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Ossigenoterapia e Ventilazione artificiale

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(1)

Capitolo 2

Ossigenoterapia

e

Ventilazione

artificiale

A livello cellulare le fonti primarie di energia sono rappresentate da glucosio

ed ossigeno (ciclo di Krebbs).

Mentre per il glucosio esistono fonti di “stoccaggio”, per l’ossigeno questo

non avviene. L’organismo ha la possibilità di attuare in situazioni di

emergenza un meccanismo alternativo per la produzione di energia

(anaerobiosi), ma questo ha capacità molto limitata e può portare alla

presenza nell’organismo di eccessive quantità di acido lattico, responsabile

di uno stato di acidosi, dannoso per le cellule.

Conseguentemente l’ossigeno rappresenta una fonte energetica insostituibile

e non accumulabile, la cui presenza nell’organismo dipende dal buon

funzionamento della dinamica polmonare (ventilazione ed ematosi),

cardiocircolatoria ed ematica (trasporto dell’ossigeno ad organi e tessuti).

Polmoni e sistema emodinamico (cuore, vasi e sangue) lavorano insieme in

modo da assicurare che la quota di liberazione di sangue ossigenato (DO2)

risponda alle esigenze dell’organismo (Clutton, 1999).

La sintomatologia clinica di un’alterazione del sistema di acquisizione e

(2)

inadeguata ventilazione, altre dipendono da anomalie della diffusione

attraverso la membrana polmonare, oppure da difetto del trasporto di

ossigeno dai polmoni ai tessuti (Guyton, 1983).

2.1 Indicazioni per ossigenoterapia e ventilazione artificiale

Esistono diverse indicazioni per la ventilazione meccanica che possono

essere riferite a quattro grandi categorie come riportate in tabella 2.1 (Raffe,

2002b).

Ventilazione inadeguata a mantenere il livello di pH ematico • Diminuzione di eliminazione di CO2

1. patologie polmonari primarie 2. danni al torace o al diaframma • Lesioni del sistema nervoso centrale

1. apnea

Inadeguata ossigenazione tissutale

• Patologie polmonari che diminuiscono l’apporto di O2

Aumento dello sforzo respiratorio • Aumento del consumo di O2

• Affaticamento dei muscoli respiratori Patologie cardiovascolari

(3)

La discordanza tra ventilazione e perfusione (Va/Q) è probabilmente la più

comune causa di ipossiemia. Le malattie ostruttive croniche del polmone,

come le bronchiti croniche e l’enfisema polmonare alveolare (alveoli

eccessivamente distesi o rottura delle loro pareti), sono causa di alterazione

del rapporto ventilazione/perfusione (Reece, 2002).

Queste patologie sono caratterizzate dall’insorgenza dell’effetto shunt in cui

l’unità funzionale risulta perfusa ma non ventilata con conseguente

diminuzione dell’ossigenazione ematica ed aumento dell’anidride carbonica,

per l’impossibilità di eliminarla (Fig. 2.1).

I disturbi dell’ematosi conseguenti ad alterazioni del circolo polmonare (es.

trombosi, embolia) portano alla comparsa dell’effetto spazio morto in cui è

presente un alveolo ben ventilato ma non perfuso (Fig. 2.1).

Figura 2.1: Effetto shunt ed Effetto spazio morto

Le malattie che modificano la tensione superficiale dell’interfaccia gas-liquido

(4)

aumentata, e quindi un minor sforzo necessario per poter dilatare il polmone,

rappresenta un serio problema perché riduce la pressione transpolmonare, la

forza che tiene aperte le piccole vie aeree. La riduzione del calibro delle vie

aeree ne aumenta la resistenza disturbando la distribuzione dell’aria inspirata

nel polmone limitando quindi la velocità del flusso espiratorio.

Viceversa, una diminuzione della compliance comporta una difficoltà

nell’inspirazione: un lavoro respiratorio maggiore è richiesto per avere un

determinato aumento del volume polmonare (Aguggini, 1998).

