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Pietro Monego Brevi note sugli incendi del passato in Val di Zoldo

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Academic year: 2022

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Pietro Monego

Brevi note

sugli incendi del passato in Val di Zoldo

Le testimonianze

di don Ernesto Ampezzan, Luigi Lazzarin e Sante Iral,

integrate con alcuni articoli di giornale e con vecchie foto (o documenti) delle

località in cui sono avvenuti

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Indice

1. 1753, Bragarezza Pag. 3

2. 1900, Forno di Zoldo Pag. 4

3. 1905, Cordelle e Calchera Pag. 6

4. 1908, Campo Pag. 8

5. 1911, Brusadaz Pag. 9

6. 1912, Colcerver Pag. 10

7. 1913, Coi Pag. 11

8. 1923 e 1933, Costa Pag. 12

9. 1925, Brusadaz Pag. 13

10. 1926, Zaccagnin Pag. 14

11. 1931, Pecol Pag. 15

12. 1931, Forno di Zoldo Pag. 18

13. 1932, Prà Pag. 19

14. 1932 e 1933, Casal Pag. 20

15. 1933, Soramaè Pag. 21

16. 1961, Pecol Pag. 22

Disegno di copertina: L’incendio di Forno di Zoldo del 12 maggio 1900. (Da una vecchia cartolina)

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Introduzione

Don Ernesto Ampezzan, Luigi Lazzarin e Sante Iral, tre dei principali cronachisti locali, nei loro scritti hanno accennato ai roghi di case e fienili che, con una certa regolarità, sono scoppiati nel passato tra i villaggi della Val di Zoldo.

Ecco, qui di seguito, le loro testimonianze, integrate con alcuni articoli di giornale e con vecchie foto (o documenti) delle località in cui sono avvenuti:

1). Bragarezza, 30 ottobre 1753

«La notte del 30 ottobre di quest’anno scoppiò a Bragarezza un incendio che arse in breve le abitazioni di una decina di famiglie. Ma le rimaste più sul lastrico furono la famiglia di Zan Batta Lazzarin e quella di Zan Batta Casal, ambedue con numerosa prole. L’arciprete Pier Paolo Pellegrini esortò dall’altare i fedeli a voler soccorrere generosamente queste due famiglie, assi- curandoli che il Signore ricompenserà la loro carità centuplicata.

La causa di questo incendio è che una donna di Tomboi, cognome Casal, andò in soffitta di nottetempo a prendere delle noci con la lume di pino detta rìscia e non badò di aver cura.

Di altri incendi anteriori nelle varie ville non si ha notizia certa. Marco Costantin, vecchio da Fomesighe, mi disse di aver udito dall’arciprete Marzari, al Vespero della vigilia dell’Epifania, che una volta quei da Fornesighe soffersero un incendio causa i pavaruoi che si sogliono fare in tal sera. Raccomandò ai ragazzi di farli lontani dalle case, onde non aver a deplorar un simil accidente. Questo incendio deve esser avvenuto a tempi remotissimi, poiché non si riscontrano tracce. Soruogn [Sorogno] pure sofferse da circa un secolo un incendio.

Dopo l’incendio a Bragarezza, con documento legale e volturato dal Capitanio e dal Podestà di Belluno, vietarono di più cuocer canape in vicinanza degli abitati e di trar archibugiate in tempo di nozze vicino alle case, di portar del fuoco fuori delle case, ordinando di tener ben netti i camini dei focolari, fornelli, lesivere o altro dove si fa fuoco. Ordinarono si eleggessero quattro uomini annualmente che ogni settimana visitassero le case, i camini, ecc.; che non facendo, che fossero puniti, e puniti pure coloro che non lasciassero entrare i detti uomini ad esercitare sì zelante ufficio. Questo si fece qui a Bragarezza. Il documento lo possedo io, e quello circa la raccomandazione al popolo dell’arciprete l’ha Silvio Serafini».1

L’abitato di Bragarezza nella mappa tratta da : https://mapire.eu/en/geoname/italy/veneto-3164604/2

1 Da “Note di storia zoldana nelle memorie di Luigi Lazzarin”, a cura di Floriano Pellegrini, Paolo e Silvano Zammatteo, edito dal Comune di Forno nel luglio del 2000 in collaborazione con il Centro culturale “Amicizia e Libertà” di Zoldo Alto, prg. 164.

