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Lo studio di questi materiali

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Academic year: 2021

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Introduzione

La tesi ha come tema lo studio analitico di alcune classi di materiali di epoca romana, pareti sottili, terra sigillata italica e tardo-italica, e lucerne, provenienti dagli scavi condotti nel 1998 in Piazza dei Miracoli.

Il presente lavoro nasce nell’ambito del tirocinio, svolto, presso la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, sede distaccata di Pisa, da alcuni specializzandi, relativo al lavaggio, alla catalogazione e all’informatizzazione dei materiali inediti provenienti dal suddetto scavo.

Lo studio di questi materiali



si colloca sulla scia di un progetto più ampio, iniziato con la pubblicazione dei risultati delle indagini archeologiche in Piazza del Duomo tra il 2003 e il 2009, e finalizzato ad uno studio sistematico degli interventi e dei materiali rinvenuti in quest’area negli ultimi trenta anni.

I primi capitoli ripercorrono, in sintesi, la storia degli interventi archeologici nella Piazza, che dal 1936 in poi, e con una concentrazione maggiore a partire dalla fine degli anni ’80 del XX secolo, si sono susseguiti sino al 2009.

Per la stesura di questa tesi desidero ringraziare la dott.ssa E. Paribeni, che ha coordinato il progetto “Archeologia in Piazza dei Miracoli” edito nel 2011, per avermi concesso l’uso dei locali della Soprintendenza Archeologica dove è stato eseguito lo studio dei reperti; il prof. S. Bruni che, aderendo al progetto, ha, come direttore dello scavo del 1998, messo a disposizione i materiali da studiare; il dott. A. Alberti che, come direttore di cantiere delle indagini di scavo del 1998, ha rielaborato la documentazione di scavo; la dott.ssa C. Rizzitelli per aver seguito le fasi di lavaggio, classificazione e catalogazione dei materiali.

In particolare i materiali di epoca romana sono stati oggetto di quattro

tesi di specializzazione. Il criterio utilizzato per la suddivisione dei

materiali nelle diverse tesi è stato quello crono- tipologico.

(2)

2 Qui viene affrontato il problema relativo alla natura delle ricerche che, come vedremo, non nascono, specificamente, dalla volontà di indagare la piazza dal punto di vista archeologico - stratigrafico, ma dalla necessità di lavori per l’assetto urbanistico e per la creazione di sottoservizi.

Il terzo capitolo è dedicato in particolar modo allo scavo condotto nel 1998 sia sul retro degli Uffici dell’OPA (PiPDOP’98) che dietro l’abside della Cattedrale (CTP’98). In esso viene proposta una periodizzazione delle varie fasi di vita dell’area, da quella etrusco-romana a quella post- medievale.

I capitoli quattro, cinque e sei costituiscono il fulcro del lavoro, in quanto è qui che vengono illustrati i risultati delle analisi e dello studio dei materiali.

Nelle conclusioni, infine, viene ribadito l’intento del lavoro ed i risultati

raggiunti con tutti i limiti di provvisorietà che comporta una ricerca ancora

aperta.

(3)

3

CAPITOLO I

Archeologia in Piazza dei Miracoli

Piazza del Duomo è l’area urbana di Pisa in assoluto più indagata dal punto di vista archeologico. A partire dagli interventi ottocenteschi di riorganizzazione della piazza

1

, tesi a costruire l’assetto regolare di spazio verde che incornicia i bianchi monumenti romanici, sono state soprattutto le scoperte occasionali di “antichità” nascoste sotto il prato ad arricchire la storia pisana

2

.

La particolare condizione di grande spazio, aperto e libero da costruzioni, inizia con la definitiva conversione a centro religioso della Pisa medievale e si completa artificiosamente alla metà dell'Ottocento con l'assetto pianeggiante ed il tappeto d'erba voluti per esaltare gli edifici della Cattedrale di Buscheto, della Torre e del Battistero. Dal quel momento si sono create le condizioni per una facile accessibilità al deposito archeologico sepolto.

E’ per primo l'architetto Piero Sanpaolesi, Soprintendente per i Beni Architettonici di Pisa, a cogliere questa grande potenzialità, effettuando, tra il 1949 e il 1951, i soli scavi programmati avvenuti nella piazza, con l’intento dichiarato di esplorarne il sottosuolo. Quegli scavi non furono però condotti con la moderna metodologia archeologica e lo scavo fu

1

Per le informazioni sull’assetto della Piazza prima delle rettifiche ottocentesche si veda NUTI 1986.

2

SETTIS 1984.

(4)

4 organizzato su una serie di trincee che riportarono in luce alcune rasature di muri antichi ed i loro relativi piani d’uso o di imposta.

Tutte le scoperte e gli scavi archeologici eseguiti prima degli scavi Sanpaolesi e in seguito anche quelli condotti con una corretta metodologia stratigrafica sono stati, infatti, motivati non tanto da interesse scientifico quanto piuttosto da lavori per l’assetto urbanistico, come gli sterri ottocenteschi che hanno interessato soprattutto la parte orientale della piazza e il collegamento con via Cardinale Maffi, o idraulico, come lo scavo per la grande fognatura ottocentesca che mise in luce ampi lembi di mosaici, oppure finalizzati alla sicurezza dei monumenti, come quelli intorno e sotto la Torre, durante gli anni del cantiere per il consolidamento del famoso campanile pendente.

Le stesse motivazioni di intervento sono state alla base delle recenti indagini che tra il 2003 e il 2009 hanno portato nuovamente ad indagare la piazza

3

.

3

Cfr. ALBERTI, PARIBENI (a cura di) 2011.

(5)

5

CAPITOLO II

Gli scavi e la metodologia

Gli interventi di scavo degli ultimi settanta anni sono una ventina (Fig. 1).

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6

Fig. 1: Gli scavi condotti in Piazza dei Miracoli negli ultimi settanta anni (da ALBERTI, PARIBENI 2011, p. 19)

Oltre agli interventi ottocenteschi, che in più punti della piazza hanno riportato in luce resti di mosaici e materiale mobile vario, la prima indagine è quella seguita nel 1936 all’interno del chiostro del Camposanto Monumentale. L’indagine, poi sinteticamente pubblicata, è stata seguita, tra il 1949 e il 1951, dagli scavi Sanpaolesi.

