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Introduzione

L’obiettivo della presente analisi è quello di analizzare l’art. 54 della Costituzione, così da comprendere la rile-vanza che assume nel nostro ordinamento e quali im-plicazioni possa avere all’interno di esso.

L’art. 54 Cost. può, infatti, a prima vista sembrare un paradosso: una disposizione normativa che impone al cittadino di aderire a dei valori, alle istituzioni e ai sim-boli dell’ordinamento vigente, sembrerebbe andare con-tro i convincimenti comuni che vedono come impene-trabile l’animo umano e le sue convinzioni.

Per esplicare la reale portata della disposizione norma-tiva in esame, sarà preliminarmente necessario compie-re una distinzione tra le categorie giuridiche di dovecompie-re e obbligo, servendosi del pensiero di un grande filosofo del diritto come Kant e chiedendoci, poi, se alla base di questi doveri costituzionali ci sia il principio si solidarie-tà o meno.

Successivamente, il dovere di fedeltà dovrà essere po-sto in correlazione e a confronto con quello di osservan-za, mettendo in luce come sia fondamentale il ruolo dell’art. 54 Cost. nel mantenere vivi i valori Repubblica-ni e come siano insiti in questo articolo la base e i pre-supposti della democrazia, che da esso viene difesa e tenuta in piedi.

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2 Quello con l’art 54 della Costituzione è un rapporto in-tenso, che coinvolge il cittadino, il quale vuole e deve distinguere con precisione il genere di messaggio che gli viene comunicato, in modo da poter rispondere in maniera appropriata senza doversi trovare di fronte a due ordini, uno di natura giuridica e l’altro di natura morale, interiore; di fronte cioè come vedremo nel ter-zo capitolo della tesi al «doppio vincolo» teorizzato da G. Bateson.

Il cittadino, ma più generalmente l’intero ordinamento, è tutelato da questo articolo, che non vuole modificare con la forza la sfera interiore del soggetto (cosa tra l’altro non possibile e quantomeno verificabile).

La disposizione in esame, ben lungi da rimanere una mera enunciazione di principio, priva di risvolti pratici, si concretizza in numerosi ambiti e norme di primaria rilevanza. Come sarà spiegato nel corso della presente dissertazione, ad esempio, in combinato disposto con l’art. 12 Cost., l’art. 54 Cost. fornisce una copertura co-stituzionale alle prescrizioni penali che sanzionano le condotte sussumibili nelle fattispecie di vilipendio nei confronti dei simboli repubblicani, che si pongono quale baluardo del sistema democratico costituzionale.

Oltre a funzioni di garanzia, inoltre, il dovere di fedeltà alla repubblica si pone quale limite e criterio orientativo della categoria dell’obiezione di coscienza, tema dai molteplici risvolti applicativi.

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3 Il secondo comma della norma, oggetto prevalente del terzo ed ultimo capitolo della tesi, asserisce la sussi-stenza di un peculiare concetto di fedeltà qualificata, ri-chiesta a cittadini che, in virtù del peculiare ruolo rico-perto e delle funzioni esercitate, sono chiamati all’osservanza di norme di condotta più stringenti e maggiormente vincolate alla loro posizione di rappre-sentanza dello Stato e dell’ordinamento nel complesso. Per dimostrare come la disposizione in esame abbia as-sunto ed assuma una posizione di particolare rilievo nella sua concretizzazione e positivizzazione nella nor-mativa primaria e di dettaglio, nel corso della disserta-zione peculiare attendisserta-zione sarà rivolta alle pronunce della Corte Costituzionali che utilizzano, quale criterio orientativo, l’art. 54 Cost.

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Capitolo I

1.1 I doveri costituzionali.

Prima di esaminare specificamente il dovere di fedeltà alla Repubblica, oggetto della presente analisi, è necessario accennare al genus giuridico, in cui tale figura rientra: i doveri costituzionali. Tale classe non può, inoltre, essere scissa dal panorama dei diritti, con i quali sono posti in stretta correlazione e, spesso, legati da un vincolo insolubile. Citando Hobbes1, infatti, nihil

enim prodest jura condere, nisi sit qui jura teatur: i

diritti necessitano di una struttura che permetta la loro esplicazione e applicazione e il potere, da cui ciò si sviluppa, trova la sua traduzione nei doveri.

I doveri costituzionali sono il prodotto di un percorso di graduale positivizzazione dell’obbligo politico. Il loro divenire precettivi, non porta a perderne l’originario significato politico: tale obbligo, osservato nelle varie fasi storiche, è sintetizzabile nel nucleo centrale degli interessi condivisi dalla comunità che si viene a formare tramite il diritto. A tal proposito, Cicerone2:

1T. HOBBES, Dialogue between a Philosopher & a Student of the

Common Laws of England, 31.

2 CICERONE, De Republica I, 25. La definizione ricorda la nota

distinzione weberiana tra comunità e associazione, ove per comunità si deve intendere una relazione sociale in cui l’agire come gruppo poggia su una comune appartenenza soggettivamente sentita degli individui che ad essa partecipano, quando invece nell’associazione la disposizione dell’agire sociale poggia su

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5 «Res publica res populi, populus autem non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitas communione sociatus».

Cicerone dunque, evidenzia come il dovere sia alla base di ogni azione umana.

Orientata in tal senso è l’esperienza storica dei comuni centro settentrionali: negli statuti, infatti, i doveri sono elencati prima dei diritti, essendovi la necessità di tutelare questi ultimi dagli abusi perpetrati dai signori feudali dei territori circostanti.

Ancora di più, questo è visibile nelle carte costituzionali della Francia rivoluzionaria: qui i doveri sono posposti ai diritti, ma costituiscono il presupposto logico e politico della fondazione di una cittadinanza fedele agli interessi della Nazione, antiteticamente diverso rispetto a quello alla base della dinastia al potere, o delle potenze straniere contrarie alla rivoluzione 3 . I rivoluzionari

francesi per fondare un nuovo ordine politico e sociale cambiarono la fonte del potere, escludendo la legittimità della derivazione divina: la necessità di creare nuovi interessi comuni, che costruissero ed accentrassero la comunità, non poteva che passare per la positivizzazione dei doveri. La consapevolezza della priorità di tale funzione spinse i rivoluzionari francesi ad

un’identità di interessi, oppure su un legame di interessi motivato razionalmente. M. WEBER, Economia e società, 38.

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6 elaborare il concetto di fraternité, ponendolo alla base del sistema repubblicano, insieme all’ égalité e alla

liberté.

Il limite del nuovo ordine rivoluzionario fu il non dare precettività al dovere: con l’evoluzione dell’essere comunità politica, infatti, all’interno dell’ordinamento i doveri costituzionali assumono un’importanza tale da avere bisogno di divenire precetti. Questo è quello che è avvenuto nella nostra Costituzione che basa il suo impianto di principio sull’ inserimento della dimensione doveristica a sostegno dei diritti costituzionalmente garantiti 4, col fine di ricostruire una comunità politica,

in un’Italia post bellica politicamente e socialmente devastata. La Costituzione muove dal concetto di cittadinanza e dei doveri giuridici ad essa connessi, rinviando alla costruzione di un’etica pubblica che si sostituisce alla dimensione puramente individuale, con la volontà di creare una comunità che si regga sugli impegni reciprocamente assunti dai suoi componenti «prima ed oltre che nei confronti di un’autorità superiore (…) non in cambio di, ma in quanto parte di qualcosa5».

Così, anche Mazzini6, sebbene in una diversa realtà

socio-politica:

4 L. VIOLINI, I doveri inderogabili di solidarietà, 2007, 519.

5 G. BASCHERINI, I doveri costituzionali degli immigrati, Napoli,

2007, 93.

