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Academic year: 2021

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5. DISCUSSIONE

Il principale risultato del presente studio è il riscontro di livelli plasmatici di BDNF significativamente inferiori in pazienti affetti da disturbo dell’umore in fase mista e depressiva rispetto a quelli di soggetti di controllo sani.

Ciò è in accordo con studi precedenti che avevano mostrato una diminuzione dei livelli plasmatici di BDNF in pazienti con Disturbo Bipolare, sia durante la fase maniacale che quella depressiva, e sosterrebbe la validità della riduzione dei livelli di BDNF come marker di stato degli episodi dei disturbi dell’umore indipendentemente dalla loro polarità (Sen e coll., 2008; Fernandez e coll., 2011; Lin e coll., 2009). La dimostrazione di una tendenza analoga alla riduzione dei livelli plasmatici di BDNF in fase maniacale, depressiva e negli stati misti può inoltre rappresentare un contributo da un punto di vista neurobiologico e fisiopatologico al modello che prevede un approccio unitario ai disturbi dell’umore unipolari e bipolari, in accordo alla descrizione Kraepelininana di un continuum maniaco-depressivo e al più recente modello di spettro dell’umore (Cassano e coll., 2004; Fiedorowicz e coll., 2011; Kraepelin, 1904; Swann e coll., 2009; Zimmarmann e coll., 2009).

Recentemente, questo approccio ha contribuito a significativi sviluppi nosografici. I criteri diagnostici degli Episodi Misti, così come definiti nel DSM-IV-TR e in base ai quali si è proceduto al reclutamento dei pazienti per questo studio, sono stati rimossi nel nuovo DSM-5. La definizione categoriale degli Episodi Misti del DSM-IV-TR era stata infatti largamente criticata perché difficile da applicare clinicamente e per la sua incapacità di rilevare le numerose presentazioni cliniche subsindromiche. Sebbene la compresenza di sintomi maniacali e depressivi sia osservata frequentemente nella pratica clinica, gli Episodi Misti sono caratterizzati da un quadro sintomatologico complesso e variabile che risulta difficile da inquadrare in un modello rigidamente categoriale (Vieta e Valenti, 2013). Questo quadro può includere prolungata instabilità affettiva, ansia marcata fino a

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79 esperienze psicotiche e disorganizzazione del pensiero e del comportamento (Perugi e Akiskal, 2005). Non è infrequente infatti che casi di Episodi Misti con gravi manifestazioni psicotiche siano spesso diagnosticati non correttamente e trattati come schizofrenia (Lake, 2008).

La sovrapposizione di sintomi di opposta polarità è ora codificata con il nuovo indicatore “con caratteristiche miste”, che può essere applicato sia alla Mania, che all’Ipomania, che all’Episodio Depressivo Maggiore (APA, 2013). Nella nostra opinione questo tipo di approccio risulta essere più fedele alla realtà clinica e al concetto di uno spettro dell’umore che va dalla depressione alla mania, perché permette di diagnosticare e di considerare anche sintomi minori di polarità opposta durante gli episodi affettivi. Questo dato è rilevante anche dal punto di vista della strategia terapeutica, in quanto studi prospettici e retrospettivi hanno mostrato come pazienti con episodi depressivi e pregressa storia di sintomi (ipo)maniacali spesso progrediscono dalla Depressione Maggiore Unipolare al Disturbo Bipolare e sono più resistenti al trattamento (Angst e coll., 2010; Rybakowski, 2012; Strakowski e coll., 2011). Una conseguenza attesa di questa nuova classificazione è che, dal punto di vista epidemiologico, la prevalenza lifetime dello spettro bipolare cambierà, con un aumento della diagnosi degli episodi (ipo)maniacali e depressivi con caratteristiche miste e una riduzione del Disturbo Bipolare Non Altrimenti Specificato, a riprova che la prevalenza basata sulla restrittiva definizione degli Stati Misti del DSM-IV-TR era irrealistica (Vieta e Valenti, 2013).

Inoltre, a favore dell’approccio unitario ai disturbi dell’umore vi sono le alterazioni cerebrali strutturali e neurobiologiche che esprimono una compromissione della neuroplasticità, come ad esempio la riduzione del volume dell’ippocampo e della corteccia prefrontale, e che sono state descritte sia nei pazienti unipolari che bipolari (Post e coll., 2012). I cambiamenti delle strutture cerebrali, la riduzione dei livelli di BDNF e l’aumento dei markers di infiammazione sono stati correlati

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80 con la gravità e la progressione di malattia in termini di durata e numero di episodi (Kauer-Sant’anna e coll., 2009).

