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102 Fig.27 - Stampa tedesca della Sicilia e le Isole Eolie (da Munster 1550) PDF Creator - PDF4Free v2.0 http://www.pdf4free.com

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CAPITOLO III

Meligunìs Lipara

III.1 Descrizione

-‘‘ Giungemmo nell’isola Eolia, ove il diletto agli immortali dei d’Ippota figlio,

Eolo, abitava in isola natante, tutta la cinge un muro bronzeo e liscia s’innalza una rupe ’’

(Odissea, X, vv. 1-5)

E’ Omero a fornire la prima descrizione dell’isola di Lipari, caratterizzata da una rupe che si innalza sulla rada portuale, scenario mitico nel quale Ulisse sarà per un mese ospite di Eolo.

Lipari è la maggiore delle sette isole che costituiscono l’arcipelago posto

µεταξÚ Ιταλ…αò καˆ Σικελ…αò 223, o meglio ‘a nord della Sicilia, in direzione del corso del Metauro, a circa 25 miglia dall’Italia’224

. L’Acropoli di Lipari è oggi chiamata il Castello o anche la Cittade ed è costituita da un masso di riolite, la ‘liscia rupe’ di Omero, che si innalza dalla piana con pareti scoscese e si protende sul mare creando due insenature: Marina Lunga a nord e Marina Corta a sud. Un dosso di minore altezza, la Civita, lo prolunga verso nord sulla Marina Lunga, mentre verso ovest il pendio digradante si fa meno ripido e si collega al piede dell’Acropoli. Su questo pendio e all’inizio della piana si estende la città moderna che ricopre quella di età greca e di età romana. Due torrenti sfociano ai piedi della rocca: il Vallone di Santa Lucia a nord e il Vallone Ponte a sud. La forma dell’isola non è perfettamente circolare, ma è vivacizzata da promontori e insenature. Il promontorio più evidente è quello di Punta Crapazza che si estende verso sud;

223

Diodoro Siculo, V, 9, 3. 224

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quello del Monte Rosa ad est, separa la zona di Canneto dalla città; a nord-est quello di Punta Castagna altro non è che un prolungamento provocato dalla colata ossidianica delle Rocche Rosse fuoriuscita dal cratere del Monte Pelato in età altomedievale, eruzione che aveva coperto con emissioni di pomici tutta la zona nord-est dell’isola, compresa la grande colata d’ossidiana di Lami-Pomiciazzo sfruttata in età neolitica, e che si era conclusa poi con la nuova colata delle Rocche Rosse225. Senza dubbio l’azione degli agenti atmosferici e del mare ha molto modificato il paesaggio e soprattutto le coste che, in alcuni punti, sono state ridotte. Un’antica linea di riva , ad esempio, dove potevano ancorarsi le navi, doveva essere a diversi metri dall’attuale costa del Pignataro di Fuori, a sud del Monte Rosa, dove sono state ritrovate notevoli quantità di materiale di epoche diverse e di un relitto (cfr. § III.4). Il rilievo più alto è il Monte Chirica che supera di soli otto metri il Monte S.Angelo, un vulcano spento al centro dell’isola e sul cui versante est si estende la zona della Pirrera da cui, secondo il parere di Pietro Campis, in antichità veniva estratto l’allume226. A sud-ovest del monte invece si trovano le Terme di S.Calogero di fama secolare: ‘‘[…]questa (acqua) dall’avere del sulfureo e bituminoso scaturisce assai calda, ma ridotta nei bagni che vi sono fabbricati riesce, col farsi tiepida, di stupendo giovamento all’infermi che da ogni parte vi concorrono, perché sino ai tempi di Pausania e Diodoro erano questi bagni famosi […] Bisogna dire, già che è antichissima traditione autore di questi bagni essere stato Santo Calogero, che ditte acque nel lungo andare dei tempi si sperdessero e che per opera del ditto Santo fussero poi ritrovate e ridotte in quei bagni che ora si vedono, atteso che San Calogero fu molt’anni doppo li citati Auttori che di quelli fanno mentione.’’227

225

Bernabò Brea L., Cavalier M., 1977, p. 101. 226

Campis P., 1991, p. 74. 227

(4)

Fi g. 28 -P ro sp et to d el la ci tt à d i L ip ar i (d a C a m p is , 1 6 9 4 , p . 1 3 4 ).

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III.2 Lipari nella tradizione classica

-Secondo la tradizione nell’arcipelago eoliano, che nell’ottica antica corrispondeva all’isola di Lipari, era sito il regno del dio dei venti, l’Eolia, mentre un’altra leggenda situava a Vulcano (‘Ιερ

£

“Η φαιστου) la fucina di Efesto e dei Ciclopi. Diodoro, narra che Liparo, alla testa di alcune navi da guerra, fu il primo a giungere nell’isola maggiore in un momento in cui l’arcipelago era ancora disabitato. In un secondo momento poi, a Liparo si sarebbe aggiunto Eolo, anch’egli fuggiasco, che sposerà la figlia dello stesso Liparo e diverrà signore dell’isola228. Diverso è quanto sostiene Plinio:‘‘[…] sono le sette isole chiamate Eolie o Lipari, Efestiadi dai Greci, Vulcanie dai Latini; sono dette Eolie perché, ai tempi della guerra di Troia, vi regnò Eolo. Lipari…detta dal nome del re Liparo successore di Eolo, prima detta Meligonìs o Meligunìs…’’229

. Il nome ‘Lipara’, attribuito al mitico colonizzatore, ricava la sua etimologia dalla radiceλ…πα, da cui l’aggettivoλιπαρ

Ò

ò, che richiama la fertilità della sua terra di origine vulcanica. L’altra denominazione dell’isola cui Plinio fa riferimento è menzionata anche da altri autori, primo tra tutti Callimaco:

