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CAPITOLO 1 Autonomia contrattuale e controllo giudiziale

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CAPITOLO 1

Autonomia contrattuale e controllo giudiziale

SOMMARIO: § 1. Mutamenti economici ed evoluzione dell’autonomia privata: dall’art. 41 Cost. alla normativa comunitaria. § 2. Il Codice civile e il contratto: la parità formale dei contraenti o primo contratto. § 3. Normativa comunitaria e tutela dei consumatori: dall’art. 1341 c.c. alla direttiva 93/13/CEE (B2C), ovvero il secondo contratto. § 4. Dal B2C al B2b: la disparità di potere tra imprese e il terzo contratto. § 5. Le clausole generali e lo squilibrio contrattuale: il ruolo della buona fede: § 5.1. La buona fede oggettiva come clausola generale nei rapporti tra privati. § 5.2. La graduale rivalutazione del dovere di buona fede oggettiva in forza del principio costituzionale di solidarietà. § 5.3. Il dovere di buona fede e le strutture affini. § 5.4. La buona fede oggettiva come dovere di lealtà e di salvaguardia degli interessi dei contraenti. § 5.5. Il dovere di buona fede contrattuale come fonte d’integrazione del regolamento contrattuale. § 5.5.1. Segue: l’attività giudiziale di concretizzazione del contenuto della clausola generale di buona fede oggettiva. § 6. Buona fede oggettiva ed abuso del diritto. § 7. Le trasformazioni del contratto e l’intervento eteronomo del giudice: § 7.1. Integrazione giudiziale e giustizia contrattuale. § 7.2. L’equilibrio dello scambio e la conservazione del contratto nel Codice civile: dal profilo causale al principio della buona fede.§ 8. Gli esiti successivi: il potere correttivo del giudice: § 8.1. La riducibilità ex officio della clausola penale: tesi sfavorevole e favorevole in giurisprudenza ed in dottrina. § 8.2. L’intervento risolutivo delle Sezioni Unite della Cassazione e le critiche mosse dalla dottrina. § 8.3. La clausola penale tra funzione risarcitoria, funzione sanzionatoria e funzione composita.

§ 1. Mutamenti economici ed evoluzione dell’autonomia privata: dall’art. 41 Cost. alla normativa comunitaria

Nell’attuale contesto socio-economico, una compunta disamina sul tema dell’autonomia privata non può prescindere da un’attenta indagine sull’esistenza, o meno, di un onere generale dello Stato a tutelare la posizione dei contraenti più deboli, cioè accertare l’esistenza

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2 di rimedi che ne favoriscano una protezione, considerato che, in un’economia di mercato ispirata ai principi della libera concorrenza, il contratto è uno specifico mezzo di regolamentazione degli interessi privati, seppur con delle ripercussioni nell’ambito dell’ordinamento giuridico.

Grosso modo fino agli anni ’80, il modello caratterizzante il nostro sistema economico è stato quello dell’intervento pubblico nell’economia, che reputava lo Stato artefice dell’intero processo economico, al quale venivano assoggettati interessi individuali e di gruppo, in funzione di una visione sopraindividuale1, rendendo possibile la costituzione di imprese pubbliche, sottratte alle leggi di mercato.

Negli anni ‘90, tale modello è entrato in crisi, soprattutto per il fatto che l’economia mondiale si è mossa in un frangente più liberistico. Il riaffiorare in Europa di tendenze neoliberiste ha portato contestualmente ad una nuova attenzione ai problemi giuridici del mercato, così come ridisegnato dall’Atto unico europeo del 1986, alla luce del quale lo Stato non è più artefice del processo economico, ma si limita a dettare le regole per garantire l’efficienza, la correttezza e la libertà delle operazioni contrattuali.

Anche l’Italia, rimasta a lungo una delle roccaforti del dirigismo economico, ha lasciato spazio all’affermazione di due tendenze: la prima concernente lo smantellamento delle partecipazioni statali nelle aziende pubbliche, con la conseguente privatizzazione delle stesse e la seconda riguardante un vasto fenomeno di liberalizzazione di tutti i vincoli gravanti sul mondo delle imprese2.

1 L. MENGONI, Forma giuridica e materia economica, in L. Mengoni, Diritto e

valori, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 157.

2 P. SCHLENSINGER, Il «nuovo» diritto dell’economia, in G. Gitti (a cura di),

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3 Le trasformazioni del sistema economico quindi, hanno finito, inevitabilmente, per incidere anche sui concetti e sugli istituti caratterizzanti del diritto privato, primo fra tutti il concetto di autonomia privata3. Queste metamorfosi, intervenute nel tessuto economico, hanno determinato il sostanziale declino della politica interventista dello Stato ed il tramonto del modello economico dirigista.

Alla luce di questi mutamenti, lo Stato tende ad assumere l’aspetto di uno dei tanti strumenti del sistema economico, avendo perduto in tale scenario il suo ruolo propulsivo4.

In altri termini, lo Stato, aderendo ad una Comunità – europea – più vasta, deve confrontarsi con l’espansione del mercato, non più soggetto al suo controllo. A questo proposito, se si esamina con attenzione la normativa comunitaria, soprattutto quella contenuta nei Trattati di Maastricht (1992), di Amsterdam (1997) e da ultimo in quello di Lisbona (2009), si può affermare che non esiste un mercato scevro da regole, ma un libero mercato mirante al perseguimento delle esigenze di sviluppo sociale.

Da tale angolazione si comprendono i complessi cambiamenti del diritto contrattuale, che investono l’intera struttura di scambio e la stessa libertà di contrarre. Vengono così alla luce proposte di rilettura, in chiave costituzionale del negozio giuridico, che arrivano a

3 U. BRECCIA, Autonomia contrattuale, in Comm. Cod. civ., diretto da E. Gabrielli, Dei contratti in generale, artt. 1321-1349, a cura di E. Navarretta e A. Orestano, Utet, Torino, 2011, p. 63 ss., afferma, per completezza, che l’autonomia privata ha un’estensione operativa più estesa rispetto all’autonomia contrattuale che trova il suo fulcro nella disciplina del contratto. Il legislatore italiano ha predisposto l’esistenza di atti di autonomia privata che non sono contratti già nella disposizione che definisce il contratto, sia col fatto che il rapporto giuridico possa essere costituito, regolato o estinto anche solo da una parte (art. 1324 c.c.), sia che implicitamente ha ammesso come vi possano essere accordi vincolanti su rapporti giuridici a contenuto non patrimoniale (art. 1321 c.c.) come ad esempio attività educative, ricreative, ecc. 4 M. BARCELLONA, Diritto, sistema e senso – Lineamenti di una Teoria, Giappichelli, Torino, 1996, p. 155.

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4 considerare l’art. 41 Cost. come la base del principio di autonomia privata.

Nonostante la nostra Carta costituzionale non abbia dato un esplicito riconoscimento a quest’ultima5, non sono mancati e tuttora sono vivi i

dibattiti tra coloro che riconoscono nella disposizione appena ricordata il referente costituzionale6 dell’autonomia privata e coloro che invece ne ammettono solo una indiretta tutela costituzionale, nel rispetto dell’utilità sociale, della sicurezza, della libertà e della dignità umana, con il coordinamento dell’attività economica ai fini sociali7.

Invero, le due posizioni teoriche hanno un diverso ambito di incidenza: l’iniziativa economica privata è espressione dell’attività imprenditoriale8, mentre l’autonomia contrattuale è una caratteristica comune a qualunque soggetto, anche non imprenditore. Per tale

5 L. MENGONI, Autonomia privata e Costituzione, in Banca borsa e titoli di credito, 1997, p. 1, viceversa, asserisce come nella Costituzione di Bonn (Grundsegetz) sia previsto un riconoscimento all’art. 2, Abs 1, come del resto lo era nella precedente Costituzione di Weimar all’art. 152

6 G. BENEDETTI, Negozio giuridico e iniziativa economica privata, in La civilistica italiana dagli anni ’50 ad oggi, Atti del congresso dei civilisti italiani tenuto a Venezia, 23-26 giugno 1989, Padova, 1991, p. 316 ss.; C. CASTRONOVO,

Autonomia privata e Costituzione europea, in Eur. e dir. priv., 2005, p. 29 ss.; A.

