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Crisi e valorizzazione delle risorse: il caso Area 24 spa

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

Strategia, Management e Controllo

Tesi di Laurea

“Crisi e valorizzazione delle risorse: il caso Area 24 S.p.A.”

Relatore: Prof. Luca Nannini

Candidata: Ilaria Di Santo

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A Francesco che meritava di raggiungere questo traguardo quanto me.

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INDICE

INTRODUZIONE ... 7

CAPITOLO 1: CRISI D’IMPRESA ... 9

1.1DEFINIZIONE DI CRISI ... 10

1.2 STADI EVOLUTIVI DELLA CRISI ... 13

1.3LE CAUSE DELLA CRISI ... 19

1.4 SINTOMI DI ALLERTA ... 29

CAPITOLO 2: LA CONTINUITÀ AZIENDALE ... 34

2.1 APPROCCIO STRATEGICO NEL TURNAROUND... 35

2.2 LE RISORSE DISTINTIVE POTENZIALI ESISTENTI ... 37

2.3 RISTRUTTURAZIONE ORGANIZZATIVA ... 42

2.4 LA MANOVRA FINANZIARIA ... 47

2.5 NATURA E OBIETTIVI DEL PIANO DI RISANAMENTO ... 51

2.6 PRINCIPI GENERALI E PROCESSO DI ELABORAZIONE DEL PIANO.... 53

2.7 L’ACTION PLAN ... 60

2.8 LE PROCEDURE IN CONTINUITÀ: il piano di risanamento ai sensi dell’art. 182-bis, l.f. ... 63

2.9 LE CRITICITÀ DEI PIANI PREVISTI DALL’art. 182-bis DELLA LEGGE FALLIMENTARE ... 68

CAPITOLO 3: GLI ATTORI COINVOLTI NELLA GESTIONE

DELLA CRISI ... 71

3.1 IL TURNAROUND MANAGER ... 72

3.2 I CONSULENTI D’IMPRESA ... 75

3.3 GLI ADVISOR ... 78

3.4 L’ATTESTATORE... 84

3.5 GLI ORGANI DEL FALLIMENTO ... 91

CAPITOLO 4: CASO DI STUDIO AREA 24 S.P.A ... 95

PREMESSA ... 96

4.1 LA DESCRIZIONE DELLA SOCIETÀ ... 96

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4.1.2 LA COMPAGINE SOCIETARIA ... 99

4.1.3 L’ORGANIZZAZIONE PREGRESSA E ATTUALE ... 100

4.1.4 LA CRONISTORIA DEI PRINCIPALI AVVENIMENTI SOCIETARI DEGLI ULTIMI ANNI RILEVANTI AI FINI DEL PIANO ... 100

4.1.5 LE PRINCIPALI CAUSE DELLA CRISI ... 101

4.1.6 LA DESCRIZIONE DELLO STATO DI CRISI E I RELATIVI SINTOMI ... 102

4.1.7 LE STRATEGIE APPLICATE ... 103

4.1.8 LA CONTROLLATA PARK 24 S.r.l ... 105

4.2 IL PROTOCOLLO D’INTESA ... 108

4.2.1 ESTENSIONE DELLA PISTA ... 111

4.3 LA STRATEGIA GENERALE DI RISANAMENTO E RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO... 112

4.3.1 ANALISI DEL SETTORE/MERCATO ... 112

4.3.2 L’IDENTIFICAZIONE DELLE IPOTESI STRATEGICHE ... 115

4.3.3 L’IDENTIFICAZIONE DELLA STRATEGIA DI RISANAMENTO ... 117

4.3.4 LA FOCALIZZAZIONE ... 121

4.4 LA STRATEGIA DI RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO ... 122

4.4.1 LA MANOVRA FINANZIARIA ... 122

4.5 IL PIANO ECONOMICO-FINANZIARIO ... 126

4.5.1 IL CONTENUTO E LA FORMA DEL CONTO ECONOMICO PREVISIONALE RELATIVO ALLA’AZIENDA ... 126

4.6 L’ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI DI CUI ALL’ART.182-bis l.f.. ... 129

4.6.1 LA DATA DI RIFERIMENTO DELLA RISTRUTTURAZIONE .. 131

4.6.2 LA RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO VS. IL CETO BANCARIO ... 131

4.6.3 IL PROSPETTO TEMPORALE ... 132

4.6.4 IL FABBISOGNO FINANZIARIO PER IL PAGAMENTO DELLE SPESE ... 133

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4.6.5 IL FABBISOGNO FINANZIARIO PER IL PAGAMENTO DEI CREDITORI ADERENTI (NON IPOTECARI) ENTRO IL TERMINE

PREVISTO DAI RISPETTIVI ACCORDI ... 133

Conclusioni ... 135

Bibliografia ... 138

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INTRODUZIONE

Nella realtà economica, la vita di un’azienda è costantemente caratterizzata dall’alternarsi di fasi positive e negative ed è per questo, che la crisi rappresenta un momento quasi costitutivo della vita dell’impresa e bisogna tenerne conto quasi come di un dato permanente. Quando parliamo di crisi, facciamo riferimento a contesti negativi duraturi che possono incidere negativamente sulla capacità di mantenere un equilibrio economico a valere nel tempo e conseguentemente incidere negativamente sugli stakeholder. Negli ultimi anni, si sente parlare molto più spesso di crisi e uno dei motivi principali sicuramente è la complessità e la turbolenza che sempre di più stanno caratterizzando i contesti economici di riferimento. Si è assistito al passaggio da ambienti relativamente stabili, caratterizzati da pochi e lenti cambiamenti di rilevanza strategica, ad ambienti dinamici, ricchi di cambiamenti che pur evolvendosi con tendenziale rapidità si caratterizzano per le dinamiche tendenzialmente prevedibili, fino ad arrivare ad ambienti turbolenti, di cui l’imprevedibile mutevolezza delle condizioni di riferimento e l’incertezza rappresentano le variabili maggiormente qualificanti. Il presente elaborato si pone l’obiettivo di analizzare la crisi aziendale partendo da un primo capitolo in cui viene inquadrato dal punto di vista dottrinale questo fenomeno e che si concentra sulla definizione del concetto di crisi, sugli stadi su cui si propaga una crisi, sulle principali cause che possono scatenarla e sui sintomi di allerta, individuati i quali, è possibile anticiparla. Il passo successivo è la descrizione dei percorsi possibili da intraprendere per anticipare ovvero la gestione e la risoluzione di una crisi. Questo fenomeno, sempre più grave e ricorrente, ha indotto il Legislatore ad operare una vera e propria evoluzione della disciplina fallimentare per cercare di anticipare gli strumenti di prevenzione attraverso l’introduzione di elementi di analisi dei sintomi. Nel secondo capitolo infatti, oltre a descrivere la natura, i principi generali, il processo di elaborazione e gli obiettivi di un piano di risanamento, verranno evidenziati alcuni dei più recenti istituti messi a disposizione dal Legislatore stesso per promuovere la continuità aziendale. In particolare, sarà trattato il piano di risanamento ai sensi dell’art. 182-bis, l.f. e le criticità dei piani previsti dallo stesso articolo. Il terzo capitolo si sofferma sulle figure che sono coinvolte nella gestione della crisi e sugli organi del fallimento nominati dal Tribunale. L’ultima parte dell’elaborato è dedicata al caso Area 24 S.p.A., una società nata con l’intento di acquisire in proprietà, affidamento, e/o concessione le aree e gli immobili

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dismessi dalla ex ferrovia del ponente ligure nella tratta Ospedaletti-San Lorenzo al mare e con lo scopo di promuovere, pianificare e realizzare interventi di trasformazione urbana, il miglioramento ambientale, la valorizzazione delle aree dismesse e la gestione della pista ciclo-pedonale. Si tratta di una società mista a maggioranza che, con un ruolo istituzionale, garantisce la regia programmatoria degli interventi da parte di Regione Liguria, occupandosi del coordinamento e dell’attuazione degli interventi, pubblici e privati, relativi al riuso dei sedimi e degli immobili dell’ex ferrovia attraversa i comuni di San Lorenzo al Mare, Costarainera, Cipressa, Santo Stefano al Mare, Riva Ligure, Arma Taggia, Sanremo e Ospedaletti. Area 24 S.p.A. è oggetto del nostro studio in quanto, oggi, vive in uno stato di crisi che però non esclude del tutto la continuità aziendale a particolari condizioni e nel rispetto di impegni, che oggi sono ancora in via di definizione. In ragione della procedura ancora in corso, il caso sarà trattato garantendo la tutela della riservatezza e dei dati attraverso l’utilizzo, in alcuni casi, dell’anonimato e facendo sempre attenzione a non divulgare informazioni di dettaglio.