‘‘αâθι δε ΚÚκλωπαò µετεκ…αθε. τοÝò µεν

œ

τετµε

ν»σω

νˆ Λιπ

£

ρη ()Τϕ 1 0 0 1 290.16 350.85 Τµ (Λ)Τϕ 1 0 0 1 299.04 350.85 Τµ (ι)Τϕ 1 0 0 1 303.36 350.85 Τµ (π)Τϕ /Φ5 15.121 Τφ 1 0 0 1 310.08 350.85 Τµ 15.121 ΤΛ (≤)Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 317.04 350.85 Τµ 12.961 ΤΛ (ρ)Τϕ 1 0 0 1 324.24 350.85 Τµ (η)Τϕ 1 0 0 1 332.16 350.85 Τµ ( )Τϕ 1 0 0 1 335.28 350.85 Τµ (ν)Τϕ /Φ5 15.121 Τφ 1 0 0 1 342.24 350.85 Τµ 15.121 ΤΛ ( )Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 346.56 350.85 Τµ 12.961 ΤΛ (ο)Τϕ 1 0 0 1 353.76 350.85 Τµ (ν)Τϕ 1 0 0 1 360.48 350.85 Τµ (,)Τϕ 1 0 0 1 363.84 350.85 Τµ ( )Τϕ /Φ5 15.121 Τφ 1 0 0 1 366.96 350.85 Τµ 15.121 ΤΛ (′)Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 373.92 350.85 Τµ 12.961 ΤΛ (λ)Τϕ 1 0 0 1 381.12 350.85 Τµ (λ)Τϕ /Φ5 15.121 Τφ 1 0 0 1 388.08 350.85 Τµ 15.121 ΤΛ (ƒ)Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 394.8 350.85 Τµ 12.961 ΤΛ ( )Τϕ 1 0 0 1 398.16 350.85 Τµ (τ)Τϕ /Φ5 15.121 Τφ 1 0 0 1 403.44 350.85 Τµ 15.121 ΤΛ ()Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 408.72 350.85 Τµ 12.961 ΤΛ (τ)Τϕ /Φ0 12.961 Τφ 1 0 0 1 414.24 350.85 Τµ ( )Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 418.56 350.85 Τµ ( )Τϕ /Φ5 15.121 Τφ 1 0 0 1 421.92 350.85 Τµ 15.121 ΤΛ ( )Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 426.48 350.85 Τµ 12.961 ΤΛ (σ)Τϕ 1 0 0 1 434.16 350.85 Τµ (κ)Τϕ 1 0 0 1 441.12 350.85 Τµ (ε)Τϕ 1 0 0 1 446.88 350.85 Τµ (ν)Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 453.84 350.85 Τµ ( )Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 177.84 322.77 Τµ ( )Τϕ 1 0 0 1 181.2 322.77 Τµ ( )Τϕ 1 0 0 1 184.56 322.77 Τµ ( )Τϕ 1 0 0 1 187.68 322.77 Τµ ( )Τϕ 1 0 0 1 191.04 322.77 Τµ (ο)Τϕ /Φ5 13.922 Τφ 1 0 0 1 198.24 322.77 Τµ 13.922 ΤΛ (⇐)Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 203.52 322.77 Τµ 12.961 ΤΛ (ν)Τϕ 1 0 0 1 210.48 322.77 Τµ (ο)Τϕ 1 0 0 1 217.68 322.77 Τµ (µ)Τϕ /Φ5 15.121 Τφ 1 0 0 1 225.12 322.77 Τµ 15.121 ΤΛ (≤)Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 231.84 322.77 Τµ 12.961 ΤΛ ( )Τϕ 1 0 0 1 235.2 322.77 Τµ (ο)Τϕ 1 0 0 1 242.4 322.77 Τµ (ι)Τϕ 1 0 0 1 246.48 322.77 Τµ ( )Τϕ 1 0 0 1 249.6 322.77 Τµ (Μ)Τϕ 1 0 0 1 261.36 322.77 Τµ (ε)Τϕ 1 0 0 1 267.12 322.77 Τµ (λ)Τϕ 1 0 0 1 274.32 322.77 Τµ (ι)Τϕ 1 0 0 1 278.64 322.77 Τµ (γ)Τϕ 1 0 0 1 283.92 322.77 Τµ (ο)Τϕ 1 0 0 1 290.88 322.77 Τµ (υ)Τϕ 1 0 0 1 298.32 322.77 Τµ (ν)Τϕ /Φ5 13.922 Τφ 1 0 0 1 305.28 322.77 Τµ 13.922 ΤΛ ( )Τϕ /Φ0 12.961 Τφ 1 0 0 1 308.4 322.77 Τµ 12.961 ΤΛ (∫)Τϕ /Φ4 12.961 Τφ 1 0 0 1 313.44 322.77 Τµ ( )Τϕ 1 0 0 1 316.8 322.77 Τµ ( )Τϕ 1 0 0 1 320.16 322.77 Τµ ()

...’’230

Il Libertini ha ritenuto che il nomeΜ ελιγουνιò non fosse altro che ‘‘un’invenzione ellenistica, come i nomi di Asteria per Delo, Calliste per Tera, Dia per Nasso…’’231

. Secondo un recente studio del Pagliara è possibile che il nome derivi da µελιe γιγνοµαι‘generata dal miele’232 (come anche il Forcellini: ‘‘ Videtur autem ita vocata a felici mellis proventu’’)233

in riferimento ad una risorsa dell’isola di cui in realtà non abbiamo testimonianza.

228Biblioteca Storica, V, 7-9. 229

Plinio, III, 14, 92 (Trad. Berchiesi A., Centi R., Corsaro M., Marcone A., Ranucci G., 1982). 230Inno a Diana, III, 46 ss.