LISERRE, Tutele costituzionali dell’autonomia contrattuale. Profili preliminari, Milano, 1971; M. NUZZO, Limiti dell’autonomia contrattuale e disciplina

costituzionale, in Persona e mercato, Padova, 1996, p. 62; ID., Utilità sociale e autonomia privata, 1975, rist. Napoli, 2001, p. 31 ss.; U. SALVESTRONI, Teorie negoziali, principi generali e principi costituzionali, in Riv. dir. comm., 1979, p. 337

ss.; E. NAVARRETTA, Diritto civile e diritto costituzionale, in Riv. dir. civ., 2012, p. 666 ss.

7 L. MENGONI, Autonomia privata e Costituzione, cit., p. 1 ss.; V. ROPPO, Il

contratto, in Tratt. Iudica-Zatti, Giuffrè, Milano, 2011, p. 76; P. RESCIGNO, voce Contratto in genere, in Enc. Gir. Treccani, Roma, 1988, IX, p. 10 ss. In

Giurisprudenza si v. Corte Cost., 27/02/1962, n. 7, con nota di M. GIORGIANNI, Le

norme sull’affitto con canone in cereali. Controllo di costituzionalità o di ragionevolezza delle norme speciali?, in Giur. cost., 1962, p. 93 ss., dove afferma

che “l’autonomia contrattuale non riceve nella Costituzione una tutela diretta ma indiretta da quelle norme che come gli artt. 41-42 Cost., riguardanti rispettivamente l’iniziativa economica e il diritto di proprietà, si riferiscono a possibili oggetti di quell’autonomia […] che deve cedere di fronte a motivi di ordine superiore, economico e sociale considerati rilevanti nella Carta costituzionale”. Nello stesso senso anche Corte Cost., 21/03/1969, n. 37, in Foro it., 1969, I, p. 781 ss.

8 V. OTTAVIANO, La regolazione del mercato. I principi costituzionali, in Tratt. Dir. comm. e dir. pubbl. econ. diretto da F. Galgano, L’azienda e il mercato, III, Cedam, Padova, 1979, p. 452.

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5 ragione il riferimento all’art. 41 Cost. potrebbe essere utilizzato per ravvisare il fondamento costituzionale diretto dell’autonomia contrattuale degli operatori economici, che si manifesta nella conclusione dei contratti d’impresa9, ma non sarebbe idoneo a rivestire

il ruolo di referente costituzionale dell’autonomia contrattuale generalmente intesa.

Malgrado ciò, se si sostiene invece la strumentalità dell’autonomia privata rispetto all’iniziativa economica privata, l’effetto è quello che, nei rapporti economici, la tutela della prima risulti inscindibilmente connessa a quella della seconda e che gli stessi limiti legislativi, posti all’esercizio dell’una, si ripercuotano inevitabilmente in vincoli anche per l’esplicazione dell’altra. L’autonomia contrattuale inoltre costituisce l’esplicitazione del più generale principio di autonomia privata10, il quale trova nel contratto lo strumento principe per la sua realizzazione; anzi, come è stato osservato in dottrina, “il principio generativo dello stesso contratto è l’autonomia privata”11.

In questo panorama variegato e complesso, il giudice non può elevarsi a controllore del mercato ed il ruolo che egli è chiamato a svolgere non può spingersi a conseguire scopi che non riguardino specificatamente l’operazione economica presa in esame, poiché l’attività contrattuale dei privati può essere guidata, a fini sociali, soltanto dal legislatore, fermo restante il controllo del Giudice delle leggi. In alcuni settori, tale certezza sembra essersi quasi dissolta, con l’attribuzione al giudice un potere d’intervento sul contratto che va ben oltre i normali limiti legali,

9 Cfr. V. ROPPO, Il contratto, cit., p. 56-57, dove afferma che “il contratto costituisce strumento essenziale per l’esercizio delle attività economiche organizzate. […] da meccanismo essenzialmente funzionale e strumentale alla proprietà, il contratto diventa meccanismo essenzialmente funzionale all’impresa”.

10 A. BALDASSARRE, voce Iniziativa economica privata, in Enc. dir., Vol. XXI, Milano, 1971, p. 608.

11 E. NAVARRETTA, voce Il Contratto (in generale), in Il Diritto. Enciclopedia giuridica del Sole 24 Ore, Milano, 2007, IV, p. 137 ss.

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6 così da far fronte alle inadempienze legislative, non suscettibili di deroghe.

Nella logica appena descritta si segnala la necessità di ricercare un punto di equilibrio tra libertà contrattuale e giustezza dello scambio, tra predominio dello Stato e quello degli individui, tra mercato regolamentato e mercato scevro da regole.

Dinanzi a siffatta questione, la maggior parte della dottrina oscilla tra opposti orientamenti. Un primo orientamento fa leva sul bilanciamento di interessi contrapposti tra le parti12, il quale, ponendo l’accento sulle istanze di giustizia contrattuale, aderisce ad una concezione del contratto, inteso non soltanto come mezzo di autoregolazione degli interessi privati, ma pure per il soddisfacimento di istanze solidaristiche.

Ben altra prospettiva è quella di coloro che tutelano la libertà individuale ed il modello dell’economia di mercato. Essi sottolineano come venga completamente nullificato il principio di autonomia privata, ove venga permesso allo Stato di stravolgere i progetti personali delle parti, in vista di una presunta oggettività delle prestazioni. Secondo tale posizione, il giusto scambio è dato dal libero svolgimento della volontà delle parti ed il controllo dell’ordinamento non può che circoscriversi alla valutazione di meritevolezza degli interessi che il contratto è chiamato ad attuare, non essendo pensabile

12 Per bilanciamento s’intende una ponderazione tra l’interesse di soggetto che, nell’esercizio di una situazione giuridica soggettiva riconosciuta meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico, col proprio comportamento, lede posizione giuridica di altro soggetto altrettanto meritevole di protezione, travalicando i confini imposti dalla legge o dal regolamento contrattuale (si v. E. NAVARRETTA,

Bilanciamento di interessi costituzionali e regole civilistiche, in Riv. crit. dir. priv.,

1998, p. 631); inoltre il bilanciamento di interessi contrapposti, oltre che nella responsabilità extracontrattuale, trova un terreno fertile nel campo di studio dell’abuso del diritto (si v. infra § 6) dove si menziona il nesso tra lo scopo-interesse di colui che esercita il diritto, consentito dalla legge o dal contratto, e l’interesse leso della controparte (EAD., Abuso del diritto e contratti asimmetrici d’impresa, in Annuario del contratto, diretto da A. D’Angelo e V. Roppo, Giappichelli, Torino, 2011, p. 99 ss.).

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7 un giudizio sulla congruità delle prestazioni che possono essere adeguatamente stabilite dai soli contraenti interessati. Infatti “lo squilibrio delle prestazioni non rileva in sé e per sé, ma solo in quanto sia rivelatore di una diversa e ulteriore anomalia del contratto”13,

ovvero soltanto quando abbia concretamente influenzato l’accordo delle parti, incidendo sull’esercizio della libertà contrattuale.

Dinanzi ad una realtà così complessa, i comuni mezzi, predisposti dall’ordinamento , risultano spesso inadeguati, in quanto non esiste una ricetta valida in assoluto, idonea a stabilire il corretto punto d’incontro tra mercato e contratto.

La via, che si mostra pienamente in sintonia con le nuove istanze, passa inevitabilmente tramite un’analisi da svolgere caso per caso, in una specifica ottica rimediale. Si comprende, in tal modo, come, in base a tale panorama, il ruolo del giudice diviene centrale, dal momento che è proprio a quest’ultimo, che viene affidato l’arduo compito di proteggere l’autonomia dei privati, preservando contemporaneamente i principi cardini dell’ordinamento e l’equilibrio di mercato.

In passato però, ha trovato riscontro una concezione, per la quale il metodo più consono per l’attuazione dell’interesse dei privati era quello del laisser faire al singolo imprenditore, in quanto ogni ingerenza esterna avrebbe deviato il naturale andamento delle forze economiche, con il conseguente danneggiamento dell’intera collettività.

