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La Segnalazione certificata di inizio attivita e le possibili implicazioni in tema di tutela dei terzi controinteressati: giurisprudenza e dottrina a confronto

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INTRODUZIONE

La Segnalazione certificata di inizio attività è stata introdotta nel nostro ordinamento con l’art.49-bis del d.l. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010 ed è andata a sostituire la precedente Dichiarazione di inizio attività, modificando l’art. 19 della legge n. 241 del 7 agosto 1990, la c.d. Legge sul procedimento amministrativo, con importanti novità, se si va a considerare la possibilità per il privato di iniziare l’attività segnalata fin dalla data di trasmissione della segnalazione all’amministrazione competente.

In realtà è bene ricordare come, ancor prima della SCIA vi fosse una particolare tipologia di DIA, c.d. a legittimazione immediata (che si andava ad affiancare alla DIA, c.d. a legittimazione differita), in base alla quale si consentiva al privato di avviare la propria attività da subito, senza dover necessariamente attendere un termine di 30 giorni dalla comunicazione (previsto per la DIA a legittimazione differita), ove la pubblica amministrazione avrebbe dovuto esercitare il proprio potere di controllo del rispetto dei requisiti normativi da parte dell’attività denunciata; semplicemente la SCIA ha generalizzato questa facoltà di dare immediato inizio all’attività segnalata, oltre a stabilire un ampliamento del termine previsto per l’esercizio dei poteri inibitori da parte dell’amministrazione, portandolo da 30 a 60 giorni, (eccezion fatta, come vedremo, per il settore dell’edilizia, dove il

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termine di riferimento è stato diminuito a 30 giorni dal d.l. n. 70 del 2011).

Detto ciò, sarà opportuno soffermare la nostra attenzione sull’applicabilità di detta segnalazione certificata allo speciale settore dell’edilizia (in tal senso verranno approfonditi gli interventi normativi avuti sia a livello nazionale che, più nello specifico, in Toscana) senza dimenticare l’acceso dibattito incentrato sulla natura giuridica e sulle possibili implicazioni della nuova disciplina relativamente alle tutele esperibili dai terzi controinteressati all’attività del privato.

Saranno questi i punti focali della presente trattazione, in cui si mirerà ad analizzare le molteplici pronunce giurisprudenziali avutesi a riguardo, con particolare riferimento (ma non solo) alla recente sentenza della Corte costituzionale, n. 164 del 27 giugno 2012, con la quale la Consulta ha riconosciuto la SCIA conforme alla nostra Costituzione ed applicabile al settore dell’edilizia, alla sentenza del Consiglio di Stato n. 717 del 9 febbraio 2009 nonché alla sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la n. 15 del 29 luglio 2011, nella quale sono state date importanti conferme circa la natura giuridica della DIA/SCIA, da intendere come atto soggettivamente ed oggettivamente privato, procedendo successivamente a sconfessare la tesi della equiparabilità della DIA/SCIA al silenzio assenso ed anzi, interpretando l’eventuale inerzia della pubblica amministrazione, allo scadere del termine perentorio previsto per l’esercizio dei poteri inibitori, come silenzio-diniego, con tutte le conseguenze sia in tema di

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azioni a tutela del terzo leso sia relativamente ai poteri esercitabili in via di autotutela da parte della P.A.

Non mancherà lo studio dei numerosi pareri dottrinali in commento alla sentenza della Adunanza plenaria n. 15/2011 ma anche rivolti all’esame dell’intervento del legislatore che, con l’art. 6 del d.l. 138 del 2011, ha modificato l’art. 19 della Legge sul procedimento amministrativo, introducendo un nuovo comma, il 6-ter, mettendo in discussione le varie ricostruzioni operate dal giudice amministrativo in seduta plenaria.

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1.

DALLA

DICHIARAZIONE,

ALLA

SEGNALAZIONE

CERTIFICATA

DI

INIZIO

ATTIVITA’

1.1 Considerazioni preliminari

E’ necessario preliminarmente ricordare che la Denuncia di inizio attività (così denominata in origine) è stata introdotta, in via generale, dall’art. 19 della legge 7 agosto 1991, n. 241 e, con riferimento alla materia edilizia, dagli artt. 22 e 23 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Il modello della Denuncia di inizio attività è stato inoltre recepito dall’art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, in materia di promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, dagli artt. 87 e 87-bis del d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, in materia di comunicazioni elettroniche, dall’art. 38 del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in materia di attività produttive, e dagli artt. 8, 17 e 64 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, in materia di attività imprenditoriali e professionali.

Va in particolare osservato, che il modello della DIA, come regolato dalle leggi nn. 15 e 80 del 2005 ( con quest’ultima è variata la denominazione da Denuncia a Dichiarazione di inizio attività) e n. 69 del 2009, prima delle modifiche apportate dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, si articolava in una DIA a legittimazione differita, per effetto

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della quale l’attività denunciata poteva essere intrapresa, con contestuale comunicazione, solo dopo il decorso del termine di trenta giorni dalla comunicazione stessa (art. 19, comma 2, primo periodo, della legge 241 del 1990) e in una DIA a legittimazione immediata, che consentiva l’esercizio dell’attività, fin dalla data della presentazione della dichiarazione (art. 19, comma 2, secondo periodo, con riferimento all’esercizio delle attività di impianti produttivi di beni e di prestazioni di servizi di cui alla direttiva 2006/123/CE, compresi gli atti che dispongono l’iscrizione in albi o ruoli o registri ad efficacia abilitante).

Ai sensi del comma 3 dell’art. 19 l. n. 241/1990 si stabiliva poi che l’amministrazione competente, in caso di dichiarazione presentata in assenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, avrebbe dovuto adottare provvedimenti motivati di divieto dell’esercizio di detta attività nel termine di trenta giorni, decorrente per la DIA ad efficacia differita, dalla comunicazione dell’avvenuto inizio dell’attività e, per la DIA ad efficacia immediatamente legittimante, dalla presentazione dell’originaria denuncia.

In materia edilizia, tale potere inibitorio poteva essere esercitato nel termine di trenta giorni dalla presentazione della dichiarazione, che, a sua volta, doveva precedere di almeno trenta giorni l’inizio concreto dell’attività edificatoria (art. 23, commi 1 e 6, del d.P.R. n. 380 del 2001).

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Si stabiliva poi, che, decorso senza esito il termine per l’esercizio del potere inibitorio, la pubblica amministrazione avrebbe disposto del potere di autotutela ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge 241 del 1990, restando salve, ai sensi dell’art. 21 della stessa legge, le misure sanzionatorie volte a reprimere le dichiarazioni false o mendaci nonché le attività svolte in contrasto con la normativa vigente, così come le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo previste dalla disciplina di settore.

1.2 La nuova formulazione dell’art. 19 legge 241 del

1990: la Segnalazione certificata di inizio attività

L’art. 49, comma 4-bis, del d.l. n. 78 del 31 maggio 2010, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», convertito dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010, ha modificato l’art. 19 della legge 241 del 1990, introducendo in luogo della Dichiarazione di inizio attività, la Segnalazione certificata di inizio attività (c.d. SCIA).

Il modello della SCIA è stato recepito dal d.P.R. 9 luglio 2010, n. 159, in materia di accreditamento delle agenzie delle imprese, e dal d.P.R. 7 settembre 2010, n. 160, in tema di sportello unico delle attività produttive.

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La nuova disciplina in parte coincide, in parte diverge dalla precedente.