Le alterazioni sopra indicate sono responsabili di insufficienza respiratoria e

quindi di uno stato di ipossiemia e conseguente ipossia producendo una

sofferenza cellulare.

La somministrazione di ossigeno e la ventilazione meccanica rappresentano

la terapia di elezione per ripristinare un’adeguata funzionalità respiratoria

(Tseng, 2000).

2.2 Ossigenoterapia

Si tratta del primo intervento da prendere in considerazione in caso di

ipossia; deve essere messa in atto sistematicamente perché l’insufficienza

respiratoria è sempre accompagnata da uno stato di ipossiemia; a questo

(5)

(FiO2) (tra 21% e 100% = FiO2 0.21-1.0), considerando che in un soggetto

normale ed in buone condizioni fisiche una FiO2 di 0.21 (0.21 =

concentrazione di O2 nell’aria) dovrebbe essere sufficiente a mantenere una

PaO2 > 60 mm Hg.

Se i valori della PaO2 sono inferiori, è necessario aumentare il valore della

FiO2, con la somministrazione di ossigeno; ciò può essere fatto mediante

varie tecniche, ad esempio con maschera e gabbia ad ossigeno

raggiungendo una FiO2 di circa 0.4, con O2 al 100% oppure con un

tracheotubo cuffiato che permette di raggiungere una FiO2 di 1.0 con O2 al

100%. Le modalità di somministrazione possono essere diverse e per alcune

si rende necessaria la sedazione o addirittura l’anestesia dell’animale (Tab.

2.2). Modalità di somministra zione Erogazione Vantaggi Inconvenienti

Maschera 1-3 l/min Strumentazione ad uso immediato a basso costo

Mal tollerata, controllo costante, FIO2 imprecisa

Sonda nasale 100 ml/kg/min

Buona tolleranza, basso costo, buon controllo FIO2,

No nel soggetto agitato, in caso di epistassi, fratture muso, ostruzione prime vie

Sonda tracheale

100 ml/kg/min

Ok per ostruzione prime vie respiratorie, buon controllo FIO2, basso costo

No nel soggetto agitato senza sedazione

Collare elisabettiano

1-3 l/min Basso costo, nessun controllo Ingenti fughe O2, no accesso

rapido alla testa Gabbia 4 l/min Eccellente tollerabilità, buon

controllo FIO2 umidità e

temperatura

Animale isolato, Caduta della FIO2

all’apertura, elevato consumo O2

(6)

Maschera

È un metodo di somministrazione semplice, immediato e poco costoso.

Viene utilizzata una maschera con un diaframma in gomma da applicare sul

muso dell’animale; deve essere di una misura tale da permettere all’animale

di respirare a bocca aperta. La maschera viene raccordata ad un circuito di

ossigeno a bassa pressione. Richiede però un controllo costante dell’animale

e la presenza di un aiuto che tenga in posizione la maschera; inoltre ci sono

ingenti fughe di ossigeno nello spazio che si viene a creare tra la maschera e

il muso dell’animale.

Sonda nasale

Richiede un certo grado di manipolazione dell’animale ed è quindi

sconsigliata nei soggetti in stato di shock o molto critici. Si prende la misura

della sonda, che deve arrivare fino al secondo premolare superiore; alcune

gocce di anestetico locale possono essere instillate a livello della narice, per

attenuare il riflesso dello starnuto.

La sonda (catetere urinario, sonda per alimentazione) viene inserita nel

meato nasale ventrale fino al punto preventivamente misurato; nel punto in

cui la sonda esce dalla narice viene fissata con un punto di sutura; la parte

rimanente viene fatta aderire al collo fino al collegamento con l’ossigeno.