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CAPITOLO 1: CRISI D’IMPRESA

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1.1 DEFINIZIONE DI CRISI

“La crisi è la manifestazione di una grave disfunzionalità operativa dovuta alla carenza di valori ed idee, alla squilibrata o asistematica combinazione degli elementi del governo quali imprenditorialità e managerialità e alla carenza di managerialità che si esprime nella difficoltà di conferire contenuti operativi alle idee imprenditoriali.”1

È quel fenomeno, ormai divenuto ricorrente, che si collega al dinamismo e all’instabilità dell’ambiente e si verifica quando un’impresa subisce una durevole perdita di valore economico del capitale, riduce la sua attitudine a generare reddito e di conseguenza, la sua capacità di sopravvivere. Nella realtà economica, la vita di un’azienda è costantemente caratterizzata dall’alternarsi di fasi positive e negative ed è per questo, che la crisi rappresenta un momento quasi costitutivo della vita dell’impresa e bisogna tenerne conto come di un dato permanente.2 Il dinamismo in aumento che caratterizza l’ambiente economico, fa del management delle aziende un ruolo sempre più difficile da ricoprire e questo comporta il verificarsi ineludibile di momenti di criticità. “La dialettica dell’azienda con l’ambiente si esprime in modo tutt’altro che scontato, tant’è che al sistema aziendale corrisponde in modo ineluttabile uno speculare sistema di rischi, proprio a sottolineare che ogni idea, ogni decisione ed ogni azione racchiude in sé l’eventualità dell’errore, cioè la possibilità di danneggiare anziché consolidare le prospettive di economicità dell’azienda. Il sistema dei rischi d’azienda trae origine dalla discrasia che connota i cambiamenti dell’ambiente rispetto a quelli dell’azienda stessa.”3

Negli ultimi anni, si sente parlare molto più spesso di

1 Stefano Garzella, “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse’”. Una “visione” strategica per il risanamento, G.Giappichelli Editore, Torino 2005, pag.74.

2 Luigi Guatri,“Crisi e risanamento delle imprese”, Giuffrè Editore, Milano 1986. 3

Stefano Garzella, “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse’”. Una “visione” strategica per il risanamento, G.Giappichelli Editore, Torino 2005, pag. 8 e segg.

Sulla definizione di rischio, sul carattere sistemico e sulla sua correlazione al sistema delle decisioni scrive Bertini: “la rappresentazione dei fenomeni in sede di formulazione di programmi nasce, pertanto, nella piena consapevolezza di errare; l’ipotesi che ne deriva, fondandosi su di una ‘possibilità di errore’, è cioè destinata a discostarsi dagli andamenti reali della vita aziendale. Tale possibilità di scostamento tra ipotesi e realtà costituisce il fondamento della problematica del rischio aziendale”. U. BERTINI, Introduzione allo studio dei

rischi in Economia Aziendale, Milano, Giuffrè, 1987 (prima versione: Pisa, Cursi, 1969, pag.5). Nello stesso

senso afferma Giannessi: “poiché ogni funzione è sempre generatrice di rischi, al sistema delle funzioni si contrappone il sistema dei rischi. Nella coordinazione dinamica tra il sistema delle funzioni e il sistema dei rischi si concreta l’essenza della vita aziendale”. E. GIANNESSI, Appunti, op. cit., 1979,pag.90 e segg. Per Dezzani il rischio è “l’eventualità di un andamento sfavorevole nel verificarsi degli accadimenti futuri”. F. DEZZANI, Rischi e politiche d’impresa, Milano, Giuffrè, 1971, pag.17. Ancora sul rischio in azienda, Cavalieri scrive: “ il rischio economico si può ritenere un fondamentale quanto ineliminabile caratteristica dell’attività d’impresa che si svolge in condizione di incertezza derivante dalla non sufficiente conoscenza del

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crisi e uno dei motivi principali sicuramente è la complessità di cui si veste oggi il mercato. “Si è assistito al passaggio da ambienti relativamente stabili, caratterizzati da pochi e relativamente lenti cambiamenti di rilevanza strategica, ad ambienti dinamici, ricchi di cambiamenti che pur evolvendosi con tendenziale rapidità si caratterizzano per le dinamiche tendenzialmente prevedibili, fino ad arrivare ad ambienti turbolenti, di cui l’imprevedibile mutevolezza delle condizioni di riferimento e l’incertezza rappresentano le variabili maggiormente qualificanti. Di fronte alla complessità ambientale l’azienda può adottare un atteggiamento passivo, reattivo o anticipativo, ponendosi, in quest’ultimo caso, essa stessa come fattore propulsivo del cambiamento.”4 Inoltre, la crisi non si manifesta sempre in modo evidente e questo può diminuire le possibilità dell’impresa di intervenire con tempestività. Finalità di ogni impresa è quella di rinnovarsi nel tempo e quando tale finalità non è raggiunta, emergono segnali che aprono le porte alla crisi. Quest’ultima rappresenta “un fenomeno interfunzionale ad azione progressiva e con capacità di crescita direttamente proporzionata al grado di sistematicità della combinazione produttiva”(Bertini, 1995, p.97; Coda, 1988,2002)5

.“Una situazione pervasiva che interessa l’intero sistema d’azienda e che tende a comprometterne l’esistenza. In una situazione di crisi non è rilevante risolvere uno specifico problema o rimuovere una causa altrettanto specifica, quanto individuare risorse strategicamente rilevanti all’interno della combinazione produttiva e su quelle costruire un nuovo modo di fare azienda ripensando completamente il business.”6

L’azienda finirà inevitabilmente per ammalarsi. Il punto di futuro manifestarsi delle vicende d’impresa e d’ambiente”. E. CAVALIERI, Variabilità e strutture d’impresa, Padova, Cedam 1995, pag. 16-17. La proiezione nel tempo futuro è tanto più aleatoria quanto più variabile è l’ambiente e difficilmente prevedibili appaiono la direzione e l’entità del cambiamento. L’accentuazione della varietà e della variabilità ambientale offusca l’osservazione dei futuri andamenti, riduce lo stato di conoscenza ed è la causa prima dell’innalzamento del grado di rischio”. CAVALIERI, in E. CAVALIERI-F. RANALLI,

Economia aziendale, op. cit., vol.II, pag.230 e segg. Nello stesso senso Sassi: “Anche nel campo delle

imprese, infatti, il rischio sorge a causa di una incompletezza del nostro grado di conoscenza, costituisce anzi un elemento indissolubilmente legato a questo, e muta di continuo al variare delle nostre possibilità revisionali sul futuro, pur senza appieno scomparire”. S. SASSI, Il sistema dei rischi d’impresa, Milano, Vallardi, 1940, pag.11.

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Stefano Garzella, “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse’”. Una “visione” strategica per il risanamento, G. Giappichelli Editore, Torino 2005, pag.7.

5 Michele Galeotti- Stefano Garzella, “Governo strategico dell’azienda”, prefazione del Prof. Umberto Bertini. G.GIAPPICHELLI EDITORE-TORINO,2013.