2 Cos’è Mapire? Si tratta di una mappa dell’Europa fatta mediante un collage di mappe ottocentesche dell’Impero austro-ungarico. È stata realizzata dalla società ungherese Arcanum in collaborazione con gli Archivi di stato austriaci, ungheresi e croati e con una serie di istituzioni culturali.

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2). Forno di Zoldo, 12 maggio 1900

«Lì 22 maggio, (in realtà accadde il 12. NdR) un incendio arse il villaggio di Forno di qua dal gavo, che a stento rimasero le case di Ciori e di Locanda, poiché la Chiesa di San Francesco ch’è attaccata alla casa di Ciori, restò abbruciata e così pure il Palazzo della Ragione, ch’è attaccato alla casa di Locanda.

La causa è che alcuni ragazzi piccoli, volendo scaldare dei gattini appena nati erano nel fienile di Bodech, accesero del fieno e questo adagio covò il fuoco che dopo scoppiò. Io mi trovavo a scuola alla Pieve, di seconda classe, col maestro Camillo Zanolli. S’udirono suonare le campane e tosto si vide la colonna di fumo che si faceva sempre più grande.

Andammo a vedere ed aveva già quasi distrutto il fienile dove era scoppiato.

Don Giuseppe Belli, economo spirituale, telegrafò a Longarone per aver i pompieri, che non vennero se non il giorno dopo, quando era tutto inutile.

Questi i primi pompieri che si videro in Zoldo. Quegli scrisse il fatto sul libro dei nati di quell’anno, come lessi».3

https://images.app.goo.gl/67uayzFBGs2VC1Ey9

Gazzetta di Venezia del 14 maggio 1900

3 Da “Note di storia zoldana nelle memorie di Luigi Lazzarin”, op. cit. prg. 241

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5 Gazzetta di Venezia del 15 maggio 1900

Gazzetta di Venezia del 17 maggio 1900

Forno di Zoldo dopo l’incendio del 12 maggio 1900

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3). Cordelle e Calchera, nell’anno 1905

«La notte del sabato [...] un incendio distrusse completamente la villa di Cordelle, in Gòima.

In poche ore era ridotta un cumulo di macerie fumanti.

Era nella villa stessa un capitello, che rimase abbruciato e la campanella colata, ma restò incolume l’altare, sebbene fosse caduto il soffitto e già avesse cominciato ad ardere lo sgabello ed un angolo della tovaglia.

Ciò non perché qualcuno avesse posto mano, ché niuno poteva avvicinarsi, ed era in mezzo alle fiamme.

Il sabato dopo, alle ore ... di sera, un altro incendio scoppiava nella villa Calchera, distruggendo le case sopra la strada, mentre quelle di sotto, per l’abile ed energica opera di bravi uomini e del resto della popolazione, vennero salvate.

Il sabato successivo, però, un terzo incendio ardeva il resto del villaggio, cioè le case sotto la strada. La causa vera è ignota e varie sono le opinioni.

La gente non sapeva darsi l’idea chiara del motivo di questi casi ed era spaventata, perché non sapeva se c’era qualcuno che, invaso da spirito di barbarie, girava or qua or là coll’idea di incendiare i paesi.

Anche gli uomini più coraggiosi erano presi da paura e fecero fare dei bauli, in cui deporre le carte ed altri oggetti d’importanza, e li mettevano accanto al letto onde, al primo grido di “Al fuoco!” o al primo tocco della campana, potersi alzare e dare in salvo gli oggetti più importanti.

A ciò, alcuni andavano a letto vestiti, con accanto le scarpe da ferro, temendo venir scossi da un momento all’altro dal grido d’allarme.

Istituirono allora in Bragarezza e Fornesighe una ronda notturna, composta da quattro persone, due prima di mezzanotte e due dopo, con l’obbligo di girare tutte le vie del villaggio, osservando se si manifestasse fuoco da qualche parte e, se trovavano persone sospette, farle allontanare dal paese, vietare a chiunque di fumare nella villa, ecc.

La ronda, girando, doveva suonare una campanella, per assicurare gli abitanti che stava vigilando; certo si dormiva più tranquilli [se] la si sentiva passare.

Radunati tutti i capifamiglia neIla casa di Dante Bottecchia, discussero di ciò e, a voto unanime, compilarono e approvarono lo statuto, cioè le regole da tenersi e osservarsi scrupolosamente, sia da parte della ronda che degli abitanti; stabilirono un turno a sorte, cominciando dal civico numero 1.

L’usanza della ronda durò per quasi tre anni, poi venne smessa.

