LA GRANDE GUERRA IN VALLE DEL CHIESE
Presentazione a cura di
Francesco Bologni e Massimo Parolari
con la collaborazione di Maddalena Pellizzari e Gaja Pellizzari
del Museo Grande Guerra in Valle del Chiese
UNA PREMESSA
Nel maggio 2017 nasce l’Associazione «Museo Grande Guerra in Valle del Chiese», dedicata alla conservazione e
valorizzazione della memoria della Prima guerra mondiale. L’Associazione promuove e favorisce la conoscenza e lo studio della Prima guerra mondiale e gestisce il nuovo «Museo Grande Guerra in Valle del Chiese» per promuovere una cultura di pace. Un museo esisteva già prima, ma questa realtà è completamente diversa, rinnovata nei locali, nella gestione e negli obiettivi.
La Grande Guerra in Valle del Chiese ha lasciato dei segni sul territorio e anche nella memoria collettiva delle persone.
Questo era un fronte calmo ma non dobbiamo dimenticare i tanti paesi che sono stati distrutti dai bombardamenti (sia da parte austroungarica che da parte italiana) né i tantissimi civili evacuati in tutta fretta che in poche ore hanno dovuto lasciare le
proprie case, per poi al ritorno, alla fine della guerra, trovarle distrutte o ricevere la notizia di un figlio caduto o disperso chissà dove.
Oltre a questo, sul territorio ci sono ancora oggi dei segni evidenti che la guerra ha lasciato e che costituiscono un vero e proprio museo a cielo aperto come i forti dello sbarramento di Lardaro, un’infinità di gallerie, trincee, mulattiere, postazioni di artiglieria, resti di baraccamenti e di teleferiche per il rifornimento in quota.
Questo ha costituito per noi appassionati del museo argomento di ricerche e di studio e ci ha portato a collaborare ad un’imponente opera di censimento delle opere campali svolta assieme a tanti amici tra il 2009 e 2011.
In questa breve presentazione illustreremo in maniera sintetica alcuni concetti e fatti che speriamo possano aiutarvi a comprendere cosa è stata la Grande Guerra in Valle del Chiese.
CENNI STORICO-MILITARI:
LE CAUSE DELLA GUERRA, L’AVANZATA IN VALLE DEL CHIESE E GLI SCHIERAMENTI
Dopo 50 anni di pace, la miccia che fece scoppiare la Prima guerra
mondiale fu l’attentato all’erede al trono d’Austria e Ungheria l’arciduca
Francesco Ferdinando, (nipote
dell’imperatore Francesco Giuseppe) e della moglie Sofia avvenuto a Sarajevo.
Era il 28 Giugno 1914.
L’attentatore era un nazionalista serbo di nome Gavrilo Princip. Qui a destra lo vediamo durante il suo arresto. La notizia fece subito il giro del mondo.
Il 28 luglio 1914, un mese dopo, l’Austria dichiarò guerra alla Serbia.
Da quel momento come un effetto domino, per via delle alleanze e degli accordi internazionali, il conflitto si espanse rapidamente. Ormai era un crescendo inarrestabile.
Entrò in guerra la Germania alleata dell’Austria dichiarando guerra alla Russia e alla Francia.
Il 30 luglio il governo russo mobilitò le sue riserve militari per prendere parte al conflitto.
LA MOBILITAZIONE GENERALE
Con la mobilitazione generale austro-ungarica del 31 luglio 1914, tanti trentini furono
chiamati alle armi e dovettero partire per il fronte orientale.
(qui a lato vedete uno dei tanti treni in partenza dalla stazione di Trento)
Erano uomini di età compresa tra i 21 e i 42
anni (anche se nel corso della guerra questa
età si alzò via via). I richiamati furono circa
60.000; i caduti in guerra più di 11.400.
Ben presto entrarono in guerra l’Inghilterra e le sue colonie (Canada, India e Australia), poi il Giappone e la Turchia.
Nel 1915 fu la volta dell’Italia, seguita dalla Bulgaria e Romania. Nel 1917 gli Stati Uniti, la Grecia e la Cina.
Quella che era partita come una «guerra lampo» e che doveva durare pochi mesi era ormai un conflitto dove non si vedeva più la fine e che provocò milioni di morti.
