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INDICE DI FIDUCIA SUGLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE TECNOLOGICA. La misura della propensione agli investimenti in innovazione tecnologica I M R

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INDICE DI FIDUCIA SUGLI INVESTIMENTI IN INNOVAZIONE TECNOLOGICA

La misura della propensione agli investimenti in innovazione tecnologica

I M R

IFIIT MONTHLY REPORT Nr. 110

INDICE IFIIT DEL MESE

DICEMBRE 2016

Numero di sintesi:

36,10

“L’impresa è per eccellenza il luogo dell’innovazione e dello sviluppo”

- Joseph A. Schumpeter -

31 32 33 34 35 36 37

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1) I DATI DEL MESE Quadro di sintesi dei dati rilevati nel mese

Leggero innalzamento dell’Indice Ifiit, che si porta poco sopra il livello dei 36 punti, precisamente a 36,10, il massimo da oltre due anni a questa parte.

Una quota più consistente del campione degli intervistati ritiene che sia in corso una ripresa della domanda di prodotti industriali da parte della Germania, che si conferma la locomotiva europea.

Il quadro è anche caratterizzato dalla novità elettorale statunitense che ha rimodellato lo scacchiere geopolitico e, con esso, le tendenze degli investimenti. La presidenza Trump potrebbe imprimere traiettorie di sviluppo a diversi comparti produttivi, con effetti anche su alcuni distretti industriali italiani.

Prosegue la particolare attenzione degli imprenditori verso il Piano Nazionale dell’Industria 4.0 impostato dal governo, che dovrebbe rilanciare il finanziamento dell’innovazione soprattutto nelle fasce delle piccole e delle medie imprese orientate all’export e all’internazionalizzazione.

Resta invece ingessata la sfera dei consumi interni, che risente della ridimensionata potenzialità reddituale di molti italiani.

Per l’insieme di queste ragioni la propensione ad investire in innovazione tecnologica si mantiene alta e superiore alla media in settori come la metalmeccanica di precisione, la farmaceutica, l’avionica, i trasporti e i sistemi di sicurezza.

Intorno al valore medio dell’indice troviamo i settori del tessile- abbigliamento, del legno-arredo e delle banche, che sembrano aver preso una pausa di riflessione, anche a seguito delle incertezze legate al sistema del credito.

Restano invece alquanto deboli e depressi i settori del commercio al dettaglio e delle attività edilizie, dove sono presenti ancora molte istanze di fallimento.

Dal punto di vista geografico la vitalità maggiore viene registrata in alcune aree emiliane, ma resta sempre la Lombardia l’area geografica dove si concentra la maggiore propensione ad investire in miglioramenti dei processi produttivi per aumentare la produttività delle imprese e la competitività del sistema.

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Questo numero 110 di IMR contiene:

- Pagina 1 – Indice Ifiit mese di DICEMBRE 2016.

- Pagina 2 – Commento all’Indice mensile.

- Pagina 3 – Sommario dell’Ifiit Monthly Report nr 110

- Pagina 4 – Sta cambiando tutto? – (Previsioni economiche - Ref ricerche)

- Pagina 7 – La crescita dell’Italia in un grafico – (Paolo Cardenà)

- Pagina 9 – L’espansione del Food & Grocery – (Polimi e Netcomm)

- Pagina 11 – Logo Ifiit chiusura

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Ifiit è un marchio registrato a livello comunitario

IMR – IfiitMonthly Report è coperto da Copyright dal 2007

Ifiit è l’Indice di Fiducia sugli investimenti in innovazione tecnologica, accreditato presso il Ministero dello sviluppo economico e l’Agenzia dell’Innovazione.

IfiitMonthly Report è una sintesi di un’attività di ricerca sulla fiducia in investimenti tecnologici che mensilmente viene effettuata su un campione qualificato

e rappresentativo dell’economia italiana.

Lo staff di Ifiit, un network di ricercatori volontari, si avvale di un Focus Group, costituito in prevalenza da operatori qualificati e da esperti accademici, per l’interpretazione dei dati e delle tendenze. Per le sue caratteristiche di indice di fiducia, Ifiit si presta ad essere consultato anche come strumento previsionale dei cicli

economici.