I presupposti per ricorrere a questo strumento rimangono i medesimi che permettevano il ricorso alla DIA: con la segnalazione certificata, quindi, si è andati a sostituire atti amministrativi il cui rilascio dipendesse esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale e sempre che non si trattasse di atti per il rilascio dei quali fosse previsto un contingentamento o l’elaborazione di uno strumento di programmazione settoriale.

L’ambito di applicazione del nuovo art.19, invece, è stato ridotto rispetto al precedente, in quanto il meccanismo della SCIA è stato reso inutilizzabile, oltre che nelle ipotesi già escluse dall’applicabilità della DIA, anche in presenza di vincoli ambientali, paesaggistici o culturali (nuovo art. 19, comma 1), nonché qualora l’attività economica di interesse del privato avesse avuto prevalente carattere finanziario (nuovo art. 19, comma 5).

Invariata la ratio di semplificazione che era propria anche del previgente istituto della dichiarazione di inizio attività, è la procedura, piuttosto, a risultare differente, o meglio ulteriormente semplificata e velocizzata, considerata la possibilità per il privato, di dare immediato inizio all’attività segnalata, con ciò dando portata generale alla DIA ad efficacia immediata.

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Dal giorno della segnalazione, la pubblica amministrazione avrà sessanta giorni (non più i trenta previsti dalla previgente disciplina della DIA) per procedere ai necessari accertamenti istruttori e per adottare, eventualmente, provvedimenti inibitori, di divieto di prosecuzione dell’attività oggetto della segnalazione e di rimozione degli effetti eventualmente prodotti (comma 3, art. 19, legge 241 del 1990).

Il nuovo comma 3, ribadisce che in ogni caso, resta salva la possibilità per l’amministrazione, di intervenire esercitando i poteri di autotutela (sull’interpretazione e sull’applicabilità dei poteri di controllo e di autotutela da parte della pubblica amministrazione si rimanda alle pagine successive di questa trattazione).

Dubbi applicativi, sono sorti, in particolare, con riguardo all’applicabilità della nuova disciplina alla DIA edilizia, di cui agli artt. 22 e 23 del d.P.R. n.380 del 2001, che costituisce disciplina speciale rispetto a quella, generale, dettata dalla legge n. 241 del 1990.

2. L’APPLICABILITA’ DELLA SCIA AL SETTORE

DELL’EDILIZIA

Come accennato da ultimo nel precedente paragrafo, sono sorti vari interrogativi circa l’operatività o meno dell’istituto della SCIA anche nel settore dell’edilizia.

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Sotto questo profilo, sarà importante analizzare le note del Ministro per la semplificazione normativa del 16 settembre 2010 e quelle dell’Associazione nazionale Comuni italiani Toscana, del 17 e 27 settembre 2010, tutte aventi lo scopo di far chiarezza in una situazione di incertezza tra gli operatori; nel prosieguo del capitolo ci concentreremo sull’attuale quadro normativo del Paese e, più nello specifico, della Regione Toscana.

2.1 Nota dell’Anci Toscana del 17 settembre 2010,

“Prime indicazioni sulle conseguenze della modifica

dell'articolo 19, legge 7 agosto 1990, n. 241, disposta con

legge 30 luglio 2010, n. 122, nell'ordinamento edilizio”

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L’Anci Toscana sottolinea fin da subito come «l’assenza di un esplicito richiamo – tra le norme innovate - al testo unico statale del 2001, la carenza di una disciplina transitoria atta a consentire la ponderata transizione verso il nuovo regime e la sussistenza di previgenti leggi regionali incentrate sulla dicotomia Dia/permesso di costruire hanno ingenerato […] consistenti dubbi sulla disciplina applicabile agli interventi edilizi già soggetti a denuncia di inizio attività».

1. Nota Anci (Associazione nazionale Comuni italiani) Toscana del 17 settembre 2010, Prime indicazioni sulle conseguenze della modifica dell'articolo 19,

legge 7 agosto 1990, n. 241, disposta con legge 30 luglio 2010, n. 122, nell'ordinamento edilizio, in www.ilsole24ore.com, Immobili24.

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Sollecitando, quindi, «doverosi chiarimenti legislativi», l’Anci precisa come a ciascun Ente locale sia stata attribuita «la non agevole scelta tra le diverse opzioni ermeneutiche: […] Comuni che ritengono non più proponibili le Dia, Uffici che invece non reputano operanti in materia edilizia le segnalazioni certificate, Amministrazioni che - nell'incertezza - recepiscono entrambi i regimi. Per inciso, i Comuni che assumono, a seguito dell'entrata in vigore della legge 122/2010, immediatamente operante in campo edilizio la Scia, versano in stato di grande incertezza circa il regime - soprattutto sanzionatorio - connesso al nuovo istituto, in conseguenza del difficile "innesto" della disciplina novellata sui previgenti canoni in tema di repressione delle opere poste in essere in assenza di denuncia o con Dia carente dei presupposti».

In particolare, «per offrire una prima risposta a tale situazione, che da luogo ad una vera e propria babele procedimentale ed è foriera di diseconomie, Anci Toscana ritiene doveroso, nell'attesa degli auspicati interventi di interpretazione autentica e coordinamento legislativo, assumere esplicita posizione a favore della permanenza in vigore, nel campo edilizio, della previgente disciplina».

Anzitutto, l’Anci Toscana focalizza la propria attenzione sui lavori preparatori, anche allo scopo di ricostruire l’intenzione del legislatore: «Dall'esame degli atti dell'iter parlamentare di conversione del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 è agevolmente desumibile l'incertezza tra i relatori sulla applicabilità della Scia alla materia edilizia: nella seduta del 26 luglio 2010 - a titolo di esempio - un

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intervento di minoranza ha mostrato consistenti perplessità sulla effettiva innovazione delle regole sul testo unico statale ("Possiamo essere certi che la Scia trovi applicazione anche nel campo dell'edilizia?"). Tale incertezza assume particolare rilevanza ove si osservi che il Dossier del Servizio studi della Camera del 18 luglio 2010 (n. 373/2) aveva già espressamente invitato il legislatore a chiarire l'eventuale abrogazione, in parte qua, del d.P.R. 380: "Poiché la norma [l'articolo 49 del disegno di legge 2238, di introduzione della Scia] prevede l'abrogazione della normativa statale difforme, andrebbe chiarito se ciò valga anche per le "discipline speciali" quale quella relativa alla denuncia di inizio attività edilizia, disciplinata dagli articoli 22 e 23 del d.P.R. n. 380 del 2001". A fronte dell'inequivoca indicazione del Servizio studi, l'omesso richiamo al testo unico statale induce a non ritenere desumibile, dai lavori preparatori, alcun argomento univoco a sostegno dell'intervenuta abrogazione della previgente disciplina edilizia».

L’Anci Toscana si sofferma, poi, sulla specialità della DIA edilizia, la cui disciplina andrebbe a costituire «un corpus organico caratterizzato da regole proprie, derogatorie (ossia in rapporto di species a genus) della disciplina generale posta dalla legge 241/1990. La puntuale normativa del Testo unico del 2001 sui presupposti legittimanti (articolo 22), sull'iter procedimentale e i doveri di verifica (articolo 23), ed in specie sui provvedimenti repressivi (articolo 37) concretizza norma speciale dell'ordinamento edilizio: l'autonomia del

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decreto presidenziale è tale, in parte qua, da imporre all'interprete di prescindere, nell'individuazione del precetto in campo edilizio, dalla disciplina generale sulla dichiarazione di inizio attività contenuta nella legge sul procedimento (la quale si limita a costituire un termine di riferimento per l'esegesi sistematica della Dia edilizia)».