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Stefano Garzella, “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse’”. Una “visione” strategica per il risanamento, G. Giappichelli Editore, Torino 2005, pag.60. A questo proposito si può riprendere l’analogia con l’automobile già proposta da Autori più illustri che hanno affermato che, un’azienda in crisi può essere rappresentata come un’auto che, dopo aver girato per troppo tempo con il freno a mano tirato si trova con la frizione ed il motore “bruciati”, le gomme consumate, gli stessi freni fuori uso. In una

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riferimento per tenere sotto controllo la salute della propria azienda è l’equilibrio economico a valere nel tempo che è condizione essenziale di funzionamento dell’impresa anche se, possono esistere le cosiddette “crisi senza colpe” indotte da fenomeni generali incontrollabili e che prescindono dai comportamenti individuali7. L’equilibrio economico è la capacità dell’impresa di generare nel tempo ricavi che siano in grado di coprire i costi sostenuti e questo equilibrio, deve essere tale da consentire la remunerazione di tutti i fattori produttivi impiegati, la conservazione e l’incremento nel tempo del capitale impiegato. Spesso si parla anche di crisi finanziaria ma in realtà, salvo alcune eccezioni, le crisi sono dovute principalmente a motivazioni strategiche che si riflettono sulla finanza aziendale. In ogni caso, è giusto discernere i fatti economici da quelli finanziari soprattutto se si vuole avviare un’azione di risanamento. La crisi viene vista come il momento conclusivo di un ciclo gestionale che ha raggiunto risultati negativi. In realtà si tratta di un concetto molto più ampio ed evolutivo che fa riferimento non solo ai momenti caratterizzati dall’ottenimento di risultati economici negativi ma, a tutte le volte che vengono raggiunti risultati inferiori rispetto a quelli medi del settore e dunque, tutte le volte che si genera una frattura nel rapporto tra l’impresa e l’ambiente. Si tratta di un momento critico che invita l’azienda a ridisegnare la propria strategia e conseguentemente il suo rapporto con l’ambiente. Infatti, un’azienda che vuole raggiungere un equilibrio economico a valere nel tempo deve necessariamente rivedere la sua strategia per generare un cambiamento continuo, confrontando costantemente l’adeguatezza e la istintività delle proprie risorse rispetto alle minacce e alle opportunità offerte dall’ambiente. Quando parliamo di crisi facciamo riferimento ad importanti riduzioni della competitività che determinano perdite economiche, con conseguenti forti squilibri nei flussi finanziari, incapacità di ricorrere al credito per perdita di fiducia, fino ad arrivare, salvo adozioni di piani di turnaround, all’insolvenza ovvero alla incapacità di far fronte regolarmente ai pagamenti in scadenza e di conseguenza al dissesto o squilibrio patrimoniale definitivo. “La crisi costituisce un grave stato patologico dell’azienda, tale da poterne compromettere

tale situazione non serve più togliere il freno a mano, occorre pensare ad un’auto nuova. Così quando la crisi riflette una patologia che investe l’azienda nella sua complessità la ricerca e la comprensione delle cause della crisi potrà eventualmente essere utile al fine di non commettere errori analoghi in futuro, ma non potrà certo assicurare un futuro. Per quello serve un nuovo modo di fare azienda, una strategia di risanamento.

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la stessa sopravvivenza e da richiedere impegnativi interventi risanatori”.8

Tuttavia, la crisi può trasformarsi anche in un’opportunità per l’imprenditore capace di sfruttare una situazione di difficoltà a proprio vantaggio e può anche rappresentare un momento di ripensamento complessivo della propria azienda. Si dice infatti, che la crisi nasconde dentro di sé il principio del successo e le radici del fallimento. Un imprenditore è anche colui che sa cogliere il meglio dalle situazioni peggiori e fare di un principio di crisi, l’inizio del successo.

1.2 STADI EVOLUTIVI DELLA CRISI

Dal ragionamento sin qui fatto, emerge chiaramente l’importanza delle tempistiche in queste situazioni difficili che fanno parte della vita di un’impresa. Quanto più si ritarda l’intervento, tanto più si rischia di rendere la situazione irreversibile. “La tempestività nel cogliere i segnali della crisi diviene quindi un requisito indispensabile per la sua soluzione. Il grado di sistematicità, che si pone come uno dei principali fattori di successo, può trasformarsi rapidamente in un’aggravante ed un acceleratore delle situazioni di crisi.”9

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Stefano Garzella, “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse”’, una “visione” strategica per il risanamento. G.Giappichelli Editore, Torino- 2005. Pag. 65 e segg. Si vuole così circoscrivere- prosegue Bastia- il fenomeno delle crisi aziendali , per tenerlo separato dalle situazioni temporanee che, nel corso della vita dell’impresa, per l’esaurirsi dei cicli di sviluppo, si avvicendano a fasi di benessere e di successo. Il sopraggiungere di momentanei o comunque non prolungati intervalli di calo delle prestazioni dell’impresa può essere considerato fisiologico e ricorrente, specie se si attivano adeguati sistemi di controllo e permangono in tutta la loro efficacia le energie manageriali e imprenditoriali dei momenti migliori. Al contrario, le crisi aziendali producono alterazioni dello stato di equilibrio così forti, da essere ritenuti veri e propri ‘stati morbosi’”. P.BASTIA, Pianificazione e controllo, op. cit., pag. 11. Così Bertoli: “La crisi, propriamente intesa, è dunque la fase conclamata, ed esteriormente apparente, del declino, cioè a dire la continuazione di una traiettoria negativa delle vicende dell’impresa in cui l’aggravamento degli squilibri economici e finanziari è pienamente percepito all’esterno: il deficit finanziario della gestione viene aggravato dalla perdita di fiducia da parte del mercato, la situazione d’insolvenza è generalmente irrimediabile senza consistenti interventi di ristrutturazione industriale e finanziaria”. G. BERTOLI, Crisi

d’impresa, ristrutturazione e ritorno al valore, Milano, Egea, 2000, pag. 15. Nello stesso senso Sciarelli: “la

crisi è classificata come un fatto del tutto eccezionale, che dipende dal degrado generale dell’impresa e che, solitamente, si lega ad un complesso di cause”. S.SCIARELLI, La crisi d’impresa: il percorso gestionale di

risanamento delle piccole e medie imprese, Padova, Cedam, 1995, pag.22. Per un esame approfondito della

letteratura sulla materia si veda A. TEDESCHI TOSCHI, Crisi d’impresa tra sistema e management per un

approccio allo studio delle crisi aziendali, Milano, Egea, 1993.

9 Stefano Garzella, ”Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse’”, una “visione” strategica per il risanamento. G.Giappichelli Editore-Torino,2005, pag. 66 e segg. L’urgenza e la progressività sono infatti caratteri tipici delle situazioni di crisi aziendale. Scrive Vergara: “Le crisi nascono da un processo di sviluppo delle disfunzioni al quale non ci si è saputo , o potuto, opporre, o delle quali, più semplicemente, non ci si è accorti per tempo”. C. VERGARA, Disfunzioni e crisi d’impresa, op. cit., pag.57. nello stesso

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“Il livello di evoluzione del processo degenerativo è funzione dell’intensità dei legami tra i vari elementi costituenti il sistema e la capacità di risposta del sistema stesso. Un livello alto di intensità tra gli elementi e una bassa capacità di risposta producono un grado di diffusione del processo degenerativo elevato. Viceversa un’alta capacità di risposta e una bassa interdipendenza tra gli elementi generano un livello di diffusione del processo degenerativo basso.”10 Da qui l’importanza del fattore temporale, “diventa importante comprendere i tempi che occorrono ad una relazione di coerenza per trasformarsi in una disfunzione. L’evoluzione temporale del processo degenerativo deriverà dall’integrazione dei tempi di degenerazione di ogni singolo rapporto di coerenza.”11 Gli strumenti di prevenzione della crisi ancora poco diffusi rappresentano sistemi necessari che permettono di intervenire quando le difficoltà stanno emergendo, mentre per molte aziende le azioni iniziano quando l’effetto deflagrante della stessa è già in atto. In questo senso anche il legislatore con la recente modifica normativa che ha interessato la normativa fallimentare (non a caso definita oggi Codice della crisi12) ha incentrato molto gli interventi “premianti” sull’introduzione di strumenti di allerta attraverso l’introduzione di indicatori che consentano di diagnosticare precocemente la crisi. È fondamentale conoscere il modo in cui si evolve la crisi, gli stadi in cui essa si dispiega per poter iniziare a definire i sintomi che caratterizzano la “malattia”. Secondo quanto affermato dal Guatri, essa si sviluppa essenzialmente su quattro stadi: in principio, emergono sintomi di squilibrio e di inefficienza che possono essere di origine interna o esterna (1° stadio). Nel momento in cui queste condizioni continuano ad esistere possono portare alla produzione di perdite di diversa importanza (2° stadio). Questa fase che non migliora ma al contrario, si ripete nel tempo incrementando il peso quantitativo e qualitativo di tali perdite, spinge la crisi verso il 3° stadio, caratterizzato dall’insolvenza o incapacità di adempiere agli impegni assunti. Il

senso anche Sciarelli sottolinea i caratteri in questione:” La crisi è dunque avvertita come un fatto globale, sviluppatosi con il progressivo degrado delle condizioni interne ed esterne di gestione”. E ancora, prosegue l’Autore: “ci si trova al cospetto di una situazione diffusa e latente, che si rivela manifestamente quando è giunta in fase acuta e che esige interventi immediati di carattere straordinario”. S.SCIARELLI, La crisi

d’impresa, op.cit., pag.7.

10 Riccardo Passeri, “Il Governo della Crisi d’impresa nelle operazioni straordinarie”, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Economia, Dipartimento di Scienze Aziendali. Firenze,2005. Pag.25.