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7 «Colla teoria dei diritti possiamo insorgere e rovesciare

gli ostacoli; ma non fondare forte e durevole l’armonia di tutti gli elementi che compongono la nazione…Si tratta dunque di trovare un principio educatore superiore a siffatta teoria che guidi gli uomini al meglio, che insegni loro la costanza del sacrificio, che li vincoli ai loro fratelli senza farli dipendere dall’idea d’un solo o dalla forza di tutti. E questo principio è un dovere».

In tale testo, dunque, è ravvisabile una predizione di ciò che sarebbe accaduto quasi un secolo dopo, quando si profilò l’esigenza di giuridicizzare i doveri.

1.2 La struttura dei doveri costituzionali.

Il proprium dei doveri consiste in una limitazione di libertà e della sfera di autodeterminazione di un soggetto, appartenente ad una determinata comunità: per raggiungere l’obiettivo sotteso alla positivizzazione della regola da osservare, la norma deve altresì prevedere una sanzione, nell’eventualità in cui si presenti una disobbedienza da parte dei destinatari della prescrizione. È evidente come la collocazione di alcuni doveri all’interno della Carta Costituzionale indichi una posizione di particolare rilievo e spessore degli stessi.

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8 L’articolo 2 della Costituzione («La Repubblica riconosce

e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»), in tal senso, rappresenta un punto di

partenza imprescindibile: dal testo, si desume chiaramente come la garanzia dell’adempimento dei doveri sia configurata come un elemento essenziale dell’ordinamento repubblicano7. La collocazione di tale

disposizione nel c.d. nucleo duro dei principi supremi conferma il rilievo che i Costituenti intendevano attribuire al suo contenuto. È necessario, inoltre, notare come i doveri siano, nell’articolo in questione, individuati in modo ampio e del tutto generico: al contrario dei diritti inviolabili, enumerati e circoscritti nel prosieguo del testo costituzionale, i doveri inderogabili necessitano, per la loro attuazione, di successive specificazioni espresse da parte del legislatore8. Vi è, al contrario, chi, come Morelli, ritiene

che ciò sia senz’altro vero per le prescrizioni che andrebbero ad incidere direttamente sui diritti di libertà, preservati dall’articolo 23 della Costituzione, a norma del quale, «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge»; nelle rimanenti ipotesi (come, ad esempio, per

7 B. DE MARIA, I doveri costituzionali, in Percorsi ricostruttivi per la

lettura della

Costituzione italiana, a cura di V. COCOZZA, Torino, 2015, 67 ss.

8 F. GRANDI, Doveri costituzionali e libertà di coscienza, Napoli,

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9 il caso dell’articolo 54 Cost.), invece, non sarebbe escludibile un’applicazione diretta della disposizione costituzionale, senza la necessità di un’intermediazione legislativa9.

In relazione all’art. 2, è necessario accennare brevemente alla controversa questione della sua natura di norma aperta o chiusa: parallelamente ai diritti, infatti, il dibattito ha interessato altresì il tema dei doveri, riscontrando grande eterogeneità di soluzioni dottrinali. L’opinione prevalente ammette la possibilità di far derivare, dal contenuto dell’articolo, nuove declinazioni dei diritti inviolabili, di modo da permettere un adeguamento del testo alle nuove esigenze sociali10.

E. Betti11, nel sottolineare la generale correlazione di un

dovere con un contrapposto diritto soggettivo di un’altra persona, suddivide la categoria in più

9 A. MORELLI, I principi costituzionali relativi ai doveri inderogabili

di solidarietà, in Principi costituzionali, a cura di L. VENTURA, A.

MORELLI, Milano, 2015, 5 ss. Sul punto, è rilevante la sent. 119/2012 della Corte costituzionale: «Si deve escludere, viceversa, che possa essere la stessa Corte costituzionale a statuire siffatte riduzioni di spesa per l’attuazione di diritti ex art. 38 Cost., in nome di un generico principio di solidarietà sociale, superando e addirittura ponendosi in contrasto con le determinazioni del legislatore. Solo a quest’ultimo spettano le valutazioni di politica economica attinenti alle risorse disponibili nei diversi momenti storici, mentre è compito di questa Corte vigilare sul rispetto del nucleo essenziale dei diritti fondamentali, in ipotesi, incisi da interventi riduttivi dello stesso legislatore».

10 A. PACE, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale,

Padova, 2003, 20 ss.

11 E. BETTI, Dovere giuridico (teoria gen.), in Enc. dir., XIV, Milano,

1965, 53: «i doveri soggettivi sogliono essere correlativi al diritto soggettivo di altra persona, ancorché una siffatta correlatività non sia costante né concettualmente necessaria».

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10 sottoinsiemi: l’Autore individua, infatti, doveri finalizzati a garantire una pacifica convivenza sociale, altri necessari al funzionamento dell’ordinamento pubblico ed altri ancora concernenti la sfera familiare e più prettamente personale. Da ciò emerge lo stretto legame tra la positivizzazione di un dovere giuridico e la sua ratio, intesa quale necessità di rispondere ad esigenze concrete ed effettive per l’ordinamento.

1.3 La distinzione tra obblighi e doveri.

Sebbene nel linguaggio comune i termini “obbligo” e “dovere” vengano intercambiabilmente utilizzati come sinonimi, essi indicano, in realtà, due concetti giuridici sostanzialmente eterogenei. La differenza risiede principalmente nel rapporto in cui tali figure risiedono: l’obbligo, infatti, richiama un elemento di reciprocità tra la situazione passiva delineata e una simmetrica situazione soggettiva di natura positiva, posta nella titolarità di un diverso individuo; il dovere, al contrario, è svincolato da tale sinallagmaticità, trovando la sua genesi in interessi più generali e meno immediati, riconducibili all’ordinamento nel suo complesso12. Per

tali motivi, è evidente la maggiore attinenza dell’obbligo al diritto privato, laddove, al contrario, il dovere si colloca più propriamente nella sfera pubblica13. Spesso,

12 F. GRANDI, Doveri costituzionali, cit., 13 ss.

13 G. LOMBARDI, I doveri costituzionali: alcune osservazioni, in I

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11 tuttavia, ad un dovere più generico ed astratto, previsto all’interno delle carte costituzionali, il legislatore può dare attuazione tramite una specificazione normativa, risolventesi nell’elaborazione non solo di un obbligo, ma anche di un onere. Quest’ultima figura è caratterizzata per il fatto di non vincolare formalmente il soggetto titolare: egli resta astrattamente libero ma la sua iniziativa si pone quale condizione necessaria per il raggiungimento di un determinato interesse14.

1.4 Doveri costituzionali funzionali e individuali.

Nel novero dei doveri giuridici è possibile isolare quelli che hanno natura costituzionale, cioè quei doveri imposti da principi o comandi contenuti nella fonte primaria dell’ordinamento, la cui posizione normativa costituisce una protezione del patto di convivenza civile e dei suoi presupposti, oltre che del suo nucleo duro e che sono funzionali alla realizzazione dei suoi contenuti essenziali. La Costituzione non solo fissa doveri inderogabili per i singoli gruppi, quale corrispettivo del riconoscimento e della garanzia che essa stessa

R. BALDUZZI, M. CAVINO, E. GROSSO, J. LUTHER, Torino, 2007, 586 ss. L’Autore evidenzia come nel diritto privato e in quello amministrativo sussistano diritti, doveri, obblighi e obbligazioni, mentre, nel diritto costituzionale, esistano solamente diritti e doveri.