«D'altro canto,» prosegue l’Anci Toscana, «sin dall'introduzione nell'ordinamento statale la Dia edilizia ha concretizzato disciplina di settore, del tutto autonoma dal più generale istituto della legge 241/1990: l'articolo 4, comma 7 - 17, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398 conteneva già un'esaustiva regolazione della denuncia in materia edilizia allorché l'articolo 19 della legge sul procedimento si limitava a demandare a fonti regolamentari l'individuazione delle ipotesi eccezionali soggette a dichiarazione: l'introduzione della Dia in materia edilizia è, quindi, avvenuta con diverso e autonomo intervento legislativo. Il Servizio studi della Camera ha dunque ricordato che - secondo consolidati canoni, costituenti diritto vivente - la sopravvenienza di una disciplina generale innovativa non ha effetti abrogativi, salva diversa espressa disposizione, sulle previgenti discipline speciali. In questo senso la giurisprudenza amministrativa ha più volte affermato che la modifica del canone generale non innova, in assenza di espressa indicazione, la

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disciplina di settore già in vigore, la quale mantiene inalterata la propria efficacia2»

Afferma l’Anci Toscana: «L'enfatica formula recepita dall'articolo 49, comma 4-ter, della legge 122/2010 secondo cui "la disciplina di cui al comma 4-bis sostituisce […] quella della dichiarazione di inizio attività recata da ogni normativa statale e regionale" niente esplicita in ordine alla sorte delle discipline di settore: l'effetto novativo, secondo la lettera della legge, concerne "ogni normativa", statale e regionale, sull'istituto. Dalla omissione di espresso riferimento alle declinazioni particolari, quali quella del testo unico dell'edilizia, deve desumersi che l'effetto sia limitato alla normativa generale: per conseguire il diverso risultato sarebbe stato necessario - quanto meno - un richiamo alle leggi speciali, o derogatorie, se non il preciso riferimento al testo derogato (come suggerito di esplicitare - ove in questo senso fosse stata la volontà del legislatore - dal Servizio studi della Camera nel corso dei lavori preparatori). Né argomenti a sostegno della abrogazione espressa, in parte qua, del d.P.R. 380/01 possono trarsi, ad avviso di Anci Toscana, dall'ulteriore enfatica proposizione dell'articolo 49, comma 4-ter, laddove si dispone la sostituzione dei termini "denuncia" e "Dia" con il neologismo "Scia" "ovunque ricorrano, anche come parte di una espressione più ampia": da una parte - anche in questo caso - non

2. Cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 4 agosto 2008, n. 388, in

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sussiste alcun riferimento alla sostituzione in testi normativi speciali o derogatori; d'altro canto - e soprattutto - dall'eventuale innovazione del nomen dell'istituto non consegue anche modifica della disciplina sostanziale».

L’Anci Toscana prosegue nella sua analisi: «Secondo gli Autori che più hanno approfondito il tema della successione delle leggi nel tempo, con studi ancora oggi di sorprendente attualità3, in difetto di espresso richiamo nella sopravvenuta disciplina generale, l'abrogazione tacita della legge di settore, conseguente alla incompatibilità tra norme, deve trovare fondamento nell'interpretazione sistematica. È pertinente, al riguardo la constatazione che il comma 4-ter dell'articolo 49, secondo periodo, contiene due autonomi precetti: l'uno concernente l'effettivo innovativo sostanziale su "ogni normativa statale e regionale" sulla Dia; l'altro attinente alla sostituzione del mero nomen dell'istituto. Occorre dunque verificare, secondo canoni di esegesi sistematica, se il corpus della normativa edilizia (ed in particolare la disciplina degli articoli 22, 23 e 37 del d.P.R. 380) conservi, alla luce dell'innovato contesto generale, "una propria ragion d'essere" derogatoria "lasciata intatta dalla legge successiva" generale. Al quesito non pare che potersi rispondere affermativamente, atteso che postulando l'abrogazione, in parte qua, del Testo unico statale la disciplina delle opere soggette a Scia

3. M. S. GIANNINI, Problemi relativi all’abrogazione delle leggi, Padova 1942 (oggi in Scritti, Milano 2002, 424)

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risulterebbe, di fatto, insussistente: l'articolo 19 della legge 241/1990, come ora novellato, non è difatti idoneo a regolare ex se i presupposti legittimanti, i doveri istruttori, l'iter procedimentale e le sanzioni per le attività edilizie già soggette a denuncia».

Con riferimento a ciò, l’Anci Toscana afferma che «l'apparato sanzionatorio che la legge sul procedimento introduce per l'ipotesi di carenza dei presupposti della segnalazione, appare del tutto inidoneo a regolare la repressione degli interventi abusivi: i canoni dell'ordinamento edilizio, risalenti alla legge 47/1985 ed oggi codificati dall'articolo 27 del Testo unico statale - che impongono in ogni caso la demolizione ed il ripristino dei luoghi in caso di contrasto tra l'opera e le previsioni urbanistiche - divergono sostanzialmente dalla disciplina sanzionatoria del terzo comma dell'articolo 19. Più in generale, l'ordinamento edilizio disconosce termini brevi - anzi, brevissimi - per l'esercizio dei poteri repressivi, come invece preteso dal novellato articolo 19; ed anche il bilanciamento dei contrapposti interessi cui allude la legge sul procedimento per mezzo del richiamo all'autotutela trova, nel campo delle sanzioni edilizie, rarissime applicazioni (comunque non conseguenti al decorso di sessanta giorni dall'inizio dell'intervento). Non solo: l'esclusione della Scia in ipotesi di beni culturali o paesaggistici e ambientali, perentoriamente affermata - in esito all'emendamento posto alla Camera - dal novellato articolo 19 condurrebbe alla conclusione di ritenere comunque soggetti a permesso tutti gli interventi, anche di minima entità, da eseguirsi su

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beni vincolati (con risultato paradossale, alla luce dell'obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore del 2010). Da ultimo, ma non per ultimo, l'assenza di un alcuno spatium deliberandi prima dell'effettivo inizio delle opere, che invece verrebbero eseguite contestualmente alla comunicazione, appare di difficile applicazione nell'ordinamento edilizio al di fuori delle ipotesi di c.d. attività libera (articolo 6 d.P.R. 380). Gli interventi di trasformazione dell'esistente assumono rilevanza tale - e carattere tendenzialmente irreversibile - da necessitare comunque di un intervallo di tempo, seppur modesto, a servizio dell'attività di controllo (sia pure eventuale, ma) preventivo».

Continua l’Anci Toscana: «La tradizionale complessità e settorialità della materia edilizia non consente, dunque, di abrogare tout court la disciplina degli interventi già soggetti a Dia, sussumendone le fattispecie - con un colpo di penna - nel solo articolo 19 della legge sul procedimento. D'altro canto, il decreto-legge 78/2010 si è limitato ad innovare la norma generale, attraverso: a) l'abolizione del tempo di attesa antecedentemente al legittimo esercizio dell'attività; b) la previsione di più stringenti meccanismi di consolidamento della posizione del privato a fronte dell'eventuale esercizio del potere amministrativo. Se così è, appare del tutto comprensibile come l'innovazione non concerna le previgenti declinazioni settoriali dell'istituto, ed in specie gli ambiti di disciplina caratterizzati da autonomia delle regole particolari: ove il legislatore intenda innovare la Dia in edilizia non può prescindere dalla modifica

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delle relative norme, essendo del tutto insufficiente la novella della sola previsione generale. Con ciò, non s'intende certo disconoscere la rilevanza che la modifica dell'articolo 19 della legge sul procedimento assumerà nell'interpretazione delle (non novellate) disposizioni sulla denuncia edilizia (in particolare le nuove regole dell'istituto orienteranno, plausibilmente, nel senso di una sempre maggiore valorizzazione dell'affidamento privato in conseguenza al decorso del tempo); tuttavia, altro è il riferimento all'istituto generale nell'esegesi delle regole di settore, altro l'abrogazione della disciplina speciale in conseguenza della novella della sola norma generale».

