Riassunto
La nevrectomia digitale palmare è stata largamente utilizzata per trattare le patologie causa di dolore palmare cronico del piede, consentendo l’uso di cavalli affetti da zoppia cronica dopo l’insuccesso di terapie conservative. Più recentemente è caduta in disuso, sia per motivi etici, sia perché la mancanza di una diagnosi oggettiva della patologia non permetteva di prevedere le eventuali complicazioni. In particolare gravi lesioni del tendine digitale profondo pongono il soggetto a rischio di rottura dello stesso. Inoltre alcuni organismi sportivi (FEI/FISE) vietano la partecipazione alle competizioni a soggetti sottoposti a nevrectomia.
L’avvento della Risonanza Magnetica nella pratica veterinaria ha permesso notevoli progressi nella diagnosi delle patologie ortopediche. Attualmente la RM è riconosciuta come gold standard della diagnostica per immagini del piede del cavallo.
Vengono presentati i dati anamnestici, clinici, di diagnostica per immagini di primo livello e di RM di quattro cavalli affetti da dolore palmare cronico del piede. Questi soggetti sono stati sottoposti a nevrectomia digitale palmare ed hanno successivamente ripreso il livello di attività precedentemente svolto. Il follow up è stato variabile tra i 6 e 24 mesi.
Una diagnosi precisa delle patologie del piede, ottenuta con l’uso della Risonanza Magnetica, può consentire di valutare la prognosi e quantificare i rischi di una nevrectomia digitale palmare consentendo di continuare l’attività a soggetti non responsivi ad altre terapie.
Parole chiave: Risonanza Magnetica, nevrectomia digitale palmare, Cavallo, piede, zoppia
Abstract
Palmar digital neurectomy has been widely used to alleviate chronic palmar foot pain in horses in which previous conservative management was unsuccessful. More recently it fell into disuse, both for ethical issues and because the lack of an objective diagnosis did not allow the prediction of potential severe complications associated with the procedure. Severe lesions of the deep digital flexor tendon particularly predispose to the risk of a catastrophic failure of the tendon. Furthermore equestrian ruling bodies (FEI/FISE) preclude enrolling to competitions to neurectomized horses.
The advent of Magnetic Resonance Imaging (MRI) in equine veterinary practice has been a breakthrough in the diagnosis of orthopaedic conditions of the equine foot. Currently MRI is recognized as the gold standard in imaging of equine foot disease.
We present anamnestic, clinical, radiographic and MR imaging data of four horses affected by palmar chronic foot pain. These patients were submitted to palmar digital neurectomy and subsequently resumed the previous level of activity in the absence of untoward side effects or complications. The follow up was of 6 and 24 months.
An accurate diagnosis of foot disease obtained by MRI, allowed to estimate risks associated with palmar digital neurectomy. Horses unresponsive to other form of therapies were able to continue previous athletic activity.
Key words: Magnetic Resonance Imaging, palmar digital neurectomy, horse, foot, lameness
INTRODUZIONE
La nevrectomia digitale palmare nel cavallo è una delle più antiche procedure
chirurgiche in medicina veterinaria, descritta già dal XIX secolo. Nel corso degli anni è stata largamente utilizzata per consentire l’uso di cavalli affetti da zoppia cronica della regione del piede a seguito dell’insuccesso delle terapie conservative[2, 5].
Tra le patologie più frequentemente trattate con la recisione dei nervi digitali palmari, troviamo la sindrome navicolare, la calcificazione delle cartilagini alari, le fratture della terza falange e dell’osso navicolare e la desmopatia dei legamenti collaterali del
navicolare[2, 5, 32, 35]. La nevrectomia digitale palmare è una terapia chirurgica palliativa:
non ha cioè alcuna azione propriamente terapeutica per la patologia causa del problema, ma viene impiegata per la riduzione del dolore palmare cronico nei soggetti in cui la terapia conservativa non ha avuto successo. Tale tecnica chirurgica presenta senza dubbio dei limiti di applicazione ed è associata alla possibile insorgenza di complicazioni più o meno gravi, come la re innervazione, la formazione di neuromi, la rottura del tendine flessore profondo del dito (DDFT)[2, 5, 32, 35].
La selezione del paziente su cui eseguire l’intervento è una fase di fondamentale importanza e la visita clinica e ortopedica dovrebbe essere la più accurata possibile.
Per diminuire il rischio d’insorgenza di complicanze particolarmente gravi come la rottura del DDFT è importante escludere i soggetti affetti da una tendinopatia grave a carico di questa struttura. Questo perché, se le fibre tendinee sono gravemente
danneggiate, la rimozione di un dolore “protettivo” potrebbe costituire un fattore predisponente alla rottura.
