.3 Le iscrizioni funerarie di epoca romana e il loro contesto archeologico ... 86

3.4 I dialetti usati nelle iscrizioni greche ... 90

3.5 I formulari degli epitaffi greci pagani ... 92

3.5.1 I formulari in cui viene ricordato soltanto il defunto ... 92

3.5.2 I formulari in cui vengono ricordati i defunti e i dedicanti ... 94

3.5.3 Lo stile degli epitaffi greci pagani ... 95

3.5.4 La paleografia e le abbreviazioni ... 97

3.6 I formulari degli epitaffi latini pagani ... 99

3.6.1 I formulari in cui viene ricordato soltanto il defunto ... 99

3.6.2 I formulari in cui vengono ricordati i defunti e i dedicanti ... 100

3.6.3 Lo stile e la paleografia degli epitaffi latini pagani ... 103

3.7 Gli epitaffi greci cristiani e giudaici ... 105

3.7.1 Il formulario con ἐνθάδε κεῖται, l’età e la data della morte ... 105

3.7.2 Il formulario senza ἐνθάδε κεῖται ... 106

3.7.3 I formulari riguardanti l’acquisto della tomba ... 106

3.7.4 Lo stile e la paleografia ... 107

3.8 Gli epitaffi latini cristiani e giudaici ... 109

3.8.1 Lo stile ... 109

3.9 Il bilinguismo nelle testimonianze epigrafiche catanesi ... 110

3.9.1 L’interferenza tra greco e latino nei formulari degli epitaffi ... 112

CAPITOLO IV ... 114

Il bilinguismo nell’epigrafia funeraria di Messina... 114

4.1 Introduzione ... 114

4.2 Fondazione di Messina e tracce dell’osco ... 115

4.3 Le necropoli messinesi ... 117

4.3.1 La Necropoli di San Placido ... 117

4.3.2 Le iscrizioni della Necropoli di San Placido ... 119

4.3.3 La Necropoli degli Orti della Maddalena ... 120

4.3.4 Le testimonianze epigrafiche della Necropoli degli Orti della Maddalena ... 123

4.3.5 Le testimonianze epigrafiche ritrovate nel Largo di San Giovanni Gerosolimitano ... 124

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3

4.4 Aspetti linguistici delle epigrafi greche ... 125

4.4.1 I dialetti ... 125

4.4.2 La variazione in epoca romana ... 125

4.5 I formulari degli epitaffi greci ... 126

4.5.1 I formulari in cui viene ricordato soltanto il defunto ... 126

4.5.2 I formulari in cui vengono ricordati i defunti e dedicanti ... 128

4.5.3 Aspetti linguistici, stilistici e paleografici degli epitaffi greci ... 129

4.6 I formulari degli epitaffi latini ... 133

4.6.1 I formulari in cui viene ricordato soltanto il defunto ... 133

4.6.2 I formulari in cui vengono ricordati i defunti e i dedicanti ... 134

4.6.3 Aspetti linguistici, stilistici e paleografici degli epitaffi latini ... 136

4.7 Il caso di Claudius Theseus ... 139

4.8 Il bilinguismo nelle testimonianze epigrafiche ... 144

CONCLUSIONE ... 149

ABBREVIAZIONI ... 153

(4)

4

P

REMESSA

Nell’introduzione di un suo recente studio Korhonen1 osserva che: “molti aspetti non sono ancora chiari per quanto riguarda il processo di acculturazione in Sicilia nel primo periodo imperiale, specialmente dal punto di vista linguistico. Mentre alcuni fenomeni della cultura romana, come il divertimento procurato dai gladiatori, sembrano essersi diffusi rapidamente in Sicilia,2 risulta meno facile fare sicure affermazioni circa la diffusione della lingua latina”.

Alcuni studiosi, come Manganaro3, hanno esaminato la distribuzione delle iscrizioni superstiti greche e latine osservando che i Latini dominarono nelle città delle coste occidentali e settentrionali della Sicilia, i Greci sulle coste orientali da Taormina a Siracusa, così come a Lipari. Nell’epigrafia pubblica, specialmente nelle iscrizioni onorarie e architettoniche, il latino prevaleva; i documenti pubblici greci erano rari e comparvero soprattutto nel tardo impero. Questo sviluppo sembra essere diverso dalle città greche dell’Italia meridionale in cui le manifestazioni dell’identità linguistica greca erano più evidenti durante il primo periodo imperiale e vennero meno a partire dalla fine del II secolo d.C.4 Nelle colonie orientali greche il latino ebbe un forte ruolo durante il primo periodo imperiale e scomparve dalle iscrizioni durante il II o il III secolo d.C.5

Su scala sociale le relazioni tra Greci e Latini erano complesse. La Sicilia era per molti aspetti una società bilingue in cui lo status relativo alle lingue variava in base alle circostanze e agli scopi comunicativi. Degli autori e maestri di scuola qualcuno scrisse e insegnò in greco, altri in latino e nonostante l’esistenza di un’élite coloniale, generalizzazioni come “le classi superiori usavano il latino e le classi inferiori il greco”6 sono da considerarsi infondate in base a recenti studi come quelli di Prag7 e di Korhonen.8

La lingua di maggioranza in Sicilia sembra probabilmente essere rimasto il greco anche durante il periodo repubblicano romano, nonostante qualche immigrazione

1 Cfr. Korhonen 2011, pp.7-8. 2 Cfr. Wilson 1990, pp.80-87; Woolf 1994, pp.126-127. 3 Cfr. Manganaro 1989, pp.161-209. 4 Cfr. Lomas 2004, pp.179-197. 5 Cfr. Rizakis 1995, pp.373-391; Brélaz 2008, pp.189-191. 6 Cfr. Varvaro 1981, p.46. 7 Cfr. Prag 2002, pp.15-31. 8 Cfr. Korhonen 2004a.

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5

dalle aree di lingua latina dell’Italia.9

Inoltre il punico era usato in alcune città occidentali: nelle Metamorfosi, del resto, Apuleio definisce i Siciliani trilingues,10 un epiteto che suggerisce che fossero a conoscenza della lingua greca, latina e punica. L’osco era ancora presente nel periodo repubblicano in alcune aree settentrionali della Sicilia mentre le altre lingue indigene erano già estinte.11 Pochi cambiamenti sono riscontrabili a livello linguistico con la concessione del diritto latino alle comunità siciliane nel 44 a.C. e col turbolento periodo tra il 43 a.C. e il 36 a.C., quando la maggior parte delle città siciliane erano alleate con Sesto Pompeo.12 La situazione cambiò più drasticamente nel periodo augusteo, quando il numero dei parlanti latino aumentò considerevolmente nell’isola con la fondazione da parte di Augusto di sei colonie: Catina (Catania), Syracusae (Siracusa), Tauromenium (Taormina), Thermae Himeraeae (Termini Imerese), Tyndaris (Tindari) e

Panhormus (Palermo).13 Ai coloni furono assegnate terre confiscate provenienti dai

sostenitori di Sesto Pompeo e gli abitanti presenti prima della colonizzazione in alcuni casi furono espulsi, come a Taormina, secondo quanto ci riferisce Diodoro Siculo.14 Non è noto dove andarono ma si potrebbe dedurre che molti di essi rimasero in Sicilia.

Secondo le Res gestae di Augusto,15 i coloni erano veterani e i loro numeri sarebbero stati attorno a 3.000 uomini, almeno a Siracusa e Catania.16 Gli uomini che servirono l’esercito romano nell’età di Augusto parlavano per la maggior parte la lingua latina e alcuni di loro o i membri delle loro famiglie erano stati probabilmente bilingui e, oltre che in latino, parlavano anche in greco o in una lingua italica. In fase iniziale, allora, le città coloniali dovevano ampiamente essere state bilingui, con i coloni e le loro famiglie parlanti latino, un gruppo sostanziale greco e più piccole minoranze linguistiche. In particolar modo Siracusa e Catania dovevano essere state comunità urbane parlanti greco di notevole dimensione mentre la situazione a Termini Imerese era diversa e la campagna circostante era divisa tra i coloni parlanti prevalentemente latino e i primi abitanti prevalentemente greco.