L’Anci Toscana sottolinea, poi, come l’art. 49 comma 4-ter, della l. n. 122/2010, riconduca la nuova disciplina alla tutela della concorrenza ed ai livelli minimi prestazionali, senza tuttavia richiamare la materia del governo del territorio cui attiene, appunto, l’edilizia; anche questo aspetto, a parere dell’Associazione, farebbe ritenere inapplicabile la nuova disciplina alla DIA edilizia.

«L'operatività del principio di specialità esclude» precisa l’Anci Toscana «l'innovazione della disciplina statale di settore, costituente legge cornice per l'esercizio della potestà concorrente regionale» per cui, «le leggi regionali in materia edilizia trovano […] ancor oggi idoneo sostegno, anche in tema di denuncia di inizio attività, nel Testo unico statale, non innovato in parte qua».

«All'accoglimento dell'interpretazione recepita», a parere dell’Anci Toscana, «non sembrano ostare argomenti contrari: i rilievi

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proposti a sostegno della operatività della Scia in materia edilizia appaiono, difatti, non dirimenti. Il riferimento al "danno per il patrimonio artistico e culturale" (oltre che "per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale"), che nell'articolo 19 della legge sul procedimento consente sine die l'intervento repressivo dell'amministrazione, può ragionevolmente attenere alle certificazioni di inizio attività imprenditoriali, senza postulare necessariamente l'immediata operatività dell'istituto in campo edilizio. Parimenti, i richiami agli "elaborati tecnici" possono riferirsi alle produzioni necessarie per l'avvio di una attività imprenditoriale, senza alcun riferimento obbligato agli interventi di trasformazione (non è detto affatto si tratti di elaborati progettuali finalizzati ad una Scia edilizia, ben potendo essere riferiti a dotazioni impiantistiche, requisiti tecnici e simili). Anche l'esclusione dell'operatività della Scia nei "casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali" - che riferita all'ordinamento edilizio concretizzerebbe un indubbio aggravio procedimentale rispetto alla previgente disciplina - non postula, necessariamente, interventi di trasformazione: il legislatore ha inteso escludere la segnalazione certificata per l'avvio di attività da insediarsi su beni culturali o paesaggistici (stante l'esigenza di una preventiva valutazione di compatibilità da parte dell'amministrazione), senza per questo postulare l'applicazione dell'istituto alle opere edilizie. Non sembrano, dunque, sussistere nell'articolo 19 della legge sul procedimento ostacoli di carattere testuale all'accoglimento

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dell'interpretazione conseguente all'esegesi letterale e sistematica della novella».

2.2 Nota del Ministro per la semplificazione normativa

“Chiarimenti sulla applicazione della Scia edilizia”

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e

critica dell’Anci Toscana con nota del 27 settembre 2010,

“Ancora sulla inapplicabilità della Scia in ambito edilizio

in difetto del necessario adeguamento del Dpr 380/2001:

postilla sulla nota ministeriale 16 settembre 2010”

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In realtà, come abbiamo visto, già con la nota del 16 settembre 2010, l'Ufficio legislativo del Ministero per la semplificazione normativa, acquisito l'avviso degli Uffici legislativi dei Ministeri per le infrastrutture ed i trasporti e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, decise di pronunciarsi sul tema dell’ammissibilità della SCIA in ambito edilizio, giungendo ad opposte conclusioni rispetto a quelle cui sarebbe pervenuta l’Associazione nazionale comuni italiani Toscana il giorno successivo e confermate, poi, con l’ulteriore nota del 27 settembre 2010.

4. Nota del Ministro per la semplificazione normativa del 16 settembre 2010, Chiarimenti sulla applicazione della Scia edilizia, in www.lexitalia.it.

5. Nota Anci Toscana “Ancora sulla inapplicabilità della Scia in ambito

edilizio in difetto del necessario adeguamento del Dpr 380/2001: postilla sulla nota ministeriale 16 settembre 2010”, in www.ilsole24ore.com, Immobili24.

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Per il Ministero, l’applicazione immediata della SCIA al settore dell’edilizia sarebbe sorretta da cinque concorrenti argomenti: a) il riferimento, contenuto nell'articolo 49 della legge 122/2010, all'effetto sostitutivo “automatico” della SCIA sulla DIA in ogni previgente legge statale e regionale; b) l'omessa riproposizione, nel novellato articolo 19 della legge 241/90, dell'espresso richiamo alle norme sulla DIA del testo unico statale; c) il riferimento, sempre nell'articolo 19 della legge sul procedimento, alle asseverazioni dei tecnici abilitati; d) i lavori preparatori, ed in particolare il dossier predisposto dal Servizio studi del Senato; e) l'attinenza della SCIA ai livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117 Cost.

Tuttavia, l’Anci Toscana ha ritenuto come tali argomenti non consentirebbero di superare la principale ragione ostativa alla applicazione immediata della Scia in campo edilizio: «Dalle stesse conclusioni cui perviene il Ministero traspare difatti la labilità della ricostruzione proposta dall'Ufficio legislativo. Secondo il Ministro della semplificazione, l'ordinamento edilizio vigente, quale innovato con legge 122/2010, vedrebbe la contemporanea vigenza: a) della segnalazione certificata di inizio attività, disciplinata dall'articolo 19 della legge 241/1990, per interventi fino alla ristrutturazione edilizia c.d. "leggera"; b) della denuncia di inizio attività ovvero il permesso, per interventi di ristrutturazione edilizia c.d. "pesante" ex articolo 10, lettera c) del Testo unico; c) della c.d. superDia, ove espressamente consentita dal piano attuativo; d) del permesso di costruire, per gli

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interventi di nuova edificazione. Così opinando, l'intento di semplificazione perseguito dal legislatore del 2010 si sostanzierebbe, in ambito edilizio, nella moltiplicazione dei regimi degli interventi. Assumere la coeva sussistenza della Scia, della Dia, della superdia e del permesso, a seconda dell'intervento proposto, non pare risultato interpretativo ossequioso della ratio legis: anche sotto il profilo dell'esegesi teleologica la tesi del Ministero, nei suoi effetti pratici, non pare trovare sostegno nell'intento perseguito del legislatore».

Prosegue l’Anci Toscana: «Non solo: dalla nota dell'Ufficio legislativo non è desumibile soluzione alcuna sulla disciplina della Scia in campo edilizio. Nessuna indicazione è difatti offerta dal Ministero della semplificazione sul regime delle varianti alla Scia, della Scia in sanatoria, sui tempi di corresponsione degli oneri per gli interventi soggetti a segnalazione e - soprattutto - sulle sanzioni applicabili per interventi eseguiti in assenza di Scia ovvero in ipotesi di segnalazione carente dei presupposti. La lacuna, non colmata neppure in via interpretativa, sull'esercizio dei poteri repressivi spettanti all'Ente a seguito del decorso dei sessanta giorni dalla proposizione della segnalazione comprova l'esigenza di una disciplina espressa sulla Scia in campo edilizio».

A parere dell’Ufficio legislativo del Ministero, poi, dal richiamo al livello essenziale delle prestazioni sarebbe desumibile la volontà del legislatore di assicurare massima portata applicativa alla Scia, con salvezza delle sole materie espressamente escluse.