Un altro importante dato utile per la selezione dei soggetti è senza dubbio costituito da una risposta positiva alle anestesie semeiologiche digitali palmari, con un miglioramento della zoppia di almeno il 90%[2]. Solo tali soggetti possono considerarsi buoni candidati per l’intervento, in caso contrario la recisione dei nervi rischierebbe di non ottenere un miglioramento clinico soddisfacente.
La zoppia del piede è una manifestazione clinica di difficile diagnosi obiettiva. E’
possibile individuare l’area anatomica da cui origina il dolore attraverso un uso attento delle anestesie semeiologiche, ma l’identificazione precisa della struttura affetta da patologia comporta difficoltà maggiori. Il ricorso a tecniche di diagnostica per immagini di primo livello (radiologia ed ecografia) spesso non è conclusivo per i limiti associati
alla regione anatomica. La radiologia permette esclusivamente lo studio dei tessuti mineralizzati e quindi non consente la visualizzazione di patologie a carico delle
strutture teno-‐desmiche. Inoltre alcune alterazioni ossee, come quelle a carico dell’osso navicolare, sono visibili solo nelle fasi avanzate della patologia. Anche l’uso
dell’ecografia non garantisce risultati migliori, consentendo di ottenere informazioni parziali, di difficile e spesso dubbia interpretazione.
E’ da prendere in considerazione il fatto che alcuni organismi sportivi (FEI/FISE) vietano la partecipazione alle competizioni ai soggetti sottoposti a nevrectomia.
Per tali ragioni il ricorso a tale procedura chirurgica, che in molti casi potrebbe costituire l’estremo tentativo non solo per salvaguardare la carriera sportiva di un cavallo atleta ma anche la qualità della vita, o addirittura la stessa sua vita, è stata progressivamente abbandonata.
Il limite maggiore sotto il profilo etico, ma soprattutto medico, è con ogni probabilità rappresentato dal fatto che spesso il clinico non è in grado di raccogliere sufficienti dati clinici per poter consigliare la nevrectomia digitale solo nei soggetti con i requisiti minimi necessari per poter essere sottoposti a tale intervento.
In tempi abbastanza recenti è stato possibile progredire in modo significativo in tal senso grazie all’avvento, anche in ambito ippiatrico, della Risonanza Magnetica (RM) come gold standard diagnostico per le patologie ortopediche del piede. La RM permette una buona visualizzazione di tutti i tessuti, siano essi mineralizzati o non
mineralizzati[41, 20, 34].
Le immagini RM, fornendo un’analisi dettagliata delle alterazioni patologiche anche delle strutture anatomiche intracapsulari, consentono di giungere a una diagnosi specifica di patologia, favorendo la formulazione di un piano terapeutico mirato e garantendo una prognosi predittiva più accurata [23].
La RM permetterebbe una scelta oculata e responsabile dei candidati alla nevrectomia, escludendo quindi soggetti che presentano lesioni degenerative gravi a carico del
tendine flessore profondo e garantendo così un’applicazione più sicura di questa tecnica chirurgica.
L’ipotesi di partenza è stata che la precisa diagnosi delle patologie del piede, grazie all’esame RM, possa fornire le informazioni necessarie per valutare il grado di rischio e quindi migliorare la prognosi di un soggetto sottoposto a nevrectomia.
Il nostro studio ha preso in esame i dati anamnestici, clinici e di diagnostica per immagini, radiografica e RM, di quattro soggetti affetti da dolore palmare cronico del piede. I soggetti sono stati poi sottoposti a nevrectomia digitale palmare e hanno ripreso il livello di attività precedentemente svolto. Il follow-‐up dei casi è stato variabile tra i 6 e i 24 mesi.
1. PRINCIPI GENERALI DI RISONANZA MAGNETICA
1.1. GENERALITÀ
La Risonanza Magnetica ha alcuni aspetti comuni con altre tecniche di diagnostica per immagini, come la radiografia, la tomografia computerizzata o l’ecografia, ma allo stesso tempo possiede delle caratteristiche del tutto uniche, determinate dai principi fisici sui quali si basa la formazione delle immagini. Si tratta, infatti, di una tecnica che sfrutta le proprietà magnetiche proprie di ciascun atomo formante i tessuti biologici, posti all’interno di un campo magnetico esterno. Non richiede quindi l’utilizzo di radiazioni ionizzanti, salvaguardando così il paziente da tutti gli effetti collaterali dati
dall’interazione di queste radiazioni con la materia. Permette l’acquisizione d’immagini multiplanari, anche in post-‐acquisizione, consentendo una visualizzazione
tridimensionale dell’anatomia del paziente, e rendendo così visibili lesioni o anomalie che non sarebbe altrimenti possibile esaminare con le tecniche diagnostiche di primo livello.
Nonostante questi aspetti molto vantaggiosi, è necessario ricordare che si tratta di un esame che richiede attrezzature specifiche che comportano un notevole investimento economico. Inoltre questa tecnica diagnostica presuppone che il paziente si trovi nella più completa immobilità, e quindi, in rapporto al tipo di macchinario utilizzato, sarà necessaria una profonda sedazione oppure l’anestesia generale, condizioni che determinano un aumento dei rischi per il paziente e delle spese per il proprietario.