231

Libertini G., 1921, p. 55. 232

Pagliara A., 1992, p. 316. 233

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Lipari è ricordata dalle fonti non solo come la più grande, ma anche come quella che dominava le altre isole e forse l’unica veramente abitata (cfr. § II.1.2). La caratteristica che più affascinava chiunque si recasse presso queste isole era legata ai fenomeni naturali che avevano dato sfogo alle credenze mitologiche. L’intero arcipelago altro non è che la porzione sommitale di un sistema di vulcani sottomarini, modificata nei secoli da fenomeni atmosferici, soprattutto i venti che, nell’immaginario comune, erano governati dal signore delle isole, Eolo. C’è da dire che i vulcani ritenuti attivi anticamente erano soltanto Vulcano e Stromboli che, con le sue ‘ritmiche’ esplosioni, le stesse che oggi affascinano i turisti, doveva rappresentare un faro naturale per tutti i naviganti. E’ a queste isole che sono da riferire tutte le attività che nelle fonti sono attribuite a Lipari. I crateri di Lipari, prima del risveglio improvviso del Monte Pelato in età altomedievale, pare siano rimasti inattivi per sette o otto millenni. Pochi anni fa la Zunino ha cercato di riconsiderare una possibile attività del vulcano liparota tra IX e VII secolo, nel tentativo di dare una spiegazione più plausibile al cosiddettovacuum eoliano234.

III.3. Cenni storici

-In età preistorica, le isole rappresentavano già un importante approdo e soprattutto una grande risorsa economica. Non ci sono segni abitativi per quanto riguarda il Paleolitico, periodo in cui l’uomo viveva di caccia e raccolta e non avrebbe potuto rimanere in un uno spazio tanto ristretto. Nel Neolitico invece, grazie all’ossidiana di cui Lipari è particolarmente ricca, le isole ebbero uno sviluppo repentino e rigogliosissimo che continua fino all’età dei metalli, quando l’ossidiana non è più tanto ricercata. Intorno al 1250 a.C. i villaggi delle isole minori subiscono una brusca fine scomparendo per sempre, mentre quello del Castello di Lipari riprende dopo una violenta distruzione. In questa ripresa la cultura liparota sembra legarsi fortemente alla penisola, staccandosi quasi totalmente dalla Sicilia. E’ a questi eventi che si lega il racconto di Diodoro della venuta degli Ausoni guidati da Liparo, i quali trovano Lipari quasi deserta. Il periodo che segue fino alla colonizzazione greca è piuttosto oscuro. La stessa narrazione diodorea si dilunga in

234

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un excursus sui sei figli di Eolo, di cui soltanto uno rimane nell’isola, per poi passare direttamente alla spedizione dei Greci di Pentatlo, che trovano l’isola quasi deserta. I secoli che intercorrono tra le due spedizioni di Liparo e Pentatlo sono identificati come il periodo di ‘eremia eoliana’, cioè un lungo lasso di tempo in cui le isole sono quasi totalmente disabitate, spesso spiegato con invasioni violente e catastrofiche che non avrebbero dato modo di ripopolare l’arcipelago. C’è chi giustamente ritiene che lo strascico di un’invasione, per quanto catastrofica, non sia sufficiente a spiegare come una stazione di posta strategicamente fondamentale come quella eoliana, sia potuta rimanere esclusa dalle rotte e dai tentativi di colonizzazione da parte dei Greci, in un periodo, quello tra IX e VII secolo, in cui essi fondavano colonie nel basso Tirreno. Non è da escludere che la vera motivazione fosse legata ad una attività vulcanica delle isole particolarmente pericolosa proprio durante quei secoli, cosa che poteva renderle difficilmente abitabili235.

La fondazione della Lipari greca avviene da parte dei reduci dello sfortunato tentativo degli Cnidii e Rodii di Pentatlo di stanziarsi nel 576 a.C. a Lilibeo, guidati da Gorgo, Testore ed Epiterside236. I pochi abitanti che essi trovano sull’isola li invitano a rimanere per difenderli dalle incursioni dei Tirreni, i quali vengono presto sconfitti. Nella loro nuova sede i Greci stabiliscono, almeno in un primo tempo, un regime collettivistico lasciando indivisa la terra che viene coltivata in comune. Essendo città dorica, durante la guerra del Peloponneso si trova al fianco di Siracusa, motivo per cui viene aggredita dalla flotta degli Ateniesi e dei Reggini nel 427 e nuovamente nel 426. Da questa data fino al 404, quando si accendono le ostilità tra Greci e Cartaginesi, Diodoro, fonte principale, non dà notizie di Lipari237. Quando Cartagine decide di intervenire nella contesa tra gli Elimi di Segesta e i Greci di Selinunte, forse per mantenere debole Siracusa appena uscita da una guerra, si intuisce facilmente che le Eolie possono rappresentare un’importante base navale per i Greci, così nel 397 Imilcone assale Lipari. Il generale cartaginese non distrugge la città, ma le impone un forte tributo che, apparentemente, permette alla città di rimanere indipendente.

235 Zunino M.L., 1999, p. 4. 236 Diodoro Siculo, V, 9, 4. 237 Libertini, 1921, p.119.

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Il primo contatto con i Romani avviene intorno al 394 a.C. quando i pirati liparesi catturano la nave romana che portava a Delfi il cratere d’oro, decima della presa di Veio. Secondo il racconto di Livio238 sarebbe stato poi lo stratega Timasiteo ‘‘più simile ai romani che ai suoi’’ a convincere i concittadini a restituire il bottino. Dal 389 le Eolie continuano a sostenere Dionisio nelle sue mire espansionistiche e, essendo ormai città confederata di Siracusa, Lipari ottiene il diritto di batter moneta. Questo rapporto di concordia e alleanza sembra cessare dopo la morte di Dionisio, infatti nel 304 Agatocle, forse solo per rimpinguare l’erario, assale la città e le impone un tributo tanto forte da pretendere anche i sacri tesori di Eolo, cosa che, secondo la tradizione, scatenerà l’ira del dio e farà naufragare le navi siracusane di ritorno dall’isola.

