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7. CONCLUSIONE: UNA VITA ALL’INSEGNA DELL’ARTE, UN’ARTE ALL’INSEGNA DELLA VITA Se nell’oeuvre di Giacometti, come afferma Del Puppo

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7. CONCLUSIONE:

UNA VITA ALL’INSEGNA DELL’ARTE, UN’ARTE ALL’INSEGNA DELLA VITA

Se nell’oeuvre di Giacometti, come afferma Del Puppo1, non è possibile ravvisare, come nel caso di Picasso, una rievocazione esplicita e ostentata di una vita privata all’insegna degli intricati risvolti sentimentali, è tuttavia possibile rintracciarvi i segni di un percorso biografico assai ricco di esperienze significative che hanno, in ogni caso, trovato applicazione nella sua opera in nome dell’importanza che hanno avuto nella sua formazione personale e, di conseguenza, artistica. Al fine di comprendere meglio l’itinerario artistico di Alberto Giacometti che prima di essere artista fu soprattutto uomo e proprio in quanto riteniamo di fondamentale rilevanza mettere in luce, nonché porre la nostra attenzione su aspetti controversi dell’esperienza di vita del genio Giacometti, proseguiremo nel delineare nello specifico il profilo delle donne che circondarono l’artista. Inoltre, l’intensità degli incontri e degli avvenimenti che resero più che mai viva l’esistenza di Giacometti tende a conferire alla vita dell’artista un carattere pressoché romanzato. In realtà, siffatto profilo, che sembra descrivere le

1

Cfr. A. DEL PUPPO, Giacometti e la nuova immagine dell’uomo, (I grandi maestri dell’arte, 45) Il Sole 24 Ore, E-ducation.it, Firenze 2008, p. 55.

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avventure di un personaggio che si potrebbe ben immaginare soltanto all’interno dei romanzi, risulta tanto più significativo in quanto ci permette, tramite una quantità innumerevoli di aneddoti, di addentrarci con maggior cura nello studio di quella che fu, a tutti gli effetti, una personalità di spicco, in una parola geniale, la cui grandiosità dilaga sino ai nostri giorni. A dimostrazione di quanto ciò sia vero, ricordiamo il caso intorno all’esecuzione del busto di Bianca che condusse sino alla fine, quando lo sfinimento era ormai vicino, a un’evoluzione importanza nel modo di approssimarsi alla raffigurazione da parte di Giacometti. Ed è stato possibile comprendere, avvalendoci del volume di Lord dedicato alla biografia dell’artista svizzero, l’importanza di tale sviluppo proprio in nome della conoscenza di alcuni aneddoti connessi alla storia personale di Alberto che lo vedevano protagonista con Bianca di una relazione conflittuale che, nel tempo, dette modo all’artista di cavarne i frutti migliori a livello di autocoscienza, ancora una volta, personale e artistica. Ed è proprio in nome di tale connubio tra vita e arte che riteniamo opportuno proseguire nel delineare i profili femminili fondamentali per la vita di Giacometti. Ricordiamo opportunamente a tal proposito come l’artista stesso affermasse di essere maggiormente interessato alla vita piuttosto che all’arte.

In particolare, in merito all’evoluzione della concezione di Giacometti sulle donne e sul rapporto con loro, intendiamo dedicare un posto di riguardo alla descrizione nonché all’interpretazione dei rapporti che intercorrevano tra Giacometti e la moglie Annette, riservando l’intero capitolo conclusivo al loro legame. Dunque, avendo preso deliberatamente le mosse dal rapporto che per Giacometti si configurava come quello più autentico, delineando un ideale di donna irreprensibile, quello con la madre Annette, ci apprestiamo a concludere l’excursus con la descrizione di una

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relazione e di un profilo, quello della moglie Annette, che, oltre a non rivelarsi l’ideale di donna che Giacometti desiderava e, al contempo, rifuggiva costantemente, si configurò come un prodotto da lui stesso creato ma destinato a non prendere corpo. Tuttavia, la plasmatura non fu di carattere intenzionale da parte dell’artista e tanto meno volta a modellare i connotati di donna desiderati, in nome del fatto che l’incontro con Annette Arm avvenne in un momento maturo dell’artista allorquando egli aveva elaborato una concezione sempre più contraddittoria dei rapporti tra uomo e donna e si sentiva naturalmente autorizzato dalle circostanze a perseguire nel suo cammino di dominatore. Inoltre, dato altrettanto fondamentale, se non di più, la forgiatura da parte di Giacometti non trovava terreno fertile in Annette a che ne derivasse un’intesa tra i due protagonisti in ragione del fatto che i loro spiriti non viaggiavano all’unisono, i loro animi erano domati da sentimenti contrastanti, nei quali non vi era spazio per una comprensione intellettiva di orientamento naturale. In aggiunta, troveranno spazio nel corrente lavoro riferimenti, dapprima, alla figura del professore giapponese Yanaihara e, in un secondo momento, alla personalità di Caroline le quali, in fasi diverse e a più riprese, si rivelarono assai significative, in quanto permisero di rendere sempre più manifesto il divario esistente tra marito e moglie, permettendo un approfondimento interessante dal punto di vista sociologico e artistico – vedremo in seguito l’importanza che siffatte figure rivestirono nella concezione artistica di Giacometti – che ragguaglia al meglio in merito al profilo ambiguo, in virtù, come vedremo, di ideali diversi, sia di Giacometti sia di Annette.

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7.1 Annette

Ciò che dicevamo precedentemente in merito al connubio tra vita e arte trova nel caso dell’incontro tra Giacometti e Annette Arm un esempio significativo. Ciò che nella vita attirava intensamente l’attenzione di Alberto Giacometti era, come ricordato, lo sguardo, che aveva sino ad allora trovato significativa applicazione in numerose opere dell’artista, in particolare nei disegni, laddove il tratto fortemente e nervosamente marcato alludeva con forza all’intensità dello sguardo. E fu proprio quest’ultimo che per primo destò l’interesse di Giacometti in occasione del suo primo incontro con Annette risalente all’autunno del 1943, allorché l’artista si trovava a Ginevra. L’attenta descrizione che Lord ne offre mette in luce, tra altre cose, l’importanza di tale aspetto:

[…] una ragazza che veniva dalla periferia di Ginevra. Si diceva che s’interessasse di cose d’arte e che fosse in rivolta contro l’ambiente piccolo borghese da cui proveniva. Esile, con dei begli occhi neri, i capelli scuri e la carnagione chiara, era eccezionalmente carina e possedeva il fascino ingrato di chi, bramoso di novità e di eccitazione, non li ha ancora messi alla prova dell’esperienza. Aveva appena compiuto vent’anni e si chiamava Annette.[…] Così la prima impressione che fece a coloro ai quali fu presentata derivò soprattutto dallo sguardo dei suoi occhi neri. Alberto fu immediatamente colpito dalla qualità di quello sguardo. Man mano che la serata procedeva egli s’incuriosiva della persona. […] la sua presenza non era né passiva né indifferente2.

Il preludio alla storia tra Giacometti e Annette sembrava in tutti i modi scongiurarne l’epilogo, mai risolutivo e, perciò, tanto più disastroso.

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Sembravano reciprocamente presi l’uno dall’altro e innamorati tanto che Annette «era diventata la sua [di Giacometti] compagna fissa»3. Tuttavia, a un’indagine più accurata, possiamo osservare come l’origine di Annette si riveli significativa, in quanto offre sin da subito un primo indizio per comprendere quello che sarebbe divenuto un rapporto non del tutto connotato all’insegna del sentimento. La famiglia della ragazza era di vedute ristrette e assai attenta alle convenzioni. Annette sembrava non trovare consono al proprio temperamento ribelle il carattere tradizionalista dell’ambiente piccolo borghese dal quale proveniva e l’indolenza verso quel mondo che le andava stretto venne più volte esplicitata da tentativi di suicidio da parte di Annette che, a ogni costo, quel mondo desiderava rifuggire. Come afferma Lord, ella voleva sottrarsi all’ordinario e Giacometti sembrava allora rappresentare la giusta occasione per farlo. Dunque, l’attrazione verso l’artista sembrava suggerita da ragioni di natura più profonda del semplice interesse per l’uomo:

[…] egli dapprima apparve alla giovane donna come un’alternativa provvidenziale all’oblio, se non all’oblio di fatto, a quello dello spirito. Se ciò era vero, anche in questo caso Alberto era particolarmente adatto4.