4

La ripresa delle indagini archeologiche in Piazza dei Miracoli ha poi avuto maggiore continuità a partire dagli anni ’80 del XX secolo. Gli scavi sono stati diversificati per tipologia e metodo, andando dalle semplici assistenze archeologiche a scavi eseguiti per scopi diversi dalla ricerca archeologica fino agli scavi stratigrafici estensivi. Gli scavi 1985-1986, 1989 (scavi Maggiani

5

) e gli interventi 1992, 1993, 1998 (scavi Bruni

6

) sono stati tutti di tipo estensivo, preliminari ad interventi nel sottosuolo legati alla gestione della piazza. Nel caso particolare degli scavi Bruni le indagini sono tutte legate al Progetto di consolidamento della Torre. I cantieri 2003- 2005 (scavi Paribeni)

7

e 2008-2009 (scavi Ducci) sono anch’essi stati occasionati da lavori per i nuovi impianti antincendio e per l’irrigazione del prato. A tutte queste indagini sul campo se ne devono aggiungere anche altre riconducibili comunque alla ricerca archeologica, come i carotaggi (intorno alla Torre del 1991-1992), le prospezioni geofisiche nell’area compresa tra il Camposanto e la Cattedrale e tra il Battistero e la Porta del Leone (2004, 2009), la fotointerpretazione, le ricerche d’archivio, l’edizione di materiali frutto di scoperte occasionali, confluiti nel Camposanto, nel Museo dell’Opera del Duomo, nel Museo Nazionale di San Matteo, e infine gli studi che hanno riguardato i reimpieghi di antichità preromane e romane negli edifici della Piazza

8

.

4

SANPAOLESI 1975.

5

MAGGIANI 2002a pp. 77-78.

6

BRUNI 1995a, pp. 163-196.

7

ALBERTI, DADÀ, PARODI 2005; ALBERTI, PARIBENI 2005 pp.

210-213.

8

TEDESCHI GRISANTI 1995, pp. 153-164.

(7)

7 Le numerose indagini della piazza hanno permesso, ad oggi, di ipotizzare in modo piuttosto circostanziato l’organizzazione dell’area in epoca etrusca e poi romana.

Una delle più antiche testimonianze relative all’occupazione del territorio pisano, in epoca etrusca, proviene proprio dalla piazza del Duomo.

Durante gli scavi del 1993, infatti, venne rinvenuta una struttura realizzata con un alzato in mattoni crudi, posti in piano direttamente sul terreno, accostati tra loro mediante argilla chiara e intonacati con un’argilla fine di colore giallognolo; all’interno questo muro delimitava un ambiente curvilineo. I pochi materiali rinvenuti hanno permesso di collocare questa evidenza tra la fine dell’VIII e gli inizi del VII secolo a.C., accostandola ad una struttura coeva e con pianta simile rinvenuta nel foro della città etrusca di Roselle e interpretata coma dimora del basileus

9

.

In seguito all’affermazione di una realtà di tipo urbano, sia sociale che politica, intorno alla fine del VII secolo a.C. il settore orientale di Piazza Duomo venne interessato da importanti lavori di rifunzionalizzazione.

Nell’area già occupata dalla struttura in mattoni crudi fu realizzato un edificio di circa venti metri quadri, a probabile carattere sacro, che doveva avere una forma regolare scandita all’interno da due muretti longitudinali in mattoni crudi, mentre i muri perimetrali erano realizzati in opus craticium, con copertura fittile

10

.

Nel corso della prima metà del V secolo l’area fu soggetta ad una esondazione delle acque dell’Auser e nuovamente riorganizzata a scopo cultuale; se di un grande edificio realizzato nella parte meridionale non è stato possibile determinare la funzione, nell’area orientale sono state documentate altre tracce di edifici, la cui natura sacra è indiziata dal rinvenimento di un frammento di coppa con un’iscrizione a carattere religioso. Nel settore settentrionale, al di sopra del precedente edificio cultuale distrutto da un incendio, sono state rinvenute diverse depressioni nel terreno riempite con frammenti ceramici pertinenti a vasi di alta qualità formale, addensate attorno ad un piccolo altare di arenaria. Quest’area di culto è da mettere in connessione con quella emersa alle spalle della torre

9

BRUNI 2011, pp. 33-34.

10

BRUNI 2011, p. 36.

(8)

8 pendente, che ha restituito numerosi bronzetti infissi su piccole basi di legno, inseriti, in parte, in modeste depressioni del piano argilloso. La mancanza di ulteriori indizi, e la sola presenza di queste figure, ritraenti per la maggior parte figure femminili nude con caratteri sessuali fortemente enfatizzati, ha fatto propendere per un’identificazione dell’area con una zona deputata a culti legati ai riti di passaggio femminili e alle nozze

11

. Tra la fine del IV e gli inizi del III la piazza subisce ulteriori modificazioni:

nell’area settentrionale fu realizzata un’imponente opera di terrazzamento;

tutta l’area venne cinta da un temenos all’interno del quale trova spazio un edificio dal probabile carattere sacro. Un altro tassello per la ricostruzione, seppure in via ancora ipotetica, di questo nuovo assetto della piazza in funzione cultuale, è una grande platea costruita con pietre irregolari, a pianta rettangolare, orientata Sud-Est/ Nord-Ovest all’interno della quale è stato rinvenuto un grande blocco squadrato di calcare, interpretato come basamento di un grande altare, smontato quando l’intera area fu completamente rimodellata dopo la deduzione coloniale di Pisa

12

(fig.2).

Fig. 2: CTP ’98: Platea di forma rettangolare e basamento di un grande altare (da ALBERTI, PARIBENI 2011, p. 41).

11

BRUNI 2011, p. 38.

12

BRUNI 2011, p. 40.

(9)

9 La fase romana della piazza è caratterizzata dalla pressoché totale occupazione degli spazi da parte di domus; probabilmente, in occasione della fondazione della colonia, o comunque in seguito al grande afflusso di capitali, grazie ai commerci transmarini, la destinazione degli spazi non è più a carattere cultuale ma residenziale, con la presenza di edilizia di prestigio.

Tutti gli scavi archeologici effettuati nell'area hanno documentato, infatti, la presenza di edifici abitativi di epoca repubblicana e imperiale posti a sud e a nord del tracciato stradale romano che si ipotizza esteso con direzione est-ovest, lungo il perimetro meridionale del Camposanto Monumentale

13

. Sono stati riconosciuti due edifici con tre fasi edilizie: costruzione agli inizi del I secolo a.C., ristrutturazione, forse contemporanea nelle due domus, intorno alla metà del I secolo a.C., e interventi di manutenzione o rimaneggiamenti in tarda età imperiale.