13 Così F. GALGANO, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contr. e impr., 1997, p. 421; Anche G. GRISI, L’autonomia privata, Giuffrè, Milano, 1999, p. 180 ss., osserva che è più facile “abbandonare la visione dialettica del rapporto tra libertà e giustizia contrattuale” per elevarsi a difensori dell’una o dell’altra, anziché coltivare logiche di bilanciamento”.

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8 Successivamente, il sistema delineato dalla Costituzione, pur dando rilievo all’intervento pubblico, ha cercato di garantire a ciascun imprenditore una propria autonomia e libertà decisionale nelle scelte del governo produttivo. Alla luce di tali considerazioni, appare chiaro come la crisi dello Stato interventista ed un generale indebolimento del potere legislativo hanno finito per consentire ai giudici d’invadere la cittadella dell’autonomia contrattuale con strumenti prettamente privatistici.

Nelle temperie storico-culturali descritte, emerge con prepotenza il dibattito sulle libertà economiche e sulle garanzie predisposte dalla Carta Costituzionale.

In questa prospettiva si è sottolineato che l’art. 41 Cost., riconosce non solamente una “libertà da” ma pure una “libertà di”, cioè il potere di svolgere l’attività economica liberamente e di decidere le modalità di produzione14. La scelta della tipologia negoziale, più utile al perseguimento delle finalità volute, rientra nella libertà dell’imprenditore e non può essere sottoposta al vaglio da parte dell’ordinamento, al quale però compete il controllo sulla legittimità dell’operazione e la tutela del contraente debole, tramite la predisposizione di norme, che tengano, in giusta considerazione, le ragioni e gli interessi di entrambe le parti.

È palese, che tale controllo spetti al giudice, ma è altrettanto evidente, che tutelare l’equilibrio dello scambio e le posizioni di entrambe le parti non significhi riscrivere il contratto, imponendo dall’alto il modello ed il contenuto ritenuto più opportuno. L’autonomia delle

14 F. GALGANO, La libertà d’iniziativa economica privata nel sistema delle libertà

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9 parti deve essere pienamente garantita, fermo restante il giudizio sulla meritevolezza15 degli interessi coinvolti per l’ordinamento.

Pertanto il vero dilemma, oggi, non risiede soltanto nell’individuazione del punto di equilibrio tra forze di mercato, ma piuttosto nella comprensione dell’effettivo grado di espansione del potere giudiziario in materia contrattuale, dovuto all’impotenza del legislatore nazionale ed ai contrasti con la politica dell’Unione Europea, mirante alla costituzione di un libero mercato.

§ 2. Il Codice civile e il contratto: la parità formale dei contraenti o primo contratto

Il Codice civile, com’è noto, riconosce all’autonomia negoziale una posizione centrale, in forza della convinzione che «ognuno è il miglior giudice dei propri interessi». Tale ricostruzione privilegia la visione dell’autonomia contrattuale, intesa come autoregolamentazione della volontà delle parti, sicché le eventuali limitazioni dipendono dalla medesima volontà dei contraenti e in casi eccezionali dalla legge.

La dottrina civilistica ha però già da tempo evidenziato che, per effetto dell’evoluzione della disciplina contrattuale, oscillante oramai tra diritto civile interno e spinte di rinnovamento comunitarie, è mutata radicalmente la concezione generale del contratto; la sua funzione, oggi, non si esaurisce più in un mero autoregolamento di interessi, ma

15 Sul tema si v. G.B. FERRI, Meritevolezza dell’interesse ed utilità sociale, in Riv. dir. comm., 1971, II, p. 81 ss.; A. GUARNERI, Meritevolezza dell’interesse ed

utilità sociale del contratto, in Riv., dir. civ., 1994, I, p. 799 ss.; P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo comunitario delle fonti, Napoli, 2006, p. 611; G. OPPO, Note sulla contrattazione d’impresa, in Riv.

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10 evidenzia il ruolo centrale della persona e dei valori ad essa afferenti16 o rivaluta istanze prettamente solidaristiche e sociali17.

In realtà, questo mutamento è stato l’esito di un complesso iter concettuale, che ha visto al centro la disciplina del contratto, così come delineata dal Codice civile18, un contraente come “individuo isolato”19. L’idea di fondo che caratterizza la disciplina del contratto consegnataci dal Codice civile del 1942 – nell’ambito di una scelta favorevole alla concezione pragmatica francese (più che a quella assecondata dal Codice civile tedesco, incentrata sul negozio giuridico) tesa alla c.d. oggettivazione dello scambio20 – è che i contraenti abbiano pari potere contrattuale21.

È infatti noto che il modello di contratto, accolto dal nostro Codice civile, è un modello ispirato alla parità formale tra contraenti, espressione di quel diritto eguale, postulato dalla società borghese,

16 G. GRISI, L’autonomia privata, cit., p. 181; P. PERLINGIERI, Il futuro «ius

civile» ed il ruolo della dottrina, in Scritti in onore di R. Sacco., a cura di P. Cendon,

Giuffrè, Milano, 1994, p. 888.

17 S. RODOTÀ’, Le fonti d’integrazione del contratto, Giuffrè, Milano, 1969, rist. 2004, con pref. dell’A., p. 175 ss.

18 Sulle vicende del Codice civile del 1942 descritte e raccontate da un protagonista di quella stagione si v. R. NICOLÒ’, voce Codice civile, in Enc. Dir., Vol. VII, Milano, 1960, p. 244 ss.

19 Così, S. PATTI, Alcune innovazioni del Codice del 1942 nella materia dei

contratti e la loro incidenza sulla autonomia privata, in I cinquant’anni del codice

civile, Atti del Convegno di Milano, 4-6 giugno 1992, vol. II, Giuffrè, Milano, p. 767.

20 F. MACARIO, L’autonomia privata, in Gli anni settanta del diritto privato, a cura di L. Nivarra, Milano, 2008, p. 125. Sul fenomeno della “tendenziale oggettivazione dello scambio contrattuale” come prevalenza dell’ “elemento oggettivo, quale la causa del contratto”, cfr. F. GALGANO, Il contratto, in Contr. e impr., 2007, p. 719-720. Com’è noto il modello contrattuale consegnatoci dal Code Napoléon trova il proprio fondamento nell’assoluta rilevanza del consenso, esaltando le istanze individuali e l’idea di libertà e di autonomia delle parti, in contrapposizione al modello germanico-pandettistico che filtra il contratto attraverso la categoria del negozio giuridico (in tal senso v. P. POLLICE, Aspetti attuali della teoria del

contratto, in Dir. e giur., 2011, I, p. 13-14).

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11 costruito intorno al primato incondizionato dell’autonomia privata ed alla dichiarata eguaglianza della soggettività dei contraenti22.

Tutto ciò era evidente espressione di quell’idea per la quale il liberismo giuridico riposa sull’eguaglianza formale dei soggetti, assunta come fondamento di tutto l’edificio del diritto privato ottocentesco23, sul quale sventola il vessillo del “terribile diritto”, reso celebre da Cesare Beccaria24.

Secondo questa logica, “proprietà privata e autonomia privata [..] sono i due principi cardine attorno ai quali il diritto moderno organizza i rapporti giuridici individuali, dando ad essi la forma tipica dei rapporti di mercato […]”25. In tal modo la libertà giuridica si stempera

nell’irrilevanza delle disuguaglianze e delle differenze socio-economiche, dando luogo a quel binomio uguaglianza-libertà, in forza del quale “ciascun soggetto libero e capace di agire può entrare in rapporto con l’altro soltanto attraverso una reciproca manifestazione di consenso che intanto è libera, in quanto è stata voluta dagli interessati”26.

Il contratto paritario impiantato nel Codice civile del 1942 è un modello che si fonda anzitutto sulla trattativa individuale, in quanto, al pari del Code Napoléon, fondamentalmente incentrato sul modo di acquisto della proprietà, che trova il suo archetipo nel tipico contratto di scambio: la compravendita immobiliare27. In esso viene, per così dire, esaltato il valore del vincolo contrattuale, solennemente affermato

22 F. DI MARZIO, Verso il nuovo diritto dei contratti (note sulla contrattazione

diseguale), in Riv. dir. priv., 2002, p. 724.