La campanella e il libretto dello statuto veniva dato, sera per sera, dalla ronda smontante a quella montante.

Quando decadde, andarono smarriti sia il libretto che la campanella. Era da conservare almeno lo statuto, per avere memoria di quella utile istituzione».4

«Il 4 luglio 1908, il vescovo di Belluno venne a far la visita pastorale in parrocchia e i capi della neocostituita società denominata “Corpo dei pompieri volontari” andarono da lui, in canonica, chiedendogli di autorizzare la benedizione della bandiera, in occasione della prevista inaugurazione.

Gli diedero una copia dello statuto, affinché avesse un’idea della società. Ma egli, letto lo statuto, non avendo riscontrato niente di male ma neppure scopi di beneficenza o di religione, non permise la benedizione.

La nuova società è utilissima. Il suo male è che i giovani, a causa dell’emigrazione, non

4 Da “Note di storia zoldana nelle memorie di Luigi Lazzarin”, op. cit. prg. 248.

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hanno permanenza stabile in paese e specialmente nell’estate non c’è nessuno.

Per questo non può essere florida e vitale come converrebbe.

Però esiste ancora e si spera che in avvenire possa prender miglior piega di adesso. Col mezzo di annuali tasse dei soci e il ricavato di alcune pesche di beneficenza, a tal uopo indette, raccolsero una bella somma di denaro e si formò un fondo di cassa; acquistarono una lunga scala doppia, vari altri attrezzi e indumenti personali da pompiere ed ora stanno trattando di comperare una pompa, oppure fare una vasca a deposito dell’acqua e costruire bocche da incendio.

Auguro che questa società abbia ad avere vita e sempre più forza, poiché è necessaria. I villaggi sono tutti vecchi e le case in gran parte di legno e sarà inevitabile finiscano tutte mediante incendi; se vi saranno perciò dei mezzi pronti e sufficienti per estinguere il fuoco, non si avranno a deplorare i danni che si potrebbero avere se mancassero.

E, poi, i giovani vengono addestrati a simili lavori con esercitazioni frequenti, sicché, accadendo qualche incendio, essendoci uomini pratici e attrezzi necessari, si potrà arrestare a tempo, impedendo al fuoco di prendere proporzioni vaste e di distruggere anche interi villaggi e di lasciare gli abitanti nello squallore della miseria».5

La borgata di Cordelle in Goima di Zoldo

5 Da “Note di storia zoldana nelle memorie di Luigi Lazzarin”, op. cit. prg. 250.

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4). Campo, 22 ottobre 1908

«Mercoledì 22 ottobre, alle ore 3 e mezza pomeridiane, un incendio scoppia nel villaggio di Campo, nel fienile del Florian Medego. Data la scarsezza d’acqua e l’arsura, il fuoco si propagò fulmineo e, se la gente chiamata dalla campana non fosse subito accorsa, avrebbe certo arso anche il resto, quando, sebbene a stento, venne salvato metà villaggio. Una ventina di famiglie restarono senza casa, ma molte di esse erano assicurate. Molte furono le offerte raccolte a beneficio degli incendiati, venute anche da lontani paesi». 6

Gazzetta di Venezia del 24.10.1908

Il villaggio di Campo in una vecchia foto

6 Da “Note di storia zoldana nelle memorie di Luigi Lazzarin”, op. cit. prg. 251

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5). Brusadaz, 11 settembre 1911

«ll giorno 11 settembre, alle ore quattro del mattino, incirca, un incendio scoppiava a Brusadaz ed in poco d’ora ardeva gran parte della villa, lasciando senza casa quattordici famiglie.

Mio padre che, per caso, si trovava a Forno, sentì dal carrettiere che portava la posta da Zoldo Alto che Brusadaz era bell’andato. Tosto fece prendere la pompa del Comune e, con quattro uomini che lavoravano di muro per la casa di Osvaldo Bodech, andò su.

Era una pompa come un schiz, si può dire, ma guai non fosse stata quella; il villaggio sarebbe interamente distrutto dalle fiamme, perché con le secchie non potevano andar vicini e, data distanza breve fra le case e più ancora che erano con soler e rame, poco occorreva che avessero preso fuoco, se non era la pompa che lavorava sempre quel punto per non far aver contatto del fuoco con la casa vicina.