Non è possibile affermare se l'area della piazza sia stata anticamente una zona suburbana o per lo meno decentrata, dal momento che non è nota l'urbanistica di Pisa romana. La decorazione, particolarmente raffinata, di alcuni edifici della piazza fa supporre l’esistenza di un quartiere residenziale di lusso

14

, e, se è vero che il porto urbano di Pisa corrisponde al sito di San Rossore, la posizione di questo quartiere residenziale non appare più così decentrata, ma è in stretto rapporto con il polo mercantile, a cui faceva riferimento il ceto di imprenditori di origine libertina, proprietari con ogni probabilità delle domus

15

.

L'ubicazione della città, alla confluenza tra due fiumi e non lontana dal mare, risulta essere centrale nel quadro delle dinamiche commerciali che la vedono coinvolta.

Le ricerche più recenti stanno definendo il quadro topografico dell'ambiente costiero pisano: la costa era considerevolmente arretrata e articolata in un ampio golfo che si estendeva da Livorno oltre l'area di

13

ALBERTI 2011, pp. 61-70.

14

Le evidenze infatti permettono di affermare che in epoca tardo repubblicana le case pisane riflettono tecniche e soluzioni decorative diffuse a Roma, a Pompei e negli altri centri vesuviani, come pure in tutta l'Etruria e nel settentrione d'Italia: ALBERTI, PARIBENI (a cura di) 2011, pp. 69-73.

15

PARIBENI et alii, 2011, pp. 75-76.

(10)

10 Massaciuccoli. Al centro del golfo sboccavano i tre bracci che anticamente formavano il delta dell'Arno; nella parte settentrionale sfociavano una serie di canali che facevano riferimento al regime idrografico dell'Auser

16

. Il sistema Arno-Serchio assicurava pertanto il collegamento della città con il suo retroterra agricolo e manifatturiero, integrato con un articolato sistema stradale

17

. A Pisa la confluenza di un ramo del Serchio nell'Arno, documentato almeno fino all’età tardoantica, svolse verosimilmente un ruolo centrale per alcune attività economiche della città.

Tutte le fonti, soprattutto gli itinerari, per indicare lo scalo di Pisa fanno riferimento ad un unico toponimo, forse in riferimento all'esistenza di un unico sistema portuale, dai molteplici approdi, in rapporto con tutta la piana pisana prossima al mare.

18

Portus Pisanus rappresenta lo scalo principale di questo articolato sistema portuale, oggi identificato con il sito di Santo Stefano ai Lupi presso Livorno. Tra Portus Pisanus e la città si riconosce lo scalo di San Piero a Grado, documentato sin da epoca arcaica.

L'area, abitata anche in età romana, risultava collegata con il litorale, a sud dell'Arno, e con Pisa, dalla via Aurelia che l'attraversava. Tra San Piero a Grado e le sponde meridionali del lago di Massaciuccoli, nell'attuale ansa del fiume Serchio, si colloca l'insediamento di Migliarino Pisano, località Isola, con numerosi reperti databili dalla fine del IV secolo a.C. al VI secolo d.C.

19

Sempre in riferimento all'ager Pisanus la fascia costiera della Versilia era scandita da un sistema di approdi collocabili presso la foce dei corsi d'acqua e correlati con la viabilità terrestre.

Merci e traffici provenienti da sud facevano verosimilmente scalo nei due approdi principali di Portus Pisanus e San Piero a Grado; da qui le merci risalivano i due rami meridionali dell'Arno o giungevano a Pisa via terra.

Le merci, invece, che provenivano da settentrione si inserivano nella fitta rete di canali che collegavano Serchio e Arno per poi giungere in città.

Sembra verosimile che lungo questa linea di traffici siano transitate le imbarcazioni rinvenute presso la stazione di San Rossore, identificabile

16

CAMILLI 2005, p. 26.

17

PASQUINUCCI 2003a, p. 93.

18

CAMILLI 2005, p. 26.

19

PASQUINUCCI 2003a, p. 96.

(11)

11 come deposito di fondale fluviale, relativo all'ansa di un corso d'acqua minore, forse uno dei rami del Serchio, a breve distanza dalla città

20

. La scoperta di questo bacino interno ha consentito di acquisire nuovi dati in relazione al paleoambiente, alla tipologia delle imbarcazioni utilizzate, alle merci trasportate fino al suburbio nord-occidentale della città

21

.

Le domus della piazza sopravvissero fino al V secolo d.C., poi furono in parte abbandonate, spoliate e parzialmente rioccupate con strutture in materiale deperibile. Nel corso del VI secolo d.C. un’operazione di livellamento e definitiva obliterazione delle strutture ancora in vista segna la definitiva conversione dell’area in senso cultuale, con la comparsa delle prime sepolture.

Mancano testimonianze relative alla cattedrale paleocristiana, mentre può riferirsi, con sicurezza, alla sistemazione paleocristiana della piazza l’edificio a pianta ottagonale rinvenuto nel 1936 all’interno del chiostro del Camposanto e parzialmente scavato ancora nel 1998

22

.

Per l’edificio, identificato come battistero, è stata proposta una datazione al VI secolo

23

, ma la cronologia rimane in realtà controversa.

Una traccia per metà corrispondente a un ottagono, visibile a fianco del battistero romanico in una fotografia aerea della piazza, ha lasciato intravedere, inoltre, la possibilità che fosse stato costruito o edificato in parte un altro battistero, intermedio tra quello paleocristiano e quello più recente.

La traccia è precisamente in asse con un edificio a tre navate, monoabsidato, rinvenuto negli scavi del 2003 – 2004 e interpretato come Cattedrale precedente a quella del Buscheto, da datarsi tra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo

24

(fig. 3). Tuttavia, le indagini mirate a verificare questa possibilità hanno permesso di documentare, in corrispondenza di due lati della traccia evidente in foto, solo due fosse di

20

CAMILLI 2005, p. 26.

21

PASQUINUCCI 2003a, p. 94.

22

Durante l’indagine del 1998 all’interno del Camposanto Monumentale è stata rinvenuta una piccola porzione dell’edificio. In questa occasione si è provveduto alla documentazione grafica del lato nord-occidentale dell’ottagono e alla rilettura dei materiali di costruzione.