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Riccardo Passeri, “Il Governo della Crisi d’impresa nelle operazioni straordinarie”, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Economia, Dipartimento di Scienze Aziendali. Firenze,2005. Pag. 25.

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4° e ultimo stadio è quello del dissesto inteso come incapacità permanente dell’attivo di far fronte al passivo.

È indubbio che il rimedio è maggiormente efficace quanto più lo stadio in cui si agisce è precedente a quello finale. In particolare, diventa utile e faticoso percepirne l’origine e dunque, gli squilibri e le inefficienze iniziali. Una crisi affrontata al primo stadio, quando ancora non ha provocato gravi perdite economiche, è più facilmente recuperabile. Nella seconda fase, quella delle perdite, si erodono gradualmente le risorse aziendali. La manifestazione sostanziale è l’erosione della liquidità, l’appesantimento dei debiti, la riduzione delle risorse destinate a funzioni essenziali, l’impossibilità di distribuire dividendi, e così via. In questo stadio, l’arresto della crisi è sicuramente più difficile. La manifestazione conclamata della crisi è l’insolvenza che si ha quando essa smette di essere solo una preoccupazione interna e genera una serie di effetti soprattutto esterni che vanno dall’incapacità di fronteggiare le scadenze alla perdita di fiducia e di credito, dallo

SQUILIBRI/INEFFICIENZE

PERDITE ECONOMICHE

INSOLVENZA

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sfaldamento della struttura organizzativa alla perdita progressiva della clientela13. È a questo punto che appare sempre meno possibile porre rimedio attraverso un efficace piano di turnaround in quanto, aumenta anche la profondità dell’intervento necessario che finisce per interessare la struttura del capitale e il management. Oltre l’insolvenza si cela il dissesto che è una condizione permanente ed irreversibile di squilibrio patrimoniale che comporta il venir meno dell’unitarietà aziendale. In questi casi non è impossibile risanare l’azienda ma deve esserci la disponibilità dei creditori a cancellare parte dei loro crediti per permettere il ricorso a procedure concorsuali. “La crisi d’impresa, pur acuendosi spesso rapidamente e degenerando in modo repentino, sovente si sviluppa attraverso fasi che investono un periodo di tempo, seppur relativamente, più lungo. La crisi evolve da una fase latente o potenziale verso una fase acuta, potremo dire “conclamata”, passando attraverso una fase di sviluppo. È chiaro che il carattere impellente degli interventi si accresce man mano che ci si avvicina al momento acuto della crisi.”14

“Tuttavia, è altrettanto facile comprendere che proprio la proiezione verso il futuro e la capacità di percepire i segnali deboli consentono all’azienda di anticipare lo sviluppo della crisi e realizzare il processo di risanamento con minor affanno. Se il soggetto economico15

13

Luigi Guatri, “Crisi e risanamento delle imprese”, Giuffrè Editore, Milano 1986. 14

Stefano Garzella, “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse’, una “visione”

strategica per il risanamento.” G.GIAPPICHELLI EDITORE-TORINO, 2005. Pag.69 e segg. Scrive

Paolone: “All’origine della crisi vi sono situazioni di squilibrio e di inefficienza, a volte latenti, di origine interna o esterna, la cui individuazione avviene assai spesso con ritardo, quando già se ne manifestano gli effetti. Spesso si assiste alla tendenza, da parte del management a negare il problema o a ricercare la causa di fenomeni contingenti(es. fluttuazioni di mercato) o a sottovalutarlo, intervenendo in maniera sporadica o circoscritta”. G. PAOLONE, La cessazione dell’azienda, Torino, Giappichelli, pag.4. Guatri, da parte sua, individua a proposito vari stadi nello sviluppo della crisi- squilibri/ inefficienze, perdite economiche, insolvenza, dissesto- e propone altrettante tipologie di interventi. In particolare con riferimento agli ultimi due stadi afferma che la crisi “cessa di essere solo un fatto interno all’azienda, più o meno noto, e genera una serie di effetti palesi; che vanno dall’incapacità a fronteggiare le scadenze alla perdita di fiducia e di credito, dallo sfaldamento della struttura organizzativa alla perdita progressiva della clientela…In ogni caso sono necessari, per tentare il salvataggio, interventi profondi, che investano innanzitutto la struttura del capitale ed il management. …Chi ha vissuto esperienze di crisi aziendale- prosegue- sa quanto pericoloso e deprecabile sia qualsiasi ritardo nell’intervento …Interventi tardivi sono non di rado all’origine di dissesti aziendali che altrimenti sarebbero stati scongiurati”. L GUATRI, Crisi e risanamento delle imprese, Milano, Giuffrè, pag.12 e segg. Hahn al riguardo parla di “crisi potenziale, latente, acuta controllabile e acuta non controllabile”. D.HAHN, I sistemi di Pianificazione aziendale per anticipare e gestire la crisi d’impresa, in F.CORNO (a cura di), Prevenzione e terapia, op.cit.,pag.81 e segg.

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Soggetto economico: colui nell’interesse del quale si svolge l’attività d’impresa. “Il soggetto economico che esercita il controllo sull’azienda è la persona o il gruppo di persone nel cui prevalente interesse l’azienda è di fatto amministrata”. G.ZAPPA, Le produzioni nell’economia delle aziende, Milano, Giuffrè, 1957, tomo I, pag.86. Per Caramiello “il soggetto economico è la persona che, in effetti , esercita il potere decisionale nello svolgimento dell’attività aziendale”. C. CARAMIELLO, L’azienda; Milano, Giuffrè, pag.55 e segg. Per Giannessi il “soggetto economico è la figura per conto della quale l’attività aziendale si svolge; su di esso

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riesce a percepire la situazione di pericolo per tempo, non avrà la necessità di gestire la fase conclamata della crisi, bensì dovrà pensare ad un modo diverso per progettare lo sviluppo”.16

o Il primo stadio le cui manifestazioni sono quelle di squilibri e inefficienze, è anche detto di incubazione;

o Il secondo, il quale si manifesta con perdite da un punto di vista reddituale e con perdite di valore del capitale, è anche detto di maturazione;

o Il terzo è lo stadio delle gravi ripercussioni: sui flussi finanziari, sulla capacità di credito e sulla affidabilità dell’impresa. Le manifestazioni sono: carenza di cassa, la perdita del credito e di fiducia, perdita rilevante o totale del valore del capitale, rischio di sopravvivenza;

o Il quarto è anche definito come stadio che si ripercuote sugli stakeholders dell’impresa: l’insolvenza e il dissesto sono le manifestazioni più probabili.

grava la responsabilità del successo o dell’insuccesso dell’azienda; ad esso compete l’ottenimento di un compenso proporzionale ai risultati raggiunti o il sostenimento di una determinata perdita. Il soggetto economico non è soltanto colui che investe il capitale esponendolo al rischio di perdita, ma anche quello che dà vita alla coordinazione aziendale, ne determina le linee operative fondamentali e ne subisce le conseguenze”. L’Autore, peraltro, abbracciando la linea dei portatori di interessi istituzionali ritiene di dover includere nell’area del soggetto economico anche il capitale di risparmio e scrive: “Taluni autori ritengono che nelle formazioni societarie il soggetto economico sia costituito dalla ‘maggioranza’, cioè dal gruppo di soci che domina l’assemblea e ne trae i maggiori benefici. Malgrado che il gruppo di maggioranza determini di fatto le vie fondamentali della gestione societaria, il soggetto economico è costituito dall’intera assemblea e non dalla maggioranza… se è vero che nelle formazioni societarie la condotta dell’azienda è determinata dalla maggioranza , è anche vero che le persone o i gruppi di persone che costituiscono la minoranza avallano tale condotta e ne assumono la piena responsabilità economica. … i risultati – prosegue- riguardano tutti i soci… indipendentemente dal fatto che facciano parte della maggioranza o della minoranza”. E. GIANNESSI,

Appunti, op. cit., pag. 71 e segg. Anche Masini abbraccia l’approccio degli “interessi istituzionali”, dando

peraltro a tale locuzione un significato più ampio ed estendendo l’area del soggetto economico anche ai lavoratori e in generale alle ‘persone fisiche’ coinvolte istituzionalmente. Il soggetto economico, scrive, “è l’insieme delle persone fisiche nell’interesse delle quali l’istituto è posto in essere e governato”. C. MASINI,

Lavoro e risparmio, op. cit.