23 P. BARCELLONA, Diritto privato e società moderna, Jovene, Napoli, 1996, p. 222 ss.; G. VETTORI, Libertà di contratto e disparità di potere, in Riv. dir. priv., 2005, p. 743 ss.

24 L’espressione allude, com’è ovvio, al diritto di proprietà e riecheggia il titolo dell’antologia di S. RODOTÀ’, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, Il Mulino, Bologna, 1981.

25 Così, P. BARCELLONA, op. ult. cit., p. 320. 26 Così P. BARCELLONA, op. ult. cit., p. 321. 27 G. DE NOVA, Contratto: per una voce, cit., p. 643.

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12 nell’art. 1372 c.c. e trovano riconoscimento i principi della causa e della buona fede contrattuale “in quanto fondamenti della regola sulla nullità parziale”28.

Il contratto disciplinato nel Codice civile è poi, pensato alla luce del “principio della tendenziale insindacabilità ad opera dell’agente pubblico (legge o giudice)”29; esso dunque, è del tutto refrattario ad

ogni controllo esterno e diverso rispetto al potere che ne hanno i contraenti, arbitri dell’equilibrio contrattuale da essi stessi fissato. Il contratto di diritto comune infine, si sostanzia nella distinzione fra regole di validità e regole di comportamento/responsabilità, e nei rimedi riconducibili alle une o alle altre30.

Dalla succinta analisi dei tratti distintivi e caratterizzanti del contratto di diritto comune, esplicitato dal Codice civile del 1942, appare chiaro che l’intervento del giudice, anche se mirante ad incidere sul programma contrattuale, non è mai direttamente invasivo, ma viene mediato dall’esigenza di salvare l’autonomia dei contraenti, visto che non vi può essere effettivo esercizio della libertà contrattuale quando il rapporto sinallagmatico non si è formato o non viene eseguito correttamente. Questo sistema consente al giudice di esercitare un controllo sul contratto, basato non tanto sull’analisi dell’autodeterminazione dei privati, quanto sulle regole, oltre le quali il potere dei stessi non può essere ammesso. Insomma tale schema consente solamente un controllo di legittimità sul contratto, anche se – occorre dirlo – non mancano nello stesso Codice civile deroghe, o limitazioni all’autonomia privata, che negli ultimi anni si sono intensificate.

28 Così, V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore,

contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un paradigma,

in Riv. dir. priv., 2001, p. 775. 29 Ibidem.

30 G. D’AMICO, Regole di validità e di comportamento nella formazione del

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13 Una prima deroga, di stampo dirigistico, è data dall’art. 2597 c.c.31, il

quale afferma che “chi esercita un'impresa, in condizione di monopolio legale, ha l’obbligo di contrattare con chiunque richieda le prestazioni, che formano oggetto dell'impresa, osservando la parità di trattamento”. Si tratta di una disposizione che incide sulla formazione del contratto, ponendo un vero e proprio obbligo di negoziazione per la parte che si trova in stato di monopolio; il richiedente infatti, in caso di rifiuto della prestazione, potrà invocare, oltre alla tutela risarcitoria, anche l’esecuzione specifica di concludere il contratto ex art. 2932 c.c.

Un’altra eccezione è data dall’inserzione automatica di clausole previste dall’art. 1339 c.c. In questo caso, se la pattuizione dei privati risulta in contrasto con norme imperative, che prevedono specifiche clausole e prezzi legalmente imposti32, l’eventuale violazione delle disposizioni di legge, che prevedono tali elementi contrattuali, non concerne la nullità della previsione, ma la sostituzione della clausola difforme con quella legale. In sostanza l’ordinamento rettifica la pattuizione, operando una sostituzione della volontà delle parti con quella della legge, in deroga alla generale disciplina in materia di patologia contrattuale, che tramite la nullità o l’annullabilità del contratto non trasforma lo schema contrattuale deciso dai contraenti, ma semplicemente ne inibisce la produzione degli effetti giuridici dello stesso. Pertanto si ha una vera e propria intromissione dell’ordinamento nelle scelte dei privati, giustificata da una valutazione del contratto non più semplicemente inteso come strumento di regolazione tra gli stessi, ma di bilanciamento di interessi

31 Per completezza, un’altra deroga è data dalla gestione, in concessione

amministrativa, di un servizio pubblico (art. 1679 c.c.) di linea inerente il trasporto di

persone e di cose dove sono enunciati i criteri di selezione laddove il mezzo non consenta di accettarle tutte come quello della priorità della richiesta o del percorso maggiore in caso di più richieste simultanee.

32 Tale tecnica si è delineata a partire dagli anni ’70 e maggiormente negli anni ’90 viene utilizzata dal legislatore per la protezione di categorie di contraenti deboli. Si v. l’art. 13, c. 3, l. 431/’98 in materia di locazioni urbane ed affitto di rustici; l’art. 3, c. 2, l. 192/’98 in materia di subfornitura per l’impresa in posizione di squilibrio contrattuale.

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14 tra due soggetti con diverso potere economico, in modo che i beni, considerati di basilare importanza per gli utenti, siano concretamente accessibili senza speculazioni che possano impedirne o frapporne l’acquisto.

Nelle ipotesi sopra menzionate, il giudice applica la legge, incide sulla costituzione del contratto con un intervento non discrezionale, in quanto è la legge che consente33, in via eccezionale, l’adozione di misure dirigistiche, non per svilire l’autonomia della parti, ma per disciplinare la fattispecie, in cui vi è impossibilità, per una parte, di determinare, da sola, l’assetto dei propri interessi per le caratteristiche dell’altro contraente34.

Le disposizioni, di stampo dirigistico, incidono sul rapporto della domanda e dell’offerta all’interno del mercato; infatti il soggetto, obbligato a contrarre o ad alienare al prezzo predeterminato, deve necessariamente concludere il contratto, mentre la parte richiedente può scegliere se aderire o ritirarsi dallo schema prefissato.

§ 3. Normativa comunitaria e tutela dei consumatori: dall’art. 1341 c.c. alla direttiva 93/13/CEE (B2C), ovvero il secondo contratto

La più vistosa eccezione al principio della parità formale tra i contraenti è tuttavia rappresentata da quelle ipotesi nelle quali il

33 Per meglio comprendere il fenomeno della sostituzione automatica delle clausole si v. l’art. 1419 c.c. sulla nullità parziale del contratto, specificatamente il c.2, dove si prevede che il contratto non rimane improduttivo di effetti ove la clausola nulla sia

sostituita con una disposizione di legge senza accertare se le parti avrebbero

ugualmente concluso l’affare con la clausola difforme rimanendo vincolate al contratto, il cui contenuto viene parzialmente modificato dalla sostituzione automatica.

34 Cass., sez. lav., 29/04/2004, n. 8247, in Mass. Giur. it., 2004, afferma che “Il principio, posto a base dell’art. 1339 c.c., non è invocabile nell’ipotesi in cui non si prospetti la sostituzione di clausole contrattuali difformi, rispetto a norme imperative di legge, ma soltanto l’integrazione di lacune della manifestazione della volontà negoziale, al fine di ottenere effetti, non già derivanti dall’applicazione della norma imperativa, che possono dipendere dalla pattuizione delle parti”.

(15)

15 contenuto del contratto è predisposto unilateralmente da un’impresa (c.d. proponente), nell’ambito della produzione e distribuzione dei prodotti massa. Qui si può assistere ad una deroga dell’ordinario schema di formazione paritaria tra i contraenti, poiché solamente ad una parte è riconosciuto il potere di fissare le regole dell’accordo che l’altra può accettare o meno. Il riferimento, com’è facile intuire, è agli articoli 1341 e 1342 c.c.

Essi bilanciano due importanti necessità: l’interesse dell’impresa a velocizzare le contrattazioni e quello della controparte a non subire ingenti sacrifici della propria posizione.

Per tale motivo, le condizioni generali del contratto, predisposte unilateralmente da una parte contraente, sono efficaci nei confronti dell’altra (c.d. aderente), se al momento della conclusione del contratto, questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle, usando l’ordinaria diligenza.