L’ossigeno viene umidificato tramite nebulizzatore presente nel circuito,

(7)

Sonda trans-tracheale

Consiste nell’inserire un catetere endovenoso di grosso calibro (16-18

Gauge) tra due anelli tracheali, nella porzione cervicale inferiore della

trachea, e collegarlo al circuito dell’ossigeno. È una tecnica indicata in

emergenza, in alternativa alla tracheotomia, in caso di ostruzione delle prime

vie aeree, molto efficace nei soggetti di piccole dimensioni.

Collare elisabettiano

È un metodo semplice e ben tollerato che consiste nell’applicare un collare

elisabettiano, chiuso con della pellicola nella parte rostrale. Il tubo per

l’erogazione dell’ossigeno viene fatto passare tra il collare ed il collo

dell’animale. L’aria espirata e l’ossigeno in eccesso vengono evacuati dagli

interstizi presenti tra il collare ed il collo.

Gabbia ad ossigeno

È un metodo ben tollerato dai soggetti di piccole dimensioni. La FiO2, la

temperatura ed il tasso di umidità possono essere regolati con precisione. Lo

svantaggio è che l’animale risulta meno gestibile in caso di peggioramento.

2.3 Tecniche di ventilazione artificiale

In caso di insufficienza respiratoria grave la semplice somministrazione di

(8)

del paziente. In questi casi si rende necessaria la ventilazione artificiale, che

può essere messa in atto mediante diverse tecniche.

Durante la ventilazione artificiale è possibile modificare le caratteristiche della

funzionalità respiratoria del paziente controllando le seguenti variabili:

- frequenza respiratoria

- volume corrente

- rapporto I/E

- flusso inspiratorio

- pressione di picco inspiratorio

- frazione di ossigeno inspirato (FiO2)

La frequenza respiratoria viene impostata in base alle caratteristiche del

paziente con un range variabile da 8 a 20 atti respiratori al minuto.

Il volume corrente viene calcolato in base al volume tidalico ed alla frequenza

respiratoria con un range variabile di 8-15 ml/kg/atto respiratorio.

Il rapporto I/E impiegato è generalmente di 1:2 ma può essere variato fino ad

arrivare in condizioni particolari a 2:1.

Il flusso inspiratorio dipende dal volume tidalico e dalla compliance

polmonare e del circuito.

La pressione di picco inspiratorio (PIP) è la pressione massima raggiunta

(9)

La frazione di ossigeno inspirato varia da 0.21 (aria) ad 1 (ossigeno al 100%)

e può essere impostata a seconda della miscela che viene fatta tra aria ed

ossigeno.

Le tecniche di ventilazione possono essere suddivise in due tipologie: a

pressione negativa e pressione positiva.

La ventilazione a pressione negativa (NPV) viene attuata per mezzo di

dispositivi che generano l’instaurarsi di una pressione negativa

intrapolmonare che permette l’ingresso di aria nei polmoni e la conseguente

fase inspiratoria. La ventilazione a pressione negativa aumenta la negatività

pleurica e per tale motivo si ritiene possa aumentare il ritorno venoso al

cuore e la gittata cardiaca durante l’inspirazione. Questo è uno dei motivi che

fanno ritenere la NPV più fisiologica rispetto alla ventilazione a pressione

positiva (Corrado et al., 2004).

Il maggiore vantaggio della NPV è dato dalla possibilità di evitare

l’intubazione e le sue relative complicanze permettendo al paziente le

fisiologiche funzioni di parlare, tossire, inghiottire e mangiare. Inoltre in corso

di ventilazione sono possibili manovre broncoscopiche.

La ventilazione a pressione positiva (PPV) viene realizzata mediante

insufflazione forzata di aria nei polmoni con un aumento della pressione

intrapolmonare durante la fase inspiratoria. L’espirazione è invece passiva e

(10)

Questa tecnica non rispecchia l’andamento fisiologico della pressione ma è

quella che viene più comunemente utilizzata nella pratica clinica (Morgan et

al., 2002).