Durante la prima guerra punica l’arcipelago eoliano sostiene Cartagine, anche perché essendosi allentati i rapporti con Siracusa, gli abitanti sentono maggiormente la minaccia cartaginese. Dopo la prima sconfitta di Gneo Cornelio Scipione, il console Caio Duilio nel 260 vince Annibale nelle acque di Lipari. La città rimane per lungo tempo avamposto cartaginese nonostante i ripetuti assalti del console Aurelio Cotta che riesce a conquistarla solo nel 251 a.C.239

III.3.1 Lipari in età romana

-Non è ben chiaro quale tipo di ordinamento avesse avuto Lipari nei dieci anni prima della fine della guerra, certo è che dal 241 l’intero arcipelago segue le sorti della Sicilia. Prima del nuovo ordinamento di M. Valerio Levino, la città era probabilmente amministrata da un pretore cittadino o un governatore eletto dal popolo. Dopo il 210, conquistate Agrigento e Siracusa, la Sicilia assume pienamente carattere di provincia e Lipari entra nel numero delle civitates decumanae240

. Non si hanno molte notizie delle Eolie negli anni seguenti, tranne un accenno alla loro breve riconquista da parte di Cartagine durante la Seconda Guerra

238 Livio, V, 28, 2, 3. 239 Libertini, 1921, pp.120-135. 240 Livio, XXVI, 40, 14.

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Punica, fino al processo contro Verre, quando Cicerone presenta l’isola di Lipari come povera e incolta241.

Le isole sono di nuovo menzionate perché, al solito, sono luogo strategico particolarmente importante, stavolta nella guerra civile tra Ottaviano e Sesto Pompeo. Il primo infatti comprendendone l’importanza, ordina la deportazione di molti liparesi sostenitori di Pompeo in Campania, ‘obbligandoli a vivere a Napoli fin quando fosse durata la guerra’242

. Pochi anni dopo, Agrippa stabilisce a Lipari la sua flotta, mossa che si rivelerà decisiva ai fini della vittoria.

Durante l’impero, insieme con la Sicilia, le Eolie diventano provincia senatoria, con il vantaggio, forse, di una diminuzione dei soprusi da parte dei governatori che ora hanno meno potere, mentre il senato esercita un controllo maggiore243. Altro cambiamento è quello del sistema tributario, attribuito in realtà a Cesare, che vede le città decumanae, dunque anche Lipari, diventare stipendiariae, tenute cioè a pagare un tributo fisso in denaro. Non sappiamo esattamente quando la città diviene municipium, si tratta forse di un’altra iniziativa cesariana. Plinio la definisce ‘civium romanorum oppidum’244

alludendo probabilmente alla sua condizione di municipio, cioè di comune con piena cittadinanza nonostante che essa non avesse ricevuto coloni romani. Inoltre il fatto che Plinio non la nomini tra le città stipendiarae può significare che Lipari durante l’età imperiale si sottrasse al pagamento del tributo245. A livello giuridico, durante l’impero, Lipari fa parte del conventus di Messana. A livello costituzionale, gli abitanti sono probabilmente divisi in curie o tribù e l’elezione dei magistrati locali spetta ai 100 decuriones che formano il senato. Le principali autorità sono i duumviri o i quadrumviri iure dicundo, che ogni cinque anni fungono da censori, e i due edili.

A partire da Diocleziano le Eolie e la Sicilia fanno parte della prefettura d’Italia e sono amministrate dai consulares di Sicilia dipendenti dal vicarius urbis residente in Roma. Del periodo imperiale sappiamo inoltre che l’isola, come anche in età moderna, è luogo di confino: nel 203 Caracalla vi deporta la moglie Plautilla e il cognato Plauzio. Due secoli più tardi Onorio vi confina Attalo Prisco, che era stato

241Verrine, III, 38, 85. 242

Cassio Dione, XLVIII, 48. 243 Libertini, 1921, p. 147. 244 N.H., III, 14, 93. 245 Libertini, 1921, p. 149.

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nominato imperatore da Alarico, ma poi era stato sconfitto e catturato. Agli inizi del VI secolo infine, Teodorico confina nell’isola di Vulcano il curiale Iovino denunciato per omicidio246.

III.3.2 L’economia liparota in età romana

-In età classica la percezione che si ha delle isole Eolie è ammantata dal mito, funzionale alla trasfigurazione dei fenomeni meteorologici e vulcanici difficilmente spiegabili di cui le isole sono teatro. Alla loro posizione e geologia è anche legata la loro fortuna costruita su risorse singolari. Fin dal V millennio l’abbondanza di ossidiana è stata motivo di richiamo fino all’introduzione dei metalli. Si può dire che indirettamente anche lo stagno abbia rappresentato una fonte di sviluppo economico per le isole: queste divennero infatti avamposto miceneo per il commercio del metallo che veniva estratto in Cornovaglia e trasportato in Oriente247. Le pomici, che tutt’ora sono punto focale dello sviluppo industriale di Lipari (figg. 30-31), sono state da sempre utilizzate come abrasivo e, soprattutto in età imperiale, erano impiegate nell’edilizia. Secondo Plinio erano utilizzate anche in medicina in misture lenitive e siccative, in composti disinfettanti per gli occhi e dentifrici. Lo stesso Plinio afferma che le pomici eoliane sono tra le migliori: ‘(pumices) laudatissimi sunt in Melo, Nisyro et Aeoliis insulis’248. Altra risorsa tipicamente eoliana è costituita dallo zolfo utilizzato molto in età classica per alimentare fiaccole, in agricoltura per difendere le piante da alcuni parassiti, per realizzare mastici e soprattutto per candeggiare la lana (‘tantum est usus ad lanas suffiendas, quondam candorem mollitiamque confert’)249

. Anche in questo caso sono gli autori classici a confermare l’abbondanza nonché la qualità di questa risorsa nelle isole Eolie250.