23

PANI ERMINI, STIAFFINI 1985.

24

ALBERTI, PARODI, MITCHELL 2011, pp. 243-292.

(12)

12 fondazione/spoliazione, relative a muri che avrebbero tagliato le strutture di una domus.

Fig. 3: Foto aerea della Piazza e la traccia del probabile Battistero (da ALBERTI, PARIBENI 2011, P.28).

Elementi rilevanti riguardo all’origine dell’area episcopale pisana sembrano poter essere poi aggiunti dalla necropoli scavata nel settore orientale e nord-ovest della Piazza del Duomo, a nord e sud della cattedrale

25

. L’area cimiteriale era forse delimitata da un temenos di terra individuato tra la Porta del Leone e il perimetrale occidentale del Camposanto

26

. Sulla base delle relazioni stratigrafiche (in assenza quasi totale di materiali di corredo), le sepolture, prevalentemente in fossa terragna, sono state datate tra la fine del V secolo e l’inizio del VI secolo d.C. Considerato che alla fine del V secolo si esaurisce la funzione dei cimiteri extraurbani di età imperiale e tardo antica dell’Area Scheibler

27

e di via Marche

28

, non è insensato pensare che la nuova area sepolcrale della

25

Scavi 1992: BRUNI 1995, p. 171; scavi 1995: ALBERTI, BALDASSARRI 1999, fig. 2, p. 371.

26

BRUNI 1995, pp. 172 – 173.

27

Scavo Paribeni, inedito.

28

COSTANTINI 2007-2008, pp. 149-168.

(13)

13 città sia stata qui catalizzata da un edificio di culto fino a quel momento assente o non particolarmente importante.

Dalla metà del VII secolo questo spazio cimiteriale è utilizzato anche dai Longobardi. Lo scavo di tombe con corredo di epoca longobarda, fin dal 1949-50, ha contribuito al dibattito sulla presenza longobarda a Pisa. Le testimonianze archeologiche relative a questo periodo si riducono sostanzialmente alle tombe con corredo rinvenute in Piazza dei Miracoli, nell’Area Scheibler e via Marche

29

, e alle fasi di frequentazione di VII – VIII secolo documentate negli scavi urbani di Piazza dei Cavalieri e di Piazza Dante

30

. Tra le sepolture individuate in Piazza dei Miracoli, le prime recuperate in contesto stratigrafico sono quelle della campagna di scavo del 1998 nei pressi della torre di Pisa

31

. A queste si aggiunge una tomba più monumentale scavata nel 2008 in prossimità delle gradule del battistero

32

, contenente tra gli elementi di corredo un’interessante fibbia figurata

33

. L’indagine stratigrafica ha permesso di rilevare come, a differenza delle inumazioni di V-VI secolo, le tombe longobarde segnino una cesura con qualsiasi altro utilizzo delle strutture tardo romane, che non sia il recupero di materiale edilizio.

Di conseguenza in questo periodo l’area assume definitivamente la connotazione di zona cimiteriale, abbandonando definitivamente la funzione abitativa di età imperiale.

29

Nonostante la fine del suo utilizzo nel V secolo, il sepolcreto viene usato occasionalmente anche in epoca più recente: COSTANTINI 2007-2008, pp. 160 - 161.

30

BRUNI, ABELA, BERTI 2000; BRUNI 1993.

31

ALBERTI, BALDASSARRI 1999; ALBERTI, BALDASSARI, FORNACIARI 2011, pp. 218 – 221; Altre due tombe databili al VII secolo sono state identificate negli scavi del Sanpaolesi effettuati nel 1949 a nord della Cattedrale: SANPAOLESI 1956-1957; SANPAOLESI 1975; BRUNI 1994; ALBERTI, BALDASSARI, FORNACIARI 2011, pp. 209-218. Solo materiale di corredo è stato raccolto da Maggiani nell’area di fronte agli Uffici della Primaziale e altri oggetti longobardi, tra cui quelli raccolti nell’atrio dell’Hotel Kinzika, provengono da altra area imprecisata della piazza: MAGGIANI 1990; ABELA 1994.

32

ALBERTI, BALDASSARI, FORNACIARI 2011, pp. 221-225.

33

ALBERTI, BALDASSARI, FORNACIARI 2011, pp. 225-232.

(14)

14

CAPITOLO III

Gli scavi 1998 e il progetto di consolidamento della Torre

Nel 1989 il Ministero dei Lavori Pubblici incaricò un Comitato tecnico- scientifico di esaminare il grado di sicurezza del monumento. Gli esperti raccomandarono, vista la situazione critica della struttura in superficie, di chiudere la Torre al pubblico.

Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici accolse l’invito e il 6 gennaio 1990 il Campanile del Duomo fu chiuso. Alla fine del 1990 il Ministero per i Lavori Pubblici nominò un nuovo Comitato internazionale con il compito di preparare un progetto di massima e un progetto esecutivo per il consolidamento e il restauro della Torre. Era stata ormai raggiunta la consapevolezza che solo con un approccio globale e multidisciplinare si poteva sperare di risolvere i problemi del monumento: gli undici componenti del Comitato erano ingegneri strutturisti e geotecnici, geologi, architetti e restauratori. Nel 1997 questo primo organismo fu trasformato nel Comitato per la Salvaguardia della Torre di Pisa, costituito di quattordici membri italiani e stranieri, e incaricato di portare a termine gli interventi già iniziati.

In questo contesto l’archeologia è intervenuta preliminarmente in quelle aree della piazza che sarebbero state oggetto di interventi legati alle varie procedure del progetto.

I carotaggi del 1991 intorno alla Torre, gli scavi estensivi del 1992 sotto il monumento detto “della Lupa”, quelli del 1993 tra la Porta del Leone e il lato occidentale del camposanto Monumentale, le indagini del 1998 dietro gli Uffici dell’Opera (PIPDOP ’98) e dietro l’abside della Cattedrale (CTP

’98) hanno consentito di documentare ampia parte del deposito

archeologico in una fase di interventi in profondità nel sottosuolo della

piazza.

(15)

15 Si sottolinea che le parti relative alla descrizione dei risultati delle indagini di scavo, presentate qui di seguito, sono state elaborate dal dott.

Antonio Alberti, in qualità di direttore dei cantieri; la scrivente non ha avuto libero accesso alla documentazione di scavo, di conseguenza molti materiali non sono attribuibili ad un determinato periodo a causa della frammentarietà delle informazioni fornite.