L’Italia entrò in guerra nel 1915, l’anno successivo l’attentato di Sarajevo, dopo aver esitato a lungo.
Il dibattito era stato animato da due differenti opinioni: quella degli «interventisti» e quella dei «neutralisti».
La maggioranza della popolazione era contraria alla guerra.
Perché, allora, l’Italia entrò in guerra?
Dobbiamo dire che in realtà dal 1882 l’Italia faceva parte della Triplice Alleanza con Germania e Austria.
Entrando in guerra avrebbe, quindi, dovuto allearsi con queste due potenze.
Gli «interventisti» e in particolare i nazionalisti italiani erano convinti però che solo entrando in guerra contro l’Austria (a
fianco di Francia e Inghilterra), rompendo questa alleanza, sarebbe stato possibile recuperare Trento e Trieste
completando così l’opera del Risorgimento.
La corrente neutralista, capeggiata da Giovanni Giolitti, pensava invece che l’Italia avrebbe ottenuto parte di questi
territori semplicemente non partecipando al conflitto.
Gli interventisti ebbero la meglio anche perchè l’allora presidente del consiglio dei ministri Salandra, in accordo con il Re, negoziò un accordo segreto con Francia, Inghilterra e Russia. In caso di vittoria, il Regno d’Italia avrebbe ottenuto il Trentino, la Venezia Giulia, l’Istria e anche la Dalmazia.
Il 26 aprile 1915 l’Italia entrò così a far parte dell’Intesa al fianco della Francia e dell’Inghilterra abbandonando la
Triplice Alleanza.
Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria Ungheria: ebbero inizio così
le operazioni militari.
E anche in questo caso i giornali nazionali ne diedero ampia notizia in prima pagina.
Questo è il Regno d’Italia alla vigilia dell’ entrata in guerra nel 1915: come si vede Trento e Trieste appartengono
ancora all’Impero austro-ungarico
A quel tempo L’Italia era una monarchia.
Qui a fianco vediamo il Re Vittorio Emanuele III ed il Capo di Stato Maggiore
Luigi Cadorna, comandante delle forze armate.
ORGANIZZAZIONE DEGLI ESERCITI
All’inizio del conflitto l’esercito italiano contava circa 800.000 militari ma durante la guerra vennero arruolate tutte le classi dal 1874 al 1900. Uomini dai 17 ai 40 anni che formarono un esercito enorme, di quasi 6.000.000 di uomini. Era
sicuramente dai tempi dei romani che non si vedeva un esercito così numeroso.
Le forze armate dell’Impero austro-ungarico erano tra le più potenti dell’epoca.
Il Trentino (di cui vediamo evidenziato di rosso il confine) era di competenza della prima armata che andava dallo Stelvio alla Croda Granda (una
montagna che appartiene alle pale di San Martino tra la provincia di Trento e il bellunese).
I ARMATA
Pochi giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia, l’esercito austro-ungarico si ritirò dal confine politico e, in Valle del Chiese, si attestò nella zona dei forti di Lardaro. I forti erano già stati costruiti prima del conflitto in una posizione che era stata ritenuta più idonea. In quel punto, infatti, la valle si stringe e i due versanti sono più vicini.
L’Impero preferì abbandonare alcuni chilometri di terra per avere la
«protezione» dei forti di Lardaro.
Complessivamente, il confine trentino da «difendere» divenne più corto
passando da 450 a 350 km.
UNA PARENTESI PER L’IMPERO AUSTRO-UNGARICO
Apriramo una breve parentesi per parlare dell’Impero austro-ungarico.
Quello che vedete nella cartina era l’Impero prima della guerra, nel 1914.
Era veramente vasto e, per estensione, era secondo solo all’Impero russo.
L'Impero astro-ungarico o
semplicemente Austria-Ungheria (nota anche come K. u. K. ossia Kaiserliche und Königliche che possiamo tradurre:
«duplice monarchia imperiale e regia») nacque nel 1867 con il cosiddetto
«compromesso» tra la nobiltà ungherese e la monarchia asburgica inteso a
riformare l‘Impero austriaco nato nel 1804.
A capo di questo Impero fu posto Francesco Giuseppe I, Imperatore d'Austria e Re d’Ungheria.