Quando la ventilazione a pressione positiva viene effettuata mediante una

maschera si parla di Ventilazione Meccanica Non Invasiva (NIMV), mentre

se viene attuata per mezzo di un tubo endotracheale viene detta

Ventilazione Meccanica Invasiva (IMV).

Esistono due criteri generali per distinguere i diversi modi di ventilazione

positiva.

Il primo criterio attiene alla scelta dell’attore principale della ventilazione che

può essere:

- il paziente (ventilazione spontanea)

- il ventilatore (ventilazione controllata)

- ambedue (ventilazione assistita).

Nella ventilazione controllata il ruolo del paziente è assolutamente passivo

(Romano et al., 2002).

Il secondo si attiene alla scelta del parametro che viene sottoposto al diretto

(11)

essere distinta in ventilazione a controllo di volume, ventilazione a controllo

di pressione, a controllo di tempo ed a controllo di flusso.

La ventilazione a controllo di volume è quella in cui, indipendentemente da

qualsiasi altro evento, l’inspirazione termina quando il volume corrente (o

volume/minuto) prestabilito dall’operatore è stato erogato. Almeno in teoria la

ventilazione a controllo di volume comporta più facilmente il rischio di

barotrauma. Per evitare eccessi di picco inspiratorio in questo tipo di

ventilazione, molti ventilatori sono forniti di un allarme di pressione che può

essere impostato dall’operatore.

Nella ventilazione a controllo di pressione la fase espiratoria ha inizio quando

è stato raggiunto un valore pressorio predeterminato nelle vie aeree

(Romano et al., 2002). Quindi il volume corrente e la durata dell’inspirazione

variano in relazione alla resistenza delle vie aeree e polmonari ed in base

alla compliance del circuito. Una perdita significativa nel sistema può

compromettere il raggiungimento della pressione nel circuito ed il

funzionamento del ventilatore; mentre un aumento improvviso della

resistenza nelle vie respiratorie o una diminuzione della compliance

polmonare e/o del circuito portano ad una diminuzione del ciclo inspiratorio e

del volume corrente con possibilità di ipoventilazione del paziente.

Nei ventilatori a controllo di tempo la fase espiratoria ha inizio quando un

(12)

Il volume corrente è quindi il prodotto del tempo di inspirazione presettato e

la frequenza di flusso inspiratorio. Questi tipi di ventilatori sono

comunemente usati in neonatologia umana. (Morgan et al., 2002).

I ventilatori a controllo di flusso presentano dei sensori di pressione e di

flusso che permettono al ventilatore stesso di monitorare il flusso inspiratorio

per una determinata pressione inspiratoria impostata; quanto questo flusso

raggiunge il livello prefissato il ventilatore passa alla fase inspiratoria a quella

espiratoria (Morgan et al., 2002).

Tutte queste tecniche di ventilazione possono essere attuate senza alcuna

collaborazione da parte del paziente o con la totale/parziale collaborazione di

questo (Romano et al., 2002).

Nella Ventilazione a pressione positiva intermittente (IPPV: Intermittent

Positive Pressure Ventilation) viene esercitata una pressione, variabile da 12

a 20 cm H2O, nelle vie aeree in modo da ottenere un atto inspiratorio, che

termina quando i parametri preselezionati in base alla funzione del

ventilatore (volume, pressione, tempo, flusso) sono raggiunti; l’espirazione ha

inizio quando termina l’insufflazione forzata ed è completamente passiva

(13)

Figura 2.2: Rappresentazione grafica IPPV

Durante la Ventilazione intermittente obbligatoria (IMV: Intermittent

Mandatory Ventilation) il paziente respira autonomamente e ad intervalli

regolari viene effettuata una inspirazione artificiale a pressione positiva,

dall’operatore (per mezzo del pallone di riserva di un sistema respiratorio) o

dal ventilatore. L’inspirazione forzata può essere indipendente dall’atto

respiratorio del paziente oppure può essere sincronizzata (SIMV), ovvero ha

inizio quando il paziente avvia la fase inspiratoria (Fig. 2.3).