246

Bernabò Brea L., Cavalier M., 1992, p. 48. 247

EEA, voce ‘Eolie’, p. 351. 248 N.H., XXXVI, 42, 154-155. 249 Plinio, XXXV, L, 175. 250 Plinio, XXXV, L, 174; Dioscoride, V, 107.

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Il vero prodotto di monopolio era però rappresentato dall’allume dalla vendita del quale ‘Liparesi e Romani treavano grandi profitti’ e la cui importanza è stata ampiamente sottolineata nel capitolo I.

Ancora oggi sono attive a Lipari cave dicaolino che in antichità era utilizzato come inerte nelle argille prese dalle coste siciliane per la produzione di ceramiche.

L’argilla esisteva nell’isola solo come prodotto di degradazione causata dall’azione

delle fumarole sulle rocce vulcaniche geologicamente più antiche251. Dal punto di vista industriale si tratta di argilla molto scadente, utilizzata in preistoria come rivestimento impermeabile delle capanne e in età classica per la produzione di mattoni crudi. Abbondanti a Lipari erano le pietre da taglio come le tenere latitandesiti di colore rosso-violaceo del Monte Rosa, che si prestano benissimo per fare dei conci quadrati. Erano stati utilizzati per le mura urbiche del IV secolo e per alcuni sarcofaci litici della necropoli. La pietra di Fuardo, o pietra Pulera, più dura e compatta, era invece usata per stipiti, stelae, cippi e sarcofagi252. In età romana la gestione delle attività estrattive di tutte queste cave era affidata a conductores chiamati anche macipes, alle dipendenze dei quali stavano un certo numero di schiavi, come dimostrato dalle numerose iscrizioni funerarie in prevalenza greche, la cui onomastica rimanda a individui di condizione non libera253.

Altra risorsa legata alla natura vulcanica di Lipari sono le sorgenti termali ‘delitia e commodo che manca ad ogn’altre delle Eolie’254

. Le famose terme di S. Calogero, menzionate da Campis come un miracolo attribuito al santo in età medievale, hanno radici molto più antiche. Dagli scavi condotti negli anni ’80 sono state scoperte strutture di età micenea ristutturate e ampliate in età romana255. Diversi autori256 ricordano l’importanza delle acque calde, ricche di zolfo, allume, bitume e altre sostanze dalle proprietà purificanti e terapeutiche, sottolineando talvolta (Plinio, XXXI, 33, 61), che solo alcune di queste sorgenti hanno efficacia reale. Tra queste quelle di Lipari sono ritenute di particolarmente benefiche:

‘‘ Lipari possiede [...] celebri acque termali; questi bagni giovano alla salute degli ammalati, e per la particolarità delle acque calde offrono sollievo e distensione a 251 Cavalier M., 1978, p. 7. 252 Cavalier M., 1990, p. 32. 253 Manganaro G., 1988, p. 48. 254 Campis P., 1991, p. 75. 255 Cavalier M., 1990, p. 45. 256

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coloro che ne usufruiscono, perciò dalla Sicilia molti afflitti da diverse infermità si recano nell’isola e grazie alle cure termali si rimettono prima di quanto potessero pensare.’’257

E’ sempre grazie al suolo vulcanico che il terreno liparota è ricordato da Diodoro e Strabone come particolarmente fertile (καρποφ

Ò

ροò 258, εÜκαρποò 259). Secondo Diodoro tra i prodotti dell’isola erano gli

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κροδρÚα, termine incerto con il quale probabilmente egli intende ogni genere di frutto260. Negli ultimi anni del ‘600 così Pietro Campis, esagerando forse un po’, descrive l’isola: ‘‘…in ogni sua parte si fa vedere amena fertile e deliziosa…le sue colline vestite tutte di viti, pergole e pianti fruttifere, le sue pianure abbondantissimi di frumenti, leumi ed ortaglie; né vi mancano boschi che somministrano a sufficienza legname; vi si ha lì anco pascoli assai buoni che porgono nutrimento a varie mandrie d’animali c’ha beneficio dell’isolani vi si mantengono…’’261

. Con altrettanta enfasi Cicerone definisce l’isola ‘inculta tenuisque’ e il suo terreno ‘miserus atque ieiunus’262, probabilmente un’esagerazione per sottolineare la colpevolezza e cattiva fede di Verre. Lipari doveva essere in età romana perfettamente autosufficiente per quanto riguarda i prodotti agricoli, anche se la limitata estensione non ne consentiva certo l’esportazione. Unica eccezione è rappresentata dal vino eoliano la cui produzione doveva già essere particolarmente abbondante in età greca come testimonia il conio di monete nel IV secolo a.C. recanti un grappolo d’uva sul recto263. Dell’esportazione di vino in età romana si seguono le tracce attraverso le Dressel 2/4 (Lipari 3) di produzione locale rinvenute anche a Cavaillon.

Sia Diodoro264 che Ateneo265 ricordano la ricchezza del mare liparota abitato da pesci di ogni tipo, soprattutto, secondo Ateneo, astici della migliore qualità (οƒ

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τιστοι). Da Plinio sappiamo anche che in queste acque veniva

257 Diodoro Siculo, V, 10, 1. 258 Diodoro, V, 10, 3. 259 Strabone, VI, 2, 10. 260 Libertini G., 1921, p. 31. 261 Campis P., 1991, p.72. 262

Verrine, III, 37, 84-85. A Lipari era l’appaltatore Valenzio, amico di Verre, a stabilire sia l’offerta da pagare a lui stesso, sia quale fosse la decima del prodotto di quell’anno, speculando fortemente su un terreno che, per quanto fertile, era comunque poco esteso e non poteva produrre quantità di grano tanto elevate. 263

Libertini G., 1921, p. 208. 264Biblioteca Storica, V, 10, 3. 265

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pescato un corallo ‘laudatissimum’266, utilizzato dagli aruspici come amuleto e dalle donne come ornamento, ma utile, se bruciato, anche per i dolori intestinali.