Salito al trono a soli 18 anni, regnò per un periodo lunghissimo dal 1848 fino al 1916, anno della sua morte.
Nella seconda metà del XIX secolo dedicò grandi attenzioni alle forze armate, facendone un apparato militare moderno e dotandole di un'industria bellica all'avanguardia per i tempi.
Il suo motto è sempre stato fin dal suo insediamento:
«Viribus unitis»: con le forze unite, che potremmo tradurre anche come «l’unione fa la forza».
Il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate dell’Impero austro- ungarico era il Feldmaresciallo Franz Conrad. Sicuro che l’Italia avrebbe prima o poi abbandonato l’alleanza con l’Austria, sostenne un vasto piano di fortificazioni ai confini meridionali dell’impero.
Per questo diede ordine che: (sue testuali parole) “tutte le creste dei monti lungo il confine
meridionale divengano un’unica lunga trincea”.
E così fin dalla fine del 1914, l’alto comando austriaco stabilì che si costruisse una lunga linea di difesa per collegare le numerose fortezze già esistenti che erano state
costruite dalla seconda metà dell’800 agli inizi del 900 con l’obiettivo di fermare una possible avanzata italiana.
Francesco Giuseppe I Franz Conrad
Come appena accennato, la maggior parte dei forti era stata costruita prima della guerra.
L’Austria si era già preoccupata di fortificare il confine con l’Italia al termine della Seconda guerra di Indipendenza. Con la sconfitta del 1859, infatti, l’Austria aveva dovuto cedere la Lombardia all’Italia (ai Savoia) perdendo un territorio piuttosto ampio. Il confine fra Austria e Regno d’Italia si era, quindi, spostato vicino a noi, a Ponte Caffaro.
La perdita della Lombardia aveva spinto il Ministero della Guerra austriaco a dare il nulla osta per costruire fra il 1860 e il 1861 una serie di sbarramenti stradali lungo la nuova linea di frontiera. A questi seguirono altre fortezze: le ultime furono realizzate poche settimane prima lo scoppio della guerra!
Tonale
Lardaro
Ampola Riva del
Garda Adesso avete capito perché i forti dello Sbarramento di Lardaro c’erano già!
FORTI LARINO REVEGLER E DANZOLINO 1860-1861
FORTE CORNO 1883 - 1890
FORTIFICAZIONE CAMPALE DI PESCHIERA IN GALLERIA 1915
FORTE CARIOLA 1909-12
La linea gialla indica la zona oltre la quale gli austriaci erano
asserragliati nei pressi dei forti di Lardaro
I punti rossi indicano l’ubicazione dei forti con riferimento agli anni di costruzione.
Questa foto d’epoca – un po’ sfuocata – vi mostra i tre forti: Forte Larino (1), la tagliata stradale di Revegler (2) e Forte Danzolino (3).
1
2
3
6a DIVISIONE: 45° bersaglieri occupa Storo e Condino il 1 giugno 1915 BRIGATA TOSCANA
Bagolino , val Dorizzo
BRIGATA SICILIA Val Vestino e
Tremosine
Riprendiamo il discorso. Eravamo all’entrata in guerra dell’Italia e alla dichiarazione di guerra contro l’Austria Ungheria.
Alla mezzanotte del 24 maggio 1 9 1 5 i b e r s a g l i e r i d e l 4 5 ° Battaglione (poco più di 1000 uomini) entrarono in Valle del Chiese indisturbati.
Gli austriaci, infatti, si erano ritirati già il 20 maggio nella zona dei forti.
Il I° giugno Storo e Condino erano già occupati.
La Brigata Toscana e la Brigata Sicilia occuparono rispettivamente la cime sulla destra e la sinistra orografica del fiume Chiese.
Monte Melino
Monte Palone
Rispettivamente il 18 e 20 ottobre 1915 vennero conquistate dall’esercito italiano le cime del monte
Palone e del monte Melino. Queste furono le
due principali battaglie che rappresentarono la
massima avanzata dell’esercito italiano nelle
Giudicarie. Da quel momento in poi il fronte
rimase pressoché invariato. Per i successivi
tre anni fu una guerra di posizione. I vertici dell’esercito italiano preferirono concentrare gli sforzi bellici nella zona del Piave e dell’Isonzo dove
ci furono anche le maggiori perdite da
entrambe le parti.