I nostri risultati mostrano che la gravità di malattia valutata con la CGI-S è stata significativamente più alta nei pazienti con Episodio Misto rispetto a quelli con Episodio Depressivo Maggiore. Questo è un risultato atteso, visto che i pazienti con episodi misti presentano episodi di malattia più gravi e prolungati, e soffrono di un decadimento funzionale maggiore (Rosa e coll., 2009; Goldberg e coll., 2009). Comparato con gli episodi di mania pura, il quadro clinico della mania mista mostra un maggior numero di recidive e una durata di malattia più lunga (Martin-Carrasco e coll., 2012). Inoltre, i pazienti con fasi maniacali miste presentano intervalli interepisodici più brevi con un rischio più alto di sviluppare un nuovo episodio misto e hanno un più alto rischio di suicidio (Azorin e coll., 2009; Baldessarini e coll., 2010; Cassidy e coll., 2008; Gonzalez-Pinto e coll., 2010; Kessing, 2008; Valenti e coll., 2011). Allo stesso modo i pazienti con depressione mista presentano più facilmente uno stato misto al primo episodio, hanno episodi di maggiore gravità e durata, hanno minore probabilità di remissione interepisodica, hanno più spesso rapida ciclicità e presentano più frequentemente sintomi psicotici incongrui, tentativi di suicidio e abuso di sostanze (Akiskal e coll., 2005; Azorin e coll., 2012; Perugi e coll., 2001b).

Il tasso di comorbidità con Disturbo d’Ansia Sociale è risultato maggiore nei pazienti con Episodio Depressivo Maggiore rispetto a quelli con Episodio Misto. L’ansia sociale è una comorbidità frequente sia nei pazienti con depressione unipolare che nei pazienti bipolari, ma la frequenza tende a essere più alta tra i pazienti depressi unipolari rispetto ai bipolari (Scott e coll., 2013). In Letteratura non sono a tutt’oggi disponibili studi che indaghino la prevalenza del Disturbo d’Ansia Sociale nelle diverse fasi del Disturbo Bipolare. Si ritiene che la sintomatologia fobico-sociale possa essere associata o correlata con le fasi depressive di pazienti bipolari fungendo talora da “equivalente” depressivo e

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81 recedere invece durante le fasi espansive (Perugi e coll., 2001b; Freeman e coll., 2002).

Dal confronto dei livelli di BDNF tra sottogruppi di pazienti divisi in funzione della presenza di comorbidità ansiosa (presenza/assenza di DP o DAS) non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa. Quindi, dai risultati di questo studio, la comorbidità ansiosa sembra non influenzare i livelli plasmatici di BDNF. Ciò è in linea con recenti studi che hanno mostrato come non ci siano differenze significative tra i livelli di BDNF di pazienti con disturbi d’ansia e controlli sani, sebbene siano stati riscontrati livelli di BDNF più bassi in pazienti di sesso femminile affette da più disturbi d’ansia in comorbidità rispetto a soggetti di controllo dello stesso sesso (Molendijk e coll., 2012) e in pazienti con disturbo di panico poor responders alla terapia cognitivo comportamentale rispetto ai pazienti good responders (Kobayashi e coll., 2005).

È necessario tenere presente quali sono i principali limiti del nostro studio. Innanzitutto, la bassa numerosità del campione potrebbe aver ridotto la sensibilità delle analisi statistiche. Un’altra problematica è legata alla misura in cui i livelli ematici di BDNF possano riflettere le concentrazioni di BDNF a livello cerebrale. È stato scelto di esaminare il BDNF plasmatico, in quanto la concentrazione di BDNF nel plasma povero di piastrine sembra essere scarsamente influenzata dalla quantità di BDNF immagazzinata nelle piastrine e, di conseguenza, può rappresentare un marker più sensibile e affidabile delle variazioni di BDNF che si verificano nel cervello e a livello periferico (Lommatzsch e coll., 2005). Di contro, la concentrazione nel siero risente in modo pesante e variabile della quota di BDNF rilasciato dalle piastrine attivate durante il processo di sierazione. Ciononostante, il BDNF plasmatico ha mostrato un’alta variabilità interindividuale. Merita inoltre di essere menzionato che i valori plasmatici assoluti di BDNF che abbiamo rilevato erano più alti rispetto a quelli osservati in altre recenti pubblicazioni (Lommatzsch e coll., 2005; Begliuomini e coll., 2008). Tuttavia, come riportato in precedenza (Piccinni e coll., 2008a), abbiamo

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82 analizzato il BDNF plasmatico totale dopo acidificazione e neutralizzazione dei campioni, mentre gli altri Autori potrebbero avere misurato la quantità della forma matura libera. A nostro avviso quindi, le diverse procedure metodologiche possono contribuire a spiegare la variabilità dei dati presenti in Letteratura (Karege e coll., 2005a; Palomino e coll., 2006). Tutti i pazienti reclutati erano in trattamento con stabilizzanti dell’umore e antidepressivi e ciò potrebbe aver influito sui livelli periferici di BDNF, come riportato in Letteratura (Fernandes e coll., 2011). Per limitare il potenziale bias legato alla terapia psicofarmacologica in atto, la terapia è stata mantenuta invariata nelle quattro settimane precedenti il prelievo ematico.

I risultati discussi dovranno sicuramente essere replicati su campioni più numerosi di pazienti affetti da episodi di disturbi dell’umore di diversa polarità. Inoltre, sarebbe di sicuro interesse replicare lo studio su pazienti reclutati in accordo al più recente sistema di classificazione dei disturbi mentali al fine di testare l’ipotesi secondo cui la compromissione della neuroplasticità associata alla deplezione di fattori neurotrofici come il BDNF rappresenta un fattore patogenetico comune nelle diverse manifestazioni cliniche dei disturbi dell’umore indipendentemente dalla polarità depressiva o espansiva.

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