14 D. MORANA, Libertà costituzionali e prestazioni personali

imposte. L'art. 23 Cost. come norma di chiusura, Milano, 2007, 73

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12 appresta ai diritti e alle libertà fondamentali15, ma si

spinge anche a configurare veri e propri doveri funzionali, rivolti agli organi supremi, perseguendo lo scopo di assicurare, la tenuta dell’assetto democratico così come stabilito nei suoi principi fondamentali.

Precisando sul punto, incontriamo il problema dell’ampiezza del concetto di dovere costituzionale, che sorge dall’interpretazione della parte dell’art. 2 riferita ai doveri inderogabili. Una lettura superficiale circoscrive l’ambito dei doveri costituzionali in senso stretto a quelle condotte costituzionalmente imposte alla persona. I doveri in senso stretto sono solo quelli attribuiti al soggetto privato, sia esso un cittadino, un o straniero una persona fisica o un ente giuridico 16.

Conclusione questa che viene condizionata dall’affermazione dell’art. 2, la quale manifesta un concetto personalista delle situazioni giuridiche soggettive comprese dal fondamentale principio della Costituzione, fondata sulla contestazione che, nell’articolazione materiale della Carta, la specificazione delle singole fattispecie di dovere mostra una struttura normativa in cui è individuato l’elemento soggettivo negli individui.

Partendo da queste premesse possiamo distinguere le figure propriamente di dovere dalle situazioni di vincolo, che essendo volte a circoscrivere la sfera entro cui si

15 E. BETTI, Dovere giuridico, in Enciclopedia del diritto, XIV,

Milano, 53, ss.

16 G. LOMBARDI, Contributo allo studio dei doveri costituzionali,

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13 snodano le attività degli organi dello Stato, limitando le scelte in cui consiste l’esercizio delle funzioni a questi ultimi attribuite dell’ordinamento, si sostanziano in limiti delle attività costituzionali. La fondatezza di questa distinzione è dimostrata anche attraverso la comparazione di diritti e doveri. Non devono essere confusi i doveri costituzionali con i limiti costituzionali alla competenza degli organi.

Si qualificano quindi i doveri costituzionali in senso stretto quelli che comunemente sono individuati nei doveri dell’uomo e del cittadino e si escludono dalla categoria dei doveri quelle condotte imposte dalle disposizioni costituzionali agli organi supremi dell’ordinamento, in quanto estranee alla nozione giuridica di doveri e rientranti invece nella definizione stessa del concetto di funzione. Nonostante questa lettura della dottrina la Corte è arrivata ad inquadrare nella categoria dei doveri costituzionali anche quelli al cui adempimento sono chiamate non le persone, ma anche gli organi o soggetti dell’ordinamento costituzionale. La concezione dei pubblici poteri che si riscontra nella Costituzione repubblicana è contrassegnata dal fondamento nella legittimazione popolare, ma anche dai limiti che essa pone e che configura come assoluti, permeando l’esercizio delle funzioni pubbliche con un forte elemento di doverosità. Ciò porta a prendere in esame anche i poteri-doveri degli organi costituzionali. La finalizzazione dei doveri è il filo rosso che lega in un’unica categoria i diversi

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14 doveri configurati dalla Costituzione. Questi ultimi, dunque, si traducono in una costrizione della libertà soggettiva o della sfera di autonomia e si giustificano per avere come fine ultimo quello di garantire la tenuta dell’ordine costituzionale e di assicurare il regolare sviluppo dei principi di giustizia e dei valori supremi su cui si regge la costruzione dell’ordinamento democratico17 . I doveri fanno parte integrante di quel

pactum societas e ne assicurano la realizzazione ed è

per questo che nell’art. 2 è affermato il fondamentale principio della loro inderogabilità ed è affidato alla Repubblica il compito di assicurarne l’adempimento. Si possono così isolare varie figure di doveri costituzionali, e tale operazione si presta ad esiti diversi, essendo molteplici i criteri impiegati nella classificazione. Assumendo come prospettiva quella del destinatario del dovere, si rilevano le disposizioni impositive di doveri che si possono definire personali, ossia rivolte alle singole persone, o alle associazioni di persone e le altre che impongono doveri istituzionali, perché destinate ai soggetti dell’ordinamento 18 , ovvero agli organi del

sistema democratico. A questo si possono aggiungere i doveri del legislatore, ricavabili da quelle disposizioni della Costituzione che impongono alla legge di realizzare determinati obiettivi e che, per questo, si

17 P. RIDOLA, La libertà e diritti nello sviluppo storico del

costituzionalismo, Torino, 1997, 117ss.

18 Ai soggetti di autonomia sono riferiti i doveri imposti dagli artt.

2; 3, comma 2; 4, comma 1; 5; 6; 9; 24, comma 3; 31;33;34, comma 4; 35;37, comma 3; 38; 117, comma 5; 118, comma 3; 119, comma 4 e 5; 120 Cost.

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15 distinguono non solo dai normali limiti costituzionali all’esercizio della funzione legislativa, ma anche dalle riserve rinforzate. All’interno di questi gruppi si riscontra un dato di omogeneità ulteriore: i doveri personali sono configurati in Costituzione in modo da richiederne necessariamente la specificazione legislativa, indispensabile per individuare gli elementi che consentono di esigerne l’adempimento; al contrario, i doveri funzionali sono spesso sufficientemente specificati in Costituzione.

1.5 Il principio solidaristico

Secondo il pensiero dei Costituenti la solidarietà non è espressione di un appiattimento dell’individuo nello Stato, ma una chance che l’ordinamento mette a disposizione di questo, per esplicare al meglio la sua personalità, in relazione a quella degli altri. Si evidenzia, quindi, dal lavoro della Costituente un concetto di persona come centro di imputazione di libertà e responsabilità, che si manifestano sia nei rapporti tra singoli e istituzioni, che nella vita sociale19.

Nell’ordine del giorno del 9 Settembre 1946 avanzato da Giuseppe Dosetti questo è evidente20: l’articolo 2

19 F. GIUFFRE’, I doveri, cit., 25.

20 Nell’ordine si legge che la nuova Costituzione avrebbe dovuto

riconoscere «la precedenza sostanziale della persona umana (…) rispetto allo Stato e la destinazione di questo al servizio di quella». Come espose, per l’emendamento cui si deve l’attuale art.2 Cost., in Assemblea Aldo Moro: «L’uomo non è soltanto singolo, non è

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16 attribuisce le situazioni giuridiche in esso contenute, non all’individuo staccato dalla vita sociale, protagonista dello Stato di diritto, ma ad un soggetto che è parte della società e contribuisce ad essa attraverso le relazioni sociali. Questa visione fa uscire definitivamente il cittadino dal ruolo di suddito, che aveva caratterizzato l’esperienza precedente.

L’art. 2 parla di doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, mentre «quanto all’identità o meno dei principi di fratellanza e solidarietà non vi è concordia di opinioni: secondo taluni la solidarietà è il risvolto giuridico del valore politico della fraternità e quindi uno dei suoi significati21; per altri invece, la prima si caratterizza per

l’intervento redistributivo dello Stato, mentre la seconda sarebbe il sostrato delle forme di mutuo soccorso tra persone che sentono di essere fratelli22»

I Costituenti volendo far entrare nel diritto la solidarietà, vi affiancarono la concezione rivoluzionaria di fraternità, di origine giacobina. La solidarietà con i doveri che ne sono espressione venne discussa nel dibattito costituente, sia nella sua accezione razionale, sia come lascito della riflessione mazziniana sui doveri e

soltanto individuo, ma è società nelle sue varie forme, società che non si esaurisce nello Stato»., La Costituzione della Repubblica nei

lavori preparatori dell'Assemblea Costituente, vol. VI, Roma

1971, 323 s.

21 M. BORGHETTO, La notion de fraternité en droit public français,

rivista internazionale di diritto comparato,1996, 215 ss.