Questa tecnica è impiegata per aumentare il volume minuto respiratorio dei

paziente ed è indicata per svezzare il paziente dal ventilatore (West, 2003b).

cm H2O 12

o

(14)

Figura 2.3: Rappresentazione grafica IMV

La Ventilazione ad Alta Frequenza (HFV: High Frequency Ventilation) è un

metodo in cui non si ha una vera e propria espansione polmonare, ma si

sfrutta un’elevata frequenza respiratoria associata ad un basso volume

tidalico; questa tecnica, pur con volumi correnti pari o inferiori allo spazio

morto, può mantenere valori normali di PO2 e PCO2 arteriosa, durante

l’apnea, perché facilita la mescolanza dei gas nelle vie aeree per fenomeni di

diffusione di flusso (Raffe, 2002b).

La HFV può essere applicata con due diverse modalità:

• IPPV ad alta frequenza, fino a 100 apm, tramite tubo endotracheale; il volume corrente è uguale o leggermente superiore allo spazio morto.

• Ventilazione a getto ad alta frequenza (HFJV), con una frequenza di

IMV

cm H2O 12 o -2 2

(15)

inserito in trachea per via percutanea, oppure attraverso un tubo

tracheale, in cui viene fatta passare una sonda che arrivi fino alla

biforcazione tracheale, per ridurre al minimo lo spazio morto (Fig. 2.4).

Figura 2.4: Rappresentazione grafica HFJV

La Pressione positiva a fine espirazione (PEEP: Positive End Expiratory

Pressure) è una tecnica eseguita in associazione con IPPV, in cui alla fine di

ogni atto respiratorio viene mantenuta una pressione superiore (2-5 cm H2O)

rispetto alla pressione atmosferica (Fig. 2.5).

Questa tecnica viene usata soprattutto in pazienti che hanno una

diminuzione della capacità funzionale residua ed in pazienti con atelectasia cm H2O

2

o

(16)

polmonare (Vassilev et al., 2004), poiché incrementa gli scambi respiratori,

aumentando il tempo di contatto tra sangue e aria.

In medicina umana può essere applicata anche in modalità non invasiva,

mediante l’utilizzo di una maschera facciale, mentre in medicina veterinaria può

essere applicata solo su pazienti che sono intubati.

Figura 2.5: Rappresentazione grafica PEEP

La Pressione delle vie aeree positiva continua (CPAP: Continuous

Positive Airway Pressure) mantiene una pressione positiva nelle vie aeree

durante tutte le fasi della ventilazione nei pazienti in respirazione spontanea

(Fig. 2.6) (Raffe, 2002b).

cm H2O

PEEP

2,5

o 15

(17)

respiratorio, con oscillazioni di 0,5-1 cm di H2O, tipiche della ventilazione

spontanea.

In questo modo si ottiene un’espansione costante degli alveoli responsabile

del miglioramento nella distribuzione dell’ossigeno, di una più efficace

rimozione dell’anidride carbonica e di un miglior rapporto

ventilazione/perfusione (Raffe, 2002b).

Figura 2.6: Rappresentazione grafica CPAP cm H2O 2,7 2,5 2,2 o

CPAP

(18)

2.4 Effetti collaterali e complicazioni della ventilazione

artificiale a pressione positiva

I ventilatori disturbano la normale fisiologia e, se usati in modo inappropriato,

possono causare alcune patologie.

I potenziali problemi sono correlati con il sistema respiratorio,

cardiovascolare, con il SNC, il sistema renale, la funzione degli organi

viscerali (Raffe, 2002b ).

Sistema respiratorio: le complicazioni delle vie aeree superiori

comprendono le sinusiti e le faringiti secondarie ad un’alterazione del

ricambio della flora batterica presente in questi siti. I problemi associati con la

respirazione artificiale includono danni alla laringe, alla mucosa tracheale e

necrosi mucosale secondaria alla pressione della cuffia del tracheotubo.

