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Sequenze di impilamento non simmetriche

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Academic year: 2021

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Capitolo 4

Sequenze di impilamento non simmetriche

Sommario. In questo capitolo vengono descritti i principali metodi utilizzati per la scomposizione del tasso di rila-scio dell’energia quando si esaminino laminati non simmetrici. In tal caso non è infatti univoco il procedimento e è tuttora dibattuto quale sia il metodo che consenta una valutazione più precisa. In particolare, vengono richiamati i concetti principali che stanno alla base del metodo globale, del metodo locale, della virtual crack closure technique e dei modelli con interfaccia.

Summary. This chapter describes the main methods used for the mode-mixity partition for non-symmetric lam-inates. Infact, there’s not an unique established method and it’s still debated which one is the most accurate assessment procedure. In particular, there are recalled the main concepts regarding the global method, the local method, the virtual crack closure technique and of interface models.

4.1

Laminati non simmetrici

Nel Capitolo 3 sono state illustrate le principali prove sperimentali standardizzate per la caratterizzazione della resistenza a frattura. Tali prove vengono generalmente classificate in base al modo che governa la propagazione della fessura: se modo I (DCB, Paragrafo 3.2) o II (ENF, Paragrafo 3.3) puri, o se modo misto (MMB, Paragrafo 3.4).

Anche nel caso della prova MMB, che permette lo studio del modo misto, le prove standard sono realizzate su materiali laminati unidirezionali, e le fessura propaga nella direzione delle fibre. Sotto que-ste particolari condizioni è ancora possibile, seguendo le procedure illustrate nelle normative, separare i distinti contributi dei due modi.

Nei materiali omogenei e isotropi una fessura che anche si sia nucleata in condizioni di modo misto ha la possibilità di ri–orientarsi secondo la direzione che corrisponde a quella di modo I puro.

I laminati compositi quasi mai sono unidirezionali, e come abbiamo visto nel Capitolo 1 possono essere di molteplici tipologie. L’anisotropia e l’eterogeneità, e i molteplici piani lungo i quali potenzial-mente possa propagare una fessura, si traducono nella probabile coesistenza simultanea di tutti i modi di frattura. In tal caso la scomposizione nei singoli modi risulta tutt’altro che agevole.

Con provino non simmetrico, sul quale non sono applicabili i procedimenti descritti nel Capitolo 3, si può indicare un laminato nel quale la sequenza di impilamento sia non simmetrica, ed anche un laminato, simmetrico quando integro, ma caratterizzato da una fessura che propaghi fuori dal piano medio del provino: in quest’ultimo caso i due sub–laminati nei quali la fessura lo suddivide possono risultare non simmetrici, e potenzialmente possono presentare accoppiamenti (Figura 4.1).

Williams [1959] fu il primo a dimostrare analiticamente, utilizzando la teoria dell’elasticità, che all’apice di una fessura che propaghi tra due materiali differenti il campo di sforzo ha una singolarità con andamento del tipo r−12±i ε, dove r è la distanza radiale dall’apice e ε è una costante che dipende dai

moduli elastici dei materiali. Questa soluzione è relativa al caso di stato di sforzo piano.

(2)

(a) bi–materiale (b) sandwich

(c) fessura non simmetrica

Figura 4.1: esempi che i modelli utilizzati per interpretare le prove standard non possono descrivere: (a) laminato bi-materiale (materiali omogenei o laminati con rigidezzeA, B, C e D differenti; (b) frattura che propaga asimmetricamente nel core di un sandwich;

(c) fessura non simmetrica in un laminato simmetrico.

Successivamente Suo [1990] adattò la soluzione di Williams [1959] al caso di materiali ortotropi diversi. Il campo di sforzo σ (r, θ ), a valle dell’apice (Figura 4.2), è

σ (r, 0) = r H22 H11 σ22+ i σ12 =(K1+ i K2) r i ε √ 2πr , (4.1)

doveH11eH22sono funzione delle proprietà meccaniche dei materiali (vedi Capitolo 1) che

costituisco-no l’interfaccia, e socostituisco-no definite come H11= D 2nλ14pS11S22 E mat 1+ D 2nλ14pS11S22 E mat 2, (4.2) e H22= D 2nλ−14pS11S22 E mat 1+ D 2nλ−14pS11S22 E mat 2. (4.3)

Qui e nel seguito la notazione h. . .imat iindica proprietà relative all’i-esimo materiale. L’indice oscillatorio, ε è dato da