1.2. SISTEMI AD ALTO E A BASSO CAMPO
Per acquisire le immagini in RM sono disponibili sistemi ad alto campo e sistemi a basso campo. La differenza sostanziale tra i due è l’intensità del campo prodotta dai magneti: i
sistemi dotati di un’intensità minore di 0,5T 1sono definiti a “basso campo” o “LF” (Low Field), mentre quelli con intensità maggiore a 1T sono definiti a “alto campo” o “HF”
(High Field).
I sistemi ad alto campo garantiscono immagini di qualità eccellente in tempi di acquisizione estremamente contenuti, hanno però dei costi, sia d’acquisto sia di gestione, molto elevati, che ne limitano quindi di molto la diffusione in ambito veterinario.
I sistemi LF pur essendo caratterizzati da una qualità d’immagine inferiore ai sistemi HF offrono comunque molti vantaggi nella diagnosi di patologie d'interesse ortopedico[30]. Inoltre, la maggior "accessibilità" di questi sistemi, ha contribuito a far sì che l'esame di risonanza magnetica sia sempre più considerato come un necessario step diagnostico per il conseguimento di un'accurata diagnosi anche in ambito ippiatrico. In commercio esistono diverse ditte che producono sistemi di RM a basso campo che possono essere sfruttati per la pratica ippiatrica della medicina veterinaria, l'unico però concepito per l'acquisizione d’immagini in cavalli sedati in posizione quadrupedale (standing MRI) è prodotto dalla Hallmarq. Si tratta di un "Distal Limb Scanner” da 0,3T che grazie a particolari sequenze e all'utilizzo di un software per la correzione degli artefatti indotti dal movimento permette d’indagare facilmente le regioni più distali come il piede, pastorale e nodello. Per indagare regioni più prossimali, ad esempio come carpo, garretto cranio o colonna cervicale craniale solitamente si ricorre a sistemi HF oppure LF, ma comunque il cavallo dev’essere sottoposto ad anestesia generale.
L’intensità di campo rimane il fattore decisivo per la qualità dell’immagine in RM, infatti, un sistema HF produrrà sempre immagini di qualità sostanzialmente migliore di
qualsiasi altra immagine acquisita con un sistema a basso campo. Ciononostante, un sistema a basso campo è comunque in grado di produrre delle buone immagini con sufficiente o buona capacità diagnostica, relative a un gran numero di alterazioni patologiche[30, 38].
L’acquisizione d’immagini di buona qualità attraverso l’uso di un sistema a basso campo è come per tutte le tecniche diagnostiche “operatore dipendente”: infatti, è
fondamentale una buona conoscenza del sistema e dei suoi limiti, la comprensione dei principi base di RM e una conoscenza molto dettagliata dell’anatomia equina.
1 Il Tesla (T) è l’unità di misura SI del campo magnetico. Corrisponde al campo magnetico che si origina da una circonferenza al cui interno scorre una corrente elettrica di 1 milione di Ampère. 1T=100.000 volte la forza di attrazione terrestre.
L’ottimizzazione dell’acquisizione dell’immagine richiede un appropriato posizionamento del paziente all’interno della macchina, una meticolosa programmazione dello studio e infine una perfetta analisi dell’immagine.
1.3. PRINCIPI FISICI
La risonanza magnetica (RM), basata sul fenomeno della Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), e quindi sulla risonanza dei nuclei degli atomi, origina dalla misurazione dei segnali provenienti dai nuclei come risposta a impulsi di onde radio inviate con una frequenza predefinita (Mitchell 2000). Tutte le sostanze presenti in natura hanno, a livello nucleare, delle proprietà magnetiche; infatti, ogni nucleo è formato da due tipi di particelle: i protoni, dotati di carica positiva, e i neutroni, privi di carica. Quando un nucleo è costituito da un numero dispari di protoni e neutroni, esso sarà caratterizzato da un movimento rotatorio sul proprio asse (il cui momento angolare viene definito spin). Nuclei con numero atomico dispari sono ad esempio l’idrogeno-‐1, il carbonio-‐13, il fluoro-‐19 e il fosforo-‐31.
L’applicazione medica della RM sfrutta le proprietà magnetiche dell’idrogeno-‐1, costituito da un nucleo con un solo protone e presente in grandi quantità nei tessuti organici (è un elemento essenziale dell’acqua e dei grassi)[37, 22].
Ogni nucleo si può considerare come una sfera in continuo movimento rotatorio attorno al proprio asse magnetico, e all’interno di un tessuto biologico i diversi nuclei d’idrogeno si trovano orientati con i rispettivi assi magnetici in modo casuale. Se noi inseriamo questo tessuto
all’interno di un campo magnetico statico, definito B0, gli assi magnetici nei nuclei tenderanno ad allinearsi, paralleli tra loro, lungo l’asse di B0 (Fig. 1).