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17 sia per l’importanza che questa ha nella tradizione cattolica. Tutte queste componenti hanno contribuito alla formazione di un ordinamento basato sulla persona umana e sul suo sviluppo, sia come singolo, sia nella società.

La solidarietà dell’art. 2 non è diretta soltanto ai rapporti tra fra Stato e individuo, ma a livello orizzontale è rivolta anche a disciplinare i rapporti tra i singoli: questo si afferma, per esempio, nella legislazione in materia previdenziale, come evidenziato nella sent. n.132 del 1984, nella quale la Corte mette in luce una stretta connessione tra l’organizzazione giuridica della previdenza e il sistema solidaristico23.

La solidarietà orizzontale può essere sia doverosa che spontanea, come affermato nella sentenza n. 75 del 1992, che riscontra nel volontariato l’espressione più immediata della vocazione sociale dell’uomo, che deriva dall’identificazione del singolo con le formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità e dal conseguente vincolo di appartenenza attiva che lega l’individuo alla comunità; il volontariato stesso è, così, elevato alla più diretta realizzazione del principio di solidarietà sociale, per il quale la persona è chiamata ad agire per libera e

23«In questo sistema previdenziale si riscontra l’influenza del

modello della sicurezza sociale, informato a principi di solidarietà operanti direttamente nei confronti dei membri della collettività generale, secondo il criterio della capacità contributiva».

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18 spontanea espressione della profonda socialità che la caratterizza.

I destinatari della disposizione sono le persone, individuate in un certo momento storico dal diritto vigente: lo Stato rivendica il suo finalismo, facendo da mediatore e cercando di riformare il corpo sociale. Il combinato disposto del secondo comma dell’art. 3 («è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese») con l’art. 2 stabilisce il ruolo dello Stato nella rimozione delle disparità.

La persona è singolarmente ed individualmente partecipe all’organizzazione e deve altresì assolvere i doveri di solidarietà inderogabile, economici, politici e sociali: la prima specificazione del principio di solidarietà si esplica, dunque, nell’integrazione della persona nella vita della comunità statale.

Una seconda accezione della solidarietà emerge dall’art 4, secondo comma, nel quale è stabilito che «ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della

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19 società»: si individua, quindi, in tal modo, nello stesso cittadino il motore dell’integrazione socio-politica24.

La lettura congiunta degli articoli 2, 3, 4 Cost. induce, in sintesi, a leggere il principio personalista e l’uguaglianza sostanziale orientati al fine stabilito dell’art. 4 stesso, ovvero «l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». I Costituenti, consapevoli del fatto che tra la teorizzazione della democrazia e la pratica di essa ci sarebbero stati limiti di non poco conto, indirizzarono i loro sforzi verso un’uguaglianza sostanziale, per dare alla democrazia quello che le sole regole formali del processo democratico non avrebbero potuto dargli25: un indirizzo questo che punta sia sui

diritti di libertà, che sui diritti sociali, entrambi rivolti ed orientati alla persona26.

1.6 Il principio di solidarietà: Questo principio

può essere letto come il fondamento dei doveri

del nostro ordinamento?

«Esiste uno spazio vuoto di diritto costituzionale nel quale il legislatore può fare uso del proprio potere discrezionale nell’apprezzare ragioni che inducano a

24 G. LOMBARDI, Contributo, cit. 50 ss. 25 M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit. 113. 26 M. LUCIANI, Sui diritti sociali, cit. 118.

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estendere la cerchia dei soggetti chiamati alla prestazione del dovere27».

La citazione è interessante per definire la natura e il contenuto dei doveri costituzionali, di cui poi gli obblighi imposti per legge dovrebbero costituire la specificazione. Sul rapporto tra doveri di fedeltà e obblighi sono tre le tesi che si contendono la scena. Innanzitutto la tesi secondo cui l’art.2 sarebbe una fattispecie aperta quanto al contenuto, mentre l’art. 23, espressione di un potere generale del legislatore di imporre obblighi ai consociati, imporrebbe allo stesso solo la modalità procedurale per l’individuazione degli stessi28 Vi è inoltre la tesi di Lombardi, il quale rifiuta

l’idea dell’art. 2 come fattispecie aperta e sostiene che gli unici obblighi legittimi sono quelli che la legge fa derivare dai doveri elencati in Costituzione29. Tra queste

due tesi opposte, se ne colloca una terza, sostenuta da Carbone30, secondo cui si possono imporre obblighi

anche non riconducibili ai doveri citati in Costituzione, i quali però devono essere connotati dalla finalità solidaristica. La citazione iniziale dimostra come la Corte si stia muovendo nella direzione della prima tesi, non tentando di arginare, o controllare il potere del legislatore nell’imporre degli obblighi. Questo suscita un interrogativo, cioè se vi siano degli elementi che

27 L. D’ASCIA, Diritto degli stranieri e immigrazione, Giuffrè, 2009,

544.

28 G. BRANCA, Commentario della Costituzione, Bologna-Roma,

1975, art. 2.

29 G. LOMBARDI, Contributo allo studio, cit.

30 C. CARBONE, I doveri pubblici individuali nella Costituzione,

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21 consentano o impongano di considerare l’esistenza di un contenuto massimo dei doveri, uguale dal punto di vista concettuale al contenuto minimo dei diritti. Una volta stabilito che il legislatore può definire gli obblighi che gravano sui cittadini, ci si può chiedere cioè, quali siano i limiti a tale intervento e se tale potere non sia vincolato a considerare la solidarietà come concetto base preso come riferimento.

Le norme costituzionali e la giurisprudenza notoriamente impongono dei limiti al legislatore per la compressione dei diritti, meno noto è se tali limiti valgano anche per gli obblighi. Mentre i diritti non possono quindi essere compressi in modo illimitato, gli obblighi non incontrano limiti contenutistici, se non quello del ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa. Per rispondere all’interrogativo sopra esplicitato, dobbiamo soffermarsi su quel dovere che la giurisprudenza della Consulta ha considerato come una delle manifestazioni più eminenti del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost 31 ., cioè il dovere

tributario di cui all’art. 53 Cost., al fine di comprendere se la giurisprudenza della Corte costituzionale sia intervenuta in materia, stabilendo l’incostituzionalità delle previsioni legislative sulla scorta di un eccesso di dovere o sulla scorta del fatto che l’obbligo fosse incostituzionale perché non conforme al dovere di solidarietà. Premettendo che la concezione denominata

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22 «teoria dei diritti pubblici soggettivi» è tramontata, questa vedeva l’imposizione tributaria come il corrispettivo per un servizio pubblico ricevuto dal cittadino, oggi il fine che ispira il sistema è quello di mettere tutti i membri della comunità nella condizione di poter concorrere, secondo le proprie capacità, alla realizzazione del bene comune e dell’interesse collettivo32. Il dovere di solidarietà dovrebbe essere alla

base di ogni obbligo previsto dal legislatore e se così non fosse, dovrebbe divenire lo strumento per mezzo del quale la Corte possa riequilibrare il sistema. Tuttavia né il legislatore, né la Consulta hanno intrapreso questa strada. Lo possiamo vedere in vari esempi. Infatti guardando alle prestazioni patrimoniali, risulta che il sistema previdenziale e quello fiscale sono affidati al legislatore, il quale, per contenere la spesa pubblica, può intervenire liberamente sui sistemi tributari e previdenziali, diminuendo a alzando prestazioni e tributi. L’azione del legislatore non è comunque così libera, ma deve improntarsi a quei principi costituzionali, primo fra tutti, la solidarietà. Emerge però da un’analisi della giurisprudenza, che non ci sono casi in cui un obbligo di contribuzione imposto al cittadino sia stato bollato di incostituzionalità perché contrario al principio di solidarietà. Un esempio è costituito dalla tassazione della famiglia, sulla quale gravano anche i figli e la loro educazione. Questo

32 B: PEZZINI-C. SACCHETTO, Il dovere di solidarietà'. Atti del

Convegno. Giornate europee di diritto costituzionale tributario,

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23 aspetto viene ignorato dal legislatore e dalla Corte, che si limita a semplici affermazioni di principio, laddove ritiene che rappresentando il dovere tributario una chiara specificazione di quello di solidarietà, il legislatore dovrebbe lasciare esenti da prelievo, da parte del fisco, quei redditi che sono destinati a soddisfare i bisogni primari del singolo e della sua famiglia. Pur esistendo nel panorama italiano sentenze che cercano di incidere sulla tassazione della famiglia, le stesse si riducono ad un mero tentativo di eliminare le disparità di trattamento, derivanti dall’applicazione del cumulo dei redditi, senza lo scopo di tutelare da obblighi eccessivi33.