La caparbia determinazione del carattere di Annette non tardò ad apparire e sembrava tanto più ostinata, in quanto cozzava apertamente con caratteristiche di Giacometti che avrebbero fatto fuggire qualunque donna. Infatti, come ricorda Lord5, ella non si curava della non trascurabile differenza d’età, dell’allora precaria situazione economica di Giacometti,

3 Ibidem, p. 203. 4 Ibidem, p. 204. 5 Cfr. ibidem.

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della propria estraneità agli interessi dell’artista né, dato fondamentale dal punto di vista relazionale, della posizione totalmente irremovibile di Giacometti rispetto alla prospettiva di un eventuale matrimonio. Tutto quel divergere sembrava acuire l’interesse della donna a intraprendere una relazione con l’artista: «La sua fu una scelta deliberata»6. Il desiderio di libertà, tanto più accentuato in quanto represso, spinse la donna ad abusare del proprio libero arbitrio conducendola a intraprendere una strada senza ritorno, che prese le mosse dal suo cocciuto e insistito impulso a voler far parte a tutti i costi della vita di Giacometti, al punto di divenirne la moglie, condizione da sempre rifuggita dall’artista. Tuttavia, a dispetto dell’entusiasmo dimostrato da Giacometti per la storia che si era venuta a creare, sin dal principio egli stabilì dei paletti che non facevano intravedere alcuna possibilità che la storia tra l’artista e Annette sarebbe durata ancora a lungo:

Così possiamo supporre che fin dall’inizio egli mettesse in chiaro con Annette che il presente, sebbene piacevole, non doveva esser considerato un impegno per il futuro. La sua avversione per le donne che gli si attaccavano era inveterata, così come la sua predilezione per quelle la cui professione impediva loro di attaccarsi a qualcuno7.

Dunque, nella precedente citazione troviamo conferma di come ormai Giacometti avesse sposato quel tipo di vita e non fosse intenzionato a modificarla per nessuna ragione, né tanto meno per nessuna donna. Una costante del temperamento di Giacometti trova conferma anche nel caso dell’incontro con Annette, ci riferiamo in particolare alla sua perenne

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J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit.

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fedeltà al principio di verità, l’ideale di vita cui si mantenne irremovibilmente saldo per tutta la durata della sua esistenza al costo di risultare crudele. La conduzione di una vita alquanto sregolata dalla quale non erano esclusi rapporti con altre donne, in particolare, come ricorda Lord8, con la categoria delle prostitute, non venne tenuta celata neanche ad Annette; l’unica a ignorare quel particolare stile di vita di Alberto Giacometti era l’altra Annette, la madre. La reazione della giovane Annette, dal punto di vista umano alquanto inusuale potremmo dire, si connotò all’insegna dell’assoluta passività. Si trattava, come consueto nella gestione dei rapporti da parte di Giacometti nel corso degli anni, di un rapporto squilibrato, il dominatore maschio e la soccombente donna. Tuttavia, a lasciare maggiormente interdetti è la paradossalità della situazione: il dominatore non era violento, era soltanto spudoratamente sincero; la soccombente si connotava per la passività che, pur non cercata, non era neppure rifuggita, anzi semplicemente accettata a dispetto delle condizioni. La reazione istintiva della donna potrebbe esser immediatamente attribuita alla giovane età di Annette la quale aveva maturato poca esperienza della vita, eppure la risolutezza con la quale ricercò a ogni costo la storia con l’artista pare alludere a una certa malizia da parte della ragazza che sembra ben contraddire l’aspetto apparentemente ingenuo di Annette. Quale che sia la ragione profonda di tale atteggiamento non è oggetto di studio, a noi interessa soltanto mettere in luce aspetti apparentemente univoci che, in realtà, contribuiscono a rivelare ambiguità persino nelle reazioni apparentemente più ingenue. Inoltre, tali elementi favoriscono una lettura più attenta delle personalità in gioco in rapporto alla comprensione

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dell’avversione poco a poco sempre più manifesta di Alberto nei riguardi di Annette.

Aiutati nella ricostruzione dei dettagli da Lord9, ci accorgiamo di quanto la felicità scaturita dal rapporto con Annette fosse vissuta da Giacometti con un ardore ben diverso da quello che lega due persone innamorate. Sembrava che l’artista trovasse conforto in quella che doveva apparire una sincera devozione da parte della giovane ragazza che egli contraccambiava con altrettanta gentilezza, in quanto

Ne fece una questione di onestà morale […] Può darsi che Annette, con le sue risate e il suo fascino giovanile, gli sembrasse una specie di figlia alla quale appoggiarsi con l’immaginazione, la cui vitalità e devozione gli sarebbero state di conforto mentre egli s’inoltrava, attraverso la distesa desolata del figurativo, nel suo simbolico esilio. Poi c’era anche il magico potere evocativo del suo nome10.

Le espressioni sottolineate risultano ai nostri occhi assai significative, in quanto ne emerge una sorta di sentimento paterno da parte di Giacometti verso Annette, alla quale si sentiva legato in nome della riconoscenza per l’affetto devoto che ne riceveva e, probabilmente a livello inconscio, l’assonanza del nome della ragazza con quello della madre potrebbe aver innescato un meccanismo di associazioni mentali, difficilmente spiegabili a livello razionale, che faceva accettare più di buon grado all’artista la presenza di Annette nella sua vita in una sorta di perpetrazione dell’alone protettivo che aleggiava intorno alla figura della madre. Giacometti sembrava assai attratto dalla caparbietà di Annette che si rivelava

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Ibidem.

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«obbediente e docile»11, dunque perfetta per le prese di posizione, nonché scelte di vita dell’artista. Col tempo, tuttavia, l’eccessiva disponibilità di Annette sembrò mettere in luce un temperamento alquanto indolente della ragazza la quale appariva priva di interessi propri. Sembrava traesse stimolo soltanto da Giacometti, o meglio, dall’idea che di lui si era fatta, ovvero l’incarnazione del principio di libertà che da sempre inseguiva per sfuggire alla mentalità piccolo borghese dalla quale proveniva e della quale, tuttavia e forse suo malgrado, sembrava esser figlia, per la mancanza di lungimiranza, nonché per la pigrizia che spiccatamente la caratterizzavano. Nell’impeto irrefrenabile che spingeva Annette ad adeguarsi ai disagi della vita imposta da Giacometti senza mai lamentarsene sembra possibile cogliere le motivazioni profonde che vedevano la ragazza aggrapparsi sempre più tenacemente a Giacometti e alla sua vita come manifestazione della sua volontà di fuga. È probabile che la comparsa dell’artista nella sua vita sia avvenuta in un momento particolarmente fecondo a che Annette fosse recettiva verso qualunque stimolo si mostrasse innovativo rispetto alla ristrettezza del suo ambiente e, indubbiamente, il carattere di Giacometti si rivelò, invero, la luce infondo al tunnel. Tuttavia, la fuga a qualunque costo spinse con ogni probabilità Annette ad attribuire connotati pressoché divini alla figura di Giacometti:

Idolatrava Alberto. La gente si accorse che incominciava a parlare come lui, con l’accento della val Bregaglia, sebbene non vi avesse mai messo piede. Al Perroquet Annette si sforzava, con risultati dilettanteschi, di imitare le donne che vi esercitavano la loro professione, pensando evidentemente di piacere al suo amante manifestando una disposizione per quelle forme di adescamento che piacevano a lui. Non era però portata per quel genere di cose e Alberto,

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ridendo, osservava: «Non sai proprio come si fa». Ma può darsi che proprio la mancanza dell’approvazione di Alberto fosse per lei l’incentivo necessario per continuare. Una simile suggestionabilità sembra indicare un carattere disposto a lasciarsi modellare […]12.