Indice Ifiit Via Pisanello 8 20146 Milano Supervisor Paolo Gila

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Sta cambiando tutto?

Nel corso degli ultimi mesi le economie avanzate hanno registrato prevalentemente ritmi di crescita moderati e tassi d’inflazione contenuti, evidenziando quindi andamenti nel complesso in linea con le tendenze prevalenti nella prima metà dell’anno. L’apparente continuità con le tendenze di inizio anno nasconde in realtà mutamenti di rilievo nelle

caratteristiche del percorso di crescita. Tali cambiamenti sono riconducibili innanzitutto al successo delle banche centrali, che sono riuscite a stabilizzare i mercati reagendo alle tensioni originate dai mercati asiatici nella seconda metà del 2015. Il secondo elemento di

cambiamento è quindi rappresentato dai segnali di miglioramento della congiuntura delle economie emergenti. Il terzo fattore di mutamento dello scenario è rappresentato dalla stabilizzazione delle quotazioni del petrolio.

Tali evoluzioni dello scenario hanno implicazioni di rilievo rispetto al percorso di crescita delle economie europee: in particolare, migliorano le prospettive per le esportazioni, mentre si affievolisce l’impulso sui consumi legato alla passata caduta delle quotazioni del greggio. Data la normalizzazione del mercato petrolifero, l’inflazione ha superato

il punto di minimo. Probabile anche che la Fed avvii da dicembre un percorso di normalizzazione dei tassi d’interesse, tanto più adesso che la presidenza sostiene apertamente uno scenario di aumenti dei tassi. Questo potrebbe rafforzare ulteriormente il dollaro.

Non mancano gli elementi di incertezza. Dal punto di vista dei mercati finanziari, è possibile che quelli obbligazionari entrino in tensione, registrando ancora aumenti dei tassi d’interesse rispetto ai minimi degli ultimi mesi. Inoltre, l’inizio di una fase di rafforzamento del dollaro rischia di innescare una fuoriuscita di capitali dai paesi più fragili;

potenzialmente i più penalizzati sarebbero i paesi emergenti, che solo recentemente hanno evidenziato sintomi di recupero. Infine, restano le incognite relative al rischio politico. Per diversi mesi le scadenze elettorali terranno banco; dopo la vittoria di Trump c’è il referendum in Italia, e si va avanti con appuntamenti importanti nel 2017, fra cui in primavera le elezioni francesi e in autunno quelle tedesche.

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Il quadro di ripresa, sia pure a ritmi moderati, che caratterizza le tendenze dell’economia internazionale, si è arricchito di nuovi elementi di incertezza nel corso delle ultime settimane. L’elemento principale è che i mercati stanno reagendo rapidamente al cambiamento della guida politica negli Stati Uniti. Le ipotesi circa il mutamento dell’impostazione delle politiche economiche americane sono in realtà tutte da verificare, considerando che la distanza fra gli annunci della campagna elettorale e le politiche che verranno effettivamente messe in atto può rivelarsi anche ampia; ad esempio, rispetto alla prevalente attesa di rilevanti tagli alle imposte, potremmo invece concretamente osservare variazioni di entità più limitata. E’ comunque chiaro che adesso l’ipotesi prevalente è quella di un cambiamento drastico di strategia, con il passaggio da una fase di politiche monetarie espansive verso una fase di politiche fiscali di carattere espansivo. Si deve notare al riguardo che, sia pure in un contesto del tutto differente, un cambiamento di rotta in questa direzione sembra insinuarsi anche nel contesto europeo, con l’aumento del grado di

“indisciplina fiscale” rispetto alle regole europee da un lato, e l’aumento della pressione tedesca per limitare temporalmente la fase degli acquisti di titoli di Stato dall’altro.

Il dibattito europeo è appena agli inizi, e certamente verrà riaperto solo a fine anno dopo la sequenza di scadenze elettorali che caratterizzeranno il 2017, ma contribuisce certamente a mettere pressione sulla Bce, che dovrà decidere a breve se estendere temporalmente il programma di acquisti di titoli di Stato oltre la scadenza di marzo. Quello sulle politiche Usa troverà risposte in tempi più rapidi, con il completamento della squadra di governo e ulteriori chiarimenti sulla strategia che verranno proposti nei mesi a venire. Per ora, sullo scenario economico sembrano affacciarsi tre elementi di rischio.