Questa è la tendenza della Corte che emerge da più sentenze, laddove si vada alla ricerca del contenuto massimo del dovere. Questo concetto può al massimo essere individuato leggendo al contrario le rare sentenze, che mettono limiti ai poteri del legislatore di imporre obblighi ai consociati; cosa che sembra essere in contrasto con la tesi che vede i doveri inderogabili come enumerati e limitati in senso sostanziale dal principio di solidarietà. Un’ulteriore esempio al di là del campo tributario, è dato dall’obbligo per il datore di lavoro di concedere ai dipendenti chiamati ad adempiere funzioni presso gli uffici elettorali, tre giorni di ferie retribuite; le conseguenze negative dell’inadempimento ricadono in questo modo, non sullo stato, che beneficia della prestazione, ma sul datore di

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24 lavoro, senza che questa interposizione sia considerata una violazione degli artt. 2, 51 e 53 Cost. La Corte infatti ha rigettato l’eccezione di incostituzionalità considerando la norma esercizio non arbitrario di discrezionalità legislativa.

Inoltre non solo le prestazioni patrimoniali, ma anche quelle personali sono stato per lo più assolte dalla Corte; nel caso concreto una sentenza degli anni Settanta sulla legittimità della norma del codice di procedura penale che consente l’arresto, da parte di privati, di persone colte in flagranza, una prestazione personale volontaria considerata compatibile con l’art. 13 in forza dei doveri inderogabili di solidarietà. Analoga assoluzione è stata pronunciata anche per quella norma che consente alla Pubblica Sicurezza di chiedere ai cittadini un supporto per l’arresto in flagranza, il che sembra andare oltre e violare il limite dell’imposizione dei doveri.

Alla luce degli esempi è confermato che la logica dei doveri è stata a lungo ignorata dal costituzionalismo classico; l’art 16 della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino menziona infatti tra gli elementi costitutivi delle Carte fondamentali i diritti dell’uomo e sul piano dell’organizzazione, menziona la separazione dei poteri. I doveri di solidarietà e la solidarietà come elemento costitutivo delle nuove forme di Stato successive alla guerra, sono sorti dopo e non si sono

(25)

25 integrati con la logica, la simbologia e il linguaggio dei diritti.

(26)

26

Capitolo II

2.1 Genesi dell’articolo 54 della Costituzione:

precedenti storici e lavori in Assemblea

Costituente.

L’attuale art. 54 Cost. non trova immediati e diretti precedenti nello Statuto Albertino dove non si ritrovava un espresso rifermento né ad un eventuale doveri di fedeltà dei sudditi, né ad un generale dovere di osservanza verso le leggi del Regno, né vi era una specifica norma relativa a specifici doveri gravanti su coloro che esercitassero funzioni pubbliche. Questo non vuol dire che il dovere di fedeltà alle istituzioni e quello di obbedienza alle leggi dello Stato fossero ignorati. Tali doveri, in primo luogo, si esprimevano in altre forme e operavano nel reciproco giuramento che intercorreva tra gli organi essenziali del governo monarchico rappresentativo fondato sullo Statuto, cioè tra il Sovrano e il Parlamento del Regno. Da una parte infatti il sovrano, al momento di salire sul trono prestava giuramento davanti alle Camere di osservare lealmente lo Statuto; per altro verso, i senatori ed i deputati prestavano anch’essi un necessario giuramento per essere ammessi all’esercizio delle loro funzioni. In secondo luogo il giuramento di fedeltà al Sovrano, di osservanza dello Statuto e delle leggi e di adempimento delle proprie funzioni «per il bene del Re e della Patria»,

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27 era effettuato dai componenti del governo, ma anche, seppur con formule diverse, previste dalle leggi dello Statuto, da gran parte delle categorie dei dipendenti pubblici 34 . La problematica del mantenimento del

dovere di fedeltà al sovrano e di conseguenza alle istituzioni monarchiche, si pose in modo evidente, allorché dopo la liberazione e il successivo patto di Salerno tra monarchia ed i partiti del Comitato di Liberazione Nazionale, si posero le basi dell’ordinamento transitorio che doveva condurre alla scelta tra la monarchia e la Repubblica e all’approvazione della nuova Carta costituzionale. In particolare, con il d. lg.lt. 151/1944 si impose ai componenti del Governo di giurare sul loro onore di esercitare le funzioni loro attribuite nel solo interesse supremo della nazione e di non compiere, fino alla Convocazione dell’Assemblea Costituente (organo al quale sarebbe spettata la decisione sulla forma istituzionale dello Stato), atti che comunque pregiudichino la soluzione della questione istituzionale35 . Al pari, la questione del dovere di

fedeltà rispetto ai dipendenti civili e militari venne affrontata dal successivo d.lg.lt. 98/1946 in relazione all’eventuale instaurazione di un regime repubblicano36.

In breve considerate le gravi condizioni di divisione politica, istituzionale e territoriale dell’Italia del tempo, la questione della fedeltà dei cittadini, venne già intesa

34 Ad. es. il giuramento previsto dagli artt. 5 e 6 r.d. 1923/1923. 35 Art. 3 d.lg.lt. 151/1944.

(28)

28 nel periodo transitorio come fattore che doveva essere considerato, sia per andare verso il futuro assetto statuale, sia per garantire reciprocamente le forze politiche che avrebbero partecipato all’elaborazione del nuovo testo costituzionale. Il progetto elaborato dalla Commissione dei settantacinque prevedeva una duplice posizione dei cittadini: questi da una parte erano assoggettati a doveri, sia generali che specifici, di fedeltà verso le istituzioni repubblicane e di obbedienza verso le nuove disposizioni costituzionali e legislative dell’ assetto statuale che si era creato; dall’altra parte, sulla base di una proposta presentata da Mortati, erano riconosciuti titolari del diritto – dovere di resistenza nei confronti dei pubblici poteri che avessero agito violando le libertà fondamentali e i diritti sanciti dalla Costituzione.

Già quindi nel progetto di Costituzione elaborato dalla commissione dei settantacinque, era presente, all’articolo 50 (all’interno del titolo IV, relativo ai rapporti politici), questa disposizione simile all’attuale articolo 54 che, dopo essere stata approvata nelle deliberazioni del 4 e 5 dicembre 1947, fu bocciato, in parte, dall’Assemblea Costituente37.

Esso prevedeva:

«Ogni cittadino ha il dovere di essere fedele alla

Repubblica, di osservarne la Costituzione e le leggi, di adempiere con disciplina ed onore le funzioni che gli sono affidate.