Il contratto viene standardizzato dall’impresa secondo le personali esigenze e al contraente non viene richiesta l’espressa accettazione, ma la mera conoscibilità, in modo che egli sia consapevole delle conseguenze del regolamento contrattuale.

Solo per alcune clausole, previste tassativamente dal comma 2 dell’art. 1341 c.c.35, viene ripristinato il vincolo dell’accettazione formale, che

deve avvenire per iscritto, a pena di nullità delle clausole medesime. Come è noto tali clausole prevedono: “limitazioni di responsabilità,

35 Le condizioni generali del contratto sono regolate sia da norme particolari, quali la disciplina della clausole vessatorie, di cui all’art. 1341, c. 2, c.c., e quella sull’interpretazione più favorevole all’aderente di cui all’art. 1370 c.c., sia da norme

di carattere speciale quali l’art. 1341, c. 1, c.c. già esaminato, e l’art. 1342 c.c. che,

in deroga al criterio dell’interpretazione sistematica (art. 1363 c.c., il quale induce ad interpretare le singole clausole coordinando il loro significato con quello delle altre clausole), prevede, viceversa, la prevalenza di clausole aggiuntive al modulo o al

formulario rispetto a quelle incompatibili contenute nel testo standardizzato. Tale

regola, presuppone, ovviamente, il ragionamento implicito che le clausole aggiunte siano state inserite su iniziativa dell’aderente.

(16)

16 facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l'esecuzione, ovvero sanciscono, a carico dell'altro contraente, decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria”.

Una importante modifica36, nella disciplina della contrattazione standardizzata, è avvenuta per effetto di un pregnante intervento del legislatore comunitario rappresentato dalla direttiva sui contratti del consumatore n. 93/13/CEE (oggi dir. 2011/83/UE). Detta direttiva è stata inizialmente recepita nel nostro diritto interno con la tecnica della c.d. novellazione del Codice civile37, attraverso la previsione di un Capo XIV bis inserito nel Libro IV del Codice civile, dedicato ai “contratti del consumatore” e contente gli artt. 1469 bis-sexies; successivamente, nella stagione dei codici di settore38, dette disposizioni sono confluite negli artt. 33 e ss. del c.d. Codice del Consumo (D. lgs 06/09/2005 n. 206)39. La direttiva ha così introdotto

36 Sulle figure del contraente debole e del consumatore, v. F. MACARIO, Dalla

tutela del contraente debole alla nozione di consumatore nella giurisprudenza comune, europea e costituzionale, in Obbl. e contr., 2006, p. 872; A. NICOLUSSI, I consumatori negli anni settanta del diritto privato. Una retrospettiva problematica,

in Eur. e dir. priv., 2007, p. 901.

37 Sull’inserzione della disciplina delle clausole abusive nel corpo del codice civile, v. L. MENGONI, Problemi di integrazione della disciplina dei “contratti del

consumatore” nel sistema del codice civile, in Studi in onore di P. Rescigno, III,

Obbligazioni e contratti, Giuffrè, Milano, 1998, p. 540; P. SIRENA, L’integrazione

del diritto dei consumatori nella disciplina generale del contratto, in Riv. dir. civ.,

2004, I, p. 787.

38 Sul fenomeno dei c.d. “Codici di settore” si vedano N. IRTI, «Codici di settore»:

compimento della «decodificazione», in M. A. Sandulli (a cura di), Codificazione,

semplificazione e qualità delle regole, Giuffrè, Milano, 2005, p. 17; E. NAVARRETTA (a cura di), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e

norme di settore, Atti del Convegno, Pisa, 25-26 maggio 2007, Giuffrè, Milano,

2008; G. VETTORI, Il diritto dei contratti fra Costituzione, codice civile e codici di

settore, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 3, 2008, p. 751.

39 Per una riorganizzazione del diritto dei consumatori attraverso il Codice del consumo, v. G. ALPA, Il codice del consumo, d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, in Contr., 2005, p. 1017; A. PALMIERI, Arriva il codice del consumo:

riorganizzazione (tendenzialmente) completa tra addii ed innovazioni, in Foro it.,

2006, p.77; A. GENTILI, Codice del consumo ed esprit de géométrie, in Contr., 2006, p. 159.

(17)

17 una disciplina dei contratti dei consumatori, incentrata sulle c.d. clausole abusive, in relazione al complessivo equilibrio contrattuale. Alla luce della disciplina della direttiva, come oggi recepita dai suddetti articoli del Codice del consumo, una clausola è abusiva – nel linguaggio del nostro legislatore è detta “vessatoria” – quando è stata inserita all’interno di un contratto tra un consumatore ed un professionista, senza che vi sia stata una preventiva negoziazione da parte del consumatore. Si precisa poi, che l’onere della prova dell’avvenuta negoziazione incombe sull’impresa che intende servirsi di quella clausola.

Diversamente dalla disciplina dell’art. 1341 c.c., il legislatore mette in risalto l’importanza della negoziazione e della relativa presunzione, ai fini della sussistenza del requisito della vessatorietà della clausole, reputando così insufficiente la mera sottoscrizione di condizioni da parte del contraente debole, quale requisito formale per la validità e l’efficacia delle medesime.

La disciplina sui contratti dei consumatori, in realtà, costituisce il nucleo primario e centrale intorno al quale si è andato costruendo, senza esaurirlo, il c.d. diritto europeo dei contratti40. In un breve, ma

non esaustivo excursus, rientrano in questo ambito, ad esempio, le direttive ‘85/577/CEE e ‘97/7/CE, che disciplinano i contratti conclusi fuori dei locali commerciali e la materia dei contratti a distanza, oggi abrogate dalla direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori; le direttive ‘93/13/CEE e 1999/44/CE concernenti le clausole abusive nei contratti dei consumatori oggi abrogate dalla citata direttiva del 2011; la direttiva ‘94/47/CE in materia di multiproprietà oggi abrogata dalla direttiva 2008/122/CE; la direttiva 2000/31/CE relativa al commercio

40 Per una valutazione in chiave storica del diritto europeo dei contratti, si v. F. MACARIO, Le ‘forme del diritto’ nella storia presente; il nuovo diritto europeo dei

contratti, tra ordine, ragione e decisione, in Quaderni fiorentini, XLI, 2012, p. 441

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18 elettronico; la direttiva 2011/7/UE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (ante direttiva 2000/35/CE); la direttiva 2002/92/CE riguardante gli strumenti finanziari e similari, modificata successivamente dalla direttiva 2011/61/UE e poi dalla direttiva 2014/61/UE.

Com’è noto, prima della codificazione del 1942, la disciplina dei contratti non aveva un carattere unitario, essendoci, accanto alla stessa, una disciplina dei contratti tra imprese, regolati dal Codice di commercio. Il nuovo Codice civile si caratterizza per l’unificazione del diritto delle obbligazioni con quello del diritto commerciale (c.d. commercializzazione del diritto privato)41. L’avvento di un primo sottosistema nel diritto dei contratti – tale essendo il complesso di discipline che caratterizzano i rapporti di consumo e che riguardano i cc.dd. contraenti deboli rispetto a professionisti (imprenditori) forti – sembra legittimare l’idea di un ritorno ad una differenziazione del trattamento giuridico dei contratti, in funzione delle caratteristiche dei contraenti. Il nuovo modello cui si allude, è quello che viene tradizionalmente rappresentato con l’acronimo B2C (business to consumer)42. Del resto è evidente che il consumatore ed il

professionista-imprenditore agiscono per scopi diversi, poiché il primo intende soddisfare i bisogni della quotidianità tramite il contratto, mentre i secondi perseguono prevalentemente finalità lucrative.

41 Sull’unificazione del diritto privato, cfr., F. MACARIO – M. LOBUONO, Il

diritto civile nel pensiero dei giuristi. Un itinerario storico e metodologico per l’insegnamento, Cedam, Padova, 2010, p. 50 ss.