9 Cfr. Pinzone 1999, pp.381-402. 10 Cfr. Apul. Met. 11.5.22. 11 Cfr. Sironen 1995, pp.185-194. 12 Cfr. Wilson 1996, pp.434-439. 13 Cfr. Wilson 1996, p.437. 14 Cfr. Diod.Sic. Biblioth.hist.16.7.1. 15

Cfr. Aug. Res gestae 28.1 16

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6

A Catania, Siracusa e Messina le testimonianze epigrafiche non ci permettono di stabilire quali famiglie giunsero in seguito alla colonizzazione augustea e quali erano giunte prima. Molti dei gentilicia attestano riferimenti a potenti famiglie della tarda repubblica. Circa 90 gentilicia sono attestati epigraficamente a Catania o nel suo circondario.17 A Siracusa il numero è più piccolo. Alcune informazioni possono essere estratte anche da testimonianze di Termini Imerese analizzate da Bivona:18 alcuni gentilicia si riferiscono alle regioni settentrionali dell’Italia Romana ma per molte famiglie si può solo ricorrere a una provenienza generica dall’Italia centrale. In ogni caso, poiché le colonie erano formate da veterani, non c’è ragione di sostenere che ebbe luogo una migrazione canalizzata in cui la maggior parte dei coloni sarebbe venuta da piccole aree.19

Lo scopo di questo elaborato è quello di analizzare il multilinguismo siciliano, prestando particolare attenzione al bilinguismo nell’epigrafia funeraria di Catania e di Messina e sottolineando le implicazioni culturali e politiche che possono esserci dietro la scelta di una lingua piuttosto che di un’altra. Dopo aver dato un quadro generale del panorama linguistico e culturale dell’Impero Romano nel Capitolo I, viene discussa l’interazione tra greco e latino e le altre lingue indigene in Sicilia, nel Capitolo II.

Mi sono avvalso degli studi recenti di Prag20 per avere un quadro più aggiornato sulle scoperte epigrafiche siciliane e di Tribulato21 che offre una disamina approfondita delle lingue e dei contatti in Sicilia a partire dalle popolazioni pre-elleniche fino alla colonizzazione romana.

Nel corso del Capitolo III, poi, sulla base degli studi di Korhonen,22 ho delineato il bilinguismo greco-romano della colonia di Catania attraverso gli epitaffi pagani e cristiani: ho prestato particolare attenzione ai formulari usati attraverso i quali si evidenzia maggiormente, a mio parere, l’interazione linguistica e i fenomeni di prestito e di code-switching. Infine nel Capitolo IV ho classificato gli epitaffi di Messina, facendo riferimento all’edizione di Bitto,23 suddividendoli, come quelli catanesi, in base ai formulari usati. Singolare è il caso di bilinguismo messinese di Claudius Theseus che sarà approfondito nel corso del Capitolo IV.

17 Cfr. Korhonen 2004a, p.79. 18 Cfr. Bivona 1994, pp.67-110. 19 Cfr. Hall 1997, pp.27-28. 20 Cfr. Prag 2002, pp.15-31. 21 Cfr. Tribulato 2012b, pp.319-325. 22 Cfr. Korhonen 2004a. 23 Cfr. Bitto 2001.

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7

C

APITOLO

I

Il panorama culturale e linguistico dell’Impero Romano

1.1 Lingue e linguaggi

In una piacevole scena all’inizio della biografia di Maximinus Thrax, nella Historia

Augusta,24 incontriamo un imperatore e un futuro imperatore, nessuno dei quali era

un campione della lingua vuoi greca vuoi latina.25 L’imperatore Septimius Severus nacque in Tripolitania dove il punico era la lingua del popolo ed egli non perse mai il suo accento di origine anche quando parlava latino.26

Alle vite di queste due emblematiche figure i fattori linguistici non furono una barriera per l’acquisizione della cittadinanza romana né impedirono loro di intraprendere la carriera equestre o senatoriale o addirittura di ambire al trono imperiale stesso. In generale, nelle province dell’Est, Roma non cercò mai di imporre il latino anche sotto il suo dominio. I documenti emessi dalle autorità romane rivolti alle comunità locali erano in molti casi redatti in greco e gli editti dell’imperatore, del governatore o gli scritti imperiali venivano tradotti dal latino in greco.27 Nell’ambito dell’autorità giudiziale il latino era usato essenzialmente per l’emissione della sentenza mentre i processi erano condotti in greco. La capacità di parlare latino non era un requisito per la cittadinanza romana: nel I e II secolo d.C. ai cittadini Romani che parlavano greco era semplicemente richiesto di redigere il testamento28 e altri documenti nella lingua di Roma e generalmente era assicurato l’aiuto di un traduttore per fare questo.

Sulla stessa linea due senatori dell’area est dell’impero, che furono fatti consoli nella prima metà del II secolo d.C., C. Iulius Anthiochus Epiphanes Philopappus, discendente della famiglia reale di Commagene, e l’eccezionale sofista di Atene Herodes Atticus, non abbandonarono mai il greco; il secondo arrivò addirittura ad utilizzarlo di fronte all’imperatore.

La flessibilità linguistica mostrata dai Romani nelle province dell’Est e principalmente nelle città dell’Asia Minore si può notare in varie iscrizioni bilingui

24 Cfr. Hist.Aug. Max.Thrax. 2-3. 25 Cfr. Salmeri 2013, pp.3896-3901. 26

Cfr. Hist.Aug. Sept.Sev. 19.9; Epit. de Caes. 20.8 27

Cfr. Rochette 1997. 28

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8

greco-latine che onoravano i rappresentanti del potere centrale al fine di ottenere i loro favori.29 Durante l’ultima fase della guerra civile del 68-69 d.C., a Perge in Pamphylia, per esempio, la città e la comunità dei Romani residenti collocarono una statua equestre del nuovo imperatore Vespasiano accompagnata da un’iscrizione in latino.30 Per la diffusione della lingua latina nelle province dell’Est “l’esercito Romano fu indubbiamente la più potente forza.”31

Le iscrizioni funerarie provenienti da tutto l’impero mostrano che molti soggetti che parlavano greco e le lingue locali furono spinti ad imparare la lingua di Roma quando iniziarono il servizio militare. Tuttavia nell’Est il latino non può essere descritto come la lingua ufficiale dell’esercito, da quando alcuni testi in greco provenienti dall’Egitto, inerenti specialmente le transazioni quotidiane all’interno dei vari accampamenti, sono a nostra disposizione.32

Non sembra neppure che le colonie romane fondate nelle province dell’Est tra la fine del periodo repubblicano e il III secolo d.C., in particolare sotto Augusto, ebbero un ruolo nella diffusione del latino. In queste colonie, nate dalla necessità di guadagnare o mantenere il controllo territoriale in aree differenti in termini politici e strategici piuttosto che da un desiderio di romanizzazione,33 il latino impiantato dai veterani, dai liberti e dagli occasionali uomini di affari tendeva ad essere usato meno del greco parlato dai residenti locali che non avevano la cittadinanza romana e dagli abitanti delle vicine città.

Secondo il sofista Favorino,34 a Corinto, una colonia con un alto numero di liberti nella sua fase iniziale, il greco era già la lingua predominante durante il regno di Adriano mentre il latino prevalse a lungo in Macedonia fra i veterani di Filippi e quelli di Berytus in Libano. Quest’ultima colonia divenne anche la sede di una famosa scuola di legge che fiorì dalla metà del III secolo d.C.

Oltre ad essere la lingua dell’amministrazione nelle città delle province dell’Est, il greco era anche la lingua più diffusa, invero una lingua franca dall’Asia Minore all’Egitto e alla Siria. Questa preminenza era il risultato di un lungo processo iniziato con la spedizione di Alessandro il Grande contro l’Impero persiano. Fino a quel tempo il greco nell’Est era usato all’interno della Grecia stessa, nella costa ovest

29 Cfr. Brélaz 2008, pp.169-194; Eck 2009, pp.15-42. 30 Cfr. I Perge 54 (Şahin, 1999). 31 Cfr. Adams 2003, p.761. 32 Cfr. Adams 2003, pp.600-608. 33