37 G.P. IARICCI, Istituzioni di diritto pubblico, Santarcangelo di

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29

Quando i poteri pubblici violino le libertà fondamentali ed i diritti garantiti dalla Costituzione, la resistenza all'oppressione è diritto e dovere del cittadino».

La peculiarità della norma risiedeva, evidentemente nell’affermazione di un diritto-dovere alla resistenza e proprio tale asserzione era oggetto del dibattito sviluppatosi nel plenum dell’Assemblea Costituente, nel maggio del 1947. L’Onorevole Mastino ne evidenziò, infatti, il profilo di doverosità, più che di facoltà, ricordando, inoltre, come un principio analogo fosse presente altresì nel codice fascista. Mortati 38 , al

38 Nel suo intervento, l’On. Mortati affermò: «Nell'ambito delle

esigenze accennate è possibile alla legge ammettere in singoli casi il diritto di resistenza individuale; sicché una statuizione costituzionale in questo senso non ha ragion d'essere. Ma vi è un altro significato, con cui può intendersi il diritto di resistenza, ed è quello con cui è stato inteso dal progetto, che parla di resistenza contro l'oppressione. Con questo articolo si vuole individuare un caso particolare: quello, cioè, in cui i supremi poteri dello Stato opprimono la libertà, quando cioè siano eliminate, o non funzionino tutte le garanzie di carattere giuridico costituzionale. Noi abbiamo creato un insieme di garanzie atte a preservare dalla violazione dei diritti anche di fronte ai supremi organi dello Stato.

Ora quando si verifichi l'ipotesi che tutte queste garanzie siano esaurite e quando la stessa Corte costituzionale abbia convalidato — con la sua sentenza l'atto arbitrario della pubblica autorità, in questo caso il cittadino — secondo il significato della disposizione proposta — non deve acquietarsi alla violazione dei diritti supremi, garantiti dalla Costituzione come inviolabili, ma deve ribellarsi. Intesa in questo senso la disposizione, ci si deve chiedere: è opportuno che essa sia inserita nella Costituzione? Circa la sostanziale esattezza e, vorrei dire, la santità di questo principio, nessuno potrebbe sollevare delle obiezioni, e tanto meno noi cattolici, poiché è tradizionale nel pensiero cattolico l'ammissione del diritto naturale alla ribellione contro il tiranno. Ci sono scrittori cattolici che riconoscono la legittimità perfino della soppressione del tiranno. Quindi non è al principio che noi ci opponiamo, ma alla inserzione nella Costituzione di esso, e ciò perché a nostro avviso il principio stesso riveste carattere metagiuridico, e mancano, nel congegno costituzionale, i mezzi e le possibilità di accertare

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30 contrario, manifestò la contrarietà alla collocazione di tale formulazione all’interno del testo costituzionale, portando alla soppressione dell’articolo. Quasi tutti gli interventi degli esponenti delle varie fazioni politiche contrarie alle disposizioni, comunque, rilevavano la non discutibilità del diritto di resistenza come principio politico-morale: ciò che veniva criticato era la possibilità e l’utilità di sancire positivamente un’affermazione che avrebbe facilmente potuto essere esposta al rischio di strumentalizzazioni39. Il 5 dicembre 1947 fu espunto

definitivamente il riferimento al diritto-dovere di resistenza dalla Carta Costituzionale.

2.2 Contenuto

dell’articolo

54

della

Costituzione e analisi testuale.

È necessario, a tal punto, analizzare il contenuto dell’articolo 54: è imprescindibile, infatti, l’analisi del dettato legislativo, la cui formulazione sottende tutta una serie di problematiche, discusse e, in parte, risolte

quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima.»

39 Favorevole Giolitti, che sosteneva che «il sancire nella

Costituzione tale diritto significhi precisamente consacrare la legalità nell’ambito della Costituzione stessa di un atto che altrimenti potrebbe apparire come una frattura nella validità della Costituzione, la quale invece con tale norma assicura, in certo senso, la propria vita di fronte ad una violazione che determini la legittima resistenza». Sul dibattito assembleare, V. U. MAZZONE, Il diritto/dovere di resistenza Dossetti nella Costituente, in Resistenza e diritto di resistenza. Memoria come cultura, a cura di

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31 da dibattiti giurisprudenziali e dottrinali. Così, dunque, la norma:

«Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.»

2.3 La fedeltà e la teoria Kelseniana.

L’elemento centrale e maggiormente difficoltoso del primo comma dell’articolo costituzionale in esame è certamente il concetto di fedeltà e, a tal proposito, è necessario citare un estratto di un’opera di Kelsen40,

che ha trattato approfonditamente del tema:

«La fedeltà viene di solito citata come uno dei doveri specifici dei cittadini. Quando viene concessa la cittadinanza ad una persona, questa deve talvolta giurare fedeltà al suo nuovo Stato. Essa viene definita come “il dovere che il suddito ha nei confronti del sovrano, correlativo alla protezione ricevuta”. Questo concetto non ha un significato giuridico preciso, ma è piuttosto di natura morale e politica. Non esiste uno speciale obbligo giuridico che porti il nome di fedeltà. Giuridicamente la fedeltà non significa altro che

40 H. KELSEN, Teoria generale del diritto e dello Stato trd. it. Milano

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32 l’obbligo generale di obbedire all’ordinamento giuridico; obbligo che hanno anche gli stranieri e che non è creato dal giuramento di fedeltà».

Le parole dell’Autore sottolineano la natura etica del concetto di fedeltà, che rende così difficoltoso un approccio giuridico al tema. Inoltre, il bisogno di dover individuare una dimensione di diritto del termine in contesti ordinamentali, che come quello italiano, che prevedono oltre al dovere, anche dei giuramenti di fedeltà, porterà ad avere due piani di lettura paralleli, cui si aggiunge anche quello politico, con conseguenti difficoltà interpretative. Quello che è certo dell’impostazione kelseniana è l’evidenza di una sorta di validità generale e la previsione di un criterio interpretativo basilare: una guida per la costruzione di una teoria generale della fedeltà nei rapporti di diritto pubblico, utilizzabile per qualunque sistema politico e giuridico di organizzazione del potere.

Sono altresì annoverabili approcci diversi, che pongono in connessione il concetto di fedeltà con l’evoluzione storico-istituzionale dello Stato e con il progressivo mutamento della condotta dei cittadini nei confronti dello Stato. Se questa impostazione adotta una metodologia più concreta e vicina alla realtà, essa non si pone comunque in contraddizione con quella kelseniana, non precludendo la possibilità di ricostruire una teoria generale della fedeltà alla Repubblica, che si

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33 adatti anche a sistemi diversi tra loro e in continua evoluzione.

Un’ulteriore obiezione mossa alla teoria del filosofo austriaco, è che la sua posizione dottrinale, che poggia su una solida e ferma concezione normativistica dell’ordinamento, sia completamente inadatta a carpire il significato di fedeltà nello Stato Costituzionale odierno41: l’assetto moderno, in realtà, non scredita la

validità generale della teoria di Kelsen, poiché essa si adatta anche agli attuali sistemi, connotati dalla definizione di un’area di legittimità. Il dovere di fedeltà si comporta, infatti, nel nostro ed in altri ordinamenti, sia come un dovere assistito da un giuramento per le alte cariche dello stato, che come un dovere costituzionale posto in testa ad ogni cittadino, dunque potenzialmente limitativo dei diritti. Il collegamento con la legalità è, quindi, imprescindibile, perché un dovere non può certo manifestare i suoi effetti nella vita dei consociati, al di fuori del principio di legalità e il comportamento di un singolo non può essere giudicato che sulla base di una fattispecie normativa: la concezione prettamente normativa di Kelsen riesce, dunque, a creare una teoria generale, adatta a contesti nazionali diversi e che non cede con l’evolversi della società. Per tali motivi, in Assemblea Costituente fu la concezione filosofica analizzata a prevalere nell’elaborazione del concetto di fedeltà alla Repubblica.