ε = 1 2πln  1 − β 1 + β  , (4.4)

e dipende dal parametro di Dundur, β , definito come

β = √ S11S22+S12 mat 2− √ S11S22+S12 mat 1 √ H11H22 . (4.5)

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4.1. LAMINATI NON SIMMETRICI 55

In uno stato piano di tensione, leSij rappresentano le cedevolezze ridotte del laminato; in uno stato

piano di deformazione, alleSij, devono essere utilizzate leS0ij, definite come

S0

ij=Sij−S i3Sj3

S33

. (4.6)

K1e K2sono le componenti del fattore di intensificazione degli sforzi complesso, K, definito

K = K1+ i K2. (4.7)

Figura 4.2: delaminazione all’interfaccia tra due differenti materiali ortotropi. I parametri adimensionali n, ρ e λ sono definiti come segue:

n= r 1 2(1 + ρ), (4.8) dove ρ =2S12+S66 2√S11S22 , (4.9) e infine λ = S11 S22 . (4.10)

Gli spostamenti in prossimità dell’apice della fessura, associati al campo di sforzo descritto dall’E-quazione 4.1, sono u(r, π) = r H11 H22 ∆u2+ i ∆u1 = 2H11(K1+ i K2) |r| 1 2+i ε √ 2πr (1 + 2i ε) cosh(πε). (4.11)

Osservando il campo di sforzi (Equazione 4.1) ed il campo di spostamenti (Equazione 4.11), è evi-dente l’andamento oscillatorio in prossimità dell’apice della fessura. Sebbene la regione in cui la solu-zione mostri un andamento oscillatorio è limitata all’apice, queste oscillazioni (che non impediscono di determinare il valore totale del tasso di rilascio dell’energia) rendono impossibile una definizione della separazione dei modi[Pagano e Schoeppner, 2000; Tay, 2003].

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4.2

Global method

Williams [1988] propone un modello meccanico generale, basato sulla teoria delle travi, che permette di ricavare due valori approssimati dei contributi al tasso di rilascio dell’energia, definitiG0I eG0II. L’apice sta a ricordare la natura approssimata di questi valori, che sono quindi diversi dai valori effettivi diGIe

GII.

Si consideri una trave omogenea delaminata in due parti di spessore diverso, come mostrato in Figura 4.3. La trave abbia sezione rettangolare con spessore totale 2h e larghezza B; si pone l’ipotesi di piccole deformazioni.

Né la trave integra, né le sue due parti, presentano accoppiamento flesso–estensionale (B = 000).

Figura 4.3: trave omogenea (e priva di accoppiamenti) soggetta a delaminazione [Williams, 1988]. La condizione di carico è data dalla sovrapposizione di due distinti sistemi: un primo sistema è quello che prevede l’applicazione, sulla linea d’asse dei due bracci in cui la fessura divide il provino, di due coppie uguali e opposte di intensità MIche contribuiscono all’apertura della delaminazione; un secondo

sistema invece è costituito da due coppie di intensità MIIe applicate nello stesso verso (contribuendo allo

scorrimento delle facce della fessura). Questa distinzione potrebbe risultare accettabile nel caso di travi omogenee e isotrope; l’associazione diretta tra MI e la sola apertura, e MIIe il solo scorrimento lascia

però dubbi sulla sua applicabilità a laminati compositi non simmetrici, caratterizzati da accoppiamenti flesso–estensionali (vedi Capitolo 1). È opportuno però illustrare il metodo globale di Williams [1988] sebbene abbia più volte mostrato criticità e si siano sollevate obiezioni sulla sua efficacia per la sua, ancorché discutibile, larga e diffusa applicazione.

Figura 4.4: sollecitazioni sulla fessura secondo il metodo globale [Williams, 1988].

Si definisce il rapporto tra lo spessore della parte superiore rispetto allo spessore totale del provino, ξ :

ξ =h1

2h. (4.12)

Sovrapponendo i due sistemi di carico si ottiene il valore dei momenti MI e MII in funzione dei

momenti applicati al provino, M1e M2, nell’ipotesi che il modo I si realizzi quando le curvature dei due

bracci sono uguali e opposte, e il modo II quando le curvature siano uguali (Figura 4.4): MI= M2− ψM1 1 + ψ , MII= M2+ M1 1 + ψ , (4.13)

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4.2. GLOBAL METHOD 57

Figura 4.5: schema di un provino Asymmetric Double-Cantilever Beam (ADCB).

dove ψ è un parametro che descrive le rigidezze relative delle due parti di trave ed è funzione del rapporto tra gli spessori ξ :

ψ = 1 ξ − 1

3

. (4.14)

È importante notare che questa ipotesi ha una qualche validità solo quando le travi non presentino alcun accoppiamento flesso-estensionale.