Cfr. Salmeri 2004a, p.277; Satre 2001, pp.147-148. 34

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9

dell’Asia Minore, in alcune zone di Cipro, nelle comunità del Mar Nero e nel Levante. La spedizione di Alessandro dette vita a un movimento che portò alla diffusione di una lingua comune,35 la koinè diálectos, attraverso la zona Est del Mediterraneo. Il movimento trovò il suo impulso nelle misure amministrative realizzate dai Regni Ellenistici36 e la risultante lingua comune era basata in gran parte sul dialetto attico con un’immissione di elementi derivanti dal dialetto ionico. Questo sviluppo della koiné non comportò la scomparsa delle lingue locali, né una capillare diffusione della cultura e della religione greche. Creò, piuttosto, una patina di “ellenismo linguistico” che fu applicata ai testi di letteratura e soprattutto a migliaia di iscrizioni trovate principalmente in Asia Minore. Questo dette un’apparenza di uniformità al Mediterraneo dell’Est, uniformità immediatamente contraddetta dalla varietà di nomi indigeni e divinità locali trovate nelle stesse iscrizioni. La diffusione del greco a spese delle lingue locali fu ulteriormente favorita dalla conquista romana del Mediterraneo dell’Est, come fu notato con considerevole acume da Strabone durante il regno di Augusto. Nella Geografia Strabone collegava la progressiva scomparsa delle lingue e dei nomi locali, come in Lydia e in Caria, con l’arrivo dei Romani e la formazione della provincia d’Asia nel 129 a.C. In base alla sua linea di ragionamento, introducendo una nuova divisione territoriale e disgregando il compatto mondo degli ethne, i Romani favorirono le città greche e conseguentemente la prevalenza del greco.37 Questa prevalenza dimostra di essere definitiva per alcune regioni dell’Ovest dell’Asia Minore durante la seconda metà del I secolo a.C. mentre nelle aree dell’Egitto e della Siria non si affermò mai totalmente. Anche durante i secoli dell’Impero Romano la diffusione della lingua greca non dette vita alla creazione di una cultura uniforme. L’Ellenismo dell’età imperiale appare con diverse sfaccettature sia a causa delle multiple radici politiche e culturali nei suoi vari territori, dalla Cirenaica alla Crimea e Cilicia, sia a causa dei processi eterogenei in base ai quali le popolazioni locali venivano in contatto con la lingua e le tradizioni greche.38 Inoltre sotto l’Impero Romano le iscrizioni di natura privata e in generale quelle che provenivano dalle aree rurali rivelano significative divergenze e dissonanze tra coloro che parlavano greco.39 Per esempio, il greco parlato in Cilicia suonava così peculiare e scorretto che la regione venne identificata come la patria del

35

Cfr. Brixhe, Hodot 1993; Brixhe 1996, 1998; Hodot 2001, 2004; Kaczko 2008. 36 Cfr. Cohen 1995, 2006. 37 Cfr. Salmeri 2000, pp.174-176. 38 Cfr. Salmeri 2004a, pp.255-256. 39 Cfr. Brixhe 1984.

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σολοικισμός, “errore di sintassi”, sulla base della falsa etimologia connessa con il nome di una delle sue città, Soloi.40

Durante il II secolo d.C., poi, ci fu “una reazione purista” da parte di molti intellettuali, che si diffuse dalla Grecia stessa e dall’Ovest dell’Asia Minore. A metà del II secolo d.C. il Panellenio di Atene lottò per difendere ciò che era veramente greco ricevendo nei templi solo i più rappresentativi cittadini tradizionalmente riconosciuti come Greci.41

Gli scrittori devoti al dialetto attico, come Herodes Atticus, si aggrapparono alla memoria del passato, resistendo alla contaminazione che ai loro occhi caratterizzava il contemporaneo Ellenismo.

Il greco era, pertanto, una lingua importata in un gran numero di province dell’Est. Tra le lingue lì preesistenti la più diffusa era l’aramaico che fiorì con i suoi vari dialetti nel vicino Oriente.42 L’aramaico era lingua franca nell’Impero babilonese mentre fu usato nell’Impero persiano come lingua dell’amministrazione. Questi due fattori fecero la loro parte nell’incrementare la diffusione dell’aramaico nell’Est Romano, lingua che, a differenza del greco, non ricevette un trattamento preferenziale da parte di Augusto e dei suoi successori. In Palestina l’aramaico fu utilizzato da Gesù e da gran parte dei suoi seguaci mentre l’ebraico (Mishnaic) fu essenzialmente una lingua scritta e parlata solo da un piccolo gruppo di affiliati alle scuole dei rabbini.

Il palmyreno, un dialetto dell’aramaico, ebbe il suo centro nella città omonima situata nel centro del deserto della Siria, che probabilmente divenne una colonia romana sotto Severo o Caracalla.43 Utilizzata dai soldati originari del luogo che mantennero forti legami con essa, la lingua comparve insieme al latino e/o al greco in un certo numero di iscrizioni trovate nell’impero, anche lontano da Roma, nelle province dell’Ovest;44

un buon esempio di utilizzo del palmyreno accanto al greco nella zona di Palmyra è l’iscrizione bilingue datata 137 d.C. conosciuta come “Legge del Tariffario” che elenca le tasse che venivano riscosse passando per la città.45 Altri

40 Cfr. Salmeri 2004b, pp.181-206. 41 Cfr. Spawforth 1999, pp.347-350. 42 Cfr. Millar 1993, pp.232-234. 43 Cfr. Millar 1993, pp.143-144. 44 Cfr. Brock 2009, p.289. 45 Cfr. Matthews 1984, pp.157-180.

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dialetti aramaici erano il nabateo e il syriaco: il secondo era parlato a Edessa in

Osrhoëne, una colonia romana dal 213 d.C.46

Il primo documento conosciuto in syriaco è datato al 6 d.C. e tale lingua non fu adottata come mezzo letterario fino alla seconda metà del II secolo d.C., prestandosi presto come strumento per pregare e divulgare la Cristianità verso Est.

Una città di frontiera nel mezzo dell’Eufrate, Dura-Europos, rispecchia il generale multilinguismo così caratteristico dell’Est Romano; fu nelle mani dei Romani nel periodo 165-256 d.C., dopo essere stata parte dell’Impero dei Parti durante i precedenti due secoli e mezzo. Esiste la testimonianza che – insieme con le lingue classiche – l’aramaico e i suoi differenti dialetti, l’ebraico, il partico e il

semi-persiano, erano utilizzati a Dura-Europos.47

In Egitto il greco fu introdotto in vasta scala dalla dinastia ellenica dei Tolomei, ma lontano dall’essere sostituita, la lingua locale, cioè l’egiziano, rimase in uso durante il periodo dell’Impero Romano, in tre distinte forme scritte, ieratico, demotico e copto. Esempi della prima forma includono iscrizioni e sono spesso accompagnati da un testo greco: in queste iscrizioni, che si trovano sulle mura dei templi, sono indicati alcuni imperatori del I secolo d.C. come se fossero faraoni, in un palese tentativo di legittimare la loro autorità nella terra del Nilo.48 Oltre agli esempi trovati nelle scritture private o di natura letteraria e religiosa, il demotico egiziano fu usato anche per gli scopi amministrativi locali, come testimoniano alcune scritture su papiro. Raffigurando lo stato finale dello sviluppo della lingua egiziana, il copto fu scritto per la prima volta durante il periodo dell’Impero Romano, usando un alfabeto greco adattato che incorporava i segni del demotico scritto; insieme al greco divenne la lingua della Chiesa egiziana. In questo contesto vario il processo di interazione tra il greco e le lingue locali è di massimo interesse, non ultimo perché esso sta alla base della dottrina ermetica.49

Mentre nell’Est dell’Impero Romano e in Egitto l’uso delle altre lingue oltre al latino e greco è registrato nelle iscrizioni e nei rotoli di papiro, per l’Asia Minore la fondamentale testimonianza proviene dalle fonti letterarie, il valore delle quali è raramente apprezzato completamente. Lo stesso Strabone, che ci informa della sparizione delle lingue popolari dell’Asia Minore dell’Ovest, ci riferisce che la

46 Cfr. Ross 2001. 47 Cfr. Kaizer 2009, p.235. 48 Cfr. Grenier 1987, pp.81-104. 49 Cfr. Fowden 1993.

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Cappadocia e la Galazia avevano le loro proprie lingue.50 La lingua della Galazia, in particolare, fu introdotta nella regione dai Celti che, dopo aver attraversato l’Ellesponto, si stabilirono tra 270 a.C. e 260 a.C. Dopo la formazione della provincia romana della Galazia nel 25 a.C., la lingua locale tende ad essere usata nelle aree rurali piuttosto che nelle città come Ankyra e, in base alla testimonianza di San Gerolamo,51 era ancora parlata nel IV secolo d.C.52

Esistono, poi, testimonianze epigrafiche per il neo-frigio che riporta in uso nell’età imperiale l’antico frigio che non era stato scritto per almeno quattro secoli.53 D’altro canto, dal momento che il neo-frigio fu usato esclusivamente in contesti funerari, specificamente per espressioni formulari accompagnando un testo in greco, ci si potrebbe chiedere se fosse realmente parlato o avesse meramente un uso rituale, come il latino in alcune formule come “Requiem aeternam dona ei, Domine o Requiescat in pace.”