Le complicazioni più frequenti delle vie aeree inferiori sono più evidenti con la

ventilazione a pressione positiva. L’iperisuffluazione polmonare (barotrauma

e volutrauma) è la complicazione più comune e può causare rottura degli

alveoli e comunicazione con lo spazio pleurico producendo pneumotorace a

valvola, danno bronchiolare ed embolismo gassoso sistemico. Una

superinsufflazione può produrre anche una infiammazione secondaria dei

tessuti successiva alla rottura dell’epitelio alveolare e dell’endotelio capillare

(19)

L’infiammazione può produrre edema polmonare, una disfunzione del

surfactante a seguito della alterazione membrana ialina ed un disequilibrio

tra ventilazione e perfusione (Raffe, 2002b).

Le polmoniti da ventilazione artificiale sono dovute all’elusione dei

meccanismi di difesa delle vie aeree superiori, per la presenza del tubo

endotracheale.

In corso di ventilazione non invasiva la normale funzionalità ciliare può

essere alterata da flussi inspiratori elevati, o per gli effetti di tossicità

dell’ossigeno, quando somministrato per periodi prolungati.

Sistema cardiovascolare: la ventilazione meccanica è ben tollerata da

pazienti con una funzione cardiaca regolare, un tono simpatico normale ed

un adeguato volume intravascolare.

Durante la ventilazione artificiale la pressione positiva che si viene a creare

all’interno del torace provoca una diminuzione di ritorno venoso al cuore

destro per compressione dei vasi venosi.

Inoltre per pressioni eccessive si può avere anche un certo grado di

compressione sulle pareti atriali.

Queste alterazioni sono responsabili di una diminuzione del precarico che si

ripercuote sulla dinamica circolatoria con una riduzione della gittata cardiaca.

Pazienti con una funzionalità cardiocircolatoria compromessa possono non

(20)

risultando a rischio di ipotensione, ipoperfusione renale e degli organi

splacnici e collasso cardiocircolatorio (Raffe, 2002b).

Sistema Nervoso Centrale: un aumento della pressione intracranica è stato

messo in relazione con elevate pressioni di ventilazione. Un aumento in tal

senso può contribuire ad un edema cerebrale secondario ed a disfunzioni

delle regioni del talamo, ipotalamo, del ponte e della regione midollare

(Raffe, 2002b).

Sistema Renale: la ventilazione meccanica è stata riconosciuta causa di

possibili alterazioni della funzionalità renale dovuti a:

- cambiamenti dell’emodinamica cardiovascolare, risultanti in ipovolemia per

deplezione del volume ematico circolante in fase prerenale;

- attivazione simpatica con conseguente vasocostrizione delle arteriole renali

afferenti diretta o indiretta per attivazione del sistema renina-angiotesina;

- danno polmonare da ventilazione con liberazione sistemica di mediatori

dell’infiammazione promotori di danno cellulare ed apoptosi (Pannu, 2004).

Funzione viscerale: una disfunzione epatica può essere secondaria ad una

ridotta perfusione epatica e alla conseguente diminuzione di rilascio

dell’ossigeno. Questo è dovuto ad una diminuzione del flusso di sangue

(21)

questa è reversibile nel momento in cui viene ristabilita una ventilazione

spontanea.

La funzione gastrointestinale è alterata da una ventilazione a pressione

positiva. L’incidenza di emorragie gastrointestinali aumenta del 40% in

pazienti ventilati per più di tre giorni. Questo è dovuto ad una differenza di

pressione di perfusione intestinale secondaria a una diminuzione della

pressione sistemica ed a un incremento della pressione venosa (Raffe,

Figura

Figura 2.1: Effetto shunt ed Effetto spazio morto
Tabella 2.2: Ossigenoterapia
Figura 2.2: Rappresentazione grafica IPPV
Figura 2.3: Rappresentazione grafica IMV
+4

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