La causa nessuno la sa, ma hanno dei sospetti, ma se non hanno prove più chiare e sicure,

“I suspet i pùel si petà sul cul”. Si sa che scoppiò nel fienile di Isidoro Zea e consorti e a quell’ora nessuno di loro era nel fienile. Larghi sussidi ebbero in denaro ed oggetti, da varie parti dei paesi».7

Gazzetta di Venezia del 12 settembre 1911

7 Da “Note di storia zoldana nelle memorie di Luigi Lazzarin”, op. cit. prg. 260.

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6). Colcerver, 27 ottobre 1912

«A Colcerver terribile incendio il 27 ottobre 1912. Il villaggio che mezzo secolo prima aveva più di 50 focolari, rimase semidistrutto, con 20 case bruciate, 200 persone senza tetto: i detriti dell’incendio portati dal vento arrivarono fino in Goima! Nella parrocchia di Pieve venne indetta una raccolta di aiuti per gli incendiati».8

Gazzetta di Venezia del 28 ottobre 1912

Colcerver

Da: La collezione «E. Lazzaris» di foto storiche della Val di Zoldo

in: http://baliatodaicoi.altervista.org/la-collezione-lazzaris-foto-storiche-della-val-zoldo/

8 Don E. AMPEZZAN, Storia zoldana, Belluno, 1985, pag. 86.

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7). Coi, 1913

«Nel 1913 bruciarono alcuni fienili di Coi».9

Il villaggio di Coi:

Archivio di Stato di Belluno, Censo stabile, Mappe I conservazione, Comune censuario 103, Fusine https://www.archiviodigitale.icar.beniculturali.it/it/185/ricerca/detail/247107#viewer

9 Sante Iral in una lettera allo scrivente.

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8). Costa, 1 agosto 1923 e 27 agosto 1936

«Il primo agosto 1923 il villaggio di Costa venne completamente incenerito: anche stando a Zoppé si scorgeva la colonna di fumo che saliva dal monte Punta».10

«Il 27 agosto 1936, di notte, scoppia un terribile incendio a Costa di Zoldo alto, con distruzione di 10 fienili e tre case, edifici che datavano dal 1923».11

Il paese di Costa distrutto dall’incendio del 1 agosto 1923 Da: https://mapio.net/pic/p-46612513/

I villaggi di Coi, Costa e Brusadaz

9). Brusadaz, 20 gennaio 1925

10 Don E. AMPEZZAN, Storia zoldana, Belluno, 1985, pag. 146.

11 Don E. AMPEZZAN, Storia zoldana, Belluno, 1985, pag. 146.

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«Il 21 ottobre arriva dalla Staulanza, accolto festosamente dalla popolazione, mons.

vescovo Giosuè Cattarossi: viene per benedire chiesa e campanile di Brusadaz, restaurati dopo il disastroso incendio del 20 gennaio 1925 che distrusse la parte vecchia risparmiata dall’incendio del 1911».12

Gazzetta di Venezia del 22 gennaio 1925

Da: https://mapio.net/pic/p-46612467/

10). Zaccagnin, ottobre 1926.

12 Don E. AMPEZZAN, Storia zoldana, Belluno, 1985, pag. 136.

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«Nel 1926 un incendio brucia il villaggio di Zaccagnin. La famiglia Iral “Colatoi”, che in quella località aveva un fienile andato distrutto dal fuoco, nel 1928 decide di ricostruire il fienile in località “du Ronch”, in quanto più comodo perché più vicino al tracciato della nuova strada comunale zoldana».13

Il villaggio di Zaccagnin:

Archivio di Stato di Belluno, Censo stabile, Mappe I conservazione, Comune censuario 101, Brusadaz https://www.archiviodigitale.icar.beniculturali.it/it/185/ricerca/detail/247107#viewer

11). Pecol, 9 e 10 ottobre 1931

13 S. IRAL, Cenni di storia di Iral, con alcune notizie sulle famiglie che vi hanno abitato (1328-2000), 2019, pag.

17.

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«Il 9 e 10 ottobre 1931 disastroso incendio a Pecol: dodici famiglie senza tetto e 350 mila lire di danni».14

Anno 1939 circa. Bortolo Rizzardini (a sinistra) e il prof. Antonio Balestra, a Pecol.

Sullo sfondo si vedono le rovine del fabbricato detto al Castél de Pécol, distrutto dall’incendio del 1931.