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Stefano Garzella, “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse’, una “visione”

strategica per il risanamento”, G.Giappichelli Editore, 2005. Pag.70 e segg. Guatri con riferimento ai

“segnali della crisi” scrive: “il problema organizzativo vero, a questo punto, è la capacità di percepire tali segnali. Se i segnali sono tempestivamente percepiti e ben interpretati, si dischiude la possibilità di evitare il declino e la crisi… se esistono i messi e le capacità , il declino in incubazione può essere affrontato prima che si manifesti e può così essere evitato”. L. GUATRI, Turnaround, op. cit.,pag.91.

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Gli stadi della crisi aziendale

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Quando parliamo di insolvenza ci riferiamo all’incapacità dell’azienda di adempiere le obbligazioni e di onorare i pagamenti in scadenza. Questa situazione si propaga in tutto il sistema e si genera una condizione tale che, qualsiasi intervento risulta non efficiente e il

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Riccardo Passeri, “Il governo della crisi d’impresa nelle operazioni straordinarie”, Università degli studi di Firenze, Facoltà di Economia, Dipartimento di scienze aziendali. Firenze, 2005. Pag.30.

Incubazione 1°Stadio 2°Stadio 3°Stadio 4°Stadio Declino Crisi Momenti essenziali del processo di deterioramento Manifestazioni Maturazione Perdite economiche - di R - di W Decadenza/Squilibri Carenze di cassa Perdite di credito e di fiducia Perdita rilevante o totale di w Rischio di sopravvivenza Gravi ripercussioni

sui flussi finanziari e sulla fiducia

Conseguenze sugli

stakeholder Insolvenza

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successo tramuta in un obiettivo lontano. Per rispondere in modo intelligente, bisogna intervenire radicalmente sulla struttura del capitale e sul management. L’insolvenza può essere o temporanea o definitiva. Essa può essere definita temporanea quando lo squilibrio finanziario sia attenuato dalla permanenza di un residuo equilibrio patrimoniale dell’azienda, cioè un capitale netto positivo e dalla presenza di prospettive economiche favorevoli, anche a seguito di interventi di ristrutturazione e di rilancio. La permanenza di un capitale netto positivo indica, secondo molte opinioni, che l’impresa è ancora capace di far fronte autonomamente ad un tentativo di recupero, mettendo a rischio il rimanente capitale, senza però gravare sui creditori. La presenza di prospettive economiche favorevoli, anche a seguito di interventi di ristrutturazione e di rilancio vuol dire due cose: che se non c’è recupero dell’equilibrio economico è da escludere la possibilità di recupero dell’equilibrio finanziario e, l’attesa di un equilibrio economico è un elemento necessario per affermare l’esistenza in futuro di un valore positivo del capitale netto. Quando invece, l’insolvenza non è rimediabile, diventa definitiva. Siamo nella fase del dissesto in cui i creditori hanno la certezza che i loro crediti sono in parte già perduti, e che ogni tentativo di salvataggio o di risanamento dell’azienda è compiuto a loro rischio e a loro spese. “Il declino può essere collegato ad una performance negativa in termini di variazione del valore di capitale economico in un determinato arco di tempo. Da ciò si deduce che un’impresa è in declino quando perde valore nel tempo”18

. Ciò insegna a non escludere mai l’eventualità della crisi, a non sottovalutare la portata degli squilibri o dei risultati negativi e inferiori rispetto a quelli minimi richiesti, a non avere timore di adottare misure che appaiono dolorose se idonee ma più di tutto, a non rimandare a domani. Numerosi sono i casi in cui il ritardo è stato la causa principale della fine. Quello stesso intervento, se fosse stato apportato prima, avrebbe dato risultati più efficaci19.

1.3 LE CAUSE DELLA CRISI

Per fronteggiare la crisi, un primo passo è cercare di comprendere le cause che l’hanno scatenata. Capire la crisi può avere rilevanza per non compiere in futuro gli stessi errori del passato, mentre nel risanamento fondato sulla valorizzazione di potenzialità inespresse, non

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Riccardo Passeri, “Il governo della crisi d’impresa nelle operazioni straordinarie”, Università degli studi di Firenze, Facoltà di Economia, Dipartimento di scienze aziendali. Firenze,2005. Pag. 28.

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è l’obiettivo rimuovere le cause quanto piuttosto rivedere profondamente la formula imprenditoriale. “Il fenomeno del rischio in economia aziendale può essere osservato sotto due dimensioni tra di loro collegate ed interagenti: una dimensione soggettiva, riconducibile alle limitate capacità predittive dell’uomo ed una oggettiva da ricondursi al continuo variare della realtà ambientale. Nel rapporto con l’ambiente l’azienda costruisce le sue condizioni di sopravvivenza e di sviluppo, ma allo stesso tempo trovano origine situazioni di pericolo che finiscono per minacciarne la stessa vita.”20

Diviene pertanto opportuno soffermarsi sui concetti di imprenditorialità e managerialità e comprenderne bene la differenza in quanto queste rappresentano attitudini da cui non si può prescindere nel sistema umano aziendale. Sotto il nome di imprenditorialità sono raccolte le capacità dell’impresa di guardare al futuro per cogliere nuove opportunità di sviluppo. Essa promuove un atteggiamento propenso all’innovazione e al cambiamento. La peculiarità di questa attitudine è rappresentata dall’accettazione del rischio d’impresa. Onida scrive “il capo d’azienda deve avere iniziativa, fantasia e coraggio nel rischio, ma insieme anche avvedutezza e solido buon senso.”21

La managerialità raccoglie nel suo concetto le qualità tecnico-organizzative che consentono di garantire l’armonia della combinazione produttiva con le intuizioni imprenditoriali. “essa si manifesta nella capacità di sviluppare in modo sinergico ed armonico le forze ed i fattori di natura interna ed esterna al fine di consentire all’azienda di pervenire a posizioni di eccellenza.”22

Non di rado però, le peculiarità della

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Stefano Garzella, “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse’”. Una “visione” strategica per il risanamento. G.Giappichelli Editore-Torino,2005, pag.14 e segg. Scrive Ferrero : “ L’ambiente in cui opera l’impresa dovrebbe dunque definirsi con riferimento al sistema di condizioni e circostanze, di diritto o di fatto, qualunque sia la loro specie ed origine, nel cui ambito l’impresa stessa trova condizioni di vita, di sopravvivenza e di sviluppo”. G.FERRERO, Impresa, op.cit., pagg.125-126. Normann al riguardo afferma: “Le imprese interagiscono con i loro ambienti e le condizioni della loro sopravvivenza e del loro successo si trovano nella realizzazione di un equilibrio favorevole delle loro relazioni con il mondo circostante”. R.NORMANN, Le condizioni di sviluppo dell’impresa, Milano, Etas, 1993 (I ed.1979), pag.37. L’ambiente con il suo incessante rinnovarsi, mentre offre possibilità di espansione e di sviluppo, è, al tempo stesso, causa di pericolo per le diverse aziende che operano in esso. … La vita dell’azienda risulta dunque dominata da fenomeni in gran parte sconosciuti. Contribuiscono a determinare tale stato di ‘non conoscenza’ due ordini di fattori: le limitate capacità intellettive e conoscitive dell’uomo; l’estremo dinamismo della vita economica e il rapporto di coordinazione che lega saldamente le operazioni aziendali le une alle altre”. U.BERTINI, Introduzione, op.cit.,1983, pag.6 e segg.