È da notare che anche in assenza di materiale epigrafico si potrebbe supporre che la lingua della Tracia, la lingua madre dell’imperatore Maximinus, fosse molto usata nell’area dei Balcani. Testimonianza del fatto che la lingua tracia fosse molto vitale è che uno dei suoi termini, ovvero midne, corrispondente quasi sicuramente al latino

vicus, fu utilizzato a Roma nel 226 d.C. dai cittadini della provincia della Tracia.54

Riguardo ai Balcani Ovidio55 ci informa che a Tomis, città sul Mar Nero, dove fu esiliato da Augusto, il popolo parlava getico, sarmatico e greco e le lingue locali esercitavano una forte influenza sul greco stesso:56 la rappresentazione del poeta è stata criticata57 per la mancanza di cura nell’identificare e nel descrivere gli abitanti dell’area. L’autore dei Tristia e delle Epistulae ex Ponto, però, ci fornisce una chiara immagine del multilinguismo e dei fenomeni di contatto e di scambio che ne derivavano. Inoltre, quando Ovidio enfatizza il suo desiderio di comunicare con la popolazione locale,58 rivela di essere interessato allo studio della diversità linguistica. In questo modo Ovidio manifesta un atteggiamento di indagine linguistica che

50

Cfr. Strabo Geogr. 12.1.1; 12.5.1. 51

Cfr. Comm. in ep. Ad Galatas 2.3. 52 Cfr. Mitchell 1993, p.50. 53 Cfr. Mitchell 1993, p.174; Brixhe 2004, pp.779-780. 54 CIL VI 32567. 55 Cfr. Ov. Tris. 3.14.47-48. 56 Cfr. Adams 2003, p.283. 57 Cfr. Syme 1978, pp.164-166. 58 Cfr. Ov. Tris. 3.14.47-48.

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condivide alcune caratteristiche con l’approccio di Erodoto, Posidonio e Strabone59 e che non trovò lo stesso successo tra gli intellettuali dei primi tre secoli d.C.

La migliore testimonianza delle lingue diverse dal latino nell’Impero Romano proviene naturalmente dalla diretta attestazione delle iscrizioni, anche se molte lingue non furono mai scritte. In alcuni casi possiamo ragionevolmente ritenere che una lingua fosse parlata nell’impero semplicemente perché vi era un discendente della stessa nella zona opportuna.60

Alcune lingue si osservano utilizzate da alcuni antichi autori ma l’interpretazione è spesso incerta: per esempio, quando si parla di gallice nei tardi testi latini, non è chiaro se si tratta proprio dell’antico gallico o se si tratta di una forma locale di latino. Alcune volte non abbiamo scelta se non quella di confidare in queste testimonianze indirette: nella provincia della Renania non si hanno iscrizioni in nessuna altra lingua se non in latino, ma una forma di lingua germanica era chiaramente usata, come mostrano alcuni aneddoti degli autori romani, la presenza di nomi germanici nelle iscrizioni latine nonché il moderno tedesco e i dialetti tedeschi della zona.

I nomi personali, poi, di solito, sopravvivono a lungo alla scomparsa di una lingua parlata, così i numerosi nomi nelle iscrizioni latine non sono necessariamente valide testimonianze della sopravvivenza della lingua latina parlata. Al contrario, è di solito impossibile sapere quanto a lungo una lingua sia sopravvissuta in forma parlata, forse come consuetudine rurale, dopo che abbia smesso di essere scritta. Considerate queste difficoltà, una sopravvivenza completa delle lingue di una vasta regione è chiaramente impossibile e quelle lingue che sono attestate negli scritti devono necessariamente ricevere un’attenzione particolare; il dubbio, però, della probabile esistenza di altre lingue non attestate in forma scritta può nascere.

Il gallico,61 una lingua celtica, era parlato in Gallia. Le prime iscrizioni in tale lingua sono in alfabeto greco:62 la maggior parte proviene da Narbonne, datata dal tardo III secolo a.C. al I secolo a.C., quando la romanizzazione dell’area era completa e ce ne sono alcune provenienti dalla Gallia centrale datate alla metà del I secolo a.C. Le iscrizioni galliche in alfabeto latino,63 d’altro canto, iniziarono ad apparire dopo la conquista di Cesare e continuarono per alcuni secoli: ci sono alcune iscrizioni che

59 Cfr. Salmeri 2000, pp.179-180. 60 Cfr. Penney 2013, pp.3901-3904. 61 Cfr. Lambert 2003. 62 Cfr. Lejeune 1985. 63 Cfr. Lejeune 1988.

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appartengono principalmente al I secolo d.C. e che sono prevalentemente incise su oggetti mobili, come le tavolette di piombo, su tessuti e su tazze per bere.64 Questo suggerisce che il gallico continuò ad essere usato dal popolo anche dopo la sua scomparsa dalle iscrizioni pubbliche. Inoltre i numerosi graffiti provenienti dal sito archeologico “La Graufesenque”,65 datati soprattutto intorno alla metà del I secolo d.C., rivelano il grado di commistione tra il latino e il gallico e il frammentario “Calendario di Coligny”,66

di bronzo, che potrebbe essere datato alla fine del II secolo d.C, può indicare il continuo uso del gallico per scopo religioso. Le tarde sopravvivenze sono incerte: molte sono costituite dai rituali galli citati da Marcello di Bordeaux (IV e V secolo d.C.), ma sembrano contenere un materiale molto vario ed è difficile credere che si tratti realmente di formule magiche, così esse sono testimonianze incerte della sopravvivenza del gallico come lingua viva.

Altre forme di celtico, ovvero il britannico e il bretone, erano parlate in Britannia. La sola possibilità di una testimonianza diretta del britannico per il periodo imperiale proviene da una manciata di tavolette di Bath e di Ulay,67 datate intorno al II o III secolo d.C.: le lingue di questi testi non possono essere considerate come latino ma non possono neppure essere considerate come totalmente britanniche.

In Spagna68 un certo numero di lingue scritte sono attestate sin dall’epoca anteriore ai Romani ma niente è sopravvissuto del periodo imperiale. Nel tardo periodo di Augusto i testi spagnoli in forma scritta sono caduti in disuso e non si hanno prove dell’utilizzo della lingua iberica.

Inoltre da un area dell’Ovest, tra il Guadiana e il Duero, provengono tre iscrizioni in lusitano, in alfabeto latino, probabilmente risalenti al primo impero, quando iniziò l’epigrafia latina della regione; queste costituiscono l’unica testimonianza di una lingua locale che si differenzia dal celtico per alcuni aspetti, come la preservazione dell’Indo-Europea *

p.69

La romanizzazione dell’Italia causò la morte precoce di numerose lingue che erano state precedentemente parlate e scritte in quei luoghi. Nel nord Italia, infatti, non si rinvengono più tracce del gallico70 o del lepontico dopo il I secolo a.C. e nessuna

64 Cfr. Lambert 2002. 65 Cfr. Marichal 1997. 66 Cfr. Duval, Pinault 1986. 67 Cfr. Lambert 2002, pp.304-308. 68 Cfr. Untermann 1997. 69 Cfr. Penney 2013, p.3900. 70 Cfr. Lambert 2003.

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traccia del venetico dopo il II secolo a.C. Nel sud Italia il messapico fu sostituito dal latino nel corso del I secolo a.C.

Fra le lingue sabelliche71 (osco, umbro e altre) solo l’osco sopravvisse un po’ più a lungo nell’Italia meridionale e ciò può essere dimostrato con alcune scarse testimonianze provenienti da Pompei e risalenti all’inizio del I secolo d.C.

L’etrusco, poi, sopravvisse come lingua scritta nell’età augustea e la sua conoscenza probabilmente durò a lungo in alcune aree dell’Impero Romano: Claudio rivendicò di aver utilizzato fonti etrusche per i suoi Tyrrhenika e probabilmente gli haruspices continuarono ad utilizzare i testi rituali etruschi.

Il greco ha sicuramente molte più testimonianze in Sicilia in cui è la lingua trovata nella maggior parte delle iscrizioni nelle catacombe delle città della costa est, dal III al V secolo d.C.