42 Questo acronimo (B2C), come quello di cui parleremo nel prosieguo della presente trattazione, ignoto, come visto, al nostro Codice civile ed ai principali codici continentali europei, è stato importato dalle pionieristiche legislazioni scandinave ed americane; cfr., in tal senso M. CAIAZZA, Nuove frontiere contrattuali: B2B e B2C, in Jus, 2008, p. 201; V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del

consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, cit., p. 770. Sui contratti del consumatore v. E. MINERVINI, I contratti del consumatore, in V. Roppo, Trattato del contratto, IV, Rimedi – 1, a cura

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19 Questa legislazione ha indotto la dottrina a parlare, all’interno del diritto dei contratti, dell’emersione di una nuovo paradigma che, muovendo dal contratto di diritto comune – quello, come detto in precedenza, consegnato dal Codice civile del 1942, con le caratteristiche sommariamente descritte – abbraccia il contratto del consumatore ed il contratto con asimmetrie di potere contrattuale43. In questa prospettiva dunque, il contratto del consumatore, da un punto di vista generale, si presenta come contratto “squilibrato” sin dall’origine44.

Il nostro diritto dei contratti dei consumatori, attraverso il diritto europeo fa dunque, un costante riferimento al principio di equilibrio tra i contraenti, riconoscendo al giudice un ruolo fondamentale nella valutazione della trasparenza del rapporto tra le parti, affidandogli il compito di ristabilire l’equilibrio compromesso.

Il giudice valuta se la singola clausola è svantaggiosa45 per il consumatore o comunque se vi è una significativa asimmetria tra le parti, tenendo conto del contesto complessivo della natura del bene o servizio e delle circostanze al momento esistenti46. La valutazione

dell’equilibrio delle posizioni giuridiche postula inevitabilmente l’analisi di modelli che, in precedenza, sono stati utilizzati per operazioni analoghe. Questa precisazione non è di poco conto in quanto il giudice, che valuta l’equilibrio contrattuale anche in relazione

43 V. ROPPO, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con

asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, cit.; ID., Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul «terzo contratto»), in Riv. dir. priv., 2007, p. 680 e in E. Navarretta (a

cura di), Il diritto europeo dei contratti fra parte generale e norme di settore, Atti del Convegno, Pisa, 25-26 maggio 2007, Giuffrè, Milano, 2008; A. M. BENEDETTI, voce Contratto asimmetrico, Enc. Dir., Annali, V, Giuffrè, Milano, 2012, p. 370. 44 V. ROPPO, op. ult. cit., p. 777; F. DI MARZIO, Verso il nuovo diritto dei contratti

(note sulla contrattazione diseguale), cit. p. 725.

45 Artt. 33 e ss. D. lgs 206/2005 (Cod. cons.); cfr. G. ALPA, L’applicazione

normativa della clausole abusive nei contratti dei consumatori: primo bilancio, in

Riv. trim. dir. e proc. civ, 1999, p. 1173 ss.; V. ROPPO, Clausole vessatorie – nuova

normativa – in Encl. Giur., vol. VI, Roma, 1996, p. 3.

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20 ad altre operazioni, finisce per divenire, in qualche modo, anche supervisore dell’andamento del mercato, in quanto tende ad esaminare il contratto in base a parametri esterni alla contrattazione medesima.

L’accertamento in concreto della natura abusiva di una clausola, inserita nel contratto del consumatore, è coadiuvato dalla presenza da un’ampia gamma di presunzioni, sicché il consumatore, di rado, è onerato dal compito di provare l’assenza di buona fede e l’esistenza di un significativo squilibrio. La legge distingue infatti tre tipologie di clausole, rispetto alle quali, la prova della natura abusiva si atteggia in modo diverso: la presunzione iuris et de iure della loro abusività, indipendentemente dalla contrattazione individuale e conseguentemente dalla loro nullità47; la presunzione iuris tantum dell’abusività, che consente al professionista di respingere la richiesta di nullità, avanzata dal consumatore, su una clausola48 che non ha arrecato un significativo squilibrio; infine tutte quelle clausole49 rispetto alle quali il consumatore, che ne invochi la nullità, ha l’onere di provare il danno che il significativo squilibrio di tali clausole ha arrecato alla propria posizione.

A tali regole generali l’art. 34, c. 2-3-4, del Cod. cons. pone tre eccezioni: la prima concerne il fatto che il significativo squilibrio non può attenere all’adeguatezza del corrispettivo o all’oggetto del contratto, purché tali elementi siano espressi in maniera chiara e comprensibile; la seconda riguarda l’esclusione della vessatorietà di clausole, che ricalcano singole disposizioni di legge; la terza fa riferimento all’esclusione della vessatorietà delle clausole, che siano state oggetto di trattativa individuale.

47 Si v. l’art. 36, c. 2, lett. a-b-c-), Cod. cons. 48 Si v. l’art. 33, c. 2, Cod. cons.

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21 Il contratto del consumatore, caratterizzato dall’inserzione di clausole abusive/vessatorie, richiede una regola che ne governi lo squilibrio, che oggi è assicurata dal rimedio della nullità di protezione (art. 36 Cod. cons.)50 .

Va tuttavia rilevato che la regola di controllo dello squilibrio, indotto da clausole abusive/vessatorie, in origine è stata quella dell’inefficacia. Infatti, prima dell’elaborazione del Codice del consumo, il legislatore italiano prevedeva quale rimedio quello dell’inefficacia51 delle clausole

vessatorie nei contratti tra consumatore e professionista, ritenendo quest’ultima formalmente più appropriata rispetto a quella della nullità della clausola, per il timore che il più drastico rimedio invalidante comportasse l’applicazione della nullità parziale52 di cui all’art. 1419

c.c., con il rischio di travolgere non soltanto la stessa clausola vessatoria, ma l’intero contratto in pregiudizio e non in tutela del consumatore.

Il Codice del consumo, come già sopra accennato, ha sostituito l’inefficacia con la nullità (relativa di protezione), mantenendo i caratteri della rilevabilità d’ufficio da parte del giudice, della relatività e della parziarietà, in quanto la nullità opera esclusivamente a vantaggio del consumatore, senza travolgere l’intero contratto. Più

50 Il rimedio originariamente previsto dall’art. 1469 quinquies c.c. era quello dell’inefficacia. Nella confluenza della disciplina delle clausole vessatorie nel Codice del consumo, il legislatore ha più correttamente impiegato, quale rimedio contro clausole di tal genere, quello della nullità di protezione; su tale rimedio v. F. DI MARZIO, La nullità del contratto, Cedam, Padova, 2008, p. 829 ss.; M. MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, in V. Roppo, Trattato del contratto, IV, Rimedi – 1, a cura di A. Gentili, Giuffrè, Milano, 2006, p. 155 ss.; A. GENTILI,

La nullità di protezione, in Eur. e dir. priv., 2001, p. 91; G. D’AMICO, Nullità virtuale – Nullità di protezione (Variazioni sulla nullità), in Contr., 2009, p. 742.

51 Sulla dicotomia inefficacia/nullità nei contratti dei consumatori prima dell’inserimento di questa disciplina nel Codice del consumo e, soprattutto, per i dubbi circa l’effettiva natura del rimedi prescelto – formalmente quello dell’inefficacia, ma che sostanzialmente si atteggiava come una nullità (si v. R. QUADRI, «Nullità» e tutela del «contraente debole», in Contr. e impr., 2001, p. 1143) – aveva suscita tra non pochi interpreti, v. G. D’AMICO, L’abuso di

autonomia negoziale nei contratti dei consumatori, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 627.

52 Sulla nullità parziale, v. M. MANTOVANI, Le nullità e il contratto nullo, cit. p. 109 ss.

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22 precisamente il c. 1 dell’art. 36 del D. lgs 206/2005 stabilisce che “le clausole considerate vessatorie … sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto”. Il c. 3 del medesimo articolo stabilisce inoltre che “la nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal giudice”.

La dottrina ha rilevato come la vessatorietà e conseguentemente la nullità della clausola nei contratti dei consumatori, di cui all’art. 36 D. lgs. 206/2005, dipendano dall’integrazione di due presupposti: l’uno relativo all’atto (significativo squilibrio di diritti ed obblighi), l’altro relativo al comportamento (una condotta in sede di formazione del contratto in violazione della buona fede)53.