I contributi al tasso di rilascio dell’energia sono pertanto G0 I= MI2 BEJ 1 + ψ 16 (1 − ξ )3, (4.15) e G0 II= MII2 BEJ 3 16 1 − ξ ξ2 (1 + ψ) , (4.16)

dove si pone J pari a J=Bh

3

12 , (4.17)

eE è il modulo di Young longitudinale.

Il tasso di rilascio dell’energia è pari alla somma dei due contributi approssimati: G = G0

I+G 0

II. (4.18)

Kinloch, Wang, Williams, e Yayla [1993] correggono il modello per grandi deformazioni, aggiun-gendo la deformabilità a taglio, e professandone la validità sulla base di un confronto sperimentale su diversi provini unidirezionali [0◦]ntra le quali DCB e MMB.

Tra gli altri, Ducept et al. [1999] applicano il metodo globale a provini asimmetrici, in particolare ad un provino ADCB (Figura 4.5) e ad un provino AMMB (Figura 4.6).

Per inciso, il metodo globale applicato al provino ADCB, ponendo M1= −M2= Pa, fornisce

G = G0 I= 6MI2 B2E 1 +  h2 h1 3 (h1+ h2)3− h31 , G0 II= 0. (4.19)

Per qualunque rapporto tra gli spessori, il metodo globale predice un modo I puro come se il provino fosse un DCB simmetrico: questo è palesemente inaccettabile.

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Figura 4.6: schema di un provino Asymmetric Mixed-Mode Bending (AMMB).

Figura 4.7: sovrapposizione degli effetti nel metodo locale.

4.3

Local Method

Un secondo metodo di scomposizione del tasso di rilascio dell’energia nelle sue componenti fonda-mentali è il metodo locale, bastato sul calcolo del fattore di intensificazione degli sforzi già definito all’Equazione 4.7.

Per analizzare lo stesso problema illustrato in Figura 4.4, Hutchinson e Suo [1991] suggeriscono di applicare il principio di sovrapposizione degli effetti (come illustrato in Figura 4.7) sommando al “sistema 1” un sistema il cui fattore di intensificazione degli sforzi sia nullo.

Ponendo F= − 6h1h2 (h1+ h2)3 M3, (4.20) M= M1− h31 (h1+ h2)3 M3 (4.21)

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4.3. LOCAL METHOD 59

e

M∗ = −M −h1+ h2

2 F, (4.22)

il tasso di rilascio dell’energia associato al “sistema 3” di Figura 4.7 è

G = 1 2B2E  1 h1 + 1 h2  F2+ 12M 2 h31 + 12 M∗2 h32  . (4.23)

L’Equazione 4.23 può essere anche scritta come

G = 1 2BE " F2 Ah1+ M2 Ih31+ 2 FM √ AIh21sin(γ) # , (4.24)

dove si sono definite le costanti

A= 1 1 + 4h1 h2 + 6  h1 h2 2 + 3h1 h2 3 (4.25) e I= h 3 3 12 (h1+ h2)3 , (4.26)

e dove γ è tale che sin(γ) = 6√AI h1 h2 2 1 +h1 h2  . (4.27)

Assumendo valida la relazione che intercorre traK e G per i materiali isotropi anche per i materiali anisotropi e per K, abbiamo che

|K|2= 1 B2 " F2 Ah1 +M 2 Ih31+ 2 FM √ AIh21sin(γ) # . (4.28)

La scomposizione dei modi per il fattore di intensificazione degli sforzi complesso fornisce K = KI+ i KII, =√1 2B   F √ Ah1 − i ei γ M q Ih31  ei ω, (4.29)

dove ω può essere determinato risolvendo il problema di una fessura semi–infinita che propaghi all’in-terfaccia tra due semispazi elastici infiniti. Una buona approssimazione di ω risulta essere [Hutchinson e Suo, 1991]:

ω = 52.1 − 3h1

h2 [deg]. (4.30)

Si possono quindi determinare le componenti reale e immaginaria del fattore di intensificazione degli sforzi: KI= 1 √ 2B   F √ Ah1cos(ω) + M q Ih31 sin(ω + γ)  , (4.31) KII= 1 √ 2B   F √ Ah1 sin(ω) −qM Ih31 cos(ω + γ)  . (4.32)