3.1 Lo scavo sul retro degli Uffici dell’OPA (PiPDOP’98)

Lo scavo archeologico stratigrafico è stato condotto dal 21 gennaio al 16 febbraio 1998 con la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana (funzionario dott. S. Bruni) e la direzione del cantiere del dott. A. Alberti.

L’intervento è stato funzionale all’impianto di una struttura relativa alla sicurezza della torre durante i lavori di consolidamento.

3.1.1 La periodizzazione

Il saggio di scavo stratigrafico, preventivo all’uso dello spazio, ha permesso di documentare quattro periodi di frequentazione. La periodizzazione e la stratigrafia documentata sono molto simili allo scavo di Area 7000 del 2005.

PERIODO I-II : Etrusco-romano

L’area risulta occupata da strutture relative probabilmente ad una domus, le quali sono risultate del tutto spoliate. La presenza di un pozzo, in fase con l’impianto di epoca romana, ha fatto ipotizzare la presenza di un’area aperta.

PERIODO III: Periodo tardo antico e altomedievale

L’abbandono delle strutture e la spoliazione delle stesse hanno creato

un’area, probabilmente aperta, con una serie di piani a crescita continua,

caratterizzati dalla presenza di focolari e livelli di frequentazione di terra

battuta in funzione di edifici abitativi in materiale deperibile, dei quali però

non sono stati individuati i perimetrali di solito determinati dalla presenza

di buche di palo.

(16)

16 PERIODO IV-VI: Periodo medievale

Con la costituzione dell’area episcopale e a partire dai secoli centrali del medioevo la fascia nord dell’attuale Piazza dei Miracoli era occupata da orti. Anche nel saggio di scavo sono stati documentati livelli ortivi che vanno a coprire completamente le frequentazioni precedenti.

PERIODO VII-VIII: Età moderna e contemporanea

Gli edifici, attualmente adibiti ad uffici e abitazione dei custodi, hanno occupato gli orti medievali riorganizzando gli spazi retrostanti con orti e giardini.

Tabella periodizzazione

PERIODO US CRONOLOGIA

I-II 58, 71 Etrusco-romano

III 16, 19, 20, 21, 25, 29, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 40, 42, 43, 54, 55, 57, 61, 62, 63, 64, 66, 70,

Tardo antico – Altomedievale

IV-VI 14, 15 Medioevo

VII-VIII 1, 2, 3, 8, 10 Età moderna –

contemporanea

3.2 Lo scavo dietro l’abside della cattedrale (CTP’98)

34

34

Le US comprese tra 500 e 800 sono da riferire a piccoli saggi di indagine

effettuati, tra gli Uffici dell’Opera del Duomo e via Santa Maria, in

concomitanza ad alcuni lavori per il rifacimento di sottoservizi.

(17)

17 Lo scavo archeologico stratigrafico è stato condotto dal 17 febbraio al 24 aprile 1998 con la direzione scientifica della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana (funzionario dott. S. Bruni) e la direzione del cantiere del dott. A. Alberti.

3.2.1 La periodizzazione PERIODO I-II: Etrusco- Romano

Gli scavi hanno portato alla luce i resti di una struttura (US 18), interpretata come porticus, che delimitava un’area aperta con copertura a tettoia.

Questo spazio potrebbe essere pertinente ad un edificio a carattere residenziale da mettere, probabilmente, in relazione alle domus e alle strutture rinvenute durante gli scavi nei pressi della statua della Lupa e sotto l’abside della cattedrale (1993-1994)

35

. Questa fase si impostava sui piani d’uso della grande platea probabilmente di età ellenistica (fig. 2), stratigraficamente precedente alle strutture romane, la quale evidentemente continua ad essere utilizzata come livello di fondazione anche dei nuovi edifici.

La continua frequentazione del luogo pare testimoniata proprio dallo scarso spessore del deposito stratigrafico, a riprova del mantenimento più o meno costante e omogeneo nel tempo delle quote di imposta delle strutture e dei piani d’uso ad esse legate.

PERIODO III: Tardo antico –Alto Medievale

In età tardo antica l’area a ovest del muro romano (in parte demolito ma ancora in vista) continua ad essere utilizzata per strutture di riparo o di alloggio, costituite da alzato ligneo testimoniato dalla presenza di una serie di buche di palo allineate ancora in direzione S/N, cioè con andamento quasi parallelo al muro precedente. Nella stessa zona sono state individuate anche altre attività: focolari con resti di pasto e accumuli di materiale edilizio.

A est del muro romano i livelli tardo antichi sono interessati da una serie di inumazioni in fossa terragna, prive di corredo. In questo periodo l’area

35

BRUNI 1995a, pp. 163-196.

(18)

18 perde il suo carattere residenziale e torna ad assumere una funzione cultuale.

Anche la fase altomedievale, caratterizzata dalla presenza di sepolture in cassa e terragne, ha dimostrato che alcune volte il taglio e la deposizione dell’inumato ha raggiunto facilmente la platea precedente alle strutture romane (si veda ad esempio la sepoltura 2 in Fig. 4).

Fig. 4 : CTP’98. Sepolture longobarde (da Archeologia Medievale, XXVI,1999 p. 371).

L’ipotizzata continuità di utilizzo nel tempo delle strutture più antiche,

anche come piano di imposta per le fondazioni successive, ha reso

particolarmente problematica la scansione cronologica attraverso

l’attestazione dei materiali ceramici, che risultano spesso residuali o ad

inquinamento dei livelli precedenti.

(19)

19 Tabella periodizzazione :

PERIOD O

FASE ATTIVITÀ/STRUTTUR E

US CRONOLOGI A I-II 1 Platea, edificio romano

con porticus

13, 18, 32, 83, 86, 104,

164,189, 191

Etrusco-romano

III 1 Livello frequentazione edificio

17 Metà V d.C.

III 2 Demolizione edificio 10, -16, 24, 89, 91, 97,

-126, 125

Fine V d.C.

III 3 Livello con buche di palo per capanna

19, 12 31, 26, -29, 30,

46, 47, 68, 86+, 87, 88 (liv.carboni

), buche di palo: -31,

33,-35, -37,-39,-41,

-43,-59,60, -62,-64,-66,

98, 110

VI d.C.