266

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Fig. 30 - Cave di Pomice

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III.4 Le Eolie come centro di traffici commerciali

-Oltre alle testimonianze latine e greche, sono le tracce archeologiche a confermare la floridezza economica dell’arcipelago, vero e proprio crocevia per navi provenienti da ogni direzione. Se i prodotti esportati erano limitati ad allume, zolfo e poco vino, le isole, Lipari in particolare, erano interessate da un intensa attività commerciale ‘straniera’. I fondali che circondano la mitica Eolia sono ricchi di relitti di navi da carico, molte dirette altrove ma che spesso facevano scalo nei porti liparoti per poi riprendere il viaggio. La maggior parte di essi si concentra in punti estremamente pericolosi a ridosso delle isole, dove navi in balia dei venti cercavano rifugio, incorrendo invece in scogli insidiosi o sbattute sulla costa prima di trovare riparo.

Lo studio di questi relitti, dunque, fornisce importanti informazioni anche per quanto riguarda le tendenze del mercato globale.

Durante il periodo arcaico e classico l’attività marittima attorno al Mediterraneo centrale è particolarmente intensa, soprattutto con l’inizio della colonizzazione Egea in occidente. Le isole Eolie oltre ad essere in questo periodo scarsamente popolate, non rappresentavano un particolare punto d’attrazione dato che ormai, con lo sviluppo della metallurgia, l’ossidiana non era più d’interesse e i commercianti d’Oriente erano interessati maggiormente alle zone di estrazione (Etruria, Italia centro-meridionale)267. Il relitto più antico, è quello del Pignataro di Fuori a Lipari, risalente alla prima età del bronzo (XX secolo a.C. circa). La nave trasportava ceramiche tipiche dellafacies di Capo Graziano, di sicura produzione liparota, forse verso le isole minori. Questo tratto di costa dinnanzi al Monte Rosa nella baia di Lipari, in corrispondenza della spiaggetta del Pignataro di Fuori, è particolarmente ricco di materiali di età diverse (dal VII a.C. al XV d.C.) e attesta un’intensa frequentazione da parte delle navi mercantili. Doveva infatti essere lo scalo marittimo più importante dell’isola268. Ulteriori relitti appartengono tutti al periodo successivo alla colonizzazione degli Cnidi, quando finalmente si ripristinano le rotte commerciali con l’Oriente. Dei diciannove relitti rinvenuti finora solo uno, oltre il relitto di Pignataro di Fuori, è in sicura connessione commerciale con le isole Eolie: 267

Bound M., 1992, p. 51. 268

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il relitto F di Filicudi che trasportava ceramiche a vernice nera comuni nelle tombe liparesi della prima metà del III secolo a.C. e realizzate con un’argilla compatibile con quella utilizzata localmente. Forse è possibile aggiungere il relitto delle Formiche di Panarea, una piccola imbarcazione del XVII-XVIII secolo che probabilmente veniva a vendere ceramiche invetriate nelle isole269. Anche se non è archeologicamente dimostrabile, non è comunque escluso che molte delle navi ritrovate fossero dirette alle isole Eolie per scaricare o caricare merci e ripartire per altre destinazioni. Al contrario, alla luce della scoperta della fornace di Portinenti, direi che perlomeno i relitti di età romana270 appartenevano a navi che si recavano a Lipari per comprare allume. L’anfora del tipo Lipari 2 rinvenuta a largo di Punta San Francesco appartiene certamente ad una di queste, di cui non si è ancora individuato il relitto. Per ironia della sorte infatti, quest’anfora si trovava nel bel mezzo di un carico di anfore puniche (Mana A 3/4) ad essa molto simili per la forma, ma precedenti di almeno tre secoli! Si può escludere per certo che i carichi di ceramica a vernice nera di due relitti, quello della Secca del Capistello a Lipari e il relitto A del Capo Graziano di Filicudi, fossero diretti verso le Eolie, dove non sono mai state trovate ceramiche di queste fabbriche.

III.5 Topografia di Lipari in età romana

-L’Acropoli di Lipari è una fortezza naturale, accessibile solo dalla Civita. Fino all’inizio dell’età del bronzo l’abitato si era concentrato qui, poi, in periodo di tranquillità, si estese sulla piana retrostante e solo in età greca e romana arrivò fin sulla Civita, sul pendio occidentale e sulla via che congiunge i due porti, l’attuale Corso Vittorio Emanuele, e oltre. La struttura della città greca e romana non è perfettamente nota, anzi mancano studi sistematici a riguardo in parte impediti dalle costruzioni moderne, in parte dovuti al fatto che Lipari e le Eolie in generale hanno sempre suscitato un interesse così forte dal punto di vista preistorico che

269

Bernabò Brea L., 1985, p. 29. 270

Il relitto di Punta Luccia a Vulcano che trasportava anfore tipo Dressel 1; il relitto H di Capo Graziano a Filicudi che trasportava Lamboglia 2; il relitto C di capo Graziano e il relitto Alberti delle Formiche di Panarea che trasportavano Dressel 2-4.

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l’archeologia greca, ma soprattutto quella romana, sono sempre state un po’ trascurate.