La venerazione verso la quale si era rivolta Annette sembrava condurla ad atteggiamenti pressoché emulativi rispetto a un mondo al quale desiderava per forza appartenere, sebbene la sua natura non la spingesse automaticamente in quella direzione. Il risultato appariva di pura goffaggine. Inoltre, dalle succitate parole di Lord emerge in maniera ancor più manifesta come lo squilibrio del loro rapporto rappresentasse una costante e i ruoli fossero permanentemente attribuiti, lui il dominatore attivo, lei la soccombente passiva. Il fascino ammaliante di Giacometti in contrapposizione alla figura indolente e plasmabile di Annette. Giunti a questo punto potrebbe sorgere spontanea la domanda: cosa condusse Giacometti, se non a spingere, a non scoraggiare l’avvicinamento di Annette a lui? Altrettanto spontanea sempre ai nostri occhi la risposta: l’invincibile contraddittorietà che animava il suo essere. Probabilmente più di una componente vi contribuì: il primo sguardo di Annette con le implicazioni precedentemente esposte e l’aria innocente potevano forse lasciar percepire a Giacometti che il dominio sulla donna da parte sua fosse possibile. Sembrerebbe ancora strano che Giacometti potesse esser rimasto colpito da una donna che si allontanava assai evidentemente dall’ideale di donna forte che sino al quel momento sembrava averlo maggiormente attratto. È probabile che l’intensità dello sguardo di Annette avesse fatto scaturire in Giacometti il genere di attrazione che provava per ogni donna che sembrava inizialmente possederlo e, lungi dal voler esser cattivo,

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sembra che Giacometti possa aver profittato dell’indole amorevole di Annette per esercitare ancora il suo dominio che non appariva in alcun modo contrastato, anzi paradossalmente alimentato dall’indolenza di lei che divenne sempre più manifesta. Ella non pareva mostrare alcuna ambizione a livello di crescita lavorativa, le bastava stare, e neanche attivamente, nella vita di Giacometti. Tuttavia, la sua indole docile non sembrava essere soltanto la dimostrazione di una cieca dedizione a Giacometti, piuttosto rispecchiava un’anomala tendenza al quieto vivere. A dispetto di ogni apparenza, è possibile che l’artista fosse stato attratto dalla sincerità spontanea che proveniva dalla giovane età della donna e che gli apparve in linea con il suo principio di verità, ma divenne sempre più chiaro che non condividessero la stessa natura. Lo slancio che spinse Annette a inseguire Giacometti a ogni costo appare depotenziato se pensiamo, come suggerisce Lord13, che ella prestava, contrariamente ad Alberto, attenzione alle apparenze. Non era angosciata dalle idee di Giacometti in merito al matrimonio, ma ciò che la faceva indugiare era la claudicazione dell’artista. Inoltre, occorre aggiungere che in quel momento i rapporti con Isabel erano ancora vivi e non appena fosse tornato a Parigi l’avrebbe incontrata. Dunque, i rapporti con Annette apparivano chiari:

Nonostante le ambiguità e le incertezze degli altri rapporti, quelli con Annette Arm erano apparentemente semplici. Se lei era contenta delle cose così come stavano, e sembra che lo fosse, lo era anche lui. Ma non doveva esserci alcun equivoco circa il futuro. Quando Alberto fosse infine ritornato a Parigi, vi sarebbe ritornato da solo. Annette non avrebbe dovuto aspettarsi di raggiungerlo. Pare che accettasse serenamente questo divieto. Sebbene

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attaccatissima a lui, aveva sempre cercato di non dargli la fatale impressione di esserglisi «appiccicata»14.

A conferma di quanto l’accettazione da parte di Annette delle condizioni che la tenevano unita a Giacometti non fosse legata solo ed esclusivamente all’affetto che ella nutriva per l’artista ma attenesse anche alla propria condizione personale, ovvero all’affrancamento dal suo ambiente d’origine, risultano ancora significativi i commenti di Lord:

Essendosi conquistata l’autonomia dall’ambiente repressivo da cui proveniva, può darsi che trovasse così piacevole la vita nell’ambiente libero e disinvolto nel quale l’aveva introdotta Alberto che ora voleva prendere la vita così come veniva15.

L’ambiguità continuava a rappresentare una peculiarità dell’atteggiamento di Giacometti come possiamo evincere dal congedo che egli prese da Ginevra, dunque da Annette. A quest’ultima, con la quale il futuro era fuori discussione, chiese un prestito per far ritorno a Parigi, il 17 settembre 1945, che non faceva presagire una chiusura totale, anche se entrambi supponevano non si sarebbero visti molto in futuro. Quegli anni trascorsi a Ginevra non erano stati infruttuosi dal punto di vista artistico, in quanto Giacometti perseguiva indefesso la sua strada di ricerca formale nel tentativo, sempre fallimentare, «di conseguire ‹una certa dimensione› che, in quel momento, era come sospesa, esistendo soltanto negli occhi della sua mente»16. Tuttavia, il risultato di tale ricerca era strettamente connesso alla posticipazione del ritorno dell’artista a Parigi, in quanto l’inconcludenza

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J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit., p. 210.

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Ibidem, p. 211.

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dell’estenuante affannarsi che conduceva soltanto a figurette, come era solito chiamarle Giacometti, non gli permetteva un pieno, semmai ne avesse mai avuto, appagamento. Era un momento di crisi nel quale l’artista, suo malgrado, non riusciva a esprimere, in una dimensione accettabile, ciò che vedeva come lo vedeva. Dunque, i disegni eseguiti in quel periodo vennero arsi e le microscopiche figure imballate nelle consuete scatole per fiammiferi.

Tuttavia, l’incertezza sul piano della realizzazione artistica non coincideva allora esattamente con il modo di percepire i rapporti da parte di Giacometti, specie nel suo rincontro con Isabel. Nonostante gli anni avessero lasciato i segni tangibili del tempo su entrambi, dal loro ultimo incontro, tra Isabel e Giacometti era rimasto un legame indissolubile e l’inconcludenza del loro rapporto sembrava appartenere al passato. Era avvenuto un cambiamento nell’artista tanto che egli «Chiese a Isabel di andare a vivere con lui … [e] … Essa rispose di sì»17.

L’inconcludenza, in quel periodo postbellico, dell’attività artistica di Giacometti era ben visibile anche a Isabel, ciò nondimeno l’artista era fiducioso. Tuttavia, la felicità pseudoconiugale della coppia si rivelò apparente. Infatti, come apprendiamo da Lord18, il giorno di Natale 1945 durante una festa a cui presero parte anche Giacometti e Isabel, quest’ultima se ne andò in compagnia di un bel musicista giovane di nome René Leibowitz. La donna mostrò un atteggiamento ambiguo nei riguardi di entrambi gli uomini, ma per Giacometti il loro amore era giunto al capolinea tanto che successivamente la definì «divoratrice di uomini»19. In linea con quella concezione negativa della donna, di fronte all’insistenza di

17 Ibidem, p. 216. 18 Cfr. ibidem, p. 221. 19

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Annette Arm manifestata tramite numerose epistole nelle quali esprimeva all’artista la sua volontà di raggiungerlo a Parigi, Giacometti rispondeva con un secco no. Nel frattempo Annette conduceva il genere di vita alla quale era stata iniziata dando sfogo al proprio desiderio di libertà. Contraddicendo la risposta negativa in merito alla possibilità che Annette si trasferisse a Parigi, Giacometti, appagando la sua natura irrimediabilmente oscillante, le chiese un paio di scarpe che aveva visto a Ginevra, autorizzando implicitamente la donna ad avvicinarlo. Significativa ai nostri scopi risulta la reazione di Giacometti allorché gli venne recapitato il pacco contenente le scarpe. Fu violentissima, «… incominciò … a urlare di rabbia. Non erano quelle le scarpe che voleva. Annette era un’idiota. Non avrebbe mai capito nulla di nulla»20. Dalle parole di Lord, si evince quanto in fondo fosse assente la comprensione intellettiva di orientamento naturale cui alludevamo in precedenza tra Annette e Giacometti e di come egli forse, seppur inconsciamente, se ne rendesse già conto allora.