Foto tratta da : http://donfloriano.altervista.org/11-giugno-2019-d/

14 Don E. AMPEZZAN, Storia zoldana, Belluno, 1985, pag. 140.

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16 Foto di Pecol agli inizi del Novecento (Originale posseduto da Delia Cason)

da: http://donfloriano.altervista.org/11-giugno-2019-d/

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17 La Gazzetta di Venezia del 13 ottobre 1931

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12). Forno, 23 Novembre 1931

«Disastroso incendio a Forno, con case bruciate e fienili: ancora cinque famiglie sul lastrico, in un anno di grandi difficoltà economiche».15

Al centro la chiesa di S. Floriano; sotto l’abitato di Forno di Zoldo.

Da: I. Tagliavini, L’Italia fine Ottocento. Storia, costumi, tradizioni, Veneto, Trento, Friuli, Venezia giulia, Ristampa da «Le cento Città d’Italia» dell’Ed. E. Sonzogno, Bologna, Edizioni Edison, Ennio Pittureri Ed., p. 154.

Forno agli inizi del Novecento

15 Don E. AMPEZZAN, Storia zoldana, Belluno, 1985, pag. 141.

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13) Prà, 27 gennaio 1932

«Nella notte dal 27 al 28 gennaio scoppiò un incendio nel villaggio di Prà, che restò distrutto con le sue 23 abitazioni e sei fienili: oltre 600.000 lire di danni».16

Gazzetta di Venezia del 29 gennaio1932

Le case di Prà prima dell’incendio del 1932

16 Don E. AMPEZZAN, Storia zoldana, Belluno, 1985, pag. 141.

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14). Casal, 16 agosto 1932 e 5 marzo 1933

«Nella notte del 16 agosto 1932, in due punti distinti, spuntano due incendi simultanei nel villaggio di Casal di Forno di Zoldo: ardono due fienili e restano danneggiate alcune case».

«Incendio a Casal di due case e un fienile il 5 marzo 1933».17

Aspetti di vita in Zoldo nell’Ottocento.

Dalla mostra “Le barche dei Casal - Il capolavoro degli squeraroli di Zoldo a Venezia”. 13 Luglio - 27 ottobre 2019.

Fusine di Val di Zoldo. Piazza Angelini. Sala A. Rizzardini.

Riproduzione al vero degli affreschi ancora presenti nella casa veneziana dei Casal

17 Don E. AMPEZZAN, Storia zoldana, Belluno, 1985, pag. 142 e 143.

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15). Soramaè, 24 marzo 1933

«Incendio a Soramaè di un fienile il 24 marzo 1933».18

L’abitato di Soramaè nella mappa ottocentesca tratta da : https://maps.arcanum.com/en/map/europe-19century-thirdsurvey/?layers=

160%2C166&bbox=1345476.5587464492%2C5839248.354252988%2C1354438.800312886%2C5842544.7010977855

L’abitato di Soramaè

(Da: Archivio di Stato di Belluno > Censo stabile attivato di Belluno 1849-1956).19 https://www.archiviodigitale.icar.beniculturali.it/it/185/ricerca/detail/247113#viewer

18 Don E. AMPEZZAN, Storia zoldana, Belluno, 1985, pag. 143.

19 ASBL: «La documentazione del Censo stabile attivato (1849-1956), comunemente, ancorché impropriamente, denominato Catasto austro-italiano, è stata versata in buona parte dall'Ufficio tecnico erariale di Belluno nel 1988. Nel suo nucleo originario e omogeneo il fondo si riferisce a 66 comuni amministrativi (306 censuari) della provincia di Belluno. Si tratta della documentazione successiva all'attivazione del Censo stabile (1849) e relativa alla sua conservazione ad opera delle Amministrazioni catastali austriaca ed italiana, fino al 1956. Il fondo si compone di 315 registri catastali (catastini) e 1742 libri partita (partitari di prima e seconda serie, se presenti, poiché alcuni censuari presentano una serie unica di partitari, dal 1858 al 1953), per complessivi 2057 regg., di circa 15.498 fogli di mappa e di 624 repertori di mappa; è ordinato progressivamente con riferimento al numero del comune censuario)».

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16). Pecol, 28 settembre 196120

Dai diari di don Ermesto Ampezzan: «28 settembre: Alle ore una di notte, circa, mi sveglio sentendo un forte rumore e credendo trattarsi di un terremoto.

Poco dopo mi sento chiamare e, andando alla finestra, riconosco Giacomo Balestra detto Gal, che dice: “Brucia Pecol, occorre suonare le campane”.