Sul piano sistematico, altra dottrina ha ricondotto le clausole vessatorie più vicine alla logica della rescissione, sotto il profilo del concorso di regolamento squilibrato e della condotta contraria a buona fede54. Del resto, la imposizione delle clausole inique, collocandosi all’altezza della formazione del contratto, richiama in maniera evidente anche la responsabilità precontrattuale55 di cui all’art. 1337 c.c. Qui si è tuttavia al cospetto di una norma, che incorpora nella regola di validità quella di comportamento, in un contesto in cui la frantumazione del concetto, in passato unitario della nullità rende fisiologico che, in talune circostanze, siano apportate, in una logica di protezione, deroghe, anche significative, al tradizionale istituto della nullità medesima.

Una pluralità di indici normativi pone, peraltro, in evidenza nel sistema la presenza di un tendenziale spostamento del comportamento corretto in sede precontrattuale fra i requisiti di validità del contratto. Questo principio, che sembra mettere in crisi la distinzione tra regole di

53 E. SCODITTI, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi sviluppi della

responsabilità precontrattuale, in Foro it., 2006, I, p. 1107.

54 E. NAVARRETTA, Buona fede oggettiva, contratti d’impresa e diritto europeo, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 523.

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23 validità e regole di comportamento, è trasversale, nel senso che concerne sia i contratti dei consumatori che quelli tra imprese e ha come comune fondamento l’asimmetria di potere contrattuale, benché nel caso dei primi ricorra un’asimmetria di tipo informativo (abuso di superiorità informativa) e nei secondi detta asimmetria abbia carattere economico legata com’è alla posizione di mercato (abuso di superiorità economica)56.

La conseguenza della compenetrazione di regole di comportamento e regole di validità è quella del cumulo di rimedio invalidatorio e risarcitorio57. Il presupposto del ristoro patrimoniale è, naturalmente, quello del carattere non interamente satisfattivo del rimedio invalidatorio, il che può accadere se la clausola nulla, ha avuto comunque attuazione o se all’esito dell’invalidazione il diritto dispositivo nulla disponga ed il contratto resti comunque meno favorevole per la parte debole che, avendo subito l’imposizione della controparte, non ha potuto svolgere alcuna trattativa, salvo la rinegoziazione della medesima58. Restando comunque sul piano risarcitorio, il danno è dato dalla differenza fra le condizioni del contratto concluso con mezzi scorretti e quelle che sarebbero state fissate in assenza di tali illecite modalità, convergendo con quello delineato nell’ipotesi di responsabilità precontrattuale con contratto valido59.

Particolarmente stringenti, sono inoltre i doveri informativi prenegoziali del professionista nelle trattative con il consumatore, volti

56 Si v. infra § 4.

57 E. SCODITTI, op. ult. cit., afferma che “l’antico dogma dell’incompatibilità di nullità e risarcimento (ciò che è privo di conseguenze giuridiche non dà diritto al risarcimento, ma soltanto alla ripetizione dell’indebito) è superato in virtù della riconduzione dell’invalidità non ad un mero atto (improduttivo di effetti), ma anche ad un comportamento”.

58 E. NAVARRETTA, op. ult. cit..

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24 alla conclusione del c.d. contratto a distanza60, tra i quali spicca l’obbligo del primo di fornire al secondo, in tempo utile, le informazioni61, inerenti all’oggetto, alle modalità di esecuzione del contratto ed al recesso dallo stesso, in modo chiaro e comprensibile, con ogni mezzo adeguato alla tecnica di comunicazione a distanza, osservando in particolare i principi di buona fede e di lealtà in materia di transazioni commerciali.

Alla luce delle suddette considerazioni si può sostenere che il controllo diretto del giudice sulle clausole vessatorie, nei contratti con il consumatore va compiuto in concreto, caso per caso, calando la clausola nel contesto non solo del contratto cui accede, ma addirittura dell’intera operazione commerciale cui il contratto è preordinato.

§ 4. Dal B2C al B2b: la disparità di potere tra imprese e il terzo contratto

Lo studio dei contratti in generale, come detto più volte, non può essere scisso da quello del mercato, poiché quest’ultimo rappresenta da un lato, l’esito delle singole contrattazioni (infatti non esiste mercato senza scambi ovvero senza contratti) e dall’altro, la determinazione delle singole contrattazioni (visto che ogni trattativa si intrattiene alle condizioni di mercato)62.

Va da sé, però, che non esiste un’unica accezione di mercato, il quale può essere inteso, ora come istituzione produttrice di proprie regole

60 Per “contratto a distanza s’intende qualsiasi contratto concluso tra il professionista e il consumatore nel quadro di un regime organizzato di vendita o di prestazione di servizi a distanza senza la presenza fisica e simultanea del professionista e del consumatore, mediante l'uso esclusivo di uno o più mezzi di comunicazione a distanza fino alla conclusione del contratto, compresa la conclusione del contratto stesso”, ex art. 45, c. 1, lett g), Cod. cons.

61 Si v. l’art. 49, Cod. cons.

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25 finalizzate alla determinazione di comportamenti e prezzi, ora come area di libertà nella quale gli individui possono strutturare le loro azioni63.

Il diritto contrattuale europeo tutela, come sopra rilevato, la trasparenza dello scambio, tramite la circolazione di informazioni tra i contraenti ed interviene opponendosi alle conseguenze negative delle situazioni di squilibrio tra le parti.

Orbene, un’attenta analisi della prassi di mercato, rivela come la tendenza alla contrattazione squilibrata trovi nuove e più ampie forme, arricchendo così il paradigma del diritto dei contratti che la modernità ci consegna. Dal classico campo dei rapporti contrattuali tra professionisti e consumatori (B2C), lo squilibrio infatti tende a manifestarsi anche nel campo dei rapporti tra imprenditori, l’uno dei quali forte e l’altro decisamente più debole64. Per identificare, con

formule riassuntive, queste nuove forme di squilibrio nelle contrattazioni tra imprenditori, s’è adoperato l’acronimo B2b65, dove “B” rappresenta l’impresa forte, dotata di un alto grado di potere di mercato, e dunque di forza contrattuale, e “b” rappresenta l’impresa debole notoriamente vessata da quella forte.

Un’attenta dottrina ha in maniera suggestiva provato a descrivere questa nuova ipotesi di contratto squilibrato con l’espressione “terzo contratto”66. Esso incarnerebbe, cioè, una sorta di modello intermedio

63 P. PERLINGIERI, Mercato, solidarietà e diritti umani, in Rass. dir. civ., 1995, p. 86 ss.

64Cfr., F. RUSCELLO (a cura di), Contratti tra imprese e tutela dell’imprenditore

debole, Atti del Convegno «Contratti tra imprese e tutela dell’imprenditore debole» -

Ius Univr 16 e 17 settembre 2011, Aracne, Roma, 2012.

65 Cfr., in tal senso M. CAIAZZA, Nuove frontiere contrattuali: B2B e B2C, cit.; F. MACARIO, Dai «contratti delle imprese» al «terzo contratto»: nuove discipline e

rielaborazioni contrattuali, in Jus, 2009, p. 332.

66 La paternità della formula e l’idea che la sottende è di R. PARDOLESI, Prefazione a G. COLANGELO, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della

concorrenza e diritto dei contratti, Giappichelli, Torino, 2004, p. XIII-XIV. Tale

formula ha suscitato un ampio e ricco dibattito giuridico: cfr., G. GITTI – G. VILLA (a cura di), Il terzo contratto, Il Mulino, Bologna, 2008; A. GIANOLA, voce Terzo

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26 tra “[…] il contratto nobile, quello negoziato in ogni dettaglio da soggetti avvertiti, pienamente consapevoli del fatto di agire in una arena ruvida, dove gli errori di programmazione si pagano a prezzo carissimo […] pienamente avvertiti della necessità di «azzerare il rischio giudice»” e l’opposto modello del “vasto continente del contratto dei consumatori”67.