Tuttavia, come in un giallo in cui la concatenazione degli eventi non ha mai fine, il particolare apparentemente più insignificante assumeva nella concezione di Giacometti un’importanza estrema. Infondo era un genio. E la valenza attribuita agli eventi della sua vita che andavano a condizionarne la sua concezione artistica trova nell’episodio illuminante del cinema un esempio illustre. Risale a quel periodo il momento di autocreazione dell’artista che inaspettatamente trovò lo spunto necessario a farlo uscire dalla sua produzione stagnante di figurette, permettendogli di approdare a una radicale evoluzione nella sua visione del mondo, dunque dell’arte. Le parole dell’artista ne rendono completa testimonianza:

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L’autentica rivelazione il vero impeto che mi spinse a cercare di rappresentare ciò che vedevo, mi venne in un cinematografo. Stavo guardando un cinegiornale. All’improvviso non seppi più che cos’era ciò che vedevo sullo schermo. Anziché delle figure che si muovevano nello spazio tridimensionale, cedevo soltanto delle macchioline bianche e nere che si spostavano su una superficie piatta. Esse avevano perso ogni significato. Guardai la gente di fianco a me, e all’improvviso, per contrasto, vidi uno spettacolo del tutto nuovo. […] L’ignoto era la realtà che mi stava attorno, e non più ciò che stava accadendo sullo schermo! […] era avvenuta una trasformazione completa della realtà, […] meravigliosa, stranissima, e il boulevard [Montparnasse] aveva una bellezza da «Le Mille e una Notte». Ogni cosa era diversa, lo spazio e gli oggetti e i colori e il silenzio, poiché il senso dello spazio genera il silenzio, immerge gli oggetti nel silenzio.

Da quel giorno compresi che la mia visione del mondo era stata fotografica, come lo è per quasi tutti, e che una fotografia o un film non possono rendere veramente la realtà, soprattutto la terza dimensione, cioè lo spazio. Compresi che la mia visione della realtà era lontanissima dalla supposta obiettività di un film. Ogni cosa mi appariva diversa, completamente nuova, affascinante, trasformata, meravigliosa. Così mi venne la curiosità di vedere di più. naturalmente volevo cercare di dipingere ciò che vedevo, o di farne una scultura, ma era impossibile. Eppure c’era se non altro la possibilità di tentare. Era un inizio. […]21.

Nel 1946, a trasformazione avvenuta, Giacometti, a Ginevra per far visita alla madre, rincontrò Annette Arm e, nell’ottica di un cambiamento di prospettiva, fu allora che la donna posò, per la prima volta, per l’artista. Annette ripropose senza mezzi termini il suo proposito di trasferirsi con lui a Parigi e stavolta, al di fuori di ogni logica, Giacometti accettò. Tuttavia, ferma era la presa di posizione dell’artista che non intendeva con l’ingresso

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di Annette nella sua vita modificarne lo stile. Emerge ancora la mancanza di affinità intellettiva: ella aveva prospettive diverse rispetto al futuro con Giacometti. E, a tal proposito, acute risultano le osservazioni di Lord:

Affinché non sembri che rapporti di questo genere si siano instaurati a caso, è bene porre l’accento sulla premeditazione di Annette. È vero, era sventata, e sventato lo era anche lui, ma ciò non significa essere innocenti»22.

7.2. Giacometti e Annette

Alberto aveva sempre subito il fascino dell’altro sesso, un fascino, tuttavia, sempre gravido di sensazioni di pericolo e di minaccia, e si sa che gli apprensivi tendono ad essere apprensivi. Alberto lasciava quasi sempre che gli altri approfittassero di lui e reprimeva il proprio risentimento per evitare agli altri, ma non a se stesso, situazioni spiacevoli, ma qualche volta si comportava con apparente ostilità mentre, in realtà, approfittava soltanto dell’occasione per prendersela con se stesso. Per lui non era facile convivere con se stesso, e può darsi che vivere con qualcun altro gli sembrasse impossibile23.

Dal suddetto passo si evince come il dissidio interiore fosse una condizione propria della persona di Giacometti che si rifletteva all’esterno nell’aperta lotta tra attrazione e repulsione. La vita insieme era caratterizzata dalle ristrettezze economiche e gli accordi erano che Annette avrebbe dovuto provvedere da sola al proprio mantenimento, inoltre, frequenti erano gli episodi nei quali Alberto cenasse fuori lasciando sola Annette, che alle volte si presentava dicendo di non aver denaro a

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Ibidem, p. 228.

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sufficienza, e l’artista si mostrasse scorbutico. Era una continua e contrastante altalena di sentimenti, tenerezza che si scontrava con durezza.

La frequentazione delle prostitute rappresentava ancora una consuetudine nella vita di Giacometti tanto che, non appena venne a conoscenza che lo Sphinx di lì a breve sarebbe stato chiuso, non esitò un istante e vi si recò. La conseguenza più immediata e lampante che rendeva diverso quel episodio dagli altri fu la comparsa dei sintomi di una malattia venerea. Allorché l’artista la comunicò ad Annette, questa ridendo gli chiese di mostrarle i sintomi. La sensazione fu quella di «una personificazione crudele, ma astratta, della femminilità»24. Tale percezione di crudeltà femminile viene fortemente evocata nel sogno che, in seguito, comparve nel testo autobiografico Le rêve, le Sphinx et la mort de T.. Il sogno, per sua natura carico di simbolismo, narra della presenza incombente di un villoso e grosso ragno nero sopra la testa di Giacometti il quale terrorizzato, in nome della propria ripugnanza, grida ad altri di ammazzarlo. Poi di fronte alla presenza inquietante di un altro ragno, stavolta giallo con scaglie lisce nonché lunghe zampe sottili e ben più mostruoso di quello peloso, egli nota costernato: «… la mano della mia amante sollevarsi e toccare le scaglie del ragno; evidentemente essa non provava né paura né sorpresa. …»25. Le lunghe zampe sottili riecheggiano nella nostra memoria l’associazione donna-ragno, entrambi gli elementi connotati dalla stessa carica di violenza, ben evidenziata nelle opere del periodo surrealista di Giacometti. Come osserva Lord26, coerentemente al simbolismo onirico, il ragno rappresenta la vulva, in particolare un ragno orribile e sinistro effigia la pericolosa vulva divoratrice. Tale simbolismo

24 Ibidem, p.236. 25 Ibidem. 26 Cfr. ibidem, p. 239.

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trova conferma ulteriore in un dato di natura: le femmine di ragno hanno tendenze antropofaghe e l’accoppiamento sembra connotarsi a tutto svantaggio del maschio il quale, di dimensioni ridotte rispetto alla femmina, incontra di frequente l’esperienza dell’amplesso congiuntamente alla morte. Quindi, come sappiamo, nella mente di Giacometti tale violenza connotata al femminile ha dei risvolti del tutto personali. Dunque, consci di tali nozioni, possiamo scorgere una simmetria tra il maschio del ragno e Giacometti nell’approccio titubante alle donne. Coerentemente alla ricorrenza ossessiva di quel sogno e alla relativa importanza dell’associazione donna-ragno, Lord ricorda come anni prima Giacometti avesse

eseguito una scultura intitolata Femme araignée che tenne per un po’ di tempo appesa sul letto e che, nel corso del suo sviluppo creativo, condusse alla Femme tourmentée dans sa chambre la nuit e poi alla Femme égorgée, una triade di opere vistosamente escogitate al fine di comunicare, e allo stesso tempo sublimare, lo spasimo psichico, la violenza sessuale e la feroce ostilità verso la donna27.

Riconducendo il sogno sul piano più concreto delle esperienze realmente vissute da Giacometti, la reazione di Annette alla confessione dell’artista in merito all’aver contratto una malattia venerea in seguito all’incontro con una prostituta appariva di completa umiliazione e, come ricorda Lord28, l’incapacità di uccidere da solo il ragno nel sogno sembra alludere alla reale impotenza dell’artista.

Tornando nuovamente a Giacometti artefice, osserviamo come le opere di quel periodo, alte ed esili nonché connotate da grandi e lunghi piedi,

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J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit., p. 240.