Fig. 1. Allineamento dei nuclei idrogeno prima e dopo il loro
inserimento in un campo magnetico B0
I nuclei si possono disporre in due modi diversi all’interno del campo magnetico statico:
paralleli a esso (conformazione up o livello fondamentale), oppure antiparalleli
(conformazione down o livello eccitato), cioè orientati a 180° rispetto ai nuclei paralleli (Fig. 2).
Il numero dei nuclei disposti in posizione parallela è generalmente maggiore di quello dei nuclei disposti in direzione antiparallela, perché il livello fondamentale è più stabile. La somma di tutte le magnetizzazioni dei nuclei viene indicata come magnetizzazione macroscopica M, ed ha la stessa direzione di B0, mentre il suo movimento di rotazione, data dall’insieme di tutte le rotazioni compiute da ciascun atomo attorno al proprio
asse, viene definita precessione, che è caratterizzata da una frequenza e da una velocità definite (Fig. 3). Per indurre la risonanza dei protoni sarà necessario
utilizzare delle onde radio di frequenza uguale a quella della precessione dei nuclei.
Quando un tessuto, o un corpo, è inserito all’interno di un campo magnetico, la
magnetizzazione macroscopica dei nuclei si trova in condizioni di equilibrio e ha la stessa direzioni di B0, per questo motivo viene anche chiamata magnetizzazione longitudinale (ML), perché è appunto longitudinale al campo magnetico stesso. In questo modo però, la magnetizzazione del tessuto è difficilmente misurabile, poiché è oscurata da B0, che ha un’intensità maggiore. Per rendere misurabile la magnetizzazione del tessuto, allo scopo di creare un’immagine RM, è necessario perturbare l’equilibrio applicando un impulso radio. Le onde radio impiegate in RM sono definite “impulsi”, poiché hanno una durata molto breve, nell’ordine del millesimo di secondo[22]. Inviando un’onda elettromagnetica di frequenza pari a quella di precessione dei nuclei si ottiene il fenomeno della
Fig. 2 Orientamento parallelo e antiparallelo
Fig. 3 Precessione dei nuclei
“risonanza”, che provoca l’eccitazione del sistema. Infatti, con l’uso di un impulso a radiofrequenza appropriata potremmo ottenere una rotazione della magnetizzazione del tessuto, che da longitudinale diverrà trasversale. La magnetizzazione trasversale (MT) può essere misurata e registrata poiché non è oscurata dalla magnetizzazione di B0[37] .
Il valore dell’angolo di oscillazione è funzione dell’ampiezza e della durata dell’impulso di eccitazione: si definisce impulso di 30°, 90° o 180°, una radiofrequenza di intensità e durata tali che, subito dopo l’impulso, la magnetizzazione del tessuto formi con il campo B0 un angolo di 30°, 90° o 180°. Nella maggior parte dei casi si utilizzano impulsi di 90° o 180°.
1.4. PARAMETRI ESSENZIALI DEL SEGNALE
I parametri essenziali del segnale sono la Densità Protonica (DP), il tempo di rilassamento longitudinale o T1 e il tempo di rilassamento trasversale o T2.
La densità protonica rappresenta il numero dei nuclei d’idrogeno risonanti per unità di volume del tessuto.
Il rilassamento è il ritorno all’equilibrio del sistema (il ritorno della magnetizzazione dalla posizione trasversale alla posizione parallela a B0) una volta terminata
l’eccitazione provocata dalla radiofrequenza. Questo fenomeno è caratterizzato da due tempi: T1 e T2.
Il T1 esprime la velocità con cui viene recuperata la ML. Il valore del tempo T1 dipende fortemente dall’intensità del campo magnetico B0 utilizzato, ma anche dalla massa e dalle dimensioni delle molecole che costituiscono i tessuti. In uno studio recente è stato osservato che anche la temperatura del soggetto e la maturità del tessuto osseo possono influenzare questo parametro[4]. L’acqua libera pura è la sostanza con il tempo T1 più lungo in assoluto (circa tre secondi), mentre i tessuti adiposi, invece, hanno i tempi di rilassamento più corti di tutti gli altri tessuti biologici (circa 100-‐150 millisecondi). Il T2 definisce la velocità con cui decresce la MT e corrisponde al tempo necessario per avere una diminuzione del 63% della magnetizzazione trasversale dopo un impulso di 90°.
1.5. SEGNALE DI RM
L’individuazione della magnetizzazione nucleare si esegue ponendo nel piano
perpendicolare a B0, detto piano di misurazione, una bobina. Il movimento di rotazione della magnetizzazione trasversale crea nella bobina una corrente elettrica indotta, misurabile dopo un’amplificazione, che costituisce il segnale RM. La misurazione della corrente indotta, che viene anche chiamata “decadimento libero dell'induzione” o F.I.D.