41 G.M. LOMBARDI, Contributo allo studio dei doveri costituzionali,

(34)

34 Spostandoci nel panorama della dottrina italiana, va sottolineato che una parte di essa, nel procedere all’interpretazione dell’art. 54, tende a distanziarsi dalle opinioni prevalenti. Durante i lavori preparatori del testo costituzionale, che collegavano il dovere in questione, connessione con l’art 139 Cost., all’esigenza di apprestare uno strumento prescrittivo volto a proteggere la nuova forma istituzionale. La ragione di ciò sta nel fatto che si intende individuare nell’art. 54, primo comma, un significato giuridico effettivamente costitutivo del nuovo ordinamento costituzionale e non solamente oppositivo rispetto al precedente assetto istituzionale. Sul punto ci sono però molte difficoltà, che nascono dalla presenza di un argomento in particolare, quello della fedeltà, che richiama clausole o concetti generali, come la fiducia, la lealtà, o la correttezza, che da un lato sono semanticamente più vicini alla sfera della morale che a quella del diritto, dall’altro sono utilizzati in campi diversi da quello costituzionale, ad esempio civile, penale42 o giuslavoristico43 , in genere

con riferimento a chiavi interpretative, come quella della cura degli interessi altrui, non applicabili nel rapporto costituzionalmente vigente tra i cittadini e la Repubblica44. Non appaiono riproducibili neanche gli

42 G. ZUCCALA’, L’infedeltà nel diritto penale, Padova, 1961. 43 L. BARASSI, Il diritto del lavoro, II, Milano, 1957, 281.

44 Sul fatto che l’esplicito riferimento alla fedeltà contenuto nella

nostra Costituzione contrasti con la diffusa tendenza della dottrina costituzionalistica a concedere al termine in questione «attenzione

(35)

35 schemi dommatici elaborati da autorevoli giuristi che negli scorsi secoli hanno guidato la scienza del diritto, questo sia perché proprio in tema di vincolo di fedeltà tra il sovrano ed i cittadini erano in massima parte condizionati da impostazioni patrimonialistiche ormai estranee allo Stato contemporaneo45, sia perché la

negazione della giuridicità del vincolo di fedeltà, assorbito in quello di obbedienza alle norme giuridiche oppure, da altro punto di vista, associato a profili metagiuridici, soggettivi e carismatici 46 , risulta

inconciliabile con la chiara importanza che la Costituzione attribuisce al dovere in questione. In via generale poi, le principali opinioni dottrinali relative al primo comma dell’art. 54 si muovono attorno alla determinazione del concetto di fedeltà, per poi andare avanti identificando il soggetto, ovvero la Repubblica, cui si deve fedeltà, cercando un rapporto tra il dovere in questione e gli altri doveri costituzionali.

parsimoniosa», in Enciclopedia del diritto, G. Lombardi, 1968, XVII, 165 ss.

45 Si fa qui riferimento al concetto di fedeltà che, discendendo dalle

concezioni contrattualistiche, ha trovato accoglimento sia nello Stato patrimoniale, che in quello liberale e che era inteso come legame che unisce il suddito (e poi il cittadino) al sovrano (e poi alla pubblica autorità), in corrispondenza della protezione accordata dal secondo a favore del primo. Definizione di fedeltà fornita da Blackstone nel 1973.

46 Per la prima soluzione si rinvia a Kelsen, Teoria generale del

diritto e dello Stato, Milano, 1945, 240; Per la seconda soluzione invece si fa riferimento a SCHMITT. Del resto, nella dottrina tedesca il dovere di fedeltà del sovrano veniva autorevolmente considerato come un concetto avente rilievo meramente residuale ovvero incidente solo sul piano personale, anche a causa dell’assenza di formule costituzionali relative all’obbligo di giuramento di fedeltà.

(36)

36

2.4 Confini soggettivi e dovere di fedeltà dei

non cittadini.

Se la ricostruzione di una teoria generale del dovere di fedeltà non è così immediata, lo è però l’esistenza di un nesso inscindibile tra fedeltà ed identità nazionale, non essendo tradizionalmente neppure concepibile un tale dovere al di fuori dal rapporto di cittadinanza: esso è, tradizionalmente, considerato in dottrina un vincolo inderogabile di solidarietà politica riferibile al solo cittadino. Non si può, tuttavia, non riportare l’opinione contraria di chi, con lo sguardo volto ai problemi posti dalla società multiculturale, invoca l’estensione della totalità dei doveri costituzionali ad una comunità politica più ampia che includa anche i soggetti privi di cittadinanza: in tal modo, non si mira a screditare il legame tra doveri costituzionali e vincolo di cittadinanza, né si vuole stravolgere il concetto tradizionale di solidarietà politica, economica e sociale, concepita dai costituenti come interna ad una comunità definita, sulla base di un criterio di cittadinanza nazionale. Si accetta, in questo modo, al contrario, l’idea che nella vicenda storica iniziata con la rivoluzione borghese e progredita con l’esperienza dello stato liberale, a causa dell’incessante processo di espansione globale che ha investito i diritti, i doveri

(37)

37 abbiano aiutato a definire lo status del cittadino nazionale più dei i diritti stessi, agendo sul piano della costruzione simbolica di un’appartenenza.

Tale evidenza sarebbe ancora più forte, nel caso di positivizzazione di doveri che, implicando una componente non esclusivamente giuridica, ma anche emozionale, spingono su concetti quali la fedeltà e l’amor di patria. È in questa situazione che i doveri «sono assunti a vero e principale discrimine giuridico tra la condizione del cittadino e quella dello straniero, contribuendo, molto più dei diritti universali, a connotare l’identità civica»47.

È, comunque, ravvisabile la tendenza per cui una società destinata a scontrarsi con i problemi del multiculturalismo, tenderà a dare maggiore rilievo alla Costituzione, rispetto alla Nazione, quale elemento unificante di una comunità. Questo evidenzia ancor di più il bisogno di chiamare il non cittadino, ammesso sul territorio dello stato, all’adempimento non di meri obblighi giuridici, ma di tutti i doveri costituzionali di solidarietà: tale pretesa costituisce lo strumento indispensabile per la costruzione di una collettività, incentrata su una responsabile convivenza. Grazie alla loro concretizzazione, sottesa a tale obiettivo, i doveri infatti sono in grado di svolgere una potente funzione di integrazione sociale.

47 E. GROSSO, I doveri costituzionali. Relazione al Convegno

annuale 2009 dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti su «Lo

Statuto costituzionale del non cittadino». Cagliari, 16-17 ottobre

(38)

38 Analizzando, specificamente, la nostra Carta Costituzionale, emerge come i doveri non siano riferiti soltanto ai cittadini ma possano essere suddivisi in due categorie, a seconda dei soggetti su cui ricadono e a cui si riferiscono: alcuni gravano soltanto sui cittadini, come quello di difesa alla Patria48; altri, invece, si

rivolgono a tutti i soggetti presenti sul territorio nazionale, come quello di osservanza delle leggi. Quest’ ultima sotto partizione può, tuttavia, subire delle specificazioni e delle variazioni, prettamente riferite ai soli cittadini, nel caso in cui sottendano ad un rapporto più intenso con la comunità politica49.