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conferissero un certo appagamento all’artista che, in tal modo, riusciva meglio a dar vita alla propria visione, scongiurando il pericolo della creazione delle cosiddette figurette. Lord spiega in maniera esaustiva il significativo passaggio dalla creazione delle figurette alle figure sproporzionatamente filiformi:

Queste [le figurette] erano state concepite per trasmettere la veridicità e l’intensità della visione mediante la riduzione dell’immagine umana a un estremo tale da poter venir colto con un solo sguardo nella sua interezza. Ma questa interezza estrema, sebbene riuscisse a creare un’immagine veritiera e grandiosa, non riusciva […] a eliminare tutta la potenza espressiva della presenza umana. Il problema dunque era come realizzare quella totalità dell’espressione senza perdere l’immediatezza della percezione. Ciò non si poteva ottenere ingrandendo semplicemente le figurette; la loro essenza stava nelle dimensioni minuscole, e quindi si doveva trovare qualcosa di equivalente che ne accrescesse le dimensioni, ma ne conservasse nel contempo l’essenza. Questo qualcosa fu l’esilità. Essa consentiva all’occhio di cogliere tutta la figura in un solo sguardo […] Mentre il dinamismo dell’immagine è l’unica giustificazione delle figurette, nelle figure alte e sottili il dinamismo della materia genera una vitalità sua propria. Da allora in poi Giacometti segnò sui suoi materiali delle marche generatrici di energia

[…] Diventando più grandi, le figure di Giacometti, quasi tutte femminili,

[…] nonostante le dimensioni, […] restano gli archetipi della fragilità fisica, inavvicinabili nella loro ieratica lontananza. «Ciò che importa», diceva sempre Alberto, «è creare un oggetto capace di trasmettere una sensazione il più possibile vicina a quella che si prova alla vita del soggetto»29.

Oltre a ricondurre la nostra attenzione sull’evoluzione artistica di Giacometti, Lord mette in luce come siffatte figure esili siano connotate per

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la stragrande maggioranza al femminile. La ieraticità cui egli allude evoca, ancora una volta, la percezione che Giacometti aveva delle donne, figure solennemente attraenti eppure inavvicinabili, e che lo stesso artista con sue parole conferma. Dunque, se l’oggetto promana una sensazione di ieraticità, quella deriva dall’essenza del soggetto osservato, in altri termini, si tratta dell’indomabile attrazione nonché repulsione di Giacometti verso la donna.

A ben pensare, l’avversione verso le donne non era un connotato di pura esclusività di Alberto Giacometti ma anche di suo fratello Diego che, nonostante avesse accolto Annette in famiglia, «trovava che le donne non erano né brave né socievoli come gli uomini. Egli abitava con Nelly, ma questa era tenuta, e restava, sullo sfondo»30. Dunque, una donna in mezzo a due uomini con idee misogine. Inoltre, vi era da lontano la disapprovazione del fulcro della famiglia Giacometti, Annette Stampa, la cui figura sappiamo quale potere esercitasse sul suo primogenito. Tuttavia, Annette Arm, che «Era venuta a Parigi per fare l’amante di Alberto, e non voleva avere nessun’altra occupazione»31, si accontentava delle condizioni magre in cui vivevano e rifuggiva in tutti i modi il ruolo della moglie casalinga, in quanto sapeva che non era congeniale a Giacometti e che aveva tutti i connotati di un’attività eccessivamente piccolo borghese. «L’ironia è che il più grande sogno della vita di Annette era una vita domestica regolare accentrata su Alberto»32. Dunque, il rapporto tra la donna e Giacometti proseguiva sulla scia della docilità filiale di lei e del «ruolo dell’innamorato

30 Ibidem, p. 252. 31 Ibidem, p. 251. 32

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paterno»33 di lui, all’insegna del divertimento il più delle volte in compagnia anche di Diego. Intorno al 1947 o in seguito sembra che Giacometti iniziò a chiedere ad Annette di posare per lui, inizialmente soltanto per i dipinti. Ai fini di mettere in rilievo la contrastante ambivalenza di Giacometti appare ai nostri occhi interessante l’osservazione di Lord34, che mette in luce la dicotomia esistente tra le raffigurazioni vestite e quelle nude della donna. Viene evidenziato come le prime si connotino per la goffaggine tipicamente adolescenziale che doveva riecheggiare il modo in cui a Giacometti piaceva vederla. Aggiungiamo che tale raffigurazione sembra confermare il ruolo di dominatore dell’artista che plasma l’oggetto conformemente all’immagine che possiede del soggetto oggettivizzato. Le seconde, di maggiore impatto per la grazia che evocano, sembrano descrivere, di contro, le fattezze di una donna adulta. I nudi femminili di Annette, similmente agli altri nudi eseguiti da Giacometti, risultano particolarmente significativi in quanto emanano un senso di forte femminilità nella postura «immobile ma vibrante, visibile ma remota»35 che tipicamente caratterizza, tramite la materia, l’effigie femminile mentale di Giacometti. Esempi di entrambe le tipologie sono osservabili nelle seguenti raffigurazioni: per la prima, il disegno Annette (Fig. 42) risalente al 1951 e conservato al Kunsthaus di Zurigo e per la seconda, la litografia originale la cui pubblicazione risale al 1961 per un numero speciale della rivista «Derriere le Miroir» dal titolo Buste (Lust 156, Fig. 43).

Anche le circostanze intorno al matrimonio tra Annette e Giacometti, che ebbe luogo il 19 luglio 1949, risultano del tutto significative a dimostrazione del fatto che mettono ancor meglio in luce la precarietà del

33 Ibidem, p. 251. 34 Cfr. ibidem, pp. 256-257. 35

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loro legame al quale, tuttavia, Annette in particolare era fortemente affezionata. L’unica debolezza della donna, ovvero Giacometti, contrastava con una fiera determinazione da parte di Annette la quale valutava che, essendo divenuta importante nella vita e nell’arte di Giacometti, fosse arrivato il momento di osare ancora proponendogli il matrimonio. La risaputa riluttanza dell’artista per quel impegno era nota ma, in seguito a riflessioni assai lontane da ragioni affettive, egli acconsentì con l’irremovibile puntualizzazione che quel atto formale niente avrebbe cambiato nell’andamento del loro rapporto. Una fra tutte delle riflessioni cui prima alludevamo riconduce ovviamente all’importante figura della madre di Giacometti la quale riteneva conveniente che il figlio fosse sposato. Inoltre, conscio del fatto che Annette avrebbe potuto a buon diritto fare ingresso nella casa materna in Val Bregaglia soltanto se fossero stati sposati e che la presenza di Annette in quel luogo sarebbe stata utile al suo lavoro posando per lui e, infondo, considerando in tal modo di rendere felice Annette, optò per il sì. Ciò rende memoria di quanto forte fosse l’ascendente della madre sul figlio che dovette avere il peso di gran lunga più preponderante in quell’occorrenza. Tuttavia, come osserva argutamente Lord:

Forse il ‹sì› era la risposta di Alberto alla vita, ma la vita di Alberto era legata indissolubilmente all’arte e questa […] non aveva bisogno di un voto formale per vincolare il suo impegno. La contraddizione […] è il nucleo centrale dell’esistenza dell’artista, poiché egli prospera sull’infinita molteplicità delle scelte possibili. Ma in quell’incessante confronto di alternative è in gioco esclusivamente il suo essere. Permettere a qualcun altro di entrarvi può essere pericoloso36.

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Dunque, le ragioni della scelta di Giacometti erano probabilmente orientate all’appagamento, ahimè mai pieno, del proprio ego, anche se l’innato altruismo dell’artista spingeva il più delle volte, e forse suo malgrado, a far entrare nel suo vortice di contraddizioni anche coloro che lo circondavano. Lord37 ricorda che lo stesso artista a distanza di alcuni anni rivelò alla donna che in quel momento sarebbe stata la figura centrale nella sua vita, Caroline, – alla quale dedicheremo in seguito un approfondimento per il ruolo dominante che ebbe da un certo momento nell’esistenza di Giacometti e, per riflesso, nel legame coniugale tra questi e Annette – di aver acconsentito a sposarsi, in quanto la giovane donna minacciava, in caso contrario, di uccidersi. Vera o menzognera che sia tale affermazione, essa riconduce la nostra attenzione su un dato innegabile: la dipendenza assoluta di Annette da Giacometti che, come in seguito avremo modo di analizzare, non venne mai meno, anche quando netta sembrava la distanza tra loro, poiché ella frequentò uomini tutti appartenenti all’entourage del marito, senza mai cercare altrove, quasi a reiterare a oltranza la propria subordinazione rispetto all’artista.