Il primo è legato all’andamento dei tassi d’interesse. Una fase di aumento dei tassi d’interesse negli Stati Uniti l’anno prossimo appare estremamente probabile; ciò che rileva è l’entità di tali aumenti, sino all’ipotesi di un vero è proprio crollo dei mercati obbligazionari internazionali. Tale ipotesi è condizionata alla formazione di un quadro di crescita a ritmi sostenuti, tale da fare emergere un vero e proprio rischio d’inflazione, ed è

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quindi subordinata all’adozione di misure fiscali di entità significativa negli Stati Uniti. Conta molto il fatto che l’espansione fiscale si materializzerebbe negli Usa proprio quando l’economia sta entrando in una fase matura del ciclo economico, con il rischio che l’espansione fiscale si traduca prevalentemente in aumenti dei prezzi e effetti più contenuti sui livelli di attività economica rispetto a quanto abbiamo osservato negli anni della crisi.

Il secondo è che da ciò discenda una nuova fase di crisi dei paesi emergenti, la cui ripresa è invece uno dei tasselli fondamentali per delineare uno scenario di crescita dell’economia mondiale nel 2017.

L’ipotesi di un aumento marcato dei tassi Usa si tradurrebbe in una fuga dei mercati dagli asset più rischiosi verso gli Stati Uniti. A farne le spese sarebbero soprattutto i paesi emergenti, che sperimenterebbero un nuovo irrigidimento delle condizioni finanziarie all’interno. Non a caso, le borse dei paesi emergenti non hanno avuto una reazione positiva all’esito delle elezioni americane. A questo poi si deve aggiungere l’impatto che, almeno nel breve periodo, potrebbe derivare dall’adozione di misure protezionistiche negli Stati Uniti, che avrebbero l’effetto di frenare le esportazioni verso l’economia Usa, penalizzando ulteriormente la crescita del commercio mondiale.

Il terzo elemento di rischio è legato all’apertura di una fase di generalizzata instabilità politica, che si tradurrebbe in un aumento del grado di incertezza. Dopo il voto sulla Brexit e le elezioni Usa, ci attende una sequenza di appuntamenti elettorali nell’eurozona dove entrano in gioco forze che aprono a cambiamenti di rilievo nell’impostazione delle politiche europee. Anche da questo versante potrebbero quindi derivare fasi di tensione e in particolare sui tassi d’interesse dei paesi che, come l’Italia, paiono beneficiare in misura maggiore degli acquisti di titoli di Stato da parte della Bce.

(parte di documento estratto dal report di Ref – fine novembre 2016)

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La crescita italiana In un grafico

Dobbiamo ringraziare Paolo Cardenà, blogger del sito vincitorievinti.it, per questo interessante grafico che mostra come siano cresciute le economie dei Paesi più avanzati dalla crisi del 2008 a oggi. Cardenà ha preso i dati storici dell’Ocse – dunque una fonte istituzionale ufficiale - e li ha messi sugli assi cartesiani. Ne emerge un quadro abbastanza deludente.

La crescita dell’economia italiana degli ultimi anni non ha riportato il Paese a livelli pre-crisi, mentre è evidente che nel resto dei Paesi analizzati e presi in considerazione, si è andati ben oltre.

Dall’inizio della crisi del 2007-2008 l’Italia ha perso il 25% della sua produzione industriale e il 10% del Prodotto Interno Lordo. Gli effetti di questa tendenza si possono rilevare non solo sui tassi di crescita ma anche sull’andamento del listino azionario. A distanza di circa otto anni è possibile verificare che l’indice Ftse Mib viaggia in sostanza sugli stessi livelli – con scarsi scostamenti – dall’andamento della Borsa registrato all’inizio della crisi. Nel frattempo gli indici delle borse di New York sono praticamente triplicati e quello di Francoforte è più che raddoppiato.

Nello stesso periodo gli investimenti in attività produttive sono aumentati considerevolmente in Germania, Olanda, Stati Uniti, Olanda, Canada e Giappone, mentre in Italia – aveva sottolineato l’Ucimu – oltre un terzo della base produttiva utilizza impianti vetusti, che sono andati fuori produzione e che hanno ampiamente superato il periodo di ammortamento.