48 A questo proposito si deve però segnalare che la Corte

costituzionale ha riconosciuto che anche gli apolidi regolarmente residenti potessero essere assoggettati agli obblighi di leva (sent. n. 172 del 1999), argomentando, tra l’altro, la legittimità della scelta legislativa in ragione dell’assenza di conflitti di fedeltà con altri ordinamenti. Il diritto internazionale consuetudinario, infatti, vieta la doppia imposizione dell’obbligo militare. Parte della dottrina ha accolto positivamente la decisione della corte, leggendovi uno sviluppo della difesa della Patria come difesa dell’ordinamento costituzionale e quindi lo spostamento stesso del concetto di Patria dall’universo “etnico” a quello “elettivo”. E. GROSSO, Sull’obbligo di prestazione del servizio di leva da parte

degli apolidi, 1712 ss.

49 La cittadinanza invero ha una posizione strategica all’interno dei

concetti filosofico-politici; sul punto, V. P. COSTA, Cittadinanza e

comunità. Un 'programma' di indagine storiografica fra medioevo ed età moderna, Bologna, 1999, 15: «essa sta ora ad indicare non

tanto e non solo la posizione giuridica di un individuo di fronte ad uno specifico ordinamento statuale, ma la relazione che collega il soggetto alla comunità politica come tale e il regime dei diritti e dei doveri che ne scaturiscono»,

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39 La repressione dei reati di cui agli artt. 24150 e ss. c.p.,

che vanno sotto il titolo di “delitti contro la personalità dello stato”, dimostra come l’ordinamento individui, anche per i non cittadini, delle fattispecie delittuose sussumibili nel dovere di fedeltà nei confronti dello Stato. Queste norme, infatti, si pongono a difesa dei supremi interessi dell’ordinamento: sicurezza interna ed esterna, unità e indipendenza della Nazione, assenza di impedimenti nell’esercizio delle istituzioni democratiche e libera partecipazione dei cittadini alla vita politica.

Inquadrando il dovere di fedeltà come obbligo di rispetto del pluralismo della società, inteso nella Costituzione come astensione da ogni comportamento materiale, volto a sovvertire il sistema di diritto, al fine di imporre agli altri i propri valori di riferimento, è evidente come esso non possa non ricadere, anche se con minore intensità, sui non cittadini, come condizione necessaria del saper vivere nella società.

Valorizzando il principio personalistico e solidaristico, inoltre, la fedeltà e l’osservanza della Costituzione e delle leggi arrivano ad assumere il ruolo di fattore fondamentale di integrazione, divenendo, come espresso da Grosso, elemento “imprescindibile di quell’insieme di relazioni nelle quali si estrinseca e si

50«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie

atti violenti diretti e idonei a sottoporre il territorio dello Stato o una parte di esso alla sovranità di uno Stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza o l'unità dello Stato, è punito con la reclusione non inferiore a dodici anni.»

(40)

40 manifesta il legame sociale, ben oltre i confini della cittadinanza51”.

2.5 I rapporti tra il primo e il secondo comma

dell’art. 54: la fedeltà qualificata dei pubblici

funzionari.

La disposizione dell’art 54 primo comma della Costituzione è rivolta a tutti i cittadini, mentre, il secondo capoverso, impone esclusivamente ai soggetti incaricati di pubbliche funzioni il dovere di “adempiere

con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”: si pone un dovere di fedeltà

qualificata per quei soggetti che, nel compimento dei compiti ad essi affidati, devono agire con devozione nei confronti dello Stato. Giuridicamente, la disposizione del secondo comma potrebbe apparire di facile interpretazione: essa potrebbe, infatti, essere considerata come mera ripetizione e riaffermazione del dovere di osservanza di cui al primo comma oppure meramente dichiarativa delle modalità di adempimento dei doveri di ufficio52. Se superficialmente questo è

vero, la disposizione non può risolversi in una pura ripetizione del contenuto del primo comma: essa reca una specifica disciplina per i soggetti investiti di pubblici

51E. GROSSO, I doveri costituzionali, cit.

52 P. BARILE, Il soggetto privato nella Costituzione italiana, Padova,

(41)

41 uffici che, in ragione del loro incarico, entrano in particolari rapporti con l’organizzazione statale53. La

dottrina evidenzia come la qualifica di funzionario non sia da confondere con quella di impiegato: il primo è legato alla sua funzione e quindi all’ufficio in forza di un rapporto di dovere e non di un semplice vincolo di servizio.

Per avere una panoramica completa del tema, la disciplina dettata dalla norma in questione deve essere posta in connessione con altre disposizioni costituzionali riguardanti la stessa materia. Il collegamento principale è con l’articolo 98 della Costituzione secondo cui «i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione»: tale norma mette in luce l’indipendenza dei titolari delle funzioni pubbliche da ogni autorità ed influenza che possa ostacolare, o influenzare il fine primario di essi, ovvero l’interesse generale statuito dalla legge.

L’analisi combinata tra il primo e il secondo comma fa emergere una somiglianza strutturale nel modo in cui questi sono formulati: anche il secondo comma, infatti, concerne il concetto di fedeltà, presentandone due diverse modalità e concezioni. La prima, prettamente giuridica, finisce per corrispondere con il dovere di osservanza alle leggi; il secondo, invece, rinvia alla sfera politica, manifestandosi nel momento in cui la

53 G. LOMBARDI, Contributo allo studio dei doveri costituzionali,

(42)

42 disposizione qualifica lo svolgimento delle funzioni pubbliche. Il combinato disposto del primo e secondo comma mostra come l’ordinamento si aspetti il raggiungimento di determinati obiettivi da soggetti cui è richiesto, altresì, lo sviluppo di un grado di devozione più elevato rispetto al semplice “dovere di ufficio”.

L’art 54, quindi, da un verso, evoca una dimensione non giuridica così da incentivare un’adesione non solo esteriore e formale allo svolgimento delle pubbliche funzioni; per un altro verso, invece, lascia aperta al legislatore la possibilità di prevedere nuovi obblighi e doveri per i soggetti chiamati a questi uffici e di specificare quale sia il comportamento dovuto (come avviene, ad esempio, per la disciplina concernente i giuramenti54).

Questo particolare vincolo che lega i funzionari pubblici allo Stato è stato messo in luce altresì dalla Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della disciplina legislativa, che imponeva ai dipendenti condannati per alcuni reati, anche se in via non definitiva, la sospensione dal servizio, salva poi la revoca del provvedimento, nel caso di successiva sentenza di proscioglimento o di assoluzione. La Corte confermò la legittimità di tali misure sostenendo che “il

rapporto che lega gli utenti e i destinatari dell’attività amministrativa a coloro che, occupando i pubblici uffici,

(43)

43

hanno il dovere di adempiere le funzioni pubbliche loro affidate con disciplina ed onore e ponendosi al servizio esclusivo della Nazione55”.

I pubblici funzionari sono tenuti, quindi, ad un particolare rapporto di “fedeltà qualificata” verso l’amministrazione di cui fanno parte. Essi hanno due doveri: il primo, analogo a quello vigente per tutti i cittadini, di fedeltà alla Repubblica, osservanza della Costituzione e delle leggi; il secondo consiste nello svolgimento delle funzioni ad essi attribuite con disciplina ed onore e con la prestazione di un giuramento nei casi stabiliti dalla legge. Se un pubblico funzionario nell’esercizio delle sue funzioni viola un diritto, ne risponde personalmente e solidalmente con lo Stato o l’ente pubblico presso cui presta servizio (art 28 Cost.56).

Il termine “onore”, posto in connessione, nel dettato normativo dell’articolo 54 con quello di “disciplina” richiede una maggiore attenzione: la disciplina richiama, infatti, attività che non sono necessariamente libere, riferendosi, in concreto, alla semplice diligenza, nel caso in cui non vi sia discrezionalità da parte del pubblico funzionario. Il termine disciplina consacra,

55 Sentenza Corte costituzionale n. 206 del 1999.

56 «I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono

direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.»

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