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Le Equazioni 2.45 e 4.29 possono pertanto fornire le componenti del tasso di rilascio dell’energia secondo il metodo locale:

GI= 1 2B2E   F √ Ah1 cos(ω) +qM Ih31 sin(ω + γ)   2 , (4.33) GII= 1 2B2E   F √ Ah1sin(ω) − M q Ih31 cos(ω + γ)   2 . (4.34)

Il parametro λ definisce la combinazione dei carichi: λ = r I A Ph M. (4.35)

Questa è comunemente considerata una soluzione esatta [Hutchinson e Suo, 1991; Suo e Hutchinson, 1990], ma dipende comunque da parametri valutati numericamente (come il succitato ω) forniti sotto forma di tabelle dagli autori.

Questo metodo ha trovato larga applicazione, e si è dimostrato nella maggior parte dei casi più affi-dabile del metodo globale nel descrivere la scomposizione del tasso di rilascio dell’energia per laminati non simmetrici.

4.4

Estensione finita della fessura

Altri metodi prevedono l’introduzione di un parametro supplementare, le cui dimensioni sono quelle di una lunghezza: la soluzione risulta però strettamente influenzata dalla scelta di questo parametro.

Un primo esempio di questi metodi è offerto da Qian e Sun [1998], introducendo una estensione finita della fessura, ∆a, negli integrali che definiscono l’energia necessaria alla richiusura della fessura [Irwin, 1948]. Questo equivale in qualche modo a supporre che la fessura abbia dimensioni leggermente maggiori di quelle effettive. Si ottiene, ricordando che il campo di sforzo e quello di spostamenti sono campi complessi: ˆ GI= 1 2∆a ∆a Z 0 [σ22(r, 0)∆u2(∆a − r, π)] dr (4.36) e ˆ GII= 1 2∆a ∆a Z 0 [σ12(r, 0)∆u1(∆a − r, π)] dr, (4.37) con G = ˆGI+ ˆGII. (4.38)

È opportuno notare che le componenti del tasso di rilascio dell’energia per l’estensione della fessura, ˆGI

e ˆGII, non sono le vere componenti del tasso di rilascio dell’energia.

Si può verificare che gli integrali delle Equazioni 4.36 e 4.37 non convergono per ∆a che tenda a zero. Questo è evidente se, definendo opportuni parametri legati alle proprietà del materiale e all’angolo di modo misto ψ, d e φ (le cui definizioni esatte [Qian e Sun, 1998] omettiamo qui per brevità), si riscrivono queste espressioni in funzione diG:

ˆ GI= 1 2G+ |d|G 2A  cos(α − φ ) cos  2ε ln  ∆a 4  + sin(α − φ ) sin  2ε ln  ∆a 4a  , (4.39) ˆ GII= 1 2G− |d|G 2A  cos(α − φ ) cos  2ε ln  ∆a 4  + sin(α − φ ) sin  2ε ln  ∆a 4a  . (4.40)

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4.5. VIRTUAL CRACK CLOSURE TECHNIQUE (VCCT) 61

Ricordando che queste sono funzioni complesse, è possibile estrarre solo l’argomento di ˆGI e ˆGII,

ricavando espressioni dei parametri di frattura ¯GI e ¯GII che risultano indipendenti da ∆a e sono definiti

come segue: ¯ GI= 1 2G+ |d|G 2A [cos(α − φ ) + sin(α − φ )] , (4.41) ¯ GII= 1 2G− |d|G 2A [cos(α − φ ) + sin(α − φ )] . (4.42)

Da queste grandezze è ricavabile anche una nuova misura dell’angolo di modo misto, anch’esso consi-derabile un parametro di frattura piuttosto che una grandezza con un suo significato fisico.

ψG¯ = arctan G¯ II ¯ GI  . (4.43)

Questo è soltanto uno dei possibili modelli che prevedono l’utilizzo di una lunghezza come parametro aggiuntivo che permetta la separazione dei modi di frattura: altri sono proposti, per esempio, in Pagano e Schoeppner [2000] e Tay [2003].

4.5

Virtual Crack Closure Technique (VCCT)

La Virtual Crack Closure Technique, o VCCT, proposta per la prima volta da Rybicki e Kanninen [1977], è ad oggi una delle tecniche più utilizzate per la determinazione del tasso di rilascio dell’energia attraverso il calcolo degli elementi finiti (FEM).