III 4 Abbandono della capanna e buche per la ricerca dei materiali edilizi e prime

inumazioni

Riempimen ti buche:

32, 34, 45, 36, 38, 40;

2, 3, 4, 5, 6, 14, 42, 44, 58, 59, 61, 63, 65, 67,

109, 113,171, 174,175, 176, sep.2,

sep.3, sep.18, Buche:-95,

96

VI d.C.

avanzato

III 5 Seconda fase di

inumazioni

Sep. 4; us 20, sep.

4M; sep 5:

us 15, 21;

sep. 6: us 22; us 23

VII d. C.

IV-VI 1 Costruzione della

Cattedrale e terza fase

Medioevo

(20)

20 inumazioni

VII-VIII 1 Sistemazione della piazza 0;1 Età moderna e

contemporanea

(21)

21

CAPITOLO IV

INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLE ANFORE

Lo studio dei contenitori anforici presenti nelle stratigrafie della Piazza del Duomo era stato già avviato da Massa, per gli scavi del 1992-1993

36

e proseguito nel 2011 da Costantini, per gli scavi del 2003-2009

37

. Questo studio si concentrerà sulle anfore inquadrabili cronologicamente tra il II secolo a.C. e il III d.C., ovvero tra la tarda repubblica e i primi secoli dell'impero. I frammenti provenienti dagli scavi del 1998, sono stati studiati tenendo presente la metodologia di Costantini, con uno sguardo più particolareggiato sulle paste ceramiche e sulle produzioni nel territorio pisano, soprattutto per il periodo repubblicano ed augusteo. Tutti i frammenti sono stati inseriti nella tabella, con indicazioni sul'US di provenienza, in cui sono catalogati e distinti nelle varie forme individuate, con una cronologia di riferimento, inoltre è stato riportato l'impasto a cui è stato associato. Dove possibile nella bibliografia è stato indicato il confronto puntuale individuato per il frammento, oppure una bibliografia generale.

36 Massa 1993b, pp. 63-73.

37 Costantini 2011,pp. 393-430.

(22)

22 4.1 Età repubblicana

PRODUZIONI ITALICHE

ANFORE GRECO-ITALICHE

38

(Tav. I-V)

Le “greco italiche”

39

sono ben rappresentate nelle stratigrafie di Piazza Duomo, soprattutto negli scavi del 1998, mentre le indagini successive, hanno restituito solo nove orli di queste anfore vinarie

40

.

Sotto questa denominazione rientrano molte anfore con caratteristiche morfologiche molto diverse tra loro, di cui solo negli ultimi anni è stato possibile ricostruirne il percorso evolutivo. L’origine del tipo è magno- greca e siceliota, come sottolinea la dicitura oramai entrata nell’uso comune (MGS) per definire le produzioni più antiche

41

.

I frammenti emersi dalle indagini in Piazza Duomo rappresentano l’evoluzione del tipo da III secolo a.C. fino al 145/135 a.C. periodo in cui vengono sostituite dalle Dressel 1, come si desume dal confronto con i rinvenimenti di Cartagine, distrutta nel 146, dove non si hanno tracce di Dressel 1, e di Numanzia, distrutta nel 133 a.C. che invece ha restituito esemplari di questo nuovo contenitore

42

.

I frammenti più antichi sono caratterizzati da un orlo a sezione triangolare con la parte superiore inclinata verso l’esterno di quarantacinque gradi talvolta, sottolineato inferiormente da uno scalino (numeri tavole). Queste anfore (MGS V), i cui esemplari integri hanno collo troncoconico, spalla larga, corpo a trottola, puntale cilindrico corto e cavo, anse a nastro a sezione ovale, si datano alla prima metà del III secolo a.C.

Sono ben attestate in Toscana sia nei siti terrestri, come ad esempio a Populonia

43

che nei relitti, come quello delle Secche delle Meloria (Livorno), rinvenuto proprio nel tratto antistante al sito di Portus Pisanus.

44

Intorno agli ultimi anni del III secolo si possono collocare alcuni frammenti caratterizzati da un orlo, a sezione triangolare, leggermente più

38 Verranno illustrati nel dettaglio solo i frammenti di cui si offre un supporto grafico. Gli altri sono analizzati genericamente nella tabella.

39 Benoit 1954, pp. 40- 41.

40 Costantini 2011, p. 393-395.

41 Vandermersch 1994, pp. 59-92.

42 Tchernia 1986, p. 42.

43 Bertone 1995, fig. 46.

44 Barbagliotti et alii 1997, pp. 47-48.

(23)

23 allungato confronto ai precedenti, seppur non di molto, poco inclinato verso l’esterno, con profilo inferiore spesso obliquo (Tav.I-II-III).Il tipo è documentato nelle stratigrafie dell’acropoli di Populonia

45

e a Pisa

46

. Agli inizi del II secolo si possono collocare alcuni frammenti caratterizzati da un orlo, a sezione triangolare superiormente meno obliquo e inferiormente più dritto confronto al tipo precedente. La forma tende a slanciarsi ed allungarsi in funzione di una maggiore capacità contenitiva, dovuta a di nuovi equilibri economici e politici creatisi dopo la fine della seconda guerra punica, infatti durante il secondo secolo i prodotti italici iniziano a conquistare una fetta sempre maggiore del mercato del Mediterraneo occidentale. Queste anfore (MGS VI) trovano confronti puntuali a Populonia

47

, negli scavi della piazza Arcivescovado a Pisa

48

e a Luni.

49

All’ultima produzione delle greco-italiche (forma Will e

50

) sono riferibili alcuni frammenti con caratteristiche molto simili alle Dressel 1, con un orlo sempre più allungato e dal profilo meno obliquo, presenti nelle altre aree indagate di Piazza Duomo

51

(Tav.IV-V).

Le greco italiche di Piazza Duomo si possono comunque genericamente collocare cronologicamente in un arco che va dal III fino al II secolo a.C.