In Nord Africa,72 dalla Tripolitania fino alla Costa Atlantica, c’è la prova di un diffuso utilizzo del punico. Questo nacque come lingua dei Fenici che fondarono Cartagine, scritto coi caratteri dell’alfabeto fenicio,73 e si diffuse su un’ampia regione. Sopravvisse alla distruzione di Cartagine nel 146 a.C. e nella forma di neo-punico, caratterizzato da alcuni cambiamenti scritti e grammaticali, continuò ad essere scritto sotto l’impero, spesso accanto al latino. È stato trovato, per esempio, nelle iscrizioni pubbliche ma è molto più frequente nei brevi testi privati, specialmente nelle dediche e nelle iscrizioni funerarie. Intorno al III e IV secolo d.C. apparvero le iscrizioni in latino-punico, nelle quali il punico era scritto con l’alfabeto romano. Le testimonianze letterarie indicano che la lingua sopravvisse ancora di più; per esempio, in vari passaggi di Agostino di Ippona sembra che il punico fosse una lingua ancora usata da gran parte della popolazione della zona di Ippona, in Algeria, all’inizio del V secolo d.C. Si può ritenere plausibilmente che solo la conquista islamica comportò la fine del punico.74

Il dialetto berbero, infine, che era frequentemente parlato nel Nord Africa, fu parlato al tempo dei Romani ma non si hanno chiare testimonianze dirette di esso; al contrario, si hanno vaghi riferimenti da parte degli autori più antichi alla lingua dei Numidi e ad altre lingue simili.

71 Cfr. Rix 2002. 72 Cfr. Millar 1968, pp.126-134. 73 Cfr. Krahmalkov 2001. 74 Cfr. Millar 1968, pp.126-134.

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1.2 La Grecia conquistata conquista il suo dominatore feroce: opposizione e integrazione tra Greci e Romani all’interno di un unico impero.

“La Grecia conquistata conquistò il suo feroce vincitore portando nel Lazio contadino le sue arti”, dice Orazio nella seconda delle sue epistole,75 ad indicare il complesso rapporto esistente all’interno dell’Impero Romano tra i Greci e i loro dominatori. Nella parte occidentale di tale impero prevaleva la lingua e la cultura latina, contrariamente a quella orientale, in cui prevaleva la lingua e la cultura greca. Prima di passare all’analisi delle interferenze linguistiche tra Greci e Romani è opportuno fare una breve disamina dell’atteggiamento dei Greci di fronte al dominio romano. Veyne76 riporta una delle posizioni degli storici moderni, ovvero che c’è stata una progressiva accettazione dei dominatori da parte dei Greci che col tempo si sono sentiti parte dell’impero. Diversamente la pensa Dagron che sostiene: “Se anche c’è stato un avvicinamento, non c’è stata integrazione; il potere è rimasto romano e la cultura greca”, ponendo in luce una distinzione tra “l’assuefazione dell’Oriente greco al potere romano” e la sua “refrattarietà” alla romanizzazione.77

È da notare che i Greci erano un popolo con un’altissima considerazione di sé e consideravano la loro civiltà come unica e superiore rispetto alle altre e rispetto a quella romana. Da un lato Roma ha “un complesso di superiorità politica e di inferiorità culturale” mentre, fino alla caduta dell’impero d’Occidente, i Greci avranno il complesso inverso: la loro identità nazionale sarà quella di un popolo altamente civilizzato che è stato a capo di un impero e che non lo è più sotto il dominio romano. Anche dalle opere letterarie emergono diverse posizioni: oltre che accettazione del potere romano, è evidente, ad esempio in Dione di Prusa78 e in Plutarco,79 nostalgia di un passato glorioso e rimpianto dell’indipendenza perduta; da un lato ci sono spinte antiromane e dall’altro, alcuni scrittori, come Elio Aristide80

e Strabone,81 sono “ammiratori” di Roma, anche se soprattutto in quest’ultimo rimane sempre il desiderio della libertà politica della Grecia rispetto al conquistatore straniero. Significativo a proposito

75 Cfr. Hor. Ep. 2.1.156. 76 Cfr. Veyne 2007, pp.141-224. 77

Cfr. Sui contrasti tra la cultura ellenica e il potere romano, Dagron 1968, pp.74-82; Deininger 1971, pp.17-20.

78

Cfr. Dio Chrys. Or. 31. 79

Cfr. Plut. Mor. 814a. 80

Cfr. Ael.Ar. Or. 23.60-64. 81

Cfr. Strabo Geogr. 5.232. Alla dicotomia “greci e barbari”, le menti progredite come Strabone, opponevano una distinzione filosofica più corretta tra individui o popoli buoni e cattivi; Dauge 1981, pp.514-520.

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dell’atteggiamento di Strabone è quanto nota Lasserre: “In seno al sentimento di fierezza che lo anima quando pensa all’immenso potere di Roma, Strabone non può impedirsi, come il greco che è e rimane, di mettere la libertà politica al di sopra dell’appartenenza all’impero. Quasi incosciente e del resto meno illogica di quanto non sembri, questa reazione si esprime principalmente in due modi: il rilievo accordato agli status di indipendenza all’interno dell’impero e l’elogio delle nazioni rimaste libere, con la riserva che si tratti in entrambi i casi di popolazioni ellenizzate”.82

Da ciò deduciamo che coloro che non avevano la cittadinanza romana, cercavano di acquisirla e allo stesso tempo desideravano per le loro città un governo autonomo.

Dione di Prusa, nel Discorso agli abitanti di Rodi,83 lancia una sorta di appello per il riscatto morale di tutto l’Ellenismo con un pretesto ovvero con una preghiera ai Rodiesi perché pongano fine all’abitudine di riutilizzare le statue dei grandi uomini del passato, cancellandone le iscrizioni sulla base e incidendone di nuove in onore di uno dei governatori di provincia romani. Significativo è quanto dice: “Quando una grande famiglia, un tempo prospera, è ormai diventata un deserto, ma le resta un discendente, fosse anche uno solo, tutto dipende da lui; e, se si comporta male, cancella l’intera nomea della famiglia, disonora i predecessori: ecco, Rodiesi, qual è la vostra situazione attuale di fronte alla grecità”.84

Da notare in Cassio Dione85 e in Luciano86 l’uso di espressioni come “noi possediamo”, “i nostri eserciti”, senza far notare distinzione tra Greci e Romani: si tratta di autori che erano entrati a far parte dell’amministrazione dell’impero e l’uso del “noi” era una forma di convenienza obbligatoria per un funzionario imperiale. Inoltre fondamentale per il dominio romano sarà l’alleanza della classe dirigente imperiale romana con i notabili locali a cui verrà lasciato il compito di gestire le rispettive popolazioni. Come osserva Deininger,87 alcuni notabili locali, membri dell’amministrazione imperiale, furono antiromani per convinzione contrariamente ad altri, come Polibio.

Quest’ultimo dice che in età ellenistica nelle città greche: “ci sono due partiti dei quali l’uno stabiliva che bisognava conformarsi agli ordini scritti dei Romani, l’altro

82

Cfr. Lasserre 1982, p.890. 83

Cfr. Dio Chrys. Or. 21. 84

Cfr. Dio Chrys. Or. 21. 85

Cfr. Dio Cas. Hist. 39.38.1; 75.3.3; 76.12.5; 80.4.1. 86

Cfr. Sull’uso del “noi” in Luciano, Palm 1959, p.82. 87

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prevaleva sulle masse e invocava il rispetto delle leggi ancestrali e della volontà della città; il primo partito attirava infamia e calunnie fra la folla che si opponeva ai Romani. La politica del primo è nobile, quella del secondo è decorosa, entrambe comunque affidabili, si voleva far credere talvolta. Ma il dilemma rimaneva: bisognava salvare l’ordine civico al prezzo dell’indipendenza o fare appello ai bei sentimenti antiromani che troppo avevano a che fare con il caos popolare?”88

Lo stesso Polibio, esiliato a Roma, dopo la battaglia di Pidna, considerava i Romani come una massa di ottusi, incapaci di cogliere la bellezza di un concorso musicale greco; racconta che alla presa di Cartagine, Scipione l’Africano aveva ordinato alle sue truppe di uccidere quanti ancora fossero vivi in città; l’ordine fu eseguito così fedelmente che si vedevano cani tagliati in due.89

Poco chiara risulta la posizione di pensatori come Posidonio:90 come osserva Veyne,91 se sia stato partigiano o avversario di Roma non è semplice da capire, ma è chiaro che detestava la democrazia che era antiromana.

Non è confermata da nulla la posizione secondo cui Posidonio avrebbe assimilato l’Impero greco-romano al cosmo stoico, posizione filosoficamente poco plausibile, dal momento che il cosmo stoico è composto dal Fuoco Artefice, dai quattro elementi e dagli individui divini e umani, non da città e imperi e riguarda la filosofia della natura e non la geopolitica. Per Veyne,92 Posidonio non era realmente filoromano, ma politicamente “miope”, incapace di valutare la reale portata dell’Impero Romano.