21

P.ONIDA, L’azienda. Primi principi di gestione e organizzazione, Milano, Giuffrè, 1954, pag. 271 e segg. 22

Stefano Garzella, “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse’”. Una “visione” strategica per il risanamento. G.Giappichelli Editore-Torino,2005, pag.29 e segg. Studiando i caratteri ed i compiti principali del management, Drucker, sottolinea l’importanza “di rendere efficaci tutte le risorse di cui dispone – soprattutto le risorse umane- e neutralizzare i punti deboli dell’organizzazione. … Ciò richiede che il manager crei equilibrio ed armonia fra le principali funzioni dell’impresa: dirigere l’attività, dirigere i

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managerialità sono individuabili tra quelle proprie dell’imprenditorialità e viceversa. Esse tendono a confondersi e “resta comunque forte la convinzione che proprio al combinarsi di imprenditorialità e managerialità e dal loro distribuirsi nelle varie aree del sistema umano derivi quel sistema di ‘idee dominanti’ o ‘idee guida’ che rendono l’azienda speciale ed unica.”23

La crisi però, può essere anche la conseguenza di fenomeni e di forze che non sono sotto il controllo degli uomini d’impresa. È sufficiente pensare ai fenomeni esterni all’impresa, che pure possono contribuire con peso notevole a generare la crisi: la diminuzione della domanda globale di un prodotto o di una categoria di prodotti, il rincaro di alcuni fattori produttivi, l’effetto della concorrenza sui prezzi di vendita24

. È per questo, che si preferisce risalire alle cause della crisi mettendo in atto uno studio che segua un percorso di tipo obiettivo. Possiamo distinguere cinque tipi fondamentali di crisi, in funzione delle cause che le provocano:

o la crisi da inefficienza;

o la crisi da sovraccapacità/rigidità;

lavoratori ed il lavoro e dirigere l’impresa nella comunità e nella società”. P.DRUCKER, Manuale di

Management, Milano, Etas, 1978, pag.428. Nello stesso senso afferma Bertini: “in un sistema che si delinea

in ordine alla struttura e al funzionamento dell’azienda, la dinamica dei flussi che contraddistinguono il processo produttivo, il bilanciamento degli stessi in ordine alla revisione della capacità operativa del sistema medesimo, la determinazione dell’equilibrio economico sono il risultato dell’attività intellettuale dell’uomo orientata verso gli obiettivi dell’azienda. Questa ‘entità’ … è oggi espressa dal management. Il management è dunque l’intelligenza direttiva, il cervello della combinazione aziendale. … Il management può essere considerato il fattore determinante del sistema d’azienda”. U.BERTINI, Il sistema d’azienda, op.cit., pag.11 e segg.

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Stefano Garzella, “Il sistema d’azienda e la valorizzazione delle ‘potenzialità inespresse’”. Una “visione” strategica per il risanamento. G.Giappichelli Editore-Torino,2005, pag.31. “Gli elementi incorporanti nel sistema delle idee sono costituiti da idee, più o meno consce sul ruolo e sui compiti dell’impresa, sulla struttura organizzativa che ne favorisce l’efficienza, sui vari tipi di ‘obiettivi’ più o meno formalizzati; ed ancora idee su ciò che costituisce un efficiente stile di direzione , sulla motivazione del singolo e così via. Non tutte le idee incluse nel sistema delle idee dell’impresa avranno un’influenza decisiva sul modo in cui questa opera e si sviluppa. Al contrario, la maggior parte delle imprese è caratterizzata da una continua ‘lotta’ su quali idee dovrebbero guidare la loro attività. In seguito mi riferirò alle vincitrici di tale battaglia come alle idee dominanti dell’impresa”. R.NORMANN, Le condizioni di sviluppo dell’impresa, op. cit. (I ed. 1977),pag.29. Nello stesso senso Bertini afferma: “ Il soggetto economico è infatti presente sia sul piano delle idee imprenditoriali che su quello delle idee manageriali. Il suo ruolo preminente si manifesta mediante ‘idee guida’ prevalentemente di tipo imprenditoriale, che influenzano l’intero processo di formazione ed elaborazione delle idee. Queste idee guida attraversano dall’alto verso il basso l’intero sistema delle idee, accompagnando ogni processo, dalla fase ricognitiva e intuitiva a quella della realizzazione, fino alla presa finale delle decisioni; hanno anche una fondamentale funzione di indirizzo e di stimolo su tutto il sistema umano in quanto suscettive di definire, mediante il loro apporto al sistema delle decisioni, e quindi a quello delle operazioni, le linee di sviluppo dell’azienda”. U.BERTINI, Scritti, op.cit.,pag.18.

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22 o la crisi da decadimento dei prodotti;

o la crisi da carenza di programmazione/innovazione; o la crisi da squilibrio finanziario.

Con questo non stiamo dicendo che si debbano sottovalutare le cause soggettive. Anzi, è importante che ad esse sia data la giusta rilevanza e che si individuino le linee guida per escluderne il presentarsi.

o Parliamo di crisi di inefficienza quando uno o più settori dell’attività aziendale producono rendimenti non in linea con quelli dei concorrenti. L’area particolarmente interessata da questo problema è senza alcun dubbio quella produttiva. Sono innumerevoli le ragioni da cui possono dipendere dei costi superiori a quelli dei concorrenti: la disponibilità di fattori produttivi in tutto od in parte obsoleti, l’esuberanza, la scarsa capacità o lo scarso impegno della manodopera, l’utilizzo di tecnologie non aggiornate, il layout errato degli impianti. Per studiare l’efficienza di un’impresa risulta necessario il confronto con imprese concorrenti. Ragion per cui, è necessario disporre di attendibili informazioni cosa che, purtroppo, non sempre è semplice ottenere e spesso induce ad agire su informazioni approssimate o parziali. È facile intuire che informazioni approssimate ostacolano la capacità di cogliere dislivelli di efficienza. Lo stato di inefficienza non riguarda solo l’area produttiva, ma può colpire anche altre aree funzionali di attività. Per esempio, l’inefficacia delle azioni poste in essere dalla funzione commerciale, che comunque è una conseguenza della mancanza di riposizionamento strategico a monte, determina spesso uno squilibrio tra le varie categorie di costi commerciali ed i risultati da questi generati. Ad esempio se le azioni di penetrazione commerciale non sono adeguate, la pubblicità inefficace, i suoi costi portano a risultati inadeguati (in termini di volumi di vendita, di sostegno dei prezzi, di diffusione della conoscenza del prodotto); in misura non inferiore nell’area del marketing ritroviamo alcune tra le più gravi cause di inefficienza. L’esperienza ricorda casi conosciuti di aziende coinvolte da errate campagne pubblicitarie in gravi sprechi di costi, con conseguenze distruttive sul loro equilibrio economico; e di aziende che hanno subito

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altrettanto gravi conseguenze per la disorganizzazione della rete di vendita. Anche nel settore amministrativo si presentano situazioni di inefficienza dovute ad eccessi di burocratizzazione, cioè procedure amministrative troppo laboriose e complesse, che producono costi sproporzionati rispetto ai risultati: gravi mancanze del sistema informativo, che non consentono di disporre tempestivamente dei dati indispensabili per la conduzione dell’azienda. Nelle aziende in difficoltà, come l’esperienza insegna, è più difficile programmare. Condizione tipica che vivono le aziende in difficoltà è la lotta quotidiana per il superamento di ostacoli immediati e per il raggiungimento di contingenti e limitati obiettivi di sopravvivenza. Alla luce di ciò, non è difficile dedurre quanto scarsa sia la possibilità di guardare al futuro, per preparare con il necessario anticipo le decisioni di più ampio respiro. L’impresa in difficoltà dovrebbe avere un’ottica duale: ovvero fronteggiare le difficoltà del breve periodo senza tuttavia ignorare la pianificazione di lungo periodo sottostante al riposizionamento strategico. Altre mancanze frequentemente rilevabili riguardano tutto ciò che rientra nella definizione dei compiti e delle responsabilità, alla determinazione dei risultati conseguiti dai singoli o da determinati gruppi, al collegamento tra risultati ed incentivi. Capita che sia lo stesso disegno organizzativo globale dell’azienda o del gruppo a determinare disfunzioni ed inefficienze. Nell’ambito dell’attività finanziaria, le condizioni di inefficienza sono rivelate sostanzialmente dal più elevato costo, rispetto alla concorrenza ed alla generalità delle aziende, dei mezzi a disposizione. È bene distinguere in modo netto le due fondamentali concause che possono essere all’origine di tale fenomeno: la debolezza contrattuale dell’azienda e l’incapacità degli addetti alla funzione finanziaria.

o La crisi da sovraccapacità/rigidità è una naturale conseguenza di quelle situazioni che sono caratterizzate da un eccesso di capacità produttiva rispetto all’impossibilità di sostenere nel breve periodo i costi fissi che ne derivano. Tra questi costi fissi trovano spazio i costi delle immobilizzazioni tecniche, della struttura aziendale e della manodopera. In genere sono quattro le situazioni che un’azienda può trovarsi a vivere: riduzione della domanda con conseguente diminuzione dei ricavi; riduzione