(Free Induction Decay), permette di determinare i parametri caratteristici del segnale RM, che sono la frequenza, la durata, l’ampiezza ed eventualmente la fase.
1.6. COMPONENTI FUNZIONALI
Un sistema a RM è costituito da più elementi funzionali essenziali[37]. Il primo di essi è il magnete, che è la componente deputata alla creazione di un campo magnetico stabile nel tempo, omogeneo nello spazio e di intensità sufficiente. I magneti maggiormente
impiegati nella diagnostica a RM sono caratterizzati da campi di forza compresi tra 0,2 e 3 Tesla.
Un altro componente funzionale è la bobina, che è l’elemento deputato all’invio delle radiofrequenze, all’eccitazione del sistema di spin e alla ricezione del segnale. All’interno di un sistema a RM sono presenti due bobine: la bobina emittente, che è compresa nel tunnel del magnete e quindi non è visibile, e la bobina ricevente, scelta in base alla regione anatomica da indagare. Si possono distinguere diversi generi di bobine: i tipi principali sono quelle di volume e quelle di superficie. Le bobine di volume sono utilizzate contemporaneamente sia per l’emissione sia per la ricezione, sono
caratterizzate da una buona omogeneità di segnale e hanno una forma tale da circondare la parte in esame. Le bobine di superficie, invece, sono usate esclusivamente per la ricezione del segnale e possono avere forme diverse in funzione della parte anatomica oggetto dello studio.
Infine deve essere presente un sistema di acquisizione dei dati. Vengono utilizzate una work station e software (proprietario), che sono le unità che permettono la gestione dei comandi, l’impostazione delle radiofrequenze, la raccolta e l’elaborazione dei dati, la visualizzazione delle immagini e la gestione delle sequenze.
1.7. SEQUENZE
Esistono vari tipi di sequenze possibili per le serie di impulsi di radiofrequenza emessi e la loro diversità si basa sul diverso utilizzo di alcuni parametri, chiamati parametri di acquisizione.
Per quanto riguarda la pesatura in T1, i parametri più importanti che possono variare sono il tempo di ripetizione o TR e il flip angle o FA[37]. Il TR è l’intervallo di tempo che intercorre tra le varie ripetizioni di impulsi eccitanti, mentre il FA è l’ampiezza della rotazione della magnetizzazione causato dall’impulso radio eccitante.
Per quanto riguarda la pesatura in T2, invece, il parametro fondamentale è il tempo di eco o TE[37]. Per la formazione dell’immagine in RM la magnetizzazione trasversale non è misurabile in modo diretto, poiché decade molto rapidamente, di conseguenza si
rimedia formando un’eco del segnale. Il tempo che trascorre tra la creazione iniziale della magnetizzazione trasversale e la sua misurazione è ciò che viene definito tempo di eco.
Qui di seguito saranno illustrate le sequenze di impulsi più utilizzate nell’acquisizione delle immagini mediante risonanza magnetica.
1. Sequenze Gradient Eco
Una sequenza Gradient Eco o GE consiste in un impulso di eccitazione seguito dalla misurazione di un’eco. Le tecniche possibili sono le Unspoiled Gradient Eco e le Spoiled Gradient Eco.
Le tecniche Unspoiled Gradient Eco sono caratterizzate da sequenze di impulsi nelle quali la magnetizzazione trasversale è ancora presente al momento
dell’applicazione del secondo impulso di eccitazione. Infatti, utilizzando TR brevi per ottenere dei tempi di acquisizione veloci, sarà presente una magnetizzazione trasversale residua al momento dell’impulso di eccitazione successivo.
Le tecniche Spoiled Gradient Eco invece, prevedono un annullamento della magnetizzazione trasversale residua prima di ogni impulso di eccitazione in modo da non influenzare il contrasto dell’immagine.
2. Sequenze Spin Eco
Si tratta di sequenze costituite da due impulsi separati da un intervallo di tempo.
Il primo impulso ha una radiofrequenza di 90° e il secondo è un impulso di 180°.
Le tecniche Spin Eco sono più tolleranti ai disturbi elettromagnetici del sistema
rispetto alle sequenze Gradient Eco, infatti, gli impulsi radio di rifocalizzazione a 180° sono in grado di correggere parzialmente le imperfezioni del campo
magnetico.
3. Sequenze “Inversion Recovery” (IR)
Si tratta di frequenze che forniscono un eccellente contrasto in T1 ma hanno una durata di acquisizione più lunga. La sequenza di base è costituita da una
successione di tre impulsi: il primo impulso è di 180°, il secondo è di 90° e viene inviato dopo un intervallo di tempo definito tempo di inversione o TI, infine, l’ultimo impulso è nuovamente di 180°. La sequenza IR può essere utilizzata per
“spegnere” specificatamente l’intensità di un tessuto: ad esempio, è possibile, scegliendo un tempo d’inversione TI breve, annullare la magnetizzazione longitudinale del tessuto adiposo sopprimendone l’intensità. Questa sequenza prende il nome di STIR (Short TI Inversion Recovery).