Una buona percentuale (22 su 52) di queste anfore è realizzata con impasti provenienti da aree vulcaniche (impasti 1a, 1b, 1c, 1d) caratterizzati dalla presenza di numerosi e piccoli inclusi bruni a volte lucenti. Durante il III secolo, infatti, una notevole quantità di anfore greco-italiche iniziarono ad arrivare dall’Italia centro- meridionale nell’Etruria settentrionale non solo nei siti urbani costieri ma anche nelle zone interne della Lunigiana e della Garfagnana. Sfruttando il sistema fluviale Auser/Serchio, il vino campano laziale arrivava agevolmente in queste zone, associato al servizio da mensa in vernice nera. La massiccia importazione di questi contenitori è confermata anche dai ritrovamenti di Portus Pisanus, l’antico porto di Pisa,

45 Bertone 1995, pp. 488-490.

46 Storti 1989, p. 112, tav. 31, fig. 3.

47 Bertone 1995, p. 490, fig. 47.

48 Storti 1989, p. 112, tav. 31 fig. 5.

49 Lusuardi Siena 1977, p. 234, tavv. 141-142.

50 Lyding-Will 1982, pp. 338-356.

51 Costantini 2012, fig. 1, numm. 4-7.

(24)

24 che ne ha restituito un gran numero

52

. Ben presto però nacquero anche delle manifatture di Greco.italiche nord etrusche, già nel corso della metà del III secolo a.C. Nel sito di Bora dei Frati ad esempi, sono stati rinvenuti alcuni puntali cilindrici cavi, riferibili a produzioni di III secolo, i sono cui impasti caratterizzati da componenti riferibili a rocce e a sedimenti affioranti nella fascia costiera dell’Etruria settentrionale

53

.

Menchelli ha ipotizzato la presenza di fornaci produttrici di greco-italiche nel retroterra di Portus Pisanus e nella valle del Cecina, nel territorio di Vada Volterrana, nelle stesse officine che poi si specializzeranno nelle successive produzioni di Dressel 1 e Dressel 2/4

54

: al momento però mancano esemplari riferibili a questa tipologia che possano corroborare questa ipotesi. Anfore greco-italiche di produzione nord etrusca, in particolare pisano-volterrana, sono state individuate a Luni, mediante analisi archeometrica di alcuni frammenti

55

. Le greco-italiche vennero imitate per contenere le produzioni di vino locali, infatti la coltivazione della vite nell’alta Valle del Serchio è documentata anche dalle fonti letterarie

56

.

Oltre ad impasti vulcanici ne è stato individuato anche un altro (numero 3), riferito sia a greco italiche che a Dressel 1, che ha un colore rosso intenso, molto simile all’impasto 4, (con tutta probabilità afferente ad una produzione di una fornace in località Cà Lo Spelli

57

), forse da riferirsi ad una produzione dell’Etruria settentrionale.

DRESSEL 1 (Tav. VI.VII)

La forma Dressel 1, nelle sue varianti A,B,C, è sicuramente l’anfora viaria italica più diffusa nel bacino del mediterraneo occidentale in età tardo

52 Menchelli, 2007, p. 142.

53Storti 1990, p. 236, nn. 289-290. Per analisi delle paste: Mannoni 1990, p. 257.

54 Cherubini del Rio-Menchelli 2006, fig. 1.

55 Rossignani et alii 2002, pp. 753-765.

56 Pasquinucci- Menchelli

57 La provenienza dell’impasto dall’area di Cà lo Spelli mi è stata indicata dal Dott.

Stefano Genovesi che ha studiato la ceramica comune proveniente dal sito. Picchi et alii 2010, p. 291.

(25)

25 repubblicana. La suddivisione in varianti non è spesso agevole, soprattutto sui siti terrestri ma è stata fatta per sottolineare le differenze di altezza dell’orlo che nel tipo C risulta visibilmente allungato rispetto ai tipi più antichi. Gli orli delle anfore Dressel 1A, sono difficilmente distinguibili da quelli dei contenitori di cui sono l’evoluzione, ovvero le greco-italiche tarde.

Al tipo più antico appartengono (Tav. VI) che trovano un confronto puntuale nei siti di Coltano

58

,Luni

59

e Pisa

60

.

Gli impasti individuati, in alcuni casi, sono gli stessi delle greco-italiche, (1a-1b-1c, 2,) a riprova di una continuità produttiva di molti siti. Alcuni potrebbero provenire dall’area dell’ager Cosanus, uno dei più importanti centri propulsori della produzione vinicola italica dell’età repubblicana. La scoperta delle fornaci ad Albinia

61

, dedicate alla produzione di Dressel 1 e Dressel 2/4, è fondamentale per la ricostruzione degli assetti produttivi tra il II e il I secolo a.C.

62

Le fornaci individuate in questo sito non hanno nessuna relazione topografica con le villae rustiche del territorio cosano, deputate alla produzione vitivinicola. Questi ateliers, topograficamente concentrati lungo gli assi costieri, sembrano funzionare per una committenza che non produce anfore in proprio ma che utilizza le manifatture artigianali organizzate su vasta scala localizzate in punti fondamentali delle vie di comunicazione. Ciò implica l’esistenza di una classe artigianale specializzata che produce anfore per conto di terzi, ovvero di un processo produttivo assolutamente nuovo confronto all’assetto economico precedente. Il vino prodotto nelle villae dell’interno probabilmente giungeva verso le località costiere per essere

“impacchettato” e spedito nei mercati per via terrestre o marina. Difficile definire se a questa dislocazione topografica del ciclo produttivo corrispondesse una reale suddivisione in ceti imprenditoriali settorializzati:

le fornaci potevano appartenere ai proprietari delle villae oppure ad un ceto

58 Menchelli 1986, pp. 169.

59 Lusuardi Siena 1973, p.76; Lusuardi Siena 1977, pp. 272.

60 Massa 1980-1981, pp. 263-264; Massa 1993, p. 356; Barreca Giannini 2006 numm. 51- 52, Costantini 2012, p. 395.

61 Benquet- Mancino 2007, pp. 51-66.

62 Manacorda 1980, pp. 176-178.

(26)

26 diverso, dedito solo ed esclusivamente alle attività manifatturiere

63

. Queste nuove modalità produttive portarono ad un incremento notevole delle potenzialità commerciali del vino italico che conobbe una capillare diffusione in tutto il mediterraneo occidentale, veicolato proprio dalle anfore Dressel 1.

Alcuni frammenti possono essere ascritti, per caratteristiche morfologiche e impasti, anche alle produzioni dell’ager Pisanus e Volaterranus, che si inserisce, come quello Cosanus, in questa nuova ottica produttiva. Fornaci deputate a questa produzione sono state individuate nell’ager Pisanus meridionale, (Val di Chioma) e nell’ager Volaterranus costiero (Valle del Fine del Cecina, dove è sicuramente localizzabile un relitto contenente Dressel 1), nell’hinterland di Portus Pisanus (in loc. Vallimbuio Livorno e Cà lo Spelli ,Collesalvetti, Livorno)

64

.