Gli scavi condotti sull’Acropoli sotto la direzione di Luigi Bernabò Brea, i cui risultati sono ampiamente esposti nel volume IX di Meligunis Lipara271, hanno rivelato l’esistenza di un impianto stradale regolare ricostruibile nelle sue linee generali. Durante gli scavi del 1954 si era individuato un possibile decumanus maximus che percorreva l’intera rocca da nord a sud, cui dovevano corrispondere altri decumani paralleli, interrotto però dal muro di un edificio che a circa metà del percorso si insinuava nel rettilineo272. In realtà le indagini successive hanno rivelato l’esistenza di un sistema di isolati allungati rettangolari costituiti da una serie di cardines intersecanti in maniera non perfettamente ortogonale un unico decumano principale, corrispondente all’attuale, quindi leggermente più ad est del precedente sospettato. Uno slargo nella parte mediana, dov’è ora la cattedrale, potrebbe essere dovuto alla presenza di un antico edificio sacrale o pubblico. I cardines dovevano definire sette strigae, di cui due in corrispondenza del declivio, che probabilmente, come nelle altre città siceliote, si dovevano estendere fino ai lati della rocca. Di ognuna di queste strade è stato ritrovato un canale di drenaggio assiale nel tratto di declivio da ovest verso est.

L’impianto così definito appartiene senza dubbio al II secolo a.C., infatti, dopo la distruzione del 251, l’acropoli è stata con molta probabilità sede di un presidio romano fino a che il pericolo cartaginese non è stato debellato. A questo punto il nuovo impianto urbano sarebbe stato costruito dopo una totale demolizione degli edifici preesistenti: sono assolutamente assenti resti edilizi precedenti al II secolo a.C., datazione confermata dai ritrovamenti ceramici. Dei pochi edifici rimasti si sono individuate tre abitazioni piuttosto modeste in quanto tutt’e tre accorpate in un solo lembo di un isolato, ma poi accorpate in un’unica ricca domus di età imperiale, di cui erano rimasti pochi lembi di pavimento a mosaico. La città romana ricopre quasi perfettamente quella di età greca e si estende al di fuori dell’acropoli, sulla Civita, sulla piana verso le due marine, superando la cinta muraria greca arcaica (fine VI secolo), ma non quella di IV secolo a.C. costruita in opera poligonale. Questa aveva probabilmente subito le conseguenze della distruzione se, nel I secolo a.C., Pompeo 271

Bernabò Brea L., Cavalier M., 1998, pp. 101-116. 272

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farà costruire un aggere di protezione costituito un muro a secco parallelo ad essa sul lato ovest e costruito in maniera piuttosto frettolosa273. La città moderna non dà molto spazio alle indagini sull’impianto antico della città bassa, infatti, sono stati individuati solo pochi elementi. Un decumano principale, che prima era stato identificato con l’attuale Corso Vittorio Emanuele, si trovava pochi metri più a ovest, dove con gli scavi del 1996 si erano messi in luce i limiti di un’insula con diverse abitazioni che affacciavano sul decumano, appartenenti all’età imperiale ma più volte ristrutturate nei secoli successivi. Tra queste abitazioni e la cinta muraria c’era un’ampia strada di circonvallazione che dovette rimanere libera per lungo tempo, fino al IV secolo d.C., quando si cominciarono ad edificare numerose abitazioni che si appoggiavano con le loro stanze alle mura. Le indagini condotte in questa zona hanno permesso di osservare che almeno fino al VI secolo l’estensione della città era rimasta la stessa dei secoli di maggior floridezza, anche se la popolazione si era probabilmente ridotta. Una zona di attività artigianale, fin’ora l’unica individuata, era al di fuori della zona abitata, nell’attuale contrada Portinenti, dove veniva prodotta probabilmente tutta la ceramica locale. Al di là della cinta muraria si estendeva la città dei morti, costituita da diverse tombe di età repubblicana alla cappuccina e da inumazioni con coperture realizzate riutilizzando stelai classiche ed ellenistiche. Di età imperiale sono invece alcuni monumenti funerari e diversi ipogei, tutti risalenti al II secolo d.C. Dell’edilizia pubblica rimangono poche tracce. Un probabile edificio templare si doveva ergere sulla Civita mentre altri due edifici sono stati eretti al di fuori delle mura: le terme e l’anfiteatro. Le piccole terme con mosaici bianchi e neri, di cui restano vestigia davanti al palazzo vescovile, dovevano trovarsi presso il greto del torrente di Santa Lucia il cui letto era allora assai più a sud di quello attuale e che doveva formare qui una vasta ansa. L’anfiteatro, o meglio l’arena rustica, si trovava in corrispondenza dell’angolo sud-ovest delle mura, ed era costituito da un semplice muro di grossolana struttura, circondante un’area di forma ovale nella quale le gradinate dovevano essere in legno.

Le strutture portuali dovevano trovarsi nelle due baie di Marina Lunga e Marina Corta, dove però la linea di costa era probabilmente più avanzata rispetto alla

273

(20)
(21)

posizione attuale. Un approdo importante doveva essere di fronte all’attuale spiaggia del Pignataro, nelle cui acque è stata rinvenuta una grande quantità di materiale che va dal VII secolo a.C. al XV d.C.274

L’aspetto della città antica è stato molto modificato dagli interventi edilizi successivi. Dopo il sacco del pirata tunisino Kaireddin Barbarossa nel 1544, gli spagnoli cinsero di mura l’intera rocca cancellando le fortificazioni precedenti e inglobando parte delle mura sveve. Nel XVIII secolo, quando l’abitato si era ormai concentrato sulla piana e il Castello era stato abbandonato lasciandovi solo le chiese, una lunga scalinata venne realizzata per collegare l’abitato alla Cattedrale di S. Bartolomeo. Quest’opera andava a squarciare parte delle mura spagnole e dell’abitato preistorico. Il Castello abbandonato diventò luogo di confino di polizia fino al 1926 e la popolazione, per non far tornare i galeotti, distrusse tutte le case. Queste però vennero ricostruite e utilizzate per il confino politico, come avveniva anche in epoca romana (cfr. III.3.1). Durante la II Guerra Mondiale parte del Castello fu usata come campo di concentramento e solo nel 1949 la zona venne restituita al demanio dello Stato. Dal 1950 la Soprintendenza alle antichità della Sicilia Orientale diede inizio agli scavi, e dopo tre anni iniziarono i lavori per il parco archeologico e il Museo Eoliano, per i quali vennero abbattute le carceri275.