C’è insomma che tira avanti, in attesa di tempi e di condizioni migliori.

La lettura e l’interpretazione di questo grafico di Paolo Cardenà ci deve insegnare che le letture superficiali sono sempre da rifiutare, per privilegiare le valutazioni nel percorso storico comparato. I numeri hanno un peso e una direzione, non si deve mai dimenticare. Il buon marinaio vede le increspature delle onde, ma valuta la forza delle maree…

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Gli acquisti via Smartphone raddoppiano e raggiungono quota 100 milioni di euro, pari al 17% del totale eCommerce del comparto (25% se

si aggiungono gli acquisti via tablet).

Il Food & Grocery Online cresce del 30%

e vale 575 milioni di € nel 2016

L’Alimentare incide per il 90%, l’Health&Care per il 10%. Crescono a doppia cifra sia il Grocery Alimentare (prodotti alimentari da supermercato) +40%, che l’Enogastronomia (prodotti gastronomici e

alcolici) + 17%, che la Ristorazione (cibo pronto) +29%.

L’incidenza degli acquisti online sul totale acquisti Retail resta marginale (0,35% nel 2016), ma si è riscontrato un certo fermento dell’offerta in tutti

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gli ambiti.

L’Export, inteso come valore delle vendite da siti italiani a consumatori stranieri, incide per circa il 10% delle vendite del settore e rappresenta il

2% circa del totale Export eCommerce.

Il mercato eCommerce nel Food&Grocery nel 2016 vale 575 milioni di euro, + 30% rispetto al 2015. Nonostante la crescita in linea con la media di mercato dei prodotti (+32%), il Food&Grocery in valore assoluto incide ancora marginalmente (3%) sul totale mercato eCommerce B2c italiano, che risulta essere pari alla ragguardevole cifra di quasi 20 miliardi di euro.

Gli acquisti via Smartphone nel settore raddoppiano e raggiungono quota 100 milioni di euro, pari al 17% del totale eCommerce del comparto (25%

se si aggiungono gli acquisti via tablet). L’Enogastronomia cresce del 17%

e con un valore di poco superiore ai 240 milioni di euro rappresenta ancora il 47% del valore dell’Alimentare Online, la spesa Grocery sui siti eCommerce dei supermercati tradizionali con consegna a domicilio cresce del 40% e vale 188 milioni di euro.

Nel Food&Grocery la componente principale – in termini di valore degli acquisti – è rappresentata dall’Alimentare, pari al 90% del comparto, per un valore di 519 milioni di euro, in crescita del 27% rispetto al 2015. La componente Health&Care pesa per il restante 10%. L’Alimentare è a sua volta composto per oltre il 90% dall’acquisto di prodotti Food e per meno del 10% dal Wine. In particolare, nel Food il 60% della domanda si riferisce all’acquisto di prodotti “secchi” (ossia confezionati, incluso il caffè), il 31% ai “freschi” (prodotti a temperatura controllata, incluso il cibo pronto), il 7% alle “bevande” e il restante 2% ai “surgelati”.

“Nonostante il Food&Grocery rappresenti una delle principali voci di spesa degli italiani, la sua diffusione online è stata fino a oggi limitata.”

Afferma Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano “L’incidenza degli acquisti online sul totale acquisti Retail è pari allo 0,35% nel 2016, una penetrazione significativamente inferiore sia rispetto a quella osservata in altri comparti merceologici più sviluppati – Abbigliamento (5%), Turismo (29%) – che rispetto ai valori registrati (tra il 2 e l’8%) nello stesso settore in altri mercati internazionali come Francia, UK, USA. Negli ultimi anni però si è assistito a una proliferazione di iniziative online, sia da parte dei retailer tradizionali sia da parte di Dot Com pure player

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(anche startup): l’aumento dell’offerta si è osservato indistintamente in tutti gli ambiti, dai prodotti da supermercato ai prodotti gastronomici, dal vino al cibo pronto e possiamo ritenere che siano state finalmente gettate le basi per uno sviluppo strutturato del settore”.

È quanto emerge dalla fotografia scattata dall'Osservatorio eCommerce B2C, giunto alla sedicesima edizione e promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da un altro partner strategico, Netcomm, il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano.