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della domanda che comporta la perdita di quote di mercato (in questo caso il fenomeno riguarda esclusivamente l’azienda di riferimento e non l’intero settore); ricavi inferiori agli investimenti realizzati; aumento dei costi non compensati da variazioni dei prezzi soggetti a controlli pubblici. In realtà, la crisi si sviluppa solo se, alla sensibile dimensione della domanda si associa l’incapacità dell’azienda di essere altrettanto flessibile e adattare i propri costi al mutato livello dei ricavi. Il processo di adattamento della struttura organizzativa e finanziaria rappresenta il momento maggiormente creativo per permettere un adeguamento dei costi fissi alle mutate condizioni: spesso questo può accelerare la crisi. I più rilevanti problemi di adattamento dei costi, in presenza di riduzioni dell’attività produttiva, attengono senza dubbio alla mano d’opera e più in generale al personale. È in quest’area che, molte volte, si sono decise le sorti dell’azienda. Il problema esige necessariamente un approccio complesso: esso presenta infatti componenti non solo economiche, ma anche sociali e politiche. La riduzione dell’occupazione, infatti, determina sempre problemi sociali, riguardanti i lavoratori interessati ai provvedimenti; e talvolta, specie in presenza di aziende di notevoli dimensioni od in aree depresse, pone anche problemi di natura politica. Come si è detto, dall’ottenimento di risultati complessivamente positivi dipende, per l’azienda, la possibilità di fronteggiare in modo efficace la caduta della domanda. In caso contrario, elevato è il rischio che ci si avvii verso fasi di perdita e di crisi. In più di un’occasione dell’esperienza del nostro Paese, il mancato raggiungimento di idonee intese sull’adattamento del costo del personale ha aperto le porte a crisi irreversibili, che hanno portato le aziende al dissesto. Non in tutti i Paesi, peraltro, le difficoltà di adattamento sono così rilevanti. Le diverse condizioni economiche e sociali rendono, in alcuni Paesi, agevoli i processi di adattamento del personale ed escludono con ciò il massimo rischio di generazione di crisi da rigidità indotte dalla riduzione del volume della domanda. L’unica possibilità di evitare la crisi è un efficiente monitoraggio dei costi, ma ciò si propone in un ambiente spesso mal disposto ad ammettere l’ineluttabilità di dolorosi interventi riduttivi della occupazione. La situazione descritta ha perciò, molto spesso, come sbocco ineluttabile il dissesto, dopo essere passata attraverso periodi di più o meno pesanti perdite. Un altro tipo di crisi da

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rigidità è legata, come si è detto allo sviluppo dei ricavi inferiore alle attese, a fronte di investimenti fissi precostituiti per maggiori dimensioni. Anche in questo caso gli impianti presentano una condizione di sovraccapacità per l’azienda, non necessariamente collegata peraltro a problemi di sovra-capacità settoriale. La situazione in discorso si può tradurre in uno dei seguenti casi: mancato od insufficiente aumento delle quote di mercato rispetto alle attese. Dato un certo previsto sviluppo della domanda globale (o la sua stazionarietà), l’azienda ha formato nuove capacità produttive ipotizzando un definito incremento della propria quota di mercato. La reazione delle altre aziende, l’insufficienza dei mezzi di penetrazione adottati od altre cause provocano invece il fallimento del programma; errata previsione di sviluppo della domanda globale, a parità di quote di mercato. una volta formatosi l’eccesso di capacità, non rimane all’azienda considerata che: attendere il tempo necessario affinché il naturale sviluppo della domanda riassorba l’eccesso di capacità, subendo pro-tempore le perdite connesse alla situazione; oppure, tentare politiche di mercato aggressive, intese al miglioramento a breve termine della quota di mercato. La scelta nasce dal confronto tra le perdite attese nel primo caso, i costi ed i rischi legati ai comportamenti assunti nel secondo caso. Quando sia scelta la strada dell’attesa, vengono come al solito innescati i meccanismi atti a consentire l’adattamento dei costi fissi. Nell’ipotesi in esame i problemi sono, per lo più, limitati all’adattamento di quelli generati dagli impianti. Di minore rilievo sono, di solito, i problemi di adattamento dei costi fissi di struttura e dei costi del personale. Ciò in quanto, l’eccesso di capacità produttiva creato in relazione a previste attese di sviluppo del mercato (cioè della quota di mercato o della domanda globale) non necessariamente si accompagna ad ampliamenti della struttura e dell’organico dei lavoratori. Motivi di prudenza consigliano le aziende interessate di attendere l’effettivo concretarsi degli sviluppi attesi prima di adeguare strutture e personale ai fabbisogni previsti. Un ultimo tipo di crisi da rigidità trae origine dall’aumento dei costi, non controbilanciato da corrispondenti variazioni dei prezzi, soggetti a controllo pubblico. Il fenomeno è caratteristico dei periodi d’inflazione, quando i costi muovono velocemente al rialzo, mentre l’adattamento dei prezzi avviene con ritardo e talora parzialmente. In questo caso la rigidità è

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insita nel metodo di adattamento dei prezzi o nei suoi modi di applicazione. Talvolta, pur in presenza di criteri razionali e capaci di assicurare il pieno adattamento dei prezzi ai costi, si manifestano difficoltà burocratiche od ostacoli di tipo politico generatori di lentezze e di ritardi, che lasciano anche per lunghi tempi le aziende in condizioni di difficoltà. Queste difficoltà, tuttavia, bene raramente vengono spinte al punto di generare fenomeni di crisi, se non per aziende marginali (nelle quali sono presenti anche ragioni di inefficienza). Di solito le autorità preposte al controllo dei prezzi intervengono prima che le difficoltà provocate si trasformino in diffuse crisi del settore. Gli interventi, tuttavia, non sempre evitano periodi i pesanti perdite per le aziende interessate o per la maggior parte di esse.

o Le crisi da decadimento dei prodotti è una situazione che si vive quando il consumatore non trova più attraente il prodotto, è rimasto deluso per una qualche ragione e non ritiene più giusto dare fiducia all’azienda. Questo comporta una perdita delle quote di mercato e una riduzione dei margini positivi tra prezzi e costi al di sotto del limite necessario per la copertura dei costi fissi o comuni e per assicurare una sufficiente misura di utile. L’assenza di utili e la mancata copertura, anche parziale, dei costi fissi o comuni trascina l’azienda nelle fasi preliminari della crisi: manifesta dapprima motivi di squilibrio; e successivamente provoca perdite. Le cause di tale fenomeno possono essere ricondotte alla perdita di competitività del prodotto, all’ingresso nel mercato di concorrenti esteri più competitivi e al raggiungimento delle fasi di maturità o declino del ciclo di vita del prodotto.

o Le crisi da carenze di programmazione/innovazione: l’incapacità a programmare va intesa in senso sostanziale, come incapacità di adattare le condizioni di svolgimento della gestione ai mutamenti ambientali, o se vogliamo di studiare e prevenire il mutamento e dunque predisporre programmi per affrontare il futuro. Le aziende che vivono questo problema, sono quelle incapaci di proiettarsi nel medio lungo termine e che si preoccupano solo del raggiungimento degli obiettivi a breve termine. La conseguenza è un progressivo peggioramento delle capacità di reddito e quindi della capacità di resistere sul mercato alle inevitabili fasi di generale difficoltà. Le

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aziende in questione appaiono spesso inette a stabilire precisi obiettivi alla propria azione ed a verificare la compatibilità dei mezzi disponibili cogli obiettivi. Ne deriva che spesso non palesano un chiaro indirizzo di gestione, od operano per raggiungere obiettivi impossibili, o comunque chiaramente sproporzionati rispetto ai mezzi di cui dispongono. Questa condotta casuale è foriera, a lungo andare, di risultati economici negativi; o almeno lo è in molte situazioni. La carenza di programmazione significa spesso anche incapacità di coinvolgere il management ed il personale in genere nello svolgimento della gestione. La formazione di programmi e l’individuazione di chiari obiettivi è infatti strumento che sollecita la partecipazione degli individui, che può creare tensioni morali in grado di rendere massima la partecipazione dei singoli allo sforzo comune. Al contrario, la carenza, la contraddittorietà o l’incertezza degli obiettivi e l’indeterminatezza riguardante le vie per il loro raggiungimento provocano reazioni negative: il management ed il personale non si sentono interessati all’azione in corso di svolgimento, alla quale partecipano spesso con scarso impegno e senza speranza di ottenerne vantaggi. Pressoché tutte le aziende colpite da serie difficoltà o dissestate palesano gravi carenze nella loro programmazione, nel senso che quasi mai presentano programmi razionalmente definiti ed appropriatamente gestiti. Sarebbe però superficiale l’affermazione che vedesse nelle carenze di programmazione la causa di gran parte delle crisi aziendali. Non si può infatti dimenticare che vale anche la relazione opposta, cioè che lo stato di difficoltà rende problematica o impossibile qualsiasi programmazione. In effetti, è ben noto come le aziende in gravi difficoltà siano spesso costrette a vivere alla giornata, a superare di volta in volta gli ostacoli che si presentano sul loro cammino e che si rinnovano continuamente. Altro rilevante fattore di crisi è la carenza di innovazione. L’impresa ben difficilmente si mantiene nel tempo produttiva di positivi risultati senza frequenti iniezioni di nuove idee, che si traducono nell’individuazione di nuovi prodotti, di nuovi mercati, di nuovi modi di produrre, di nuovi modi di presentare e diffondere prodotti, di accrescere la lealtà dei clienti, e così via. In generale, ciò significa la capacità di studiare nuove opportunità e di ricercare nuove e più valide combinazioni. I più significativi successi di singoli imprenditori sono strettamente legati alla fertilità di idee e di