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In tal modo veniva valorizzata l’asimmetria tra la previgente formulazione dell’art. 19 della l. n. 241/1990 ed il testo novellato, privo della espressa salvezza delle discipline di settore indicanti i termini diversi da quelli prescritti in via generale dalla legge sul procedimento.

Anche tale circostanza non sarebbe, secondo Anci Toscana, dirimente: «secondo i canoni sulla interpretazione, la rilevanza deve essere attribuita all'assenza di indicazioni esplicite sull'effetto abrogativo della modifica alla legge generale rispetto alle previgenti discipline speciali, non all'omessa clausola di salvezza delle norme di settore in seno all'articolo 19 della legge sul procedimento. Peraltro, un riferimento alla salvezza della Dia edilizia sarebbe oggi, nel novellato articolo 19 sulla segnalazione certificata, del tutto irrituale: la norma generale sulla Scia non necessita di far salva la disciplina della Dia edilizia in ragione del diverso ambito applicativo».

2.3 La Sentenza della Corte Costituzionale n. 164 del 27

giugno 2012: la disciplina della SCIA (anche edilizia)

costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti

i diritti civili e sociali ex art. 117, secondo comma, lett.

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Con la Sentenza n. 164 del 27 giugno 2012, la Corte costituzionale si è espressa in merito alla disciplina della Segnalazione certificata di inizio attività; in particolare la Consulta è stata chiamata a pronunciarsi relativamente alle seguenti questioni: la prima è stata sollevata dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, dalle Regioni Toscana, Liguria, Emilia Romagna, Puglia, e relativa alla legittimità costituzionale dell’articolo 49, commi 4-bis e 4-ter, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122; la Regione Emilia Romagna, poi, con un secondo ricorso, ha chiesto che fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lett. b), e del medesimo art. 5, comma 2 lett. b) e c), del d.l 13 maggio 2011, n.70 (Semestre Europeo – Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n.106, «nella parte in cui, attraverso il nuovo comma 6-bis dell’art. 19 della legge 241 del 1990, introduce un termine breve di trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia», per violazione degli artt. 3, 9, 97, 114, 117 e 118 della Costituzione.

La Corte ha proceduto alla riunione dei suddetti ricorsi, considerata la censura, da parte di questi ultimi, delle medesime norme, potendo quindi definirli con un’unica sentenza.

La Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in particolare, ha censurato, tra gli altri, l’art. 49, comma 4-ter, del d.l. 78 del 2010, poi

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convertito, nella parte in cui, qualificando la disciplina della Segnalazione certificata di inizio attività, contenuta nel comma 4-bis, che modifica l’art. 19 della legge 241 del 1990, come attinente alla tutela della concorrenza, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. e), Cost., e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi della successiva lett. m), e prevedendo che «le espressioni “Segnalazione certificata di inizio attività” e “SCIA” sostituiscono, rispettivamente, quelle di “Dichiarazione di inizio attività” e “DIA”», stabilisce che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in materia di DIA, modificando non soltanto la normativa statale previgente ma anche quella regionale.

In tal guisa sarebbero violate: a) le competenze regionali nelle materie dell’industria, del commercio e dell’artigianato, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., e dunque anche la competenza legislativa della Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, in virtù della clausola di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione); b) le competenze regionali statutarie nelle materie «artigianato» e «industria alberghiera, turismo e tutela del paesaggio», e nell’emanazione di norme legislative di integrazione e di attuazione delle leggi della Repubblica nella materia «industria e commercio», previste dagli artt. 2, primo comma, lett. p) e q), e 3, primo comma, lett. a) dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta; c) la competenza regionale in materia «urbanistica, piani regolatori per zone di particolare importanza

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turistica», prevista dall’art. 2, primo comma, lett. g), dello statuto speciale, se la normativa censurata fosse ritenuta applicabile ad aspetti riconducibili alla pianificazione territoriale.

In subordine resterebbe altresì violato il principio di leale collaborazione.

La Regione Toscana ha, a sua volta, impugnato, tra gli altri, l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del citato d.l. 78 del 2010, poi convertito in legge, nella parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA come attinente alla tutela della concorrenza e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, e prevedendo che «le espressioni “segnalazione certificata di inizio attività” e “SCIA” sostituiscono, rispettivamente,quelle di “dichiarazione di inizio attività” e “DIA”», stabilisce che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella esistente in tema di DIA, modificando non solo la previgente normativa statale ma anche quella regionale.

In particolare, tale disciplina consentirebbe al privato di iniziare l’attività edilizia senza attendere alcun termine, restando alla pubblica amministrazione solo il potere di intervenire successivamente, quando i lavori sono già avviati (o anche finiti), con un danno urbanistico ormai prodotto. Sarebbero così violate le competenze regionali nella materia del «governo del territorio», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., introducendo una disciplina di dettaglio sui tempi di svolgimento dell’attività edilizia, senza permettere più un controllo preventivo della pubblica amministrazione.

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Inoltre, sarebbe violato l’art. 121, secondo comma, Cost. perché il legislatore statale non potrebbe intervenire direttamente ad abrogare e sostituire norme approvate dal Consiglio regionale, spettando a quest’ultimo adeguarsi ai nuovi principi posti dal legislatore statale.

Le disposizioni impugnate, per giustificare l’intervento legislativo dello Stato, richiamano la tutela della concorrenza e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Tuttavia, fermo il punto che, ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alla norma una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza, risulterebbe evidente che la SCIA “edilizia” non è uno strumento per tutelare la concorrenza, mentre non pertinente sarebbe il riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost., poiché la disciplina della SCIA “edilizia” non fisserebbe un livello essenziale delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale.

Infine, la normativa in questione, violerebbe anche il principio di leale collaborazione.

La Regione Liguria poi, ha impugnato l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del d.l. 78 del 2010, poi convertito in legge.

Il comma 4-bis è censurato nella parte in cui, con riferimento ad ambiti non edilizi, prevedendo dettagliatamente i moduli procedimentali destinati a sostituire in modo automatico tutte le discipline regionali in materia di DIA e le modalità d’intervento

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attraverso l’esercizio del potere d’inibizione e di conformazione dell’attività, violerebbe spazi di legislazione regionale residuale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., in particolare con riferimento a commercio, artigianato, turismo e attività produttive in genere, nonché i poteri di controllo delle amministrazioni locali rimessi dall’art. 114, secondo comma, Cost., all’autonomia dei poteri degli enti locali, e le funzioni amministrative dei Comuni disposte dall’art. 118, primo comma, Cost. Inoltre, con riferimento all’ambito edilizio, prevedendo la possibilità di iniziare l’attività costruttiva alla data di presentazione della segnalazione, senza stabilire una clausola di salvezza per le diverse disposizioni previste per la DIA edilizia, la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost., con riguardo ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché l’art. 97, primo comma, Cost., con riguardo al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, per determinare un inammissibile sbilanciamento a favore dell’interesse ad una rapida definizione delle procedure abilitative edilizie, con sacrificio delle esigenze della tutela del territorio e dell’organizzazione delle stesse amministrazioni cui è affidato il potere di verifica.

Con riferimento al comma 4-ter, detta norma, qualificando la disciplina della SCIA come attinente alla tutela della concorrenza e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nonché stabilendo che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in tema di DIA, con conseguente

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modifica non soltanto della previgente normativa statale ma anche regionale, violerebbe le competenze regionali quali il governo del territorio, la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio, in forza dell’art. 117, commi terzo e quarto, Cost.