C’è insomma, la «terra di mezzo» nella quale si stende un’ampia fascia di rapporti – B2b fra operatori non sofisticati, C2C e quant’altro – che non si lasciano ricondurre ai modelli estremi. “È l’area grigia del terzo contratto, quella che, forse più di ogni altra, richiama oggi (o dovrebbe farlo) l’attenzione dello studioso del diritto privato”68.

Dunque, il terzo contratto è quella sorta di terra di mezzo tra il contratto consegnato dalla trama codicistica e i rapporti contrattuali che fanno capo al consumatore69.

Di là dalle formule più o meno suggestive, è vero che le asimmetrie di potere, nelle relazioni tra imprenditori, hanno trovato riconoscimento presso il nostro legislatore attraverso la previsione di diverse normative.

contratto, in Dig. disc. priv., sez. civ., Aggiorn., IV, UTET, Torino, 2009, p. 570;

ID., Autonomia privata e terzo contratto, in Autonomia privata e collettiva, a cura di P. Rescigno, in Cinquant’anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana, ESI, Napoli, 2006, p. 131 ss.; V. ROPPO, Parte generale del contratto, contratti del

consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul «terzo contratto»), cit., p. 695;

F. MACARIO, Dai «contratti delle imprese» al «terzo contratto»: nuove discipline e

rielaborazioni contrattuali, cit., p. 311 ss.; E. MINERVINI, Il «terzo contratto», in

Contr., 2009, p. 493; E. RUSSO, Imprenditore debole, imprenditore-persona, abuso

di dipendenza economica, «terzo contratto», in Contr. e impr., 2009, p. 120.

67 R. PARDOLESI, Prefazione a G. COLANGELO, L’abuso di dipendenza

economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti, cit., p. XI ss.

68 R. PARDOLESI, Prefazione a G. COLANGELO, ibidem, p. XIII.

69 Così, R. PARDOLESI, Nuovi abusi contrattuali: percorsi di una clausola

generale, in Danno e responsabilità, 2012, p. 1168. Per un bilancio critico della

formula si v. E. NAVARRETTA, Luci ed ombre del terzo contratto, in G. Gitti-G. Villa (a cura di), Il terzo contratto, cit., p. 317 ss.. l’Autrice ci mette in guardia circa i pericoli di incomunicabilità tra discipline nei contratti asimmetrici che la formula “terzo contratto” può evocare, impedendo “coordinamenti ermeneutici, opportuni specie sul terreno rimediale, fra contratto asimmetrico del consumatore e contratto asimmetrico con l’imprenditore debole nonché altre fattispecie di contratti squilibrati”.

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27 In quest’ottica, occorre muovere da un gruppo di discipline nelle quali l’asimmetria di potere di un’impresa, nei confronti dell’altra, è conseguenza del decentramento produttivo, che si registra laddove un’impresa committente non svolge direttamente la produzione di beni o servizi da immettere sul mercato, ma si avvale dell’ausilio di altre imprese, in modo da ottimizzare l’attività produttiva, contenendo i costi ed i pericoli delle singole fasi.

Le modalità d’integrazione tra più imprese possono condurre infatti, alla stipula di un contratto di subfornitura70, o accogliere percorsi alternativi come il “franchising”71, o il c.d. “outsourcing” dove

un’impresa affida all’esterno una specifica funzione o alcuni servizi, connessi all’attività svolta, in modo da non disperdere energie in molti settori e contenere i costi, o la disciplina in materia di ritardi nei pagamenti commerciali, le cui disposizioni si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo nelle transazioni commerciali, intendendosi per tali i contratti tra imprese e pubbliche amministrazioni (ritenute pur sempre imprese), che comportano, in via esclusiva o prevalente, la vendita di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo72.

70 Il fenomeno del terzo contratto è stato elaborato proprio per catturare l’area dell’asimmetria che caratterizza il contratto c.d. di subfornitura, introdotto con la l. 18/06/1998, n. 192. Com’è facile immaginare, sul tema della subfornitura, al pari di quanto avvenuto per altri fenomeni di asimmetria contrattuale, si è accumulata una enorme quantità di studi di cui è impossibile dare conto. Tra i molti commenti, si v. A. MUSSO, La subfornitura, in Commentario del codice civile Scialoja – Branca, a cura di F. Galgano, Libro IV, Obbligazioni, Titolo III Dei singoli contratti – Supplemento legge 18 giugno 1998, n. 192, Zanichelli, Roma-Bologna, 2003; per il necessario inquadramento gius-economico, v. R. CASO – R. PARDOLESI, La

nuova disciplina del contratto di subfornitura (industriale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori, in Riv. crit. dir. priv., 1998, p. 712.

71 Nota anche come disciplina sull’affiliazione commerciale, regolata nel nostro ordinamento dalla legge 06/0572004 n. 129, che demanda la commercializzazione di un prodotto al “franchisee” a determinate condizioni e dietro la prestazione di un corrispettivo, composto da una quota fissa per l’entrata e da royalties proporzionali al giro di affari.

72 Si v. l’art. 2 del D. lgs 09/10/2002, n. 231, è stato emanato in attuazione della

direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e ritoccato col D. lgs 31/10/2012 n. 192 in attuazione della

(28)

28 In realtà, il fenomeno che più interessa, pur all’interno del decentramento produttivo e della frammentazione dell’organizzazione aziendale e che attiene ai poteri d’intervento del giudice nel regolamento contrattuale, è il c.d. abuso di dipendenza economica, di cui all’art. 9 della l. 192/1998, che riguarda l’ipotesi di “eccessivo squilibrio di diritti o obblighi fra le parti”73.

La fattispecie concerne quella particolare situazione in cui l’impresa subfornitrice, programmando ed organizzando la propria attività, in funzione dei bisogni della committente, si viene a trovare in una situazione di subalternità economica.

Qui è evidente che il giudice dovrà valutare l’effettivo grado di dipendenza economica, anche in relazione alla durata del contratto di subfornitura e alle eventuali relazioni con altri operatori del settore, in modo da intervenire laddove vi sia una reale situazione di disparità del

direttiva 2011/7/UE ancor più stringente a causa della crisi che ha investito l’Europa

nel 2008. Secondo l’art. 7 del cit. D.lgs è nullo l’accordo – dichiarabile anche d’ufficio dal giudice – sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardato pagamento, se risulti gravemente iniquo in danno al creditore: si considera gravemente iniquo, fra l’altro, l’accordo col quale l’appaltatore o il subfornitore principale impongano ai propri fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini ad esso concessi.

73 Anche il c.d. abuso di dipendenza economica registra un’enorme quantità di contributi. Tra i molti, v. L. RENNA, L’abuso di dipendenza economica come

fattispecie trans tipica, in Contr. e impr., 2013, p. 370; F. RUVOLO (a cura di), Questioni giurisprudenziali in tema di subfornitura industriale ed abuso di dipendenza economica, in Corr. giur., 2010, p. 599; P. FABBIO, L’abuso di dipendenza economica, Giuffrè, Milano, 2006; F. MACARIO, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova disciplina generale?, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 696; R. NATOLI, L’abuso di dipendenza economica. Il contratto e il mercato, Jovene, Napoli, 2004; ID., voce Abuso di dipendenza economica, in Dig. disc. priv., sez. comm., Aggiorn., I, Utet, Torino,

2003, p. 2; ID., Brevi note sull’abuso di dipendenza economica «contrattuale», in Giur. it., 2003, p. 725; M. MAUGERI, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Giuffrè, Milano, 2003; F. PROSPERI, Il contratto di subfornitura e l’abuso

di dipendenza economica. Profili ricostruttivi e sistematici, Esi, Napoli, 2002; T.

LONGU, Il divieto dell’abuso di dipendenza economica nel rapporto tra imprese, in Riv. dir. civ., 2000, II, p. 345; V. PINTO, L’abuso di dipendenza economica «fuori

dal contratto» tra diritto civile e diritto antitrust, in Riv. dir. civ., 2000, II, p. 389; C.

OSTI, L’abuso di dipendenza economica, Mercato Concorrenza Regole, 1999, p. 9; F. PROSPERI, Subfornitura industriale, abuso di dipendenza economica e tutela del

contraente debole: i nuovi orizzonti della buona fede contrattuale, Rass. dir. civ.,

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