Queste tecniche di acquisizione delle immagini possono essere applicate
nell’acquisizione di immagini pesate in T1, in T2 oppure in Densità Protonica (DP).
1. Sequenze di impulsi pesate in T1
Si tratta di sequenze che permettono la formazione di immagini con contrasto in T1 ottenute utilizzando TR e TE brevi.
• Spin Eco: La tecnica Spin Eco permette di ottenere immagini pesate in T1 di buona qualità e con pochi artefatti. Il TR è pari o minore a 600 msec e al diminuire dell’intensità di B0 è necessario utilizzare TR più brevi. Il TE è il più breve possibile.
• Inversion Recovery: Le tecniche di IR possono essere utilizzate per ottenere sulle immagini Spin Eco un contrasto in T1 più forte, con la formazione di immagini fortemente pesate in T1, nelle quali i tessuti con T1 breve sono rappresentati con segnali ad alta intensità.
2. Sequenze di impulsi pesate in T2
Si tratta di sequenze che permettono la formazione di immagini con contrasto in T2 ottenute utilizzando TR e TE lunghi.
• Spin Eco: La tecnica Spin Eco garantisce un contrasto in T2 accettabile per la maggior parte dei tessuti.
3. Sequenze di impulsi pesati in Densità Protonica (DP)
Le immagini presentano un contrasto intermedio tra quello di un’immagine pesata in T1 e quello di un’immagine pesata in T2, per questo motivo le sequenze sono anche dette “con pesatura intermedia”. Le immagini pesate in DP si rivelano molto utili nella visualizzazione delle strutture ipo-‐intense, come la corticale ossea o i tessuti fibrosi, rispetto allo sfondo dei tessuti molli ad intensità più alta.
• Spin Eco: La tecnica Spin Eco è il metodo migliore per acquisire immagini in DP. Il TR utilizzato è lungo, mentre il TE è breve.
1.8. INTERPRETAZIONE DELLE IMMAGINI
Il livello d’intensità di segnale dei tessuti determina la formazione d’immagini RM rappresentate come una scala di grigi, con una gamma di contrasti variabile. Il contrasto è dato dalle proprietà del tessuto in funzione della densità protonica e dei tempi di rilassamento T1 e T2[38]. Il segnale RM dei tessuti deriva dall’acqua e dal grasso presenti al loro interno, dove gli ioni idrogeno sono mobili e molto abbondanti. Le strutture costituite da pochi ioni idrogeno, come la corticale ossea e le strutture teno-‐desmiche, producono un segnale molto basso o nullo apparendo quindi scure (ipo-‐intense).
Lo stesso tessuto avrà un aspetto diverso in base al tipo di sequenza utilizzata, infatti, l’acqua ha un tempo di rilassamento longitudinale lungo, mentre il tessuto adiposo presenta un T1 corto. Per questo motivo nelle sequenze pesate in T1, i fluidi
Fig. 4: A:immagine pesata in T1; B:immagine in DP; C:immagine pesata in T2;
D:immagine in STIR
Adams & Stashak’s Lameness in Horses
appariranno scuri, i tessuti ricchi di acqua in grigio, mentre il tessuto adiposo apparirà brillante, cioè iper-‐intenso. Le immagini acquisite con pesatura in T1 si caratterizzano per una buona risoluzione. I tessuti fisiologicamente più ricchi di acqua così come i tessuti edematosi appaiono più scuri dei tessuti circostanti. Nelle immagini pesate in T2 invece, i liquidi appaiono iper-‐intensi mentre i tessuti ricchi di acqua o grassi hanno un’intensità media. Queste immagini sono meno dettagliate rispetto a quelle pesate in T1 ma sono utili nell’identificazione di stati patologici in cui aumenta il contenuto di fluidi, come edemi o fenomeni infiammatori, che si manifestano, appunto, con aree d’intensità maggiore rispetto ai tessuti circostanti più scuri. Tuttavia, la presenza di alterazioni patologiche che determinano un accumulo di liquidi all'interno di tessuti ricchi di cellule adipose, come la midollare ossea ad esempio, ne rende l'identificazione difficoltosa se non addirittura impossibile. Per ovviare a questo problema si ricorre a sequenze particolari, in grado di sopprimere il segnale del tessuto adiposo, come la STIR.
1.9. ARTEFATTI
Gli artefatti sono un evento piuttosto comune durante un esame RM, si tratta d’intensità di segnale (o totale mancanza di esso) che non è prodotta e non è propria del tessuto oggetto dello studio. Le cause più comuni sono il movimento, una disomogeneità del campo magnetico e artefatti dati dall’acquisizione digitale delle immagini.