Mano a mano che passavano gli anni la distanza tra marito e moglie andava accrescendosi sempre più, tanto che i vagabondaggi notturni di Giacometti, attratto da ciò che quelle ore offrivano, erano divenuti una consuetudine e la sua presenza nel letto coniugale era evocata soltanto dal lume acceso di fianco ad Annette. Tuttavia, la caparbietà della donna la spingeva ben oltre i limiti di ciò che Giacometti era disposto a offrirle come dimostra il suo intendimento di avere un figlio che, per ovvie ragioni, l’artista non era in grado di darle. Inoltre, assai significativi risultano i nomignoli con i quali di frequente l’artista le si rivolgeva: talvolta la

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chiamava «la petite»38, tal’altre «ma zozotte»39 connotando il loro rapporto come quello di un padre verso la figlia. Ulteriormente indicativo dell’impostazione aperta del loro rapporto e dell’affetto paterno che Giacometti nutriva nei confronti della moglie l’artista le suggerì che, per realizzare il suo desiderio di divenire mamma, avrebbe potuto rivolgersi a un altro uomo. Le tensioni erano sempre più vive e perenne era la contraddizione che avvertiva dentro di sé Giacometti, combattuto tra il compiacimento di quell’ambigua situazione e il dolore della spontanea concessione. Iniziarono a fare la loro comparsa anche scenate di gelosia in pubblico da parte di Annette rendendo ancor più manifesti i dissapori. In più, anche in condizioni economiche sempre più floride, a dividerli era una questione di fondo:

Ciò che Annette non riusciva a vedere era che per Alberto la negazione di se stesso altro non era che una ricerca di affermazione. La sua preferenza per le privazioni derivava dal proposito di godere del più grande lusso della vita: la libertà dello spirito. Ad Annette quella ricerca sembrava una forma di ostentazione, il proposito sembrava vanagloria. Essi miravano a obiettivi diversi da punti di vista diversi. Di qui il conflitto40.

Le ingiurie reciproche nei luoghi pubblici erano frequenti come altrettanto soventi erano gli scatti d’ira di Giacometti che accusava Annette di limitatezza e cecità rievocando in modo forte la violenta ostilità per le donne che aveva trovato piena espressione nelle sue opere surrealiste. L’insopportabilità della situazione era dovuta anche alla sensazione di rimorso che Giacometti provava tanto che tra le lacrime più volte diceva

38

J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit., p. 207.

39

Ibidem, p. 281.

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«L’ho distrutta, l’ho distrutta, l’ho distrutta»41. E, malgrado tutto, lo stile della loro esistenza era vorticosamente ineludibile: «Alberto viveva per la propria arte. Non aveva scelta»42.

7.3. Isaku Yanaihara

Ciò che precedentemente dicevamo a proposito della frequentazione intima da parte di Annette di uomini dell’entourage di Giacometti ruota in particolar modo intorno alla figura del professore universitario giapponese, che ebbe un ruolo decisamente essenziale allo sviluppo della concezione artistica di Alberto Giacometti e che, per ironia della sorte, si inserì in maniera riconosciuta nella vita privata, se tale possiamo definirla, di Giacometti e Annette: Isaku Yanaihara.

Il primo incontro tra Giacometti e il professore giapponese risale all’8 novembre 1955 a Parigi, luogo nel quale Yanaihara aveva scelto di recarsi per la propria realizzazione, al Café des Deux-Magots. La ragione del loro incontro non fu casuale, Yanaihara ricevette una lettera di un amico saggiatore che aveva pubblicato un articolo sull’arte di Alberto Giacometti e lo pregava, quindi, di intervistare lo scultore per cavarne ulteriori informazioni in merito alla sua opera. Da quell’occasione nacque un’amicizia, pur essendo due temperamenti diversi, estroverso Giacometti, taciturno Yanaihara. In nome di quel legame, il professore accettò anche l’invito di Giacometti di posare per lui. Le sedute per il ritratto (Fig. 44) ebbero inizio nel settembre 1956. L’uomo proveniente da un mondo diverso dal suo rappresentava per l’artista il modello ideale: i lineamenti singolari,

41

Ibidem.

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testa grande e mascelle pronunciate, nonché fronte alta e ampia, erano in stretto connubio con la viva concentrazione dello sguardo, inoltre, il professore riusciva a mantenere l’immobilità ferrea che Giacometti esigeva dai suoi modelli e che generalmente si protraeva a lungo suscitando una certa insopportabilità. La compartecipazione all’esecuzione del ritratto rese il loro rapporto assai profondo «e assunse a poco a poco l’apparenza di un attaccamento passionale. Incominciò a straripare dallo studio invadendo la stanza accanto e trascinando anche Annette»43. Le ore tra una seduta e l’altra erano trascorse insieme e spesso, durante gli incontri di Giacometti con mercanti o critici d’arte, Annette rimaneva sola con il professore dal quale era incuriosita e apprendeva vaghe nozioni di giapponese. Giacometti riferiva a Yanaihara: «Annette ti adora»44. Un pomeriggio di novembre accadde l’inevitabile:

Alberto […] Aveva un impegno. Yanaihara fu contento della prospettiva di disporre di una serata libera. Annette propose di trascorrerla insieme […] Avevano combinato d’incontrarsi poi con Alberto […] Durante il percorso in tassì, […] Yanaihara baciò Annette su una spalla. L’abbraccio divenne appassionato. S’incontrarono con Alberto […] si scusò, dicendo di dover scrivere delle lettere, e li lasciò soli. Annette disse: «Vengo nella tua stanza». Dopo un’ora Annette disse: «Alberto ora incomincerà a preoccuparsi», si rivestì e indossò il cappotto, poi prese il reggipetto e le calze che aveva dimenticato di mettersi, e ridendo maliziosamente disse: «Devo farli vedere ad Alberto»45. 43 Ibidem, p. 320. 44 Ibidem. 45 Ibidem, pp. 320-321.

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Giacometti di fronte a quello stato di cose, che aveva ricercato, dichiarava di essere felice, tuttavia, le contraddizioni permeavano il suo essere e sembravano comparire difficoltà concrete nell’esecuzione del ritratto tanto che, in quel periodo, l’artista di frequente si lamentava dicendo: «Sono tornato allo stesso punto del ’25!»46. Tutto ciò avvenne però senza che l’artista si perdesse mai d’animo come testimoniano le sue stesse parole: «Non mi basta fare ciò che so fare, devo fare quello che non so»47.

La confidenza esistente tra i tre, Giacometti, Yanaihara e Annette, rendeva tutte le situazioni intrise di forte ambiguità, innescando meccanismi di interdipendenza nei quali, tuttavia, a dispetto delle apparenze, la parte del dominatore era sempre incarnata da Giacometti e, per l’epilogo della situazione, Annette finiva sempre per rimanere nel ruolo del soccombente, in quanto, come vedremo, ella andrà perdendo anche quell’importanza acquisita nella produzione artistica di Giacometti, scalzata prima da Yanaihara e, come vedremo, in seguito da Caroline.

Sappiamo che Yanaihara dedicava versi d’amore ad Annette ma, al contempo, il rapporto confidenziale che lo legava a Giacometti lo spingeva a confessare all’artista di trovare la donna un po’ ingenua. A ciò Giacometti replicava dicendo che Annette era una donna dotata di forte volontà e aveva sempre ottenuto ciò che desiderava, dunque, non la trovava affatto sprovveduta. La felicità di Annette sembrava allora fortemente dipendente dalla presenza a Parigi del professore giapponese tanto che, allorché si avvicinò la data per il suo ritorno in Giappone dove aveva famiglia, Giacometti, Yanaihara e Annette fecero di tutto per ricreare le condizioni affinché potesse avere di nuovo presto luogo un rincontro.

46

Ibidem, p. 322.

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CXXV

Yanaihara ritornò a Parigi all’inizio di giugno. Tutto ricominciò per tutti come prima. Tuttavia ricominciò su una base un po’ diversa. Ciò che era apparso un evento casuale nel 1956, nel 1957 appariva premeditato. Gli intimi rapporti fra il professore giapponese e la coppia Giacometti divennero di pubblico dominio, mentre era data per scontata l’ipotesi che tutti l’accettassero tranquillamente. Naturalmente veniva fatto presente, come base della buona volontà di ognuno, il vantaggio finale che ne derivava per il lavoro di Alberto48.

I risultati a livello creativo non furono, tuttavia, proficui, rivelavano invero l’impotenza dell’artista e ognuno, nella consapevolezza che il ménage à trois era vivo, viaggiava sul proprio binario: Annette preda delle proprie sensazioni, l’artista frustrato e Yanaihara consapevole dell’importante ruolo che aveva nell’arte di Giacometti, e non solo.