La Regione Emilia-Romagna ha censurato l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, del menzionato decreto-legge, poi convertito, nella parte in cui, con riferimento agli ambiti non edilizi, prevedendo dettagliatamente i moduli procedimentali destinati a sostituire in modo automatico tutte le discipline regionali in materia di DIA e le modalità di intervento mediante esercizio del potere di inibizione e di conformazione dell’attività, violerebbe sfere di legislazione residuale regionale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., segnatamente con riferimento a commercio, turismo e attività produttive in genere, nonché i poteri di controllo delle amministrazioni locali rimessi dall’art. 114, secondo comma, Cost., all’autonomia degli enti locali, ed anche le funzioni amministrative dei Comuni di cui all’art. 118, primo comma, Cost.

Inoltre, con riferimento all’ambito edilizio, la normativa censurata, prevedendo la possibilità d’iniziare l’attività costruttiva alla data di presentazione della segnalazione (senza introdurre una clausola di salvezza per le diverse disposizioni stabilite per la DIA edilizia), violerebbe l’art. 3 Cost. con riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, nonché l’art. 97, primo comma, Cost., con riguardo al

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principio di buon andamento dell’attività amministrativa, determinando un inammissibile sbilanciamento a favore dell’interesse ad una rapida definizione delle procedure abitative edilizie, con sacrificio delle esigenze di tutela del territorio e dell’organizzazione delle stesse amministrazioni, cui è affidato il potere di verifica. Sarebbero poi violati gli artt. 114 e 118 Cost., nella misura in cui la normativa de qua interferisce con i poteri di controllo di Comuni e Regioni sull’attività edilizia.

Quanto al citato art. 49, comma 4-ter, esso – nella parte in cui, qualificando la disciplina della SCIA, contenuta nel comma 4-bis, come attinente alla tutela della concorrenza e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettere e) ed m), Cost.), stabilisce che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisce a quella già esistente in materia di DIA, modificando non soltanto la previgente normativa statale, ma anche quella regionale – si porrebbe in violazione delle competenze regionali, quali il governo del territorio, la tutela della salute, l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo e il commercio, ai sensi dell’art. 117, commi terzo e quarto, Cost.

La Regione Puglia ha proceduto ad impugnare l’art. 49, commi 4-bis e 4-ter, sopra citati, perché, qualificando la disciplina della SCIA come attinente alla tutela della concorrenza e costituente livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., riferendosi ad

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attività non aventi rilievo economico-imprenditoriale, ma destinate a regolare rapporti tra operatori economici e pubblica amministrazione a fini di semplificazione, nonché l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., non trattandosi di specifici diritti dei soggetti a determinate prestazioni. Inoltre, la menzionata normativa statale, nella parte in cui prevede che la nuova disciplina sulla SCIA si sostituisca a quella già esistente in tema di DIA, modificando non soltanto la previgente disciplina statale, ma anche quella regionale, si porrebbe in violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto non si limiterebbe a porre principi fondamentali nella materia «governo del territorio», ma detterebbe una disciplina della quale il legislatore regionale potrebbe soltanto prendere atto, senza margini di adeguamento alla realtà regionale.

Infine, la Regione Emilia-Romagna, con un secondo ricorso, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 1, lettera b), e comma 2, lettere b) e c), del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, «nella parte in cui tale articolo conferma o dispone l’applicabilità della SCIA alla materia edilizia e nella parte in cui – attraverso il nuovo comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241 del 1990 – introduce un termine breve di trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia». Ad avviso della ricorrente, detta normativa violerebbe: a) l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto introduce la disposizione che

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consente l’avvio immediato dell’attività con la segnalazione dell’inizio di questa e che disciplina le modalità di funzionamento della SCIA, mediante regole di dettaglio precluse allo Stato nella materia del governo del territorio, demandata alla competenza legislativa concorrente; b) l’art. 3 Cost., per contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità, e l’art. 97, primo comma Cost., per violazione del principio di buon andamento dell’attività amministrativa, in quanto si tradurrebbe nella limitazione della potestà legislativa regionale, perché sarebbe eliminata la possibilità delle amministrazioni di operare un rapido esame preventivo dei progetti. Pertanto, verrebbe meno, in modo irragionevole, la possibilità d’impedire la realizzazione di eventuali abusi, in contrasto col principio di buon andamento dell’amministrazione, in quanto non sarebbe stata conservata la clausola di salvezza prevista dalla vecchia formulazione dell’art. 19, comma 4, della legge n. 241 del 1990 («Restano ferme le disposizioni di legge vigenti che prevedono termini diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 per l’inizio dell’attività e per l’adozione da parte dell’amministrazione competente di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti»), così escludendo questa pur lieve forma di tutela; c) l’art. 9, secondo comma, Cost., per contrasto con l’esigenza costituzionale di tutela del paesaggio, connessa alla tutela del territorio per effetto di accordi internazionali ai quali l’Italia ha prestato adesione.

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Inoltre, l’art. 5, comma 2, lett. b), del d. l. n. 70 del 2011, poi convertito in legge, nella parte in cui ha introdotto un termine breve di trenta giorni per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti della SCIA in materia edilizia, si porrebbe in contrasto: con l’art. 117, terzo comma, Cost., per aver travalicato la potestà legislativa statale che, essendo concorrente con quella regionale, sarebbe limitata alla determinazione dei principi fondamentali della materia; con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto la previsione del termine di trenta giorni sarebbe irragionevole e contraria al principio di buon andamento dell’attività amministrativa, dal momento che l’art. 19 della legge n. 241 del 1990 contemplerebbe ora un termine di verifica più lungo per attività economiche di minor impatto ed uno inferiore per l’attività edilizia, il cui svolgimento sarebbe più delicato e potenzialmente foriero di danni irreversibili per il territorio; con gli artt. 114 e 118 Cost., in quanto la riduzione del termine avrebbe il solo effetto di limitare, senza giustificazione, i poteri di verifica della pubblica amministrazione nel controllo del territorio, interferendo con i poteri di controllo di Comuni e Regioni sull’attività edilizia.

La Corte sostiene come, nel merito, le questioni non siano fondate.

Un’analisi che viene compiuta, dando inizialmente uno sguardo all’art. 19 novellato dal comma 4-bis dell’art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, per poi spiegare come la Segnalazione certificata di inizio

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attività, si ponga in rapporto di continuità con l’istituto della DIA, che dalla prima è stato sostituito: «Scopo della Dichiarazione di inizio attività era quello di rendere più semplici le procedure amministrative indicate nella norma, alleggerendo il carico degli adempimenti gravanti sul cittadino. In questo quadro s’iscrive anche la SCIA, del pari finalizzata alla semplificazione dei procedimenti di abilitazione all’esercizio di attività per le quali sia necessario un controllo della pubblica amministrazione».

Successivamente la Consulta passa ad analizzare dettagliatamente le questioni proposte dalle regioni.

Per prima cosa effettua una precisazione per cui, nell’individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni oggetto di censura, «non assume rilievo la qualificazione che di esse da il legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto e alla disciplina delle medesime, tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli effetti marginali e riflessi, in guisa da identificare correttamente anche l’interesse tutelato».

La Corte prosegue: «in questo quadro, il richiamo alla tutela della concorrenza, effettuato dal citato art. 49, comma 4-ter, oltre ad essere privo di efficacia vincolante, è anche inappropriato».

Detta disciplina avrebbe, secondo la Corte, «un ambito applicativo diretto alla generalità dei cittadini e perciò va oltre la materia della concorrenza, anche se è ben possibile che vi siano casi

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nei quali quella materia venga in rilievo. Ma si tratta di fattispecie da verificare in concreto».