1.9.1. ARTEFATTI DA MOVIMENTO
Dato che generalmente i pazienti si trovano in uno stato di anestesia generale, la causa di questo tipo di artefatti è da ricercare in movimenti impercettibili, perlopiù dati dagli atti respiratori o dalle pulsazioni arteriose all’interno dei vasi. Questi movimenti conducono a un fenomeno definito “ghosting”[38], ossia la molteplice ripetizione di un distretto anatomico sovrapposto all’immagine reale di partenza (Fig. 5).
Per risolvere questo inconveniente è sufficiente cercare di immobilizzare il più possibile il distretto anatomico oggetto dello studio, ad esempio utilizzando
sacchetti pieni di sabbia, minimizzando così i movimenti dati dall’escursione toracica durante la respirazione. Gli artefatti da flusso derivano dal movimento dei protoni all’interno dei vasi sanguigni, e sono particolarmente evidente nelle sequenze GE, dove il sangue appare iperintenso. Per eludere il problema è possibile utilizzare bande di saturazione o opzioni di
acquisizione volte a compensare il flusso[38].
Fig. 5 Artefatto da movimento in una sequenza STIR ottenuta con un sistema LF “standing MRI”.
Da Equine MRI (2011) Murray R.
1.9.2. ARTEFATTI DA MANCATA OMOGENEITÀ DEL CAMPO MAGNETICO.
Per la buona riuscita delle immagini è necessario un campo magnetico il più omogeneo possibile, un’eventuale disomogeneità può portare alla distorsione dell’immagine o alla formazione di artefatti. La causa più comune della mancata omogeneità del campo è data da variazioni eccessive della temperatura all’interno della stanza in cui è collocato il magnete.
Anche la presenza di oggetti metallici può causare delle alterazioni
nell’omogeneità di B0, con la
formazione di immagini distorte (Fig. 6), quindi è importante fare attenzione
all’eventuale presenza di microchip, frammenti di chiodi da ferratura e qualsiasi altro corpo formato da materiale ferromagnetico che può essere presente e non visibile nei pazienti oggetto dello studio[27]. Per tale ragione è importante eseguire un controllo radiografico prima di iniziare l'esame RM.
1.9.3. ARTEFATTO “CHEMICAL SHIFT”
Si tratta di un particolare tipo di artefatto che si manifesta a causa delle differenze chimiche tra due tessuti, soprattutto nell’interfaccia grasso-‐tessuti molli. Questo perché, in condizioni normali, i protoni dell’acqua e quelli del tessuto adiposo hanno una
frequenza di precessione diversa quando inseriti in un campo magnetico, ma il sistema informatico RM è configurato in modo da acquisire la precessione di tutti i protoni dei diversi tessuti alla stessa frequenza. Durante la ricostruzione dell’immagine però, il computer interpreta la differenza di frequenza tra acqua e grasso come una posizione diversa all’interno dell’immagine anatomica e non come il risultato delle normali
proprietà dei tessuti. Di conseguenza si ha uno spostamento artefattuale dei tessuti molli rispetto al tessuto adiposo che si manifesta come un aumento o una diminuzione
dell’intensità di segnale a livello dell’interfaccia.
Fig. 6 Artefatto da distorsione del campo magnetico causato dalla presenza di un chiodo da ferratura.
Da Equine MRI (2011) Murray R.
1.9.4. EFFETTO “MAGIC ANGLE”
Si tratta di un artefatto particolare che si presenta quando delle fibre collagene si trovano allineate in modo da formare con il campo magnetico B0 un angolo di 54.7°
+/-‐ 10 (il cosiddetto “magic angle”).
Questa particolare angolazione determina un aumento artefattuale del segnale delle fibre che potrebbe essere fuorviante per una corretta diagnosi[38]. Infatti, strutture normalmente ipointense appaiono
caratterizzate da un segnale elevato, tipico di alcune lesioni. Questo tipo di
artefatto si può ridurre aumentando il tempo di eco, di conseguenza è meno visibile nelle immagini pesate in T2. Nei sistemi HF la struttura anatomica che risente
maggiormente di tale artefatto è costituita della porzione preinserzionale del DDFT (Fig.
7).
Nei sistemi LF invece a risentirne
maggiormente sono i legamenti collaterali dell'articolazione interfalangea distale (Fig.
8).
Fig. 7 Scansione sagittale T1 pesata ottenuta con un sistema HF, il campo magnetico statico è orientato longitudinalmente rispetto all’arto.
La freccia indica un iperintensità data dall’effetto magic angle.
Da Equine MRI (2011) Murray R.
Fig. 8 La freccia indica un’iperintensità del legamento collaterale dell’articolazione interfanagea distale non dovuto a
un’alterazione patologica, ma all’effetto magic angle.