Yanaihara non tornò a Parigi nell’estate del 1958 e i dissapori in rue Hippolyte-Maindron continuarono a emergere. Nel 1960 il professore fece ritorno nella capitale francese, tuttavia, non tutto era rimasto immutato. Le voci in merito alle aspirazioni di Annette di realizzarsi come donna a tutto tondo, sposando Yanaihara o avendo un figlio da lui, sembravano destinate a non trovare realizzazione, in quanto il professore era già sposato con prole in Giappone, eccedeva nel bere e appariva alle volte distante, infondo «L’atmosfera romantica sembrava svanita»49. Ne conseguì una sempre più frequente oscillazione di Annette tra stati d’animo euforici e momenti di completa depressione e smarrimento che sembrava riflettere la precarietà che da sempre aveva abitato la persona di Alberto Giacometti e che adesso si palesava in lei a buon nome del proprio creatore. E alla debolezza della donna si contrapponeva la forza dei due uomini che condividevano un

48

Ibidem, p. 330.

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atteggiamento passionale, ognuno nel proprio ruolo, e «Il fatto che si trattasse di una passione a carattere estetico e filosofico non attenuava la sua [di Annette] esclusione, anzi»50. Proprio la passione che animava Yanaihara si rivelò sempre maggiore rispetto all’interesse che egli nutriva per Annette, dunque di quest’ultima emerse che «la sua parte non era fondamentale per l’evoluzione del dramma»51.

7.4. Caroline

La giovane donna ventunenne che una sera di ottobre del 1960 sedeva nel bistrot Chez Adrien, nel quale era solito trascorrere il suo tempo Giacometti, e indossava una giacca a quadri principe di Galles grigi apparteneva alla categoria di donne che l’artista preferiva. Egli la notò fin da subito oltre che per l’indescrivibile bellezza anche per la giovane età. Su suggerimento di altre due ragazze, Dany e Ginette, che Giacometti ben conosceva, l’artista invitò la donna a unirsi a loro. Quando Giacometti e Caroline, così si chiamava, furono rimasti soli, in modo del tutto naturale trascorsero il tempo chiacchierando e passeggiando fino alle sei del mattino, poi si attardarono in un caffè e godettero della reciproca compagnia ancora fino alle nove. Da allora iniziarono a incontrarsi senza un preciso appuntamento e, come osserva Lord, «Gli incontri casuali erano, per tutti e due, una cosa abituale. Entrambi, […], anche se in maniera diversa, erano

50

Ibidem.

51

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CXXVII

acuti osservatori delle apparenze»52, inoltre, « … il ritmo e lo scopo dei loro incontri li avvicinava rapidamente l’uno all’altro»53. Divennero amanti:

Comunque sia stato, la soddisfazione del desiderio era di tipo esistenziale, ma uno dei suoi aspetti era indubbiamente sessuale. All’interno di quell’aspetto,

[…], ve n’erano degli altri che Alberto stesso giunse a guardare in una prospettiva diversa54.

L’importanza del loro rapporto era riconosciuta da ambo le parti ma ognuno perseverava nelle proprie attività, Giacometti nel proprio lavoro e Caroline nella vita libera e semplice che aveva condotto sino a quel momento. Il valore di quella relazione sembrava accresciuto dal fatto che tra di loro non vi era un patto che ne sancisse l’impegno. Tuttavia, gli incontri divennero sempre più frequenti, quasi tutti notturni, come a consacrare un loro personale microcosmo nel quale la notte rivestiva un’importanza particolare, in quanto in quell’arco temporale entrambi trovavano le condizioni più confacenti alla propria autoespressione. Ne conseguì una forte intimità e in nome di essa possiamo affermare che siffatto rapporto rappresentava qualcosa di speciale per entrambi i protagonisti. A differenziarlo, infatti, dagli altri numerosi incontri che Giacometti aveva esperito nell’arco della sua esistenza era una ragione fondamentale ben più profonda: sussisteva tra loro quella comprensione intellettiva di orientamento naturale cui alludevamo in precedenza e che era del tutto assente tra l’artista e la moglie. L’immediato intendimento mentale che si venne spontaneamente a creare tra Giacometti e Caroline non concerneva minimamente la comunanza di conoscenze, in quanto la ragazza

52 Ibidem, p. 345. 53 Ibidem. 54 Ibidem.

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non possedeva una grande istruzione e non era interessata ad apprendere nozioni artistiche, mentre l’artista vantava un enorme bagaglio culturale, erano bensì accomunati dall’interesse per la verità. Riferiamo le parole di Lord a tal proposito:

Il potere che Alberto sapeva esercitare mediante la parola era noto a tutti, e Caroline ne era affascinata. Diceva che la verità la eccitava. […] essa aveva un suo codice d’onore personale e dichiarava di essere una donna che non aveva mai ingannato nessuno. Quella possibilità appariva meravigliosa a un uomo del rigore etico di Alberto. Tenendo presente ciò che scoprì infine di Caroline, la cosa meravigliosa è che lo capì fino in fondo. Fedele al proprio codice d’onore, Caroline ritenne essenziale rivelargli tutte le proprie esperienze. […] Ciò che raccontava era la sua verità. Egli ne era affascinato.

[…], essi avevano qualcosa in comune. Anche lui si faceva il punto d’onore di non ingannare mai55.

Di quella presenza a poco a poco sempre più ingombrante nella vita di Giacometti, la moglie Annette, come riferisce Lord56, sembra non ne sapesse molto e anche se l’artista ne parlava apertamente, in linea con il proprio codice d’onore fedele alla verità, non pareva che essa lo ascoltasse seriamente, probabilmente era presa dalle proprie preoccupazioni e viveva con uno stato di sofferenza, di frequente preda di un’estrema spossatezza, l’allontanamento di Yanaihara.

Caroline iniziò a far parte anche della vita professionale di Giacometti allorché prese a frequentarne lo studio in rue Hippolyte-Maindron. Annette, come osserva Lord57, non riusciva a percepire la pericolosità che l’ingresso

55 Ibidem, p. 347. 56 Cfr. ibidem, p. 349. 57

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della giovane donna nella vita del marito rappresentava. Il problema stava «nell’incapacità di Annette di vedere in Caroline qualunque cosa tranne ciò che rivelavano le più rozze apparenze»58.

L’essenziale comunanza d’animo tra Giacometti e Caroline proponeva un rapporto nel quale, diversamente dalla consuetudine sino ad allora, emerge il lato sempre più umano e vero dell’artista. Se nei rapporti precedenti lo vediamo oscillare perennemente tra attrazione e repulsione nei riguardi del genere femminile nel ruolo ormai acquisito del dominatore, nel rapporto con la giovane prostituta osserviamo affiorare il Giacometti probabilmente più vero, quello che è spontaneamente ciò che è e trova tanta più libera possibilità di espressione per il fatto di confrontarsi con un soggetto, a dispetto di ogni apparenza, assai simile a lui: sembra quasi configurarsi una naturalmente congeniale riflessione nello specchio. Sebbene, sul lato pratico della questione, Giacometti apparisse incarnare il ruolo di colui che veniva manipolato – essendo frequenti le occasioni in cui ella non si presentava agli appuntamenti adducendo l’alibi di impegni con persone che provvedevano al suo mantenimento o di complicazioni connesse al suo coinvolgimento nel mondo della malavita – i due mantenevano un pari livello di dominio, aiutati in ciò dalla reciproca consapevolezza di ciò che erano e di ciò che era l’altro. In certi casi è probabile che i rapporti di dominio andassero a vantaggio della donna, tuttavia, l’esperienza maturata da Giacometti gli permetteva di eludere l’ingenuità del passato. Un giorno dopo esser scomparsa per lungo tempo, Giacometti scoprì che Caroline era finita in carcere. Ne seguì la stesura di una lettera che sembra connotarsi come una reale dichiarazione d’amore. Probabilmente per la prima volta in vita sua l’artista sembrava aver

58

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CXXX

percepito nell’incontro con Caroline un proprio equilibrio cui era fortemente attaccato e al quale, in cuor suo, non era disposto a rinunciare. Le osservazioni di Lord ne rendono testimonianza:

[…] sedette a scrivere allo stesso tavolo dove l’aveva vista per l’ultima volta. Gli passarono davanti agli occhi e per la mente sei mesi di vita. Egli la implorava di credere che era suo amico e che essa poteva contare su di lui fino all’ultimo respiro. Lei non avrebbe mai potuto immaginare, concludeva, di quanto egli le fosse debitore59.