La ricerca è la seconda (dopo quella relativa al Fashion) con focus specifico su uno dei settori merceologici più importanti per lo sviluppo dell’eCommerce nel nostro paese, ossia il Food&Grocery.

“Il digitale ha reso qualsiasi settore più fluido e mutevole, e il mercato del food non è escluso da questo cambiamento.” Lo sostiene Roberto Liscia, Presidente di Netcomm “Le aziende ne fanno tesoro e hanno iniziato a creare una nuova offerta in grado di modificare le abitudini dei consumatori. Il risultato è l’affermazione e l’aumento a livello globale dei servizi di eGrocery, ready to eat e ready to cook, modelli di business che seguono l’onda del nuovo contesto competitivo che l’eCommerce del food sta oggi vivendo. Sebbene non manchino le opportunità e la domanda per le aziende di offrire nuovi servizi o soddisfare nuovi bisogni legati all’alimentazione, in Italia le iniziative di eFood sono ancora marginali e rappresentano ancora una nicchia del mercato eCommerce. Il 2016 sarà percepito come un anno spartiacque in cui l’eCommerce si è imposto come modello di business contando circa 20 miliardi di euro di ricavi e 19 milioni di eShopper. Il cambiamento deve provenire dalle aziende e le imprese del food non sono esenti.”

Se dagli acquisti dei consumatori italiani si passa a considerare le vendite da siti italiani a consumatori italiani e stranieri, si deve allora precisare che il giro d’affari complessivo vede superare i 650 milioni di euro.

L’Export, inteso come valore delle vendite da siti italiani a consumatori stranieri, incide per circa il 10% delle vendite del settore.

“Nel Food&Grocery, contrariamente a quanto avviene mediamente nell’eCommerce B2c italiano, sono gli operatori tradizionali (retailer e produttori) a ricoprire un ruolo dominante, con il 67% del valore delle vendite nel 2016.” Lo pone in evidenza Riccardo Mangiaracina, Direttore

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dell’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano “Tuttavia le Dot Com crescono a un tasso superiore e il loro peso passa dal 25% nel 2015 al 33% nel 2016. Visto lo stato embrionale di molte di queste iniziative, è lecito aspettarsi che le Dot Com incrementino il loro peso anche nei prossimi anni. Prendendo in esame la concentrazione di mercato emerge che i primi 5 operatori del Food&Grocery generano il 68% delle vendite online, in linea con il 2015.”

Sono tre i segmenti che si possono identificare all’interno dell’alimentare online: il Grocery Alimentare, ossia prodotti alimentari da supermercato, l’Enogastronomia, ossia prodotti gastronomici e alcolici (vino, birra, liquori e distillati) e la Ristorazione, ossia cibo pronto.

Gli acquisti Grocery Alimentare valgono nel 2016 poco più di 188 milioni di euro, in crescita del 40% rispetto al 2015. Si tratta prevalentemente della spesa sui siti eCommerce dei supermercati tradizionali con consegna al piano.

L’Enogastronomia cresce nel 2016 “solo” del 17% ma, con un valore di poco superiore ai 240 milioni di euro, si conferma il primo segmento per valore degli acquisti e risulta essere così un pilastro di sviluppo.

La Ristorazione cresce nel 2016 del 29% e raggiunge i 90 milioni di euro.

“In tutti e 3 i settori possiamo notare una decisa tendenza all’innovazione sulla customer experience” illustra Samuele Fraternali, Ricercatore Senior dell’Osservatorio eCommerce B2c del Politecnico di Milano “Dal Click&Collect (ossia il ritiro della spesa a carico del cliente in negozio o in un punto concordato) come alternativa alla consegna a domicilio, all’aumento di iniziative focalizzate sulla vendita di prodotti tipici di alta qualità, del fresco con consegna rapida e di ingredienti/box per la preparazione di ricette. La ristorazione controbatte con una maggiore attenzione all’elenco degli ingredienti contenuti all’interno del piatto - al fine di poter rispondere ad esigenze specifiche come diete, intolleranze e allergie - e alla garanzia di consegna dell’ordine in tempi brevi al fine di soddisfare l’urgenza del cliente”.

Ifiit è un marchio registrato a livello comunitario

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