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e sulla struttura dell’opera nell’inusuale disposizione delle sezioni che la compongono

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Il presente lavoro si concentra sull’analisi di alcune tematiche di mio particolare interesse nel romanzo Almanac of the Dead di Leslie Marmon Silko.

Si tratta di un’opera estremamente complessa, che ha suscitato scalpore tra la critica non solo per la sua struttura narrativa non convenzionale, ma soprattutto per il suo ritratto apocalittico del mondo moderno. Nel primo capitolo viene presentata la figura della scrittrice inserendola nel più ampio contesto del Native American Renaissance, in cui gli autori nativi americani prendono la parola per

rispondere agli stereotipi che spesso accompagnano la figura dell’indiano. Si sofferma l’attenzione sulla scelta di questi scrittori di adottare “la lingua del nemico”, l’inglese, rendendola uno strumento indispensabile per mettere in moto il lungo processo di decolonizzazione. Viene evidenziato il ruolo fondamentale dell’oralità nella tradizione nativa, e il modo in cui questa viene adattata alla forma scritta. Per Silko l’utilizzo della lingua inglese e della scrittura non rappresenta un problema, in quanto permette di continuare lo storytelling, il raccontare, che deve procedere con qualsiasi mezzo. Infine si delinea il macrotesto dell’autrice, presentandone le opere e inserendole tra gli episodi salienti della sua vita.

Il secondo capitolo si concentra sulla complessità di Almanac of the Dead, soffermandosi sul processo di scrittura del volume – che Silko definisce “mostly subconscious” – e sulla struttura dell’opera nell’inusuale disposizione delle sezioni che la compongono. Il principio di linearità non viene seguito, eppure le vicende si sviluppano come in una ragnatela dove i singoli frammenti

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apparentemente indipendenti tra loro si incontrano in punti di intersezione, costituendo così un’opera unitaria. Silko si ispira alla struttura dei frammenti dei tre almanacchi maya arrivati ai giorni nostri, che procedono su più linee narrative.

In Almanac la scrittrice inventa un quarto almanacco contenente le vicende di coloro che si sono occupati della sua trasmissione, espediente da cui far partire la riflessione e la critica sugli ultimi cinquecento anni di storia – dall’arrivo dei bianchi nel continente americano, epoca che Silko descrive come estremamente violenta. Viene proposta un’analogia tra i trattamenti subiti dagli indiani americani e dai Maya da parte dei conquistatori che hanno cercato di annullare le loro culture distruggendo quanti più documenti possibili. In una breve parentesi storica sulla loro evangelizzazione, sottolineo la scelta di alcuni Maya di adottare i caratteri latini imposti dai frati francescani per mettere per iscritto il bagaglio culturale, religioso e mitico fino ad allora tramandato oralmente, in modo molto simile alla scelta degli autori indiani di utilizzare la lingua inglese per tramandare l’autentica identità nativa.

Il terzo capitolo si concentra sulla volontà di Silko di rivedere due concezioni ereditate dalla cultura occidentale, precisamente quelle di tempo e spazio, nel possibile superamento della netta divisione tra passato, presente e futuro, e della frontiera sul piano fisico. Per quanto riguarda il tempo vengono messe a confronto la concezione lineare del tempo occidentale con quella nativa del tempo ciclico. L’autrice si interessa alla rappresentazione del tempo nella civiltà Maya, da cui prende in prestito l’aspetto dell’identità dei giorni per inserirlo in Almanac. Si introduce poi il discorso sulle frontiere spaziali – tema ricorrente in tutta la letteratura americana – riportando le riflessioni del filosofo

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Étienne Balibar per quanto riguarda l’area europea, che però applico al confine tra Messico e Stati Uniti, area che maggiormente interessa il romanzo. Il pensiero dell’autrice chicana Gloria Anzaldúa è di particolare interesse per la concezione di una nuova identità che colma lo spazio di rottura tra le frontiere, un’identità ibrida che si adatta perfettamente ai personaggi di Almanac. Infine, ci si concentra sul come Silko superi questi confini, sul piano temporale forzando il lettore a considerare simultaneamente più piani temporali come un’unica entità, e sul piano spaziale nella nascita dell’identità ibrida di frontiera, che riconosce e bilancia le diverse forze che lì si incontrano.

Nel quarto capitolo l’attenzione è focalizzata su un aspetto che ha colpito molto la mia lettura di Almanac, cioè l’enorme quantità di violenze, sofferenze e torture presenti nel romanzo. Nelle mie riflessioni ho cercato di razionalizzare questo tema, separando innanzitutto il discorso sulla violenza degli esseri umani verso i loro simili da quella nei confronti del mondo naturale, in cui faccio riferimento ai princípi dell’environmental justice. Mi sono interrogata su quale fosse lo scopo di Silko nel ritrarre così tanto orrore, e ho interpretato la scelta autoriale come un invito all’azione.

Tutto sommato, credo che Almanac of the Dead sia un’opera profondamente positiva, in particolar modo nel riferimento costante alla profezia contenuta nell’almanacco a proposito dell’annuncio della rinascita del mondo e dei valori indigeni e della riappropriazione nativa del continente americano, sulla quale si concentra l’ultimo capitolo. Secondo Silko, gli esseri umani potranno sopravvivere solamente se cambieranno le loro coscienze nel profondo e collaboreranno tra di loro. Per l’autrice il momento del compimento della profezia

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è annunciato dall’apparizione di un simbolo, un grande serpente in pietra – che nella tradizione nativa è messaggero divino tra il nostro mondo e quelli sottostanti – realmente apparso nei pressi di una miniera di uranio. Silko inserisce questa figura nel romanzo, affidandogli il messaggio di speranza e di rivolta verso lo stato attuale delle cose. Il romanzo si chiude sul ritorno del grande serpente che rivolge lo sguardo e le fauci spalancate verso sud, da dove partirà l’insurrezione comune tra i popoli. Il racconto si conclude prima dello scoppio dell’insurrezione, lasciando il finale aperto, e la possibilità al lettore di prendervi parte.

Il titolo del presente lavoro fa riferimento proprio alla speranza contenuta in Almanac of the Dead di una palingenesi, ovvero un nuovo inizio, una nuova epoca nella storia del mondo, che si fa spazio e porta un po’ di luce tra le tenebre dell’orribile panorama descritto nell’opera.

Per quanto riguarda l’approccio che ho utilizzato nello sviluppo delle mie considerazioni, ho cercato di dirigere il discorso sugli aspetti tematico-formali che mi hanno affascinato maggiormente, accompagnando le mie riflessioni con un puntuale riferimento al modo in cui essi vengono trattati negli episodi più significativi del romanzo.

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