Pausania, d’altro canto, mostra un grande risentimento nei confronti dei dominatori romani parlando con distacco degli imperatori, ritenendo necessario spiegare chi fossero Cesare e Augusto, quasi fossero personaggi poco conosciuti.93

Diversamente, nei suoi Consigli ai Politici, Plutarco fa emergere la sua posizione secondo cui l’Ellade e Roma sono due civiltà uguali, ciascuna delle quali ha i suoi grandi uomini e in cui si ritrova la stessa umanità; due civiltà che hanno gli stessi

88 Cfr. Pol. Hist. 24.9.2-5. 89 Cfr. Pol. Hist. 10.15; 30.22. 90

Cfr. Per Posidonio, Ferrary 1988, p.437, p.473. 91 Cfr. Veyne 2007, pp.143-144. 92 Cfr. Veyne 2007, pp.145-146. 93 Cfr. Paus. Perieg. 3.11.4; 4.31.1.

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valori, ma che rimangono distinte.94 Come osserva Norr, “Plutarco considera i signori Romani come dominatori e stranieri.” 95

Il dominio romano suscitava sempre nel popolo dei sentimenti che inquietavano Plutarco stesso che dice: “I governatori romani che nella città solamente invitano a imitare le opere, i pensieri, i fatti egregi degli antenati, che sono così poco intonati con le circostanze e coi problemi attuali, eccitano le masse suscitando il riso, ma debbono poi subire conseguenze che non hanno nulla di ridicolo, a meno che non siano completamente disprezzati; intendiamo che questi dirigenti rischiano di provocare una rivolta che può essere repressa severamente dal governatore romano. Tali furono le circostanze che sotto Nerone travolsero gli abitanti di Pergamo e, di recente, i Rodiesi sotto Domiziano e i Tessali prima ai tempi di Augusto. Non bisogna dunque suscitare la tempesta o la battaglia di Maratona, dell’Eurimedonte, di Platea e quanti altri begli esempi inducono a gonfiarsi e a insuperbire vanamente le moltitudini. No, non è più il momento di esaltare la grande figura di un patriota come Demostene.”96

Singolare è la posizione di Galeno che propone tre modi di dividere il mondo: “ci sono Greci e barbari; ci sono i Greci e quelli che, barbari di nascita, tuttavia imitano il modo di vita ellenico; infine, ci sono i Romani e i popoli che obbediscono loro.” 97 Elio Aristide, invece, fa notare con rassegnazione la presenza dei governatori romani nelle province greche e nel Discorso alle città sulla concordia dice: “quale bambino, quale anziano è tanto privo di ragione da ignorare quale sia la nostra presente condizione [quella greca], che è, grazie al cielo, la legge regnante: un’unica città, la prima e la più grande, ha l’intera Terra sotto la sua autorità, un’unica famiglia decreta le leggi e dei governatori ci arrivano legalmente ogni anno, i quali hanno il compito di fare, sia in piccolo che in grande, tutto ciò che ritengono essere il meglio.”98

Inoltre Aristide fa notare agli uditori romani della sua orazione99 come i Romani stessi abbiano ottenuto una vittoria sui Greci senza merito e che i loro avi avevano beneficiato di una scoperta recente, quella dell’arte di governare, di cui i Greci non disponevano ancora, ma se l’avessero conosciuta, ne avrebbero fatto un uso migliore,

94

Cfr. Plut. Mor. 814a. 95

Cfr. Norr 1969, p.96, per il rapporto di Plutarco coi Greci: “Plutarco ha ottime relazioni con i signori romani, ma li considera dominatori e stranieri”.

96

Cfr. Plut. Mor. 814a; 814c; 815c; 815d. 97 Cfr. Gal. De Sanit. 6. 98 Cfr. Ael.Ar. Or. 23.60-64. 99 Cfr. Ael.Ar. Or. 23.60-64.

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perché più intelligenti di tutti gli altri popoli. La conquista romana non è attribuibile alle virtù o ai talenti, ma a un vizio, la cupidigia, che è per sua natura insaziabile. Sebbene Aristide fosse convinto della superiorità greca, lodava l’egemonia romana nell’interesse dei sudditi greci: esprimeva la posizione ponderata dei notabili greci che ben sapevano quanto una rivolta contro la dominazione romana non avesse nessuna possibilità di successo e come fosse nel loro interesse approfittare del buon ordine oligarchico con i governatori locali e della stessa egemonia romana.100

Significativo è quanto dice Filone di Alessandria, ebreo ellenizzato: “Augusto ha umanizzato e armonizzato nazioni che erano tutte inospitali e feroci, ha ingrandito l’Ellade con molte altre Elladi, ha ellenizzato il mondo barbaro nei settori dove era necessario farlo”.101

Da notare che “ellenizzare” e “civilizzare” sono utilizzati qui come sinonimi poiché la civiltà greca è considerata la civiltà per eccellenza da Filone. Il barbaro era un non civilizzato e quando Roma lo civilizzava, in realtà “lo ellenizzava”, perché il barbaro era un non greco, e, una volta civilizzato, diventava greco. Filone era al tempo stesso filoromano e filoelleno: la sottomissione all’Impero Romano consisteva per lui nel mettere il più forte al servizio dell’Ellenismo.102

Fa notare Veyne103 che non ci fu mai un imperatore di origine greca. Da Augusto a Teodosio, su centotrenta tra imperatori e usurpatori, l’origine di un centinaio dei quali è conosciuta o è rintracciabile, tutti sono romani e nessuno greco, fatta eccezione per uno o due usurpatori di età tarda, il cui caso resta dubbio, come Domizio Alessandro.104

Inoltre nei confronti della lingua e della letteratura latina, i Greci hanno avuto un atteggiamento di ignoranza e indifferenza. Tuttavia Aulo Gellio parla senza manifestare sorpresa di “molti Greci, con un carattere piacevole, che avevano studiato abbastanza bene la nostra letteratura [quella latina]”.105

I Greci, talvolta, sembrano dimenticare l’esistenza di questi stranieri romani, il loro mondo si divideva in due, tra Greci e barbari, e, in cuor loro, includevano i Romani tra i barbari. Non ignoravano, tuttavia, che Roma e Cartagine erano società politicamente e culturalmente avanzate come la loro.

100

Cfr. Ael.Ar. Or. 23.60-64. 101

Cfr. Philo Alex. Legatio ad Gaium 147 102

Cfr. Veyne 2007, pp.162-163. 103

Cfr. Veyne 2007, pp.150 ss. 104

Domizio Alessandro, usurpatore nel 308, era frigio secondo Zosimo, originario della Pannonia secondo Aurelio Vittore.

105

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Nella commedia di Plauto Miles Gloriosus,106 “il poeta barbaro” di cui parla un abitante di Efeso è Nevio; nei prologhi dell’Asinaria107

e del Trinummus,108 si leggono le celebri parole “Plautus vortit barbare” e questa lingua barbara era il latino. Nel De re publica,109 Cicerone lamenta che agli occhi dei Greci Romolo è stato solo un re barbaro. Ma qualche volta, curiosamente, un autore latino si vede con occhi greci e qualifica come barbara la propria lingua in opposizione al greco110 o ancora un altro latino distingue gli uomini tra Greci e barbari111 traslitterando in latino quella lingua filosofica che era il greco. Cicerone distingue “Italia, Graecia e omnis

barbaria”.112

Un aspetto del rapporto tra Greci e Romani emerge anche da alcune iscrizioni: decreti, trattati, proclamazioni o dediche emessi dai re vassalli e dalle città ridotte in clientela esaltano “l’amicizia dei Romani”.113

In conclusione di questa premessa, riprendendo il pensiero di Veyne,114 possiamo osservare che i Romani erano sopportati, obbediti, accettati per abitudine e ritenuti utili dai Greci ma restavano una nazione straniera per gli intellettuali, per i ricchi e per i poveri. I Greci accettavano di vivere sotto la pace romana per la semplice ragione che preferivano vivere in pace: avevano, infatti, la protezione da minacce esterne e il mantenimento dell’ordine sociale. Le manifestazioni di lealtà, come il culto degli imperatori, mostrano questa sottomissione. Nessuno, invece, apprezzava i governatori romani delle province, la cui presenza era prova che le città della Grecia non erano indipendenti.

Con la divisione nel 395 d.C. da parte di Teodosio della parte orientale da quella occidentale, avviene una divisione anche dal punto di vista di usi, costumi e cultura. I Greci diventano signori di “una nuova Roma greca”, Costantinopoli, una città in cui i Greci potevano riconoscersi, dimenticando la lingua della vera Roma, la sua letteratura e la sua storia.