La Corte Costituzionale peraltro, giunge a diverse conclusioni con riferimento all’altro parametro evocato dall’art. 49, comma 4-ter, del d.l. n. 78 del 2010, vale a dire quello per cui la disciplina della SCIA costituisce livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost.

Per la Corte, «tale auto-qualificazione, benché priva di efficacia vincolante, si rivela corretta».

Al riguardo, rimarca poi che «l’affidamento in via esclusiva alla competenza legislativa statale della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni è prevista in relazione ai «diritti civile e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Esso, dunque, si collega al fondamentale principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. La suddetta determinazione è strumento indispensabile per realizzare quella garanzia».

Quella della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, sarebbe «non tanto una “materia” in senso stretto, quanto una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, il relazione alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la

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legislazione regionale possa limitarle o condizionarle. Alla stregua di tali principi, la disciplina della SCIA ben si presta ad essere ricondotta al parametro di cui all’art. 117, secondo comma, lett. m), Cost. Tale parametro permette una restrizione dell’autonomia legislativa delle Regioni, giustificata dallo scopo di assicurare un livello uniforme di godimento dei diritti civili e sociali tutela dalla stessa Costituzione».

A medesime conclusioni, ad avviso della Corte, si deve giungere anche con riferimento alla SCIA in materia edilizia, per cui «non può porsi in dubbio che le esigenze di semplificazione e di uniforme trattamento sull’intero territorio nazionale, valgano anche per l’edilizia. È ben vero che questa, come l’urbanistica, rientra nel «governo del territorio», materia appartenente alla competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni (art. 117, terzo comma, Cost.). Tuttavia, a prescindere dal rilievo che in tale materia spetta comunque allo Stato dettare i principi fondamentali (nel cui novero va ricondotta la semplificazione amministrativa), è vero del pari che nel caso di specie, il titolo di legittimazione dell’intervento statale nella specifica disciplina della SCIA si ravvisa nell’esigenza di determinare livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, compreso quello delle Regioni a statuto speciale. In altri termini, si è in presenza di un concorso di competenze che, nella fattispecie, vede prevalere la competenza esclusiva dello Stato, essendo essa l’unica in grado di consentire la realizzazione dell’esigenza suddetta».

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La Corte Costituzionale infine, si sofferma brevemente sulla ipotetica violazione del principio di leale collaborazione. Una deduzione considerata non fondata perché costituisce «giurisprudenza pacifica di questa Corte che l’esercizio dell’attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione».

2.4 L’intervento del legislatore statale e della Regione

Toscana: la legge regionale 5 agosto 2011, n. 40, di

attuazione dell’art. 5 del d.l. 13 maggio 2011, n. 70

La legge regionale n. 40/2011 ha introdotto importanti modifiche ad alcune leggi ma in particolare alla legge regionale n. 1/2005 in attuazione dell’articolo 5 (Costruzioni private) del d.l. n. 70/2011 (Semestre europeo – prime disposizioni urgenti per l’economia) convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.

La materia interessata è quella del governo del territorio e l’articolo 5 del decreto ha introdotto alcune modifiche legislative di immediata applicazione ed altre che hanno richiesto l’intervento legislativo regionale per disciplinare, in particolare, alcune fattispecie quali il silenzio assenso per il rilascio del permesso a costruire, la SCIA in edilizia, l’introduzione di alcuni principi volti alla riqualificazione delle aree urbane.

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Il decreto legge ha sostituito completamente l’art. 20 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), con novità relative al procedimento per il rilascio del permesso di costruire; inoltre, ha fornito interpretazione autentica dell’art. 19, della l. n. 241/1990, in cui non è chiara l’estensione della SCIA all’edilizia.

Le regioni erano chiamate a legiferare entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione, avvenuta con l’articolo 1, comma 1, della legge 12 luglio 2011, n. 106; la Regione Toscana ha legiferato evitando così l’applicazione diretta di una parte della normativa statale al fine di evitare possibili incongruenze con l’ordinamento regionale preesistente nell’intento di completarlo e migliorarlo prendendo spunto dalle novità legislative statali.

In particolare, il legislatore statale oltre a stabilire che la SCIA si applica all’edilizia, ha stabilito anche che la stessa non sostituisce obbligatoriamente l’ambito applicativo della disciplina che il legislatore regionale ha eventualmente introdotto nel proprio ordinamento in applicazione dell’articolo 22, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 (nel caso della Toscana si fa riferimento alla SUPER DIA).

Il legislatore statale ha stabilito, inoltre, alcuni tempi e modalità applicative; in particolare ha previsto che il termine del controllo della SCIA in edilizia, da parte della pubblica amministrazione, è di 30 giorni e non di 60 e che alla SCIA in edilizia si applicano, in caso di violazioni, le sanzioni del d.P.R. n. 380/2001.

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Si osserva comunque che il nuovo istituto della SCIA nonostante risulti privo, nell’ambito dell’ordinamento statale, di una specifica sistematizzazione, chiarisce che la stessa non sostituisce gli atti di autorizzazione o nulla osta comunque denominati delle amministrazioni preposte alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale; così facendo, lo Stato, ha rimesso a quelle regioni che, come la Toscana, contemplano nel proprio ordinamento ipotesi di SUPER DIA, la possibilità di determinare l’estensione del raggio di applicazione della SCIA edilizia rispetto alla DIA e di prevedere per essa un apparato disciplinare e sanzionatorio.

La legge regionale n. 40/2011, nella materia dell’edilizia, al fine di evitare la formazione di un quadro eccessivamente complesso e variegato sui titoli edilizi, che spazierebbe dagli interventi di edilizia semplice a quelli di edilizia semplice con comunicazione, alla SCIA, alla DIA e al permesso di costruire, nel dare attuazione al decreto legge, ha colto, quindi, l’occasione, per realizzare la massima semplificazione possibile nel settore dei titoli, sostituendo completamente la DIA con la SCIA.

3. NATURA GIURIDICA DELLA DIA/SCIA E DEL

SILENZIO

SERBATO

DALLA

PUBBLICA

AMMINISTRAZIONE: UNA TAPPA NECESSARIA DI

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TECNICHE

DI

TUTELA

DEI

TERZI

CONTROINTERESSATI

3.1 Il parere dell’Adunanza plenaria del Consiglio di

Stato, n. 15 del 29 luglio 2011

Con l’ordinanza n. 14/0 del 5 gennaio 2010, la IV sezione del Consiglio di Stato, ha deferito all’Adunanza plenaria, alcune importanti questioni di diritto, relative alla natura giuridica della DIA/SCIA ed alle tecniche di tutela utilizzabili dal terzo che deduca un pregiudizio per effetto dell’illegittimo svolgimento dell’attività denunciata.

L’Adunanza plenaria ha, quindi, proceduto, ad una fondamentale ricostruzione delle varie posizioni assunte dalla giurisprudenza e dalla dottrina, circa la natura giuridica della DIA/SCIA e, di conseguenza, relativamente alla qualificazione da attribuire, al silenzio serbato dalla pubblica amministrazione, successivamente alla presentazione della DIA/SCIA ad opera del privato.

3.1.1 Natura giuridica della DIA/SCIA, due tesi a confronto:

semplificazione o liberalizzazione?

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La questione sulla natura giuridica della DIA (oggi SCIA), ha da sempre suscitato l’interesse della dottrina e della giurisprudenza, chiamate ripetutamente a confrontarsi con la disciplina generale recata dall’art. 19 della l. n. 241 del 1990.