Le Dressel 1 prodotte in queste fornaci hanno una morfologia definita

“intermedia” tra le varianti A e B (Tav. VII).

Le anfore Greco-italiche e Dressel 1 commercializzavano il vino pisano/volterrano a livello sub-regionale, come dimostra la presenza di queste anfore, associate a ceramiche pisane, nei livelli più antichi della colonia di Luni

65

. Ci sono testimonianza anche di un commercio più ampio, come farebberio pensare alcune Dressel 1 rinvenute in un insediamento rurale in Borgogna che hanno caratteristiche minero- petrografiche identiche a quelle di Vallimbuio, nell’area produttiva di Portus Pisanus

66

.

PRODUZIONI PUNICHE (Tav. VIII)

Le produzione punica è attestata anche nelle stratigrafie di Piazza del Duomo ’98, come anche in quelle degli scavi del 1993

67

, e del 2003- 2009

68

; una presenza che implica per questo periodo tra il tardo ellenismo e

63 Vitali et alii 2005,pp.263-265.

64 Pasquinucci-Menchelli 2008, pp. 4-5.

65 Rossignani et alii 2002, pp. 753-765.

66 Cherubini, Del Rio, Menchelli 2006, pp. 69-76.

67 Massa 1993 a, p. 67.

68 Costantini 2011, p. 396.

(27)

27 la deduzione romana, i buoni rapporti tra l’Etruria settentrionale costiera e il settore punico.

L’anfora attestata è quella denominata Maña C, in particolare nelle sue varianti C1 e C2

69

, caratterizzata da un corpo cilindrico, terminante con un puntale cavo, due piccole anse verticali impostate sotto la spalla e un orlo modanato.

La variante C1 compare già alla fine del III secolo, mentre la C2 risulta ampiamente diffusa nel Mediterraneo centro-occidentale in contesti databili tra il 175 e il 125 a.C. (in particolare tra il 175 e il 150 a.C.), dov’è di frequente associata ad anfore greco-italiche tarde (Will e

70

), e Dressel 1 e a ceramica a vernice nera

71

. Questa buona diffusione testimonia la notevole ripresa economica del centro Cartaginese, che con il suo hinterland ne è probabilmente uno dei produttori, insieme ad altri localizzati nell’area dello stretto di Gibilterra. La presenza di un rivestimento resinoso, rilevata su molti esemplari, suggerisce che veicolassero vino o salse di pesce

72

.

Importazioni puniche a Pisa sono confermate anche dai materiali degli insediamenti rurali del territorio

73

, come a Luni, dove nelle aree campionate di II sec.a.C. costituiscono ben il 10% dei rinvenimenti anforici

74

. I frammenti rinvenuti durante gli scavi del ’98 sono riconducibili al tipo 7.4.3.3 (Tav. VIII,1) e 7.5.2.1( Tav.VIII,2) della classificazione di Ramon Torres

75

, le prime prodotte nello stretto di Gibilterra, le altre prodotte nel distretto cartaginese.

PRODUZIONI EGEE

ANFORE RODIE (Tav. IX)

69 Guerriero Ayuso, 1986, p. 147.

70 Lyding-Will 1982, pp. 338-356.

71Massa 1993b, pp. 64.

72 Guerriero Ayuso, 1986,pp. 163-170.

73 Pasquinucci et alii 1998 a, pp. 1401-1402.

74 Lavizzari Pedrazzini 1986, p. 252.

75 Ramon Torres 1995 pp. 212-213 fig. n. 83; p. 215, fig. 87.

(28)

28 In vini provenienti dal bacino orientale dell’Egeo costituivano un prodotto di elevata e rinomata qualità, destinati a fasce di mercato privilegiato.

Le anfore prodotte nell’isola di Rodi erano i contenitori che veicolavano questo straordinario prodotto: si trattava di vina salsa, ottenuta da uve con alto contenuto di zuccheri e poi essiccate al sole, alle quali veniva anche aggiunta dell’acqua di mare prima della fermentazione

76

.

Nell’Etruria Settentrionale costiera, la richiesta di vini di qualità media era soddisfatta sicuramente dalla produzione locale, ma sicuramente le èlites locali che avevano notevoli possibilità economiche. Si rivolgevano a questi prodotti per soddisfare la loro richiesta di vini più pregiati. Questa ipotesi è confermata dalla presenza di questi contenitori in diversi contesti importanti come Luni

77

, Populonia

78

e a Pisa

79

in particolare, sono documentate in ambito urbano e nelle ville di lusso mentre non sono presenti in contesti rurali di piccole dimensioni

80

. Queste anfore sono caratterizzate da un orlo, piccolo, a mandorla, uno stretto collo cilindrico, anse a sezione circolare con gomito rialzato e sono diffuse nel Mediterraneo occidentale tra il III e il II secolo a.C.

81

4.2 Età augustea II -III d.C.

PRODUZIONI ITALICHE

DRESSEL 2/4 (Tav. X)

Alla fine del I secolo a. C. le officine che producevano Dressel 1, usando come prototipo le anfore di Cos, creano il tipo Dressel 2-4, usato almeno fino alla fine del I secolo d.C., quando la sua produzione sembra cessare.

In passato ci sono stati diversi tentativi per distinguere e descrivere precisamente le varianti della forma, ma l 'eterogeneità del materiale non ha permesso una distinzione morfologica che andasse di pari passo con l’identificazione delle officine, infatti risulta a tutt’oggi difficile attribuire

76 Tchernia 1986,p. 105.

77 Luni II, pp.232-234.

78 De Tommaso 1994-1995, pp.499-503.

79 Da piazza Duomo: Massa 1993 b, p. 67.

80 Pasquinucci- Menchelli 2004, pp. 310-315.

81 Luni II, p.232-234.

(29)

29 determinate caratteristiche della forma a delle aree specifiche

82

.

La caratteristica più importante della forma è un’ansa bifida a sezione ovale, orlo a sezione semicircolare, lungo collo cilindrico, corpo leggermente affusolato, puntale relativamente corto. La leggerezza e il minor ingombro rispetto ai tipi precedenti, come le Dressel 1, ne determinarono la fortuna sui mercati.

L’identificazione precisa del luogo di provenienza dei singoli frammenti di questa forma prodotta in tutto l’impero romano è possibile soltanto con le analisi dell’