La peculiarità di questo metodo è che il tasso di rilascio dell’energia, così come le sue componen-ti, può essere calcolato con una singola analisi attraverso le forze nodali all’apice della fessura e gli spostamenti a monte della stessa.

Per problemi bidimensionali (Figura 4.8(a)) la VCCT fornisce, per i singoli modi, le seguenti com-ponenti: GVCCT I = 1 2∆a[Y5(v1− v2) +Y6(v3− v4)] , GVCCT II = 1 2∆a[X5(u1− u2) + X6(u3− u4)] , (4.44)

dove Xie Yisono le forze nodali, e uie vigli spostamenti, nelle direzioni degli assi x e y del nodo i-esimo.

(a) 2D (b) 3D

Figura 4.8: mesh FEM all’apice della fessura per l’applicazione del metodo della VCCT [Tay, 2003]. I valori ottenuti applicando le Equazioni 4.44 dipendono dalle dimensioni dell’elemento collocato all’apice della fessura, che convenzionalmente sono scelte coincidenti con ∆a.

Nel Paragrafo 4.1 si è accennato all’andamento oscillatorio della soluzione per sforzi e spostamenti in un intorno dell’apice: scegliendo valori dalla lunghezza caratteristica ∆a compresi tra 0.25 e 0.5 volte lo spessore di una lamina (procedura ormai nota come “∆a = h4 VCCT method”), i valori diGVCCTI e GVCCT

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Un eccessivo raffinamento della mesh può portare a risultati fuorvianti: sebbene il valore totale di GVCCT=GVCCT

I +GVCCTII rimanga costante per ∆a → 0, si osserva che GVCCTI → 0 eGVCCTII →GVCCT

(Figura 4.9).

Figura 4.9: confronto dei valori del tasso di rilascio dell’energiaG calcolati utilizzando la VCCT variando le dimensioni della mesh [Tay, 2003].

4.6

Modelli con interfaccia

Un approccio alternativo alla meccanica della frattura sono i modelli con interfaccia, adottati sia per uno studio analitico sia per un approccio numerico.

Una caratteristica di questi modelli è quella di non richiedere la pre–esistenza di una fessura; al contrario, è possibile descrivere anche il processo di iniziazione della delaminazione da una interfaccia integra. Uno degli aspetti che invece ne possono limitare l’efficacia è l’intrinseca necessità di definire appropriati parametri che governino le leggi costitutive dell’interfaccia, generalmente stimabili solo per via indiretta da prove sperimentali.

(a) diagramma ψ–a (b) diagramma ψ–η

Figura 4.10: andamento dell’angolo di modo misto, ψ, per un provino ADCB studiato utilizzando un modello con interfaccia elastica (linea continua rossa) [Bennati et al., 2009]:

(a) al variare della lunghezza della delaminazione, a;

(b) al variare del rapporto tra gli spessori dei sub–laminati in cui viene suddiviso il provino, η =H1

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4.6. MODELLI CON INTERFACCIA 63

L’idea fondamentale è quella di descrivere il comportamento meccanico del sottile strato di mate-riale che si trova lungo il percorso della delaminazione, e che può presentare un comportamento lineare elastico, o anche non lineare, nelle direzioni longitudinale e trasversale.

Allix e Ladevèze [1992] sono i primi ad estendere il concetto di danneggiamento progressivo ai problemi della delaminazione, mentre Corigliano [1993] propone un modello meccanico generalizzato, con un’interfaccia la cui legge costitutiva lega gli spostamenti tra le facce della fessura e la progressiva perdita di coesione tra le lamine. Corigliano [1993] dimostra inoltre che il lavoro associato alla decoe-sione tra gli elementi collegati dall’interfaccia può essere associato al valore critico del tasso di rilascio dell’energia: infatti si ha [Kanninen, 1973]

GI= 1 2kσσ 2 0, GII= 1 2kττ 2 0, (4.45)

dove kσ e kτ rappresentano le leggi costitutive dell’interfaccia.

Bennati et al. [2009] mostrano come, utilizzando un modello con interfaccia elastica per studiare un provino ADCB, ottengano risultati intermedi tra i corrispondenti risultati del metodo globale e del metodo locale(Figura 4.10).

I modelli con interfaccia si sono dimostrati adatti anche a studiare fenomeni dinamici, come per esempio il danneggiamento da impatto a bassa velocità [Tay, 2003].

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