Le posizioni assunte al riguardo, e riassunte mirabilmente dall’Adunanza plenaria n. 15 del 2011, sono essenzialmente due: un primo orientamento riconosce alla DIA/SCIA natura provvedimentale; un secondo orientamento, attribuisce a tale istituto natura di semplice atto privato.

La DIA/SCIA come atto soggettivamente e oggettivamente

amministrativo e sua equiparabilità con l’istituto del silenzio

assenso: un’ipotesi di semplificazione procedimentale

In base al primo approccio6 opportunamente esplicatoci dall’Adunanza plenaria, la DIA/SCIA non sarebbe uno strumento di liberalizzazione imperniato sull’abilitazione legale all’esercizio di attività affrancate dal regime autorizzatorio pubblicistico, ma rappresenterebbe un modulo di semplificazione procedimentale che consentirebbe al privato di conseguire, per effetto di un’informativa

6. Per la giurisprudenza si veda ad esempio: Cons. di St., Sez. VI, 05/04/2007 n. 1550, in Foro amm., CDS, 2007, p. 1240; Cons. di St., Sez. IV, 25/11/2008 n. 5811 in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. di St., Sez. IV, 04/05/2010, n. 2558, in www.giustizia-amministrativa.it ; T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 27/05/2009 n. 855, in www.giustizia-amministrativa.it; In dottrina aderisce alla tesi pubblicistica F.M. NICOSIA, Il procedimento amministrativo.

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equiparabile ad una domanda, un titolo abilitativo costituito da un’autorizzazione implicita di natura provvedimentale, che verrebbe a perfezionarsi in seguito all’infruttuoso decorso del termine previsto dalla legge per l’adozione del provvedimento di divieto.

Si tratterebbe quindi,di una fattispecie a formazione progressiva che, per effetto del susseguirsi dell’informativa del privato e del decorso del tempo per l’esercizio del potere inibitorio, culmina in un atto tacito di assenso, soggettivamente e oggettivamente amministrativo.

Un primo argomento a sostegno della valenza provvedimentale dell’istituto, è desunto dalla previsione espressa del potere amministrativo di assumere, una volta decorso il termine per l’esplicazione del potere inibitorio, determinazioni in via di autotutela ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. n. 241 del 1990 (art. 19, comma 3, come modificato dall’art. 3 del d.l. 14 maggio 2005, n. 35, convertito dalla legge 14 maggio 2005, n. 80 e, poi, dall’art. 9 della legge 18 giugno 2009, n. 69).

Tale riferimento all’autotutela decisoria di secondo grado, con esito di ritiro, sembra presupporre, ad avviso di tale ricostruzione, un provvedimento o comunque un titolo, su cui sono destinati ad incidere, secondo la logica del contrarius actus, i provvedimenti di revoca o di annullamento.

Ulteriore referente normativo a supporto della tesi della sostanziale equiparabilità della DIA/SCIA al silenzio assenso, è

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rinvenuto nel disposto dell’art. 21, comma 2-bis, della stessa legge n. 241 del 1990, secondo cui «restano ferme le attribuzioni di vigilanza, prevenzione e controllo su attività soggette ad atti di assenso da parte delle pubbliche amministrazioni previste da leggi vigenti, anche se è stato dato inizio all’attività ai sensi degli artt. 19 e 20».

Altri elementi a sostegno della ricostruzione provvedimentale si ricaverebbero, con particolare riferimento alla DIA in materia edilizia, da alcune norme contenute nel testo unico approvato con d.P.R. n. 380 del 2001.

In prima battuta, si sottolinea che il titolo II del testo unico annovera tra i “Titoli abilitativi” sia la denunzia di inizio attività che il permesso di costruire.

Gli artt. 22 e 23 del testo unico considerano, poi, la DIA come titolo che abilita all’intervento edificatorio.

Rilevante viene considerato, in particolare, l’art. 22 del d.P.R n. 380 del 2001, il quale stabilisce che il confine tra l’ambito di operatività della DIA e quello del permesso di costruire non è fisso: le Regioni potrebbero, infatti, ampliare o ridurre l’ambito applicativo dei due titoli abilitativi, ferme restando le sanzioni penali (art. 22, comma 4), e sarebbe comunque fatta salva la facoltà dell’interessato di chiedere il rilascio del permesso di costruire per la realizzazione degli interventi assoggettati a DIA (art. 22, comma 7).

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La DIA/SCIA come atto soggettivamente e oggettivamente

privato e la sua non equiparabilità con l’istituto del silenzio

assenso: un’ipotesi di liberalizzazione dell’attività privata

In base al secondo orientamento7 (seguito dalla stessa Adunanza plenaria), invece, viene ad essere contestata la tesi del silenzio significativo con effetto autorizzatorio, partendo dal rilievo che, detta soluzione, eliminerebbe ogni differenza sostanziale tra gli istituti della DIA/SCIA e del silenzio assenso e, quindi, si porrebbe in

7. Per la giurisprudenza si veda ad esempio: T.A.R. Liguria, Sez. I, 22/01/2003 n. 113, in Foro amm., TAR., 2003, n. 1, p. 61; Cons. di St., Sez. VI, 09/02/2009 n. 717, in Foro amm., CDS, 2009, 2, p. 488; si veda la stessa Adunanza Plenaria del Cons. di St., 29/07/2011 n. 15, in Dir. proc. amm., n. 1, p. 171 e seg. Per la dottrina, in una prospettiva generale, che muove dal netto rifiuto di una ipotetica equiparazione della DIA ad un provvedimento autorizzatorio surrogato del provvedimento, non possono non essere ricordate le osservazioni di A. ROMANO, A

proposito dei vigenti artt. 19 e 20 della l. 241 del 1990: divagazioni sull’autonomia dell’amministrazione, in Dir. amm., 2006,516: «[…] tenderei comunque a ricondurre

anche il nuovo testo dell’art. 19, alla ricostruzione che di esso prima ho delineato: nel senso che il privato che intenda esplicare una delle attività cui si riferisce non è più condizionato al previo ottenimento di un consenso prevalentemente preventivo da parte dell’amministrazione […] Anzi: questa lettura del nuovo testo dell’art. 19 confermerebbe quanto sopra sostenuto, a proposito di quello che era parso subito l’essenziale della sua portata: la demolizione del precedente regime autorizzatorio». Sull’inquadramento della DIA quale misura di liberalizzazione,possono valere anche gli efficaci rilievi di A. POLICE, Contributo allo studio delle dichiarazioni di inizio

attività e della loro natura giuridica, in Nuove aut., 2008, 20, secondo cui «La

considerazione della dichiarazione preventiva in termini d’esercizio di una potestà privata, a cui consegue un effetto legittimante ex lege, appare più coerente con il dato normativo ed ha il merito di marcare la differenza con il regime autorizzatorio […] ciò consente di conciliare l’acquisto della legittimazione esterno allo svolgimento della funzione amministrativa con la natura ablativa del potere di divieto. È evidente, infatti, che la norma di cui all’art. 19 non attribuisce alcun potere all’amministrazione di autorizzare, né l’omessa emanazione dei provvedimenti inibitori o conformativi può essere considerata inerzia significativa rispetto ad un provvedimento di consenso che è dalla norma medesima previsto». Ma si vedano anche L. BERTONAZZI

Natura giuridica della S.c.i.a. e tecnica di tutela del terzo nella sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 15/2011 e nell’art. 19, comma 6-ter della legge n. 241/90, in Dir. proc. amm., 2012, 215 ss. e R. FERRARA “La segnalazione certificata di inizio attività e la tutela del terzo: il punto di vista del giudice amministrativo”, in Dir. proc. amm., 2012, 193 ss., entrambi in commento

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