La reazione aspra di Caroline alla lettera dell’artista, causata dal sospetto che Giacometti fosse infedele, mostra ancora una volta la forte affinità esistente tra loro. Come sappiamo dalla biografia di Giacometti, in più di un’occasione egli, fedele al proprio principio di verità e lealtà, non aveva indugiato un attimo a interrompere rapporti amichevoli, anche di lunga data, laddove percepiva mancanza di lealtà. Lei si comportava alla stessa maniera. Tuttavia, come ricorda Lord60, Giacometti mostrò la propria devozione nel periodo di detenzione di Caroline passeggiando su e giù di fronte alla prigione nelle ore notturne, quelle in cui si svolgevano i loro incontri. Inoltre, tramite delle conoscenze e sfruttando il nome che portava, l’artista ottenne un incontro con il magistrato, riuscendo a intercedere per il rilascio della donna che cadde il 20 maggio 1960. Non appena si rividero dopo quella vicenda, il legame tra loro ne uscì rafforzato e la comunione intellettiva nonché intima venne sancita profondamente:

59

Ibidem, p. 353.

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CXXXI

L’intimità fra Alberto e Caroline può esser così vista come un affare con un inizio ben definito. Prima di quella notte di maggio, l’intimità era stata potenziale, ma non era una cosa fondamentale. Svanendo improvvisamente nel nulla, Caroline aveva dato all’artista l’occasione di mettere alla prova il suo potere facendosela restituire. Era l’occasione di una vita. Per tutti e due. Se egli aveva potuto farla riemergere dall’oblio, avrebbe anche potuto portarla con sé verso l’eternità. Quanto a lei, consentendogli di farla risorgere, gli aveva dimostrato di essere davvero una figlia della malavita. Così potevano entrambi superare se stessi semplicemente restando ciò che erano l’uno in rapporto all’altro. Fu in quel periodo che Caroline divenne la modella principale di Alberto61.

Fino al momento in cui venne sostituita nel ruolo nel quale per anni si era data anima e corpo, Annette non si era resa conto dell’importanza vitale che Caroline aveva assunto nell’esistenza di suo marito. A sancire in modo ancor più esplicito l’allontanamento di Annette dal mondo di Giacometti esistono diverse immagini, per esempio il bronzo, già citato nel terzo capitolo del corrente lavoro, intitolato Annette IV appartenente alla serie di otto busti eseguiti nel 1962, che si connotano come «sinistre evocazioni di una femminilità sconvolta, le fasi della furibonda disaffezione fra l’artista e la moglie-modella»62. Le osservazioni di Lord ci permettono di comprendere al meglio le sensazioni di rabbia veemente provate da Annette la quale, impotente, assisteva alla propria uscita di scena, supposto che fosse esistita mai una reale preminenza della donna nella vita di Giacometti:

61

J. LORD, Giacometti. Una biografia, cit., p. 355, [sottolineatura mia].

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CXXXII

Il pensiero fisso di Alberto per le prostitute, tutto quel suo parlare di esse come di caste divinità, ispiratrici di riverente timore, era sempre sembrata una specie di mania che in qualche modo era in funzione della sua creatività artistica, e nulla che si potesse trasferire nella vita reale. Ma ora c’era quella puttana seduta nello studio, e Alberto che la guardava come se fosse seduta su un trono63.

Inoltre, anche il rapporto con Yanaihara sembrava sempre più relegare la moglie dell’artista in un ruolo secondario. Anche il professore giapponese sembrava esser stato catturato dall’ammaliante fascino di Caroline e la forte intesa esistente un tempo tra Yanaihara e Annette pareva esser svanita assieme alla passione che aveva sino ad allora avuto come luogo privilegiato dei loro incontri la camera da letto, inoltre, adesso ne risultava compromessa l’integrità. Annette, sebbene condividesse ancora momenti d’intimità con Yanaihara, sembrava terrorizzava dall’idea che il rapporto sempre più ravvicinato del professore con Giacometti e la sua nuova modella potesse in qualche modo escluderla dal giro. E tale in effetti era la situazione.

Tornando alla figura di Caroline, nonché alla crescente importanza che ella ebbe nella vita di Giacometti, riteniamo interessante rivelare, traendo ispirazione dall’interpretazione di Lord in merito all’intricata biografia dell’artista, alcuni particolari episodi significativi, in quanto rendono fede della profondità del suo legame con Giacometti.

Un giorno, presentandosi a una lezione di pianoforte, il cui apprendimento rappresenta il desiderio manifestato dalla donna appena uscita dal carcere e che Giacometti si prodigò immediatamente di soddisfare, la donna dichiarò di fronte al suo maestro, che sembrava

63

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CXXXIII

anch’egli per altro subirne il fascino, dopo qualche istante di silenzio, testuali parole: «Voglio essere amata»64. L’uomo malinterpretò quell’asserzione facendosi avanti, tuttavia, Caroline rispose freddamente, dicendo che si trattava di un ideale astratto. Senza voler attribuire un significato particolare a quelle parole, possiamo tuttavia dedurre che, dietro l’apparente sfuggevolezza della donna, si celava un temperamento tenero. Potremmo inoltre supporre che quella dichiarazione di volontà di sentimento non volesse soltanto evocare un ideale astratto, ma corrispondesse a un implicito riferimento alle sensazioni piacevoli che la donna traeva dal legame profondo con Giacometti.

Un altro episodio rende più forte testimonianza dell’intensità del legame tra Giacometti e Caroline, in quanto mette in evidenza la sublimità dello sguardo che, come noto, rappresentò una costante attrattiva per l’artista nell’arco dell’intera esistenza. Mentre Giacometti era impegnato a ritrarre la sua amica Guiguite, un giorno, improvvisamente fece irruzione nello studio Caroline la quale, senza proliferare parola alcuna, immobile sulla soglia, posò intensamente lo sguardo sull’artista il quale la ricambiò. Regnò il silenzio per dieci minuti:

[…] lo sguardo che si scambiavano incominciò a sembrare sempre di più a un contatto fisico, a un unirsi e a un fondersi del loro io nella maniera più intima possibile […] Guiguite capì di esser stata la casuale testimone del più perfetto contatto possibile fra due esseri umani65.

64

Ibidem, p. 362.

65

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CXXXIV

Sembra qui emergere nuovamente un tema cui era già stato accennato in precedenza e che trovò nelle sculture surrealiste di Giacometti larga applicazione. E, come fa notare Lord:

Non era un segreto […] che qualche volta gli facesse piacere la presenza di una terza persona nei momenti d’intimità fisica. Tuttavia sarebbe un grosso errore considerare Giacometti […] un semplice voyeur66.

Lord67 prosegue affermando che coloro che traggono piacere osservando quello altrui tramutano in rito la propria incapacità di agire. Dunque, quel episodio, che suggella l’estrema intesa tra Giacometti e Caroline, rende testimonianza della sua forza proprio per il fatto di avvenire alla presenza di un testimone oculare che ne vivifica «il supremo disegno della sessualità»68. L’intensità del loro rapporto sembrava derivare dalla loro semplice e naturale unione. Coerentemente alla descrizione fatta dallo stesso Giacometti, già citata nel corrente lavoro, in merito al suo primo incontro con la sessualità, che ricordiamo fu appunto con una prostituta, anche il rapporto con Caroline sembrò subito connotarsi, come dice l’artista, come pura meccanicità. Tuttavia, la sublimità della loro relazione derivava dal fatto che, alle volte, Giacometti confessava alla donna la propria impossibilità di toccarla per la sua eccessiva purezza: rimaneva viva nella mente dell’artista l’idea costante dell’attrazione e, al contempo, della repulsione al cospetto di una donna. «[...] era una vergine, una dea, fatta per

66 Ibidem. 67 Cfr. ibidem. 68

(41)

CXXII

Figura

Figura 42 disegno Annette, 1951
Figura 43 Buste (Lust 156)
Figura 44 Ritratto di Yanaihara, 1958
Figura 45 Ritratto di Caroline, 1964

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