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conseguenti iniziative; così come gli insuccessi dipendono anche dalla mancanza di idee: abbiamo così visto aziende un tempo valide avviarsi, per mancanza di nuove iniziative, ad un graduale tramonto.

o Le crisi da squilibrio finanziario/ patrimoniale: con questa espressione si allude a situazioni caratterizzate dai seguenti eventi (o da alcuni di essi): grave carenza di mezzi propri (a titolo di capitale) e corrispondente netta prevalenza di mezzi a titolo di debito; netta prevalenza di debiti a breve termine rispetto alle altre categorie di indebitamento; squilibri tra investimenti duraturi e mezzi finanziari stabilmente disponibili; insufficienza od inesistenza di riserve di liquidità; scarsa o nulla capacità dell’azienda a contrattare le condizioni del credito, data la necessità di disporne ad ogni costo; nei casi più gravi: difficoltà a seguire ed affrontare le scadenze e conseguente ritardo di alcune categorie di pagamenti (fornitori, rate di prestiti, contributi previdenziali; fino al caso-limite delle retribuzioni ai dipendenti). Lo squilibrio finanziario è, senza dubbio, generatore di perdite economiche. A causa dell’ingente indebitamento e del suo elevato costo, si verifica una crescita degli oneri finanziari che esplode in conseguenti perdite economiche. Non bisogna però tralasciare che un’azienda possa risultare indebolita anche dalle cause sopra elencate. Lo squilibrio finanziario può essere infatti, il frutto di inefficienze, rigidità, decadimento dei prodotti e carenze di programmazione e innovazione. Lo squilibrio finanziario spesso porta con se un altro tipo di squilibrio che è quello patrimoniale. Questo consiste nella scarsità di mezzi vincolati all’azienda a titolo di capitale e di riserve. Un’azienda con scarsi mezzi propri, a parità di altre condizioni, è sicuramente più esposta al rischio di crisi; questo dipende dal fatto che si trova in una situazione in cui sono poche le risorse a disposizione per colmare le perdite generate25. Succede così, che aziende con problemi dal punto di vista patrimoniale passano, in modo rapido dallo stadio delle perdite a quello dell’insolvenza e del dissesto.26

25

Al contrario un’azienda ampiamente dotata di capitale e di riserve può assorbire senza troppe difficoltà anche perdite ingenti senza correre il rischio di turbare il necessario equilibrio tra attività e passività.

26 Il riferimento a tal proposito è ai quattro stadi del modello proposto da L.Guatri che sono stati precedentemente trattati.

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29 Tuttavia, deve essere “sfatata”27

la leggenda che riconduce agli squilibri finanziari la vera ragione delle crisi aziendali; le vere cause sono quelle minano giorno dopo giorno l’azienda e che la indeboliscono sul piano finanziario. Il più delle volte la responsabilità della crisi, ricade sul management o sull’imprenditore oppure ancora, da altre cause di tipo obiettivo. I problemi analizzati trovano soluzione nella capacità di risolvere i problemi impellenti, di prevedere i sintomi della crisi e di predisporre nel contempo le basi di una nuova e florida situazione per il domani. A tal proposito è interessante il concetto di ottica duale che incarna la necessità di muoversi avendo contemporaneamente “un occhio al presente e uno al futuro”.28

1.4 SINTOMI DI ALLERTA

Per evitare il diffondersi della crisi è importante mostrarsi in grado di individuarne tempestivamente i sintomi di allerta. Nella prima fase delle crisi aziendali si pongono le premesse per gli sviluppi successivi del fenomeno: sorgono cioè le ragioni delle future difficoltà. Ma mentre le fasi centrali e finali hanno manifestazioni evidenti, e talvolta clamorose, le prime sono appena accennate, o di equivoca interpretazione; e non di rado, perciò, difficili da individuare. Ciò dicasi sia per chi esamina la vicenda all’interno dell’azienda, sia, ed a maggior ragione, per chi la esamina dall’esterno. L’individuazione immediata dei fattori causali è poco agevole, tali fattori non si mostrano apertamente ma si nascondono dietro una serie di disarmonie che non manifestano subito il loro impatto sull’organismo produttivo.29

La ricerca e l’individuazione dei sintomi di crisi dall’esterno rispondono invece all’esigenza, tipica di alcuni soggetti aventi strette relazioni con l’azienda considerata, di conoscere con il maggior possibile anticipo il probabile avvento della crisi, per prenderne le distanze a tempo debito. La previsione della crisi è, ad esempio, un’esigenza sentita dai creditori (banche, fornitori) e dagli azionisti non coinvolti nella gestione, al fine di poter assumere i provvedimenti atti a minimizzare le conseguenze

27

Cfr.:L.Guatri, Turnaround: declino, crisi e ritorno al valore, op. cit.,p.147. 28

Alla necessità di muoversi avendo contemporaneamente “un occhio al presente e uno al futuro”, riuscendo peraltro a mostrare un atteggiamento strategico in grado di creare anche discontinuità tra i due momenti è dedicato il lavoro più noto di Abell, Strategia duale.

29

Si veda a tal proposito F.Poddighe e S.Madonna “I modelli di previsione delle crisi aziendali: possibilità e

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negative a loro danno (perdite sul credito, svalutazione delle azioni, ecc.). Il riconoscimento dei sintomi di crisi deve considerare sia aspetti oggettivi, cioè fenomeni attinenti alla gestione-organizzazione dell’azienda ed al settore cui essa appartiene, sia aspetti soggettivi, in relazione soprattutto alle capacità ed ai comportamenti del management e dei portatori del capitale. Nella realtà alcuni di questi fattori non sono percepiti e possono quindi sfuggire al controllo e perciò agli interventi riparatori. Non è raro, ad esempio, che le aziende non si rendano conto di fenomeni quali le carenze di programmazione, la scarsità dei costi di ricerca e di rinnovo dei prodotti, l’esistenza di inefficienze in vari settori. Si sono anche segnalati casi di incapacità di riconoscere le perdite in atto di quote di mercato, specie in periodi di progresso della domanda globale, con aumento assoluto della domanda per l’azienda. La storia di non poche crisi aziendali ha, come significativo punto di partenza, il non riconoscimento dei sintomi preparatori della crisi. In tal caso ci si rende conto della crisi solo quando essa è già entrata nella seconda fase, cioè ha provocato perdite più o meno rilevanti; e quindi è già più o meno avanzato il processo di logoramento delle forze e delle risorse di cui l’azienda dispone. Il riconoscimento dei sintomi di crisi deve considerare anche gli aspetti soggettivi, come abbiamo detto. La crisi, in sostanza, può essere latente nelle potenziali incapacità dell’imprenditore o del management. Sono queste incapacità che presto o tardi generano i primi fattori di crisi e, col tempo, le perdite e forse il dissesto. Anche qui soccorre l’esperienza: non vi è azienda, per quanto valida e vitale, che possa reggere a lungo all’incapacità dei suoi organi decisionali. Oggi le dinamiche di mercato hanno fatto si che il passaggio da un primo stadio di crisi potenziale, ai successivi stadi più gravi, possa avvenire in tempi molto più brevi rispetto al passato. Dunque, prima l’azienda riesce a percepire i sintomi del proprio malessere, tanto più è possibile poter attuare azioni volte al risanamento.30 I sintomi di allerta di questo tipo, possono avere varia natura31:

- veri o falsi; - palesi o occulti;

- concorrenti negli effetti o separati;

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Sicuramente, nelle fasi iniziali e di pre-crisi, i segnali appaiono spesso isolati, appena visibili e di difficile lettura. Diversa è la situazione per le fasi centrali e finali del fenomeno che hanno diversamente manifestazione conclamata.

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