Le principali battaglie
Settore austriaco
Settore Italiano
CHI C’ERA IN VALLE DEL CHIESE AL MOMENTO
DELL’ARRIVO DELL’ESERCIT O ITALIANO?
Quando l’Italia entra in guerra, la maggior parte degli uomini era già partita per il fronte (ricordate la
mobilitazione austriaca del 1914?). Molti di loro avevano già perso la vita.
Con l’avanzata italiana e l’esercito austroungarico posizionato ai Forti dello Sbarramento di Lardaro, la Valle del Chiese venne divisa in due dalle opposte linee difensive. La popolazione fu costretta ad
abbandonare le proprie case dietro ordine dei due eserciti.
Gli abitanti – donne, vecchi e bambini – lasciate le case, nascoste le poche cose di valore che non si potevano trasportare, raggiunsero le destinazioni assegnate e iniziarono un lungo periodo di esilio.
I PROFUGHI SFOLLATI DALL’ESERCITO AUSTROUNGARICO
I primi a partire furono i paesi di Cimego e Castel Condino che dovettero andare verso la Busa di Tione, la Val Rendena e le Giudicarie Esteriori.
Fra il mese di ottobre e dicembre del 1915, anche gli abitanti di Creto,
Strada, Agrone, Daone, Bersone, Praso, Por e Cologna dovettero lasciare le loro case e trovare rifugio nel Bleggio e nel Lomaso.
Verso la fine dell’anno furono evacuati anche Lardaro e Roncone che si spostarono principalmente verso la Val Rendena.
Bondo venne evacuato solamente nel giugno del 1918.
Condino e Brione furono, invece, fatti evacuare dall’esercito italiano. Gli abitanti di questi due paesi vennero trasferiti per la maggior parte in Piemonte.
Il dramma di aver dovuto lasciare la propria casa si unì al fatto di trovarsi in terra italiana e di
essere, quindi,
considerati come dei
“nemici”.
LA FINE DELLA GUERRA
Il 4 novembre 1918, il capo di Stato Maggiore Italiano, Armando Vittorio Diaz, rilasciò l’ultimo bollettino di guerra – il numero 1268 – che sanciva la vittoria dell’esercito
italiano su quello austro-ungarico. La firma dell’armistizio di Villa Giusti, il 3 novembre 1918, sancì la fine della I Guerra Mondiale per l’Italia;
la Prima guerra mondiale si concluse definitivamente l’11 novembre 1918 quando anche la Germania firmò l’armistizio imposto dagli Alleati;
i trattati di pace con l’Impero austro-ungarico furono firmati a Saint Germain-en-Laye il 10 settembre 1919. L’Italia ottenne il Trentino (provincia di Trento), l’Alto Adige
(provincia di Bolzano), la Venezia Giulia (province di Trieste e Gorizia), l’Istria
(provincia di Pola) e la sovranità su alcune città della Dalmazia (per es. Zara) ma non ottenne la città di Fiume;
di fatto l’Impero austro-ungarico scomparve e fu diviso in tanti stati.
Dopo il 4 novembre 1918, a guerra ultimata, molte famiglie
ritornarono
dall’evacuazione
forzata ai propri paesi natali. Tantissime case erano andate distrutte sotto i bombardamenti delle rispettive
artiglierie e così la gente non aveva né casa né lavoro.
Quello che vedete è il paese di Daone
distrutto dai
bombardamenti e dagli incendi.
I RECUPERANTI
Per ovviare alla mancanza di lavoro e per ricostruire i paesi, nacque così la «professione»
del recuperante di materiale ferroso che si trovava in enormi quantità lungo le linee dei due fronti. Purtroppo per imperizia o inesperienza morirono alcune persone. Molte altre rimasero mutilate o ferite a seguito dell’esplosione improvvisa di bombe, granate, proiettili che non erano scoppiati ed erano rimasti a terra, nei campi e nei paesi.
LA GRANDE GUERRA IN VALLE DEL CHIESE
Speriamo di avervi fatto conoscere qualcosa in più del nostro territorio. Vi aspettiamo al Museo o in uno dei tanti luoghi della Grande Guerra in Valle del Chiese!