274

Bernabò Brea L., 1985, p. 48. 275

(22)

III.6 - L’allume di Lipari

Nel capitolo II ho cercato di esporre il problema della provenienza dell’allume delle Lipari, senza arrivare ad una reale soluzione. La questione, in quale o quali isole dell’arcipelago fosse estratto il minerale, è infatti tutt’ora aperta. Il parere delle fonti antiche tende ad attribuire le cave a Lipari, mentre in autori successivi sembra ben più popolare l’allume di Vulcano276. Che vi fosse produzione di allume a Vulcano è cosa ormai assodata, ma è più che probabile che anche Lipari e Panarea disponessero di questa risorsa. La formazione dell’allume nativo dipende in gran parte dalla presenza di fumarole che certo a Lipari non mancano, ma poiché l’arcipelago ha subito le conseguenze di varie attività (il risveglio del Monte Pelato a Lipari nell’VIII secolo, l’eruzione di Vulcano del 1988) non è facile stabilire quali fossero le produzioni minerarie di epoca antica. Le zone sospette sarebbero, secondo gli studi di Philippe Borgard, a Lipari nelle zone di Bagno Secco, presso le Cave di caolino, Punta Palmeto e Valle Muria277. In particolare il settore di Punta Palmeto ancora oggi chiamato Le Fumarole si è rivelato ricco di tracce materiali, resti di strutture murarie, ceramica comune ma soprattutto anfore liparote di diverse tipologie, che hanno fatto crescere i sospetti sull’esistenza in età antica di cave di allume nativo. In aiuto giunge anche la testimonianza di Pietro Campis a proposito delle strutture presenti in zona Parmito, Punta Palmeto appunto: ‘‘…Credono alcuni che questo allume nell’isola di Lipari si cavasse nella contrata hoggi detta lo Parmito, ingannati da certi vestigii d’antichissime fabriche le quali si a’ giorni nostri si vedono, ma perché queste, nella loro figura, che pur anco in qualche parte conservano, sono somiglianti a quelle edificii che hora si fabricano in quei luoghi dove si purifica l’allume, solamente ci possono persuadere a credere essere stati nei tempi antichi in questa contrata edificii per purgare l’allume, atteso il beneficio che vi è dell’acqua correnti necessarissima per cotal ministerio.’’278

Se la versione di Campis è attendibile, è probabile che il minerale estratto presso le cave del caolino, dove Borgard ha rilevato un paesaggio simile a quello della grotta

276

Così nello Statuto della Corte dei Mercanti di Pisa del 1305 (Bonaini F., 1854, III, p. 128.), Francesco

Pegolotti neLa pratica della mercatura, 1936, p. 369, Giovanni da Castro nei Commentarii scritti da Pio II

(12, VII), come anche Charles Singer ( 1948, p. 81.) e Jean Delumeau (2003, p. 18). 277

Borgard Ph., 2001, p. 204. 278

(23)

dell’allume a Vulcano, fosse trasportato a valle verso Punta Palmeto dove poteva essere purificato e poi trasportato via mare al porto della Marina Lunga. Nella zona di Valle Muria, dove affiorano rocce sulfuree, subito a monte rispetto alla spiaggia, sarebbe situata un’altra cava di un minerale non identificato. In probabile connessione con questa cava sarebbero le vestigia di due bacini naturali, sbarrati, in modo da convogliare l’acqua piovana. All’interno di uno di questi bacini sono stati rinvenuti diversi frammenti di anfore liparote, il sospetto dunque è che anche qui fosse disponibile allume279. Non è comunque da escludere, a mio avviso, che si trattasse di zolfo dal momento che le stesse anfore dovevano trasportare entrambi i minerali.

Resta comunque il problema di stabilire con certezza quali procedimenti fossero necessari alla purificazione dell’allume di cui parla Campis e soprattutto in che modo questo fosse estratto. L’allume sfruttato dai Romani infatti, quello nativo, doveva essere un prodotto di cristallizzazione, non un vero e proprio minerale, e dunque non doveva in teoria necessitare di strutture particolari per essere estratto. Non è chiaro inoltre di che tipo di purificazione, per cui pare vi fossero stazioni apposite come quella di Punta Palmeto, avesse esattamente bisogno questo tipo di allume, che a differenza dell’alunite non necessitava di lavorazione per essere utilizzato. A mio avviso si doveva trattare di una semplice operazione meccanica con cui si doveva separare l’allume da eventuali residui di roccia tramite setacci o attraverso bacini d’acqua, in cui i cristalli venivano disciolti in modo da separarli da impurità insolubili. L’acqua doveva poi essere eliminata probabilmente per evaporazione, in modo che l’allume ricristallizzasse e potesse essere inserito nelle anfore liparote, non adatte al trasporto di prodotti liquidi, per poi essere commerciato.

279

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Figura

Fig. 29 - Pianta generale di Lipari (da Bernabò Brea e Cavalier 1991, p. 53)
Fig. 31 - Cave di pomice viste da est.
Fig. 32 - Pianta topografica di Lipari (da Bernabò Brea L., 1978, p. 55)
Fig. 33 - Valle Muria. Rocce solfuree affioranti.

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