Rispondo: “Chiamate Adolfo, il sagrestano”. Capita poi Primo Panciera e Fattor Pompeo, che mi pregano di dare le chiavi per suonare; discendo e, date le chiavi, sento suonare la campana mezzana. Uscito di casa, vedo in fondo alla valle, sotto il Coldai, una colonna rossa.

Vado in piazza, dove c’è movimento di macchine, e con De Marco Marco vado a Forno ad avvisare i carabinieri, avendo capito che il telefono non ha potuto funzionare per chiamare i pompieri. Ritorno verso Dont, dove pure si suona la campana.

Chiamo l’elettricista Coletti e, ritornato in piazza di Dont, invito due uomini a venire con noi. A Fusine si vedono alcuni che prendono pompe al magazzino.

Arrivato a Pecol Vecchio contemplo il rogo di parecchi fienili e parecchie case.

Per fortuna due pompe, quelle di Mareson, funzionano e con esse hanno potuto isolare e salvare altri fienili e altre case.

Arrivano intanto altre due pompe (una a mano e una a motore, quest’ultima mette una buona mezz’ora prima di gettare acqua) da Fusine, con esito poco giovevole, dato ormai l’avanzamento del fuoco.

Brucia il tetto e la porta della chiesetta, dalla quale furono estratte le suppellettili sacre;

per fortuna il volto della chiesa è in tufo e si salva, mentre il tetto del campanile e il castello delle campane è in combustione: sotto il getto dell’acqua una campana, quella piccola, si spacca.

Sento che lo scoppio è stato provocato da bombole di gaz (o da granate o tritolo?), che lo spostamento d’aria ha rotto i vetri delle case vicine e spalancato le porte chiuse a chiave (si è sentito fino a Costa!).

C’è chi lamenta che un idrante dietro la chiesa non abbia funzionato; se fosse stato funzionante, alcune case potevano essere preservate dalla distruzione.

C’è chi protesta altrimenti; una donna dice: “La roba come la viene la va”; uno *…+ dice:

“Voi sacerdoti non potete benedire!”, a cui rispondo: “Cos’hai da protestare?”, e soggiunge:

“Niente”. Una donna piange sul prato in faccia alla sua casa in fiamme; mi avvicino e mi racconta di essere stata svegliata da un’altra, *…+, e di aver cercato di salvare qualche cosa *…+, mentre un’altra persona le metteva in libertà la mucca.

La stessa continuando dice: “Ho appena questo vestito e queste scarpe; ho lavorato a far quel po’ di fieno da sola, con l’aiuto di una bambina; avevamo appena finito di preparare un po’

decorosamente la casa” e, mostrandomela, soggiunge: “Eccola, eccola che crolla!”.

Agli ultimi piani delle grande ed alta casa dei Piva Tabarri si vede il fuoco in piena attività;

la donna commenta: “C’erano tante cose in quella casa: credenze, letti, istrumenti di mestiere”.

Cerco di confortarla con la speranza dell’aiuto per riparare il danno.

Ritorno poi a Fusine, per celebrare la santa Messa e partire per Belluno, per correggere le bozze [del bollettino]. A Belluno, vado in episcopio per visitare il vescovo e, sentendo che è a Feltre, gli telefono in episcopio (da dove mi risponde la sorella di mons. Cassol) e a San Vittore, e mi dicono che è appena partito per Zoldo, dove è scoppiato un incendio: pago 500 lire. Corrette le bozze, torno in Zoldo, dove trovo che Romeo Lazzaris e Attilio Monego hanno preparato la piattaforma per introdurre in gabina, su carrello con rulli, la caldaia. Alla sera tre uomini l’hanno introdotta, finalmente in gabina, senza farsi del male: sia ringraziato il Cielo!

20 Cfr. Corriere della Sera, edizione del 29 settembre 1961, “Distrutto un villaggio da un furioso incendio”.

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Il sagrestano è rimasto a Pecol, a far da pompiere. In piazza di Fusine ci sono faville spente, portate dal vento, da Pecol».21

Vecchi tabià di Pecol

Da: Club alpino italiano, Rivista mensile, vol. LXXXI, Torino, 1963. Foto di P. Solero.

21 I DIARI (1928-1984) DI DON ERNESTO AMPEZZAN, parte 010, Fusine di Zoldo, 1961: settembre [IX, pp. 135- 150], in: Comunicati dal libero maso de i Coi, n. 620, a cura del Segretariato Pellegrini da Zoldo, I Coi, venerdì 13 luglio 2012.

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