Da Equine MRI (2011) Murray R.
ARTEFATTI NELL’IMMAGINE RM DEL TENDINE FLESSORE PROFONDO DELLE FALANGI
Se l'asse maggiore dell'arto è posto parallelamente a B0, (condizione frequente nei sistemi HF) l’artefatto magic angle risulta molto visibile in prossimità della porzione
postsesamoidea/preinserzionale DDFT (Fig. 9).
Per distinguere l’effetto magic angle da un’immagine patologica reale, nel caso in cui sia stato utilizzato un TE minore di 30 ms, andrebbero analizzate e comparate in modo accurato le immagini pesate in T1 con quelle pesate in T2.
Nei sistemi LF, sia standing sia operanti in GA, l'asse magnetico B0 è invece posto
perpendicolarmente al DDFT, che quindi non dovrebbe risentire dell'artefatto. Tuttavia, se a causa di un errato posizionamento
all’interno della bobina ricevente, l’arto non risulta perfettamente perpendicolare al campo magnetico, è possibile osservare l’iperintensità artefattuale a carico di uno o di entrambi i lobi del DDFT[55] (Fig. 10.).
Fig. 9. Scansione sagittale Spin Echo pesata in T1. È visibile l’effetto magic angle nell’aumento del segnale della porzione distale del tendine flessore profondo.
Veterinary Radiology & Ultrasound 43: 428-430
Fig. 10. Le freccie bianche indicano
un’iperintensità da magic angle a carico dei lobi del DDFT e del legamento collaterale mediale della DIP. Spriet M. 2009, Vet Rad &
Ultrasound 50: 32-36
ARTEFATTI NELL’IMMAGINE RM DEI LEGAMENTI COLLATERALI DELL’ARTICOLAZIONE INTERFALANGEA DISTALE
Come detto precedentemente, nei magneti in cui l'arto viene posto perpendicolarmente a B0, è importante che l'arto non sia inclinato rispetto al piano del gantry, altrimenti uno dei due legamenti collaterali potrebbe manifestare un aumento del segnale pur
mantenendo forma e dimensioni inalterate. Quest’asimmetria nell’intensità del segnale tra i due legamenti è osservabile in diverse sequenze: nelle sequenze Gradient Echo in modo particolare, ma anche Spin Echo pesate in T1, Turbo Spin Echo pesate in DP, mentre è meno visibile nelle immagini pesate in T2. L’artefatto è giustificato dal fatto che, mentre in condizioni normali le fibre collagene dei legamenti e dei tendini hanno un tempo di rilassamento T2 molto breve, quando queste si trovano a un’angolazione di 55°
+/-‐ 10° rispetto a B0, il tempo di rilassamento T2 aumenta improvvisamente di circa 100 volte (da 250 µs a 22 ms). In condizioni ideali, cioè con B0 esattamente perpendicolare all’asse maggiore del piede, entrambi i legamenti collaterali formano con il campo magnetico un angolo di circa 70°, e l’effetto magic angle non si verifica. Bisogna tuttavia prestare particolare attenzione al posizionamento dell’arto oggetto d’indagine, perché è sufficiente una lieve inclinazione, di circa 5°-‐15°, per far si che uno dei due legamenti si venga a trovare all’interno dell’area responsabile della visualizzazione dell’artefatto.
E’ molto importante dunque evitare, o almeno riconoscere, l’effetto magic angle in modo da prevenire una diagnosi falsamente positiva di desmopatia del legamento
collaterale[52, 54].
Fig. 11. Immagine tratta da Veterinary Radiology & Ultrasound 48: 95-100
2. LA NEVRECTOMIA DIGITALE PALMARE
2.1. RICHIAMI DI ANATOMIA
I nervi digitali, discendendo in direzione distale, danno origine ad alcune branche minori che vanno a innervare il nodello e i tendini flessori, mentre la branca principale prende il nome di nervo digitale palmare, mediale e laterale. Ciascuna di esse, prossimalmente al nodello, emette un ramo dorsale. Questa branca dorsale decorre in mezzo alla vena e l’arteria digitale, continuando poi, nella maggior parte dei casi, in posizione dorsale rispetto alla vena digitale palmare, nel terzo distale del pastorale. In circa un terzo dei cavalli invece, dalla porzione dorsale del nervo digitale palmare origina una branca intermedia. Questi rami,
dorsale e intermedio, sono deputati
all’innervazione sensoria e vasomotoria della cute del nodello, della
porzione dorsale delle articolazioni del nodello e interfalangee, del corium coronario, laminare e soleare e della porzione dorsale della cartilagine della terza falange.
La branca principale del nervo digitale palmare discende palmare e parallelamente all’arteria digitale ipsilaterale. Il nervo e l’arteria
decorrono in profondità,
Fig. 12. Immagine da Adams & Stashak’s Lameness in Horses (2011)