106 Cfr. Pl. Mil. 211. 107 Cfr. Pl. Asin. prologo. 108 Cfr. Pl. Trin. prologo. 109 Cfr. Cic. De rep. 1.58. 110 Cfr. Cic. De or. 48.160. 111 Cfr. Sen. De ira 3.2.1. 112 Cfr. Cic. De finib. 2.15.49. 113

In molti decreti, una città si vanta di aver sempre dimostrato rispetto e zelo per l’amicizia romana; Dittenberger, OGIS, n.ri 438, 439, 442.

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Lepelley115 osserva che l’indipendenza conquistata dai Greci nel corso del V secolo d.C. “non consistette nel rifiutare la romanità a vantaggio dell’Ellenismo, ma al contrario nell’armare l’Ellenismo con gli attributi del potere romano. Ci fu “un transfert effettivo dell’eredità romana in Oriente”. I Greci, quindi, hanno sempre mantenuto l’idea della loro superiorità, l’hanno sempre più rafforzata sfruttando “l’eredità politica” del potere romano e finiscono con “ellenizzare” i loro dominatori.

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1.3 Fenomeni di interferenza linguistica tra greco e latino: prestiti,116 calchi117 e code-switching118

1.3.1 L’impero bilingue L’esistenza del bilinguismo119

greco-latino è controversa e motivo di dibattito120 tra i letterati romani che parlano del grado di abilità raggiunto nella conoscenza di entrambe le lingue.121 Una serie di studi recenti, in particolare quelle di Kaimio122 e Dubuisson,123 hanno contribuito a porre in rilievo il panorama linguistico del mondo greco-romano.

Il bilinguismo greco-latino era di per sé parte del multilinguismo molto più ampio che caratterizzava l’Impero Romano ed era bilaterale, con prevalenza del latino a Occidente e del greco a Oriente.

Tale bilinguismo, però, non si era sviluppato in modo simmetrico ed era decisamente più sviluppato e più comune nella parte occidentale dell’impero piuttosto che in quella orientale.

1.3.2 Bilinguismo individuale e bilinguismo collettivo

Qualsiasi situazione bilingue implica l’esistenza di almeno tre categorie di soggetti all’interno di una singola comunità: nel nostro caso c’era chi parlava solo latino, chi parlava solo greco e chi parlava latino e greco. Quest’ ultima categoria era particolarmente complessa ed eterogenea, riuniva soggetti la cui lingua madre era greca, latina, o qualsiasi delle altre lingue parlate nell’Impero Romano e al suo interno i livelli di conoscenza del greco e del latino variavano considerevolmente. I Synepirotae, ricchi allevatori di ovini dell’ Epiro, che sono citati nel II libro del De

116

Cfr. Langslow 2003, pp.38-44. Prestito linguistico: parola, struttura sintattica o fonema che entra a far parte del patrimonio di una lingua e proviene da un’altra lingua a seguito del contatto linguistico. 117

Cfr. Langslow 2003, pp.38-44. Calco: forma particolare del prestito che consiste nella formazione delle parole in una lingua riprendendo le strutture morfologiche della lingua di partenza.

118

Cfr. Langslow 2003, p.36. Code-switching: quando un parlante dispone di più varietà linguistiche ci sono diversi fattori che lo inducono a passare da una varietà ad un’altra (il ruolo sociale dell’interlocutore, l’argomento, la situazione comunicativa): l’alternanza linguistica legata a tali fattori è chiamata code-switching, commutazione di codice.

119

Cfr. Adams, Swain 2003, pp.3-10. Bilinguismo: si ha una situazione di bilinguismo quando tutti i parlanti padroneggiano le due varietà linguistiche.

Diglossia: si ha una situazione di diglossia quando le due varietà linguistiche sono usate in modo

complementare e una varietà ha uno statuto socioculturale più alto e l’altra uno statuto più basso. 120

Cfr. Biville 2003, pp.77-102. 121

Cfr. Suet. Cl. 42.2; Quint. Inst. or. 1.1.14; Plin. Ep. 2.14.6; Cic. Brut. 205; Mart. 10.76.6. 122

Cfr. Kaimio 1979. 123

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re rustica di Varrone, erano Romani che erano stati completamente ellenizzati, al punto da parlare greco correntemente come facevano col latino.

Non è certo una sorpresa, quindi, che venissero accolti e salutati in greco: “Salve, Synepirotae!”124

Il termine greco Συνηπειρῶται, coniato appositamente per l’occasione, era adatto per descrivere questa comunità romana che si era stabilita in una zona di lingua greca.

Tre secoli più tardi, tuttavia, il narratore di lingua greca delle Metamorfosi, Apuleio, confessò le molteplici difficoltà che affliggevano i suoi tentativi di imparare il latino: “…ho appreso la lingua attica nei primi anni dell’infanzia. Visto, poi, nella città dei Latini, come novizio agli studi romani, ho attaccato e coltivato la loro lingua nativa con difficoltà laboriosa e nessun insegnante che mi guidasse. Quindi, per favore, chiedo scusa in anticipo se come oratore del foro di questa lingua straniera commetto eventuali errori.”125

La stessa variazione tra i livelli di abilità in greco e latino è stata anche trovata tra i “barbari”. Da un lato, vi erano figure di alta posizione sociale, come l’interlocutore anonimo dell’imperatore Claudio, il cui ricordo è stata conservato da Svetonio: “Parlando con un barbaro che è stato in grado di condurre una conversazione in greco e latino, Claudio dice: “tu sei abile in entrambe le lingue.”126

D’altra parte, ci sono stati schiavi emancipati ignoranti simili al personaggio di Trimalcione di Petronio:

“Sibilò qualcosa di orrendo che ha poi dichiarato essere in greco.”127

L’esistenza di due lingue della cultura e della comunicazione comportò una dualità di codici e denominazioni, presentando a coloro che dialogavano una serie di possibili opzioni. Le loro scelte sarebbero state indicative delle loro origini socio-culturali e delle loro strategie-discorsive.

Così la capitale culturale della Magna Grecia, Taranto, poteva diventare Taras, - antis, alla maniera greca, o Tarentuin, -i , in latino. Il dio degli inferi poteva essere indicato col nome Dis, Ditis o l’equivalente greco Pluto(n).

Nel mondo greco-romano era consentito salutare qualcuno sia in greco sia in latino e chi non era in grado di pronunciare il saluto più semplice in entrambe le lingue violava doppiamente le regole della buona educazione, come dimostrato da Marziale

124 Cfr. Varr. RR. 2.5.1 125 Cfr. Apul. Met. 1.1.4-5. 126 Cfr. Suet. Cl. 42.2. 127 Cfr. Petr. Sat. 64.5.

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in questo episodio relativo ad un falso avvocato:

“Non è in grado di salutare né in greco né in latino. Se pensate che stia scherzando, salutiamolo!”128

Gli stessi oggetti potevano contemporaneamente acquisire un nome greco e un nome latino, uno per ciascuna delle due comunità linguistiche dominanti nel mondo romano. Durante il seguente attacco al clientelismo nel I secolo d.C. e agli abusi che aveva generato, Plinio il Giovane ci informa di due neologismi particolarmente significativi, entrambi i quali fanno riferimento a questa nuova schiera di parassiti: “La sportula è distribuita liberamente nel mezzo della basilica, come se fosse nella sala da pranzo. Sono chiamati Σοφοκλεῖς“coloro che chiamano saggio il loro benefattore”] o hanno anche il nome latino Laudiceni [“coloro che lodano nella speranza di essere invitati a cena”]. Questa pratica vergognosa è stata identificata in entrambe le lingue.”129

Come è dimostrato da altri testi dello stesso periodo, in particolare negli epigrammi di Marziale, l’esistenza di queste denominazioni bilingui è indicativa anche di una divisione tra i clientes: i clientes di lingua greca provenienti dall’Oriente e i clientes di lingua latina.

L’uso di alcuni vocaboli, inoltre, in particolare quando sono coinvolti linguaggi tecnici, può evidenziare l’esistenza di confusioni linguistiche.

Nei suoi Apophoreta Marziale contempla alcuni contenitori di aphronitrum che era usato come detergente ed evidenzia le due categorie di potenziali utenti, traducendo letteralmente il composto greco ἀφρό-νιτρον mediante la frase latina spuma nitri: “Ignorante? Non conosci come sono chiamato in greco? Mi chiamano spuma di nitro. Tu sei un greco? Allora io sono aphronitrum.”130

Non è stato sempre possibile per i soggetti scegliere tra le due lingue. A volte, per motivi culturali o strutturali, come la mancanza dell’articolo in latino, una lingua ha un termine che non può essere espresso in un’altra lingua, come nel caso del termine per il concetto filosofico di “essenza”:

“Io semplicemente non posso esprimere in latino il concetto greco di οὐσία…Vi è anche una sillaba, τὸ ὄν, che potrebbe essere tradotta da quod est ma c’è una grande differenza.”131 128 Cfr. Mart. 5.51.6-7. 129 Cfr. Plin. Ep. 2.14.4-6. 130 Cfr. Mart.14.58. 131 Cfr. Sen. Ep. 58.6-8.

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Il bilinguismo, quindi, diede luogo a una serie di strategie discorsive, alcune delle quali privilegiavano una lingua escludendo l’altra mentre altre consentivano ad entrambe le lingue di coesistere in un unico enunciato per mezzo di citazioni, inserimenti metalinguistici, o, più spontaneamente, per mezzo del code-switching: “ἐδαώθησαcioè, come dicono i Siciliani, la sentenza è stata passata su di loro, sono stati puniti e messi a morte.”132

“Per esprimere la condivisione tra due fratelli della somma di quattrocentomila sesterzi si usa l’espressione greca σῦκαμερίζει, tagliare i fichi a metà.”133

Nell’ultimo esempio l’uso dell’espressione greca, che è al tempo stesso proverbiale e giuridica, ha un potente effetto argomentativo: l’eredità sembra assolutamente inutile, come le opportunità di miglioramento sociale che sembra promettere.

1.3.3 I bilingui e i monolingui

Se una persona aveva cattiva padronanza di entrambe le lingue o carenze in una di esse era, quindi, un problema di fondamentale importanza nel mondo romano. Di solito si è sostenuto, un po’ troppo in fretta, che il bilinguismo fosse un fenomeno universale nell’impero. Questo è stato forse il caso nelle alte sfere della società, come suggeriscono gli esempi seguenti:

“Crasso parlava greco così bene che sembrava non conoscesse altra lingua.”134

“Crasso era così bravo nei cinque dialetti greci che era in grado di esprimere giudizi in qualsiasi varietà di essi.”135

“Tiberio parlava fluentemente greco senza alcuna difficoltà.”136

Ma se il seguente passo di Cicerone può essere ritenuto attendibile sembrerebbe che coloro che erano completamente bilingui lo erano meno di quanto è stato inizialmente sostenuto, sia attivamente, nell’esposizione, exprimere, che passivamente, nella comprensione, intellegere. Cicerone a questo proposito dice: “Alcune delle nostre persone conoscono il greco e pochi allo stesso modo sono i Greci che conoscono il latino. Così siamo sordi alla loro lingua e loro alla nostra.”137 La mancanza di competenza bilingue non dipendeva dalla posizione socio-culturale

132 Cfr. Cic. Verr. 5.148. 133 Cfr. Mart. 5.38.3. 134 Cfr. Cic. De orat. 2.2. 135 Cfr. Quint. Inst.or. 11.2.50. 136 Cfr. Suet. Tib. 71.1. 137 Cfr. Cic. Tusc. 5.116.

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dal momento che in tutte le classi sociali c’erano sia monolingui sia bilingui. Svetonio cita il destino di un greco di spicco che fu privato dall’imperatore Claudio della cittadinanza romana perché non riusciva a parlare latino:

“Claudio ha tolto dalla lista dei giudici un uomo distinto, una figura di spicco nella provincia della Grecia, che non conosceva il latino e si è spinto fino al punto di revocare la sua cittadinanza.”138

Diversi tipi di ostacoli si presentavano a chi non conosceva, o non conosceva abbastanza, la seconda lingua. In un famoso epigramma Catullo139 descrive la situazione di Arrius che non era riuscito a comprendere le regole per l’aspirazione di vocali e consonanti. Quintiliano ha richiamato l’attenzione sulle difficoltà incontrate dai Greci che cercavano di pronunciare la /f/ latina:

“I Greci aspirano la lettera /f/ come il loro /phi/; Cicerone, ad esempio, nella Pro Fundanio si prende gioco di un testimone greco che non è in grado di pronunciare la prima lettera di questo nome.”140

Una più grave conseguenza della mancanza di competenza bilingue è stata il fallimento cognitivo, in particolare, nel caso di nomi propri greci che non potevano essere parafrasati da sinonimi nella lingua latina. Ad esempio:141 quando il giudice chiede al testimone ignorante del greco se conosca Amphionem e il testimone dice di non conoscerlo, il giudice ripete il nome senza un’aspirata e con la seconda sillaba abbreviata e il testimone lo riconosce. Alla pronuncia ellenizzata con l’accento sulla

i, Amphīŏnem, che corrisponde al greco Ἀμφίονα, il giudice in questione142

sostituisce la pronuncia latina, Ampĭōnem, spostando l’accento sulla o, abbreviando la i ed eliminando l’aspirazione.

Eppure il mondo romano fu così profondamente intriso di Ellenismo che anche chi non conosceva la lingua greca era comunque in grado di capire ed esprimere tutta una serie di parole greche e una serie di frasi di uso comune, come ad esempio: “L’espressione “fammi da testimone” è completamente greca in modo che anche coloro che non parlano greco conoscono le parole con cui questa è tipicamente espressa dai Greci.”143

“La parola aer è greca ma è già stata accettata per l’utilizzo del nostro popolo ed è in

138 Cfr. Suet. Cl. 16.4. 139 Cfr. Catull. 84. 140 Cfr. Quint. Inst.or. 1.4.14. 141 Cfr. Quint. Inst.or. 12.10.57. 142 Cfr. Quint. Inst.or. 12.10.57. 143 Cfr. Cic. Flacc. 10.

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effetti comunemente usata come se fosse in latino.”144

1.3.4 Gli intermediari: interpreti, traduttori e divulgatori

Per consentire la comunicazione parlata tra le due comunità linguistiche, in modo che tutti potessero capire il linguaggio del proprio interlocutore, e per consentire l’accesso alla cultura greco-latina, esistevano degli intermediari professionali, nonché dei veri e propri manuali di conversazione duplice, come gli Hermeneumeta

Dositheana.145

Questi manuali sono forniti di elenchi di parole e frasi di ogni giorno, come le parole per il pane, toxomin (τò ψί) o per il pesce, opxarin (τò ὀψάριον).

L’interprete professionista entrava in scena al momento in cui si discutevano questioni politiche o amministrative, nelle trattative commerciali, e, in epoca cristiana, nei servizi religiosi.

L’Itinerario di Egeria offre un parola composta insolita e interessante, Graecolatini, nel corso di un incontro tra servi nella Settimana Santa a Gerusalemme, al quale tre comunità linguistiche, aramaica, greca e latina, stavano prendendo parte:

“Il vescovo parlava sempre greco; una traduzione simultanea in aramaico era garantita cosicché tutti potessero seguire. Ma se c’erano alcuni Latini presenti, che non parlavano né aramaico né greco, non erano delusi perché avrebbero ottenuto una traduzione. C’erano i loro fratelli Graecolatini che avrebbero provveduto a tradurre in latino per loro.”146

Rivolgersi ad un interprete per la traduzione di quanto era detto o per esprimere ciò che si voleva dire non era necessariamente indice di una mancanza di competenza bilingue o di difficoltà a parlare una lingua, come nel caso dei magistrati Romani nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.

Le comunicazioni scritte erano mediate dai traduttori. Sebbene fosse molto bene esperto di cultura greca, l’imperatore Augusto spesso non era in grado di esprimersi fluentemente in greco nella forma scritta e così si rivolgeva spesso ai traduttori: “Nelle discipline greche era eccellente ma non parlava greco fluentemente e non rischiava di scriverlo. Quando le circostanze lo richiedevano scriveva il testo in latino e lo affidava a qualcun altro per tradurlo in greco.”147

144 Cfr. Cic. ND. 2.91. 145 Cfr. Kramer 1973. 146 Cfr. Itinerario di Egeria 47.3-4. 147 Cfr. Suet. Aug. 89.1.

Figura

DIAGRAMMA A TORTA  3: Categorie epigrafiche sulla base di 1472 iscrizioni siciliane  su 1617 ovvero il 91 %
DIAGRAMMA  A  TORTA  4:    Materiale  usato  per  le  iscrizioni  sulla  base  di  732  iscrizioni su 1617 ovvero il 45%
TABELLA  1 Greco e latino nelle formule onomastiche degli epitaffi pagani della prima  età imperiale a Siracusa
TABELLA  5 Greco e latino nelle formule onomastiche degli epitaffi pagani della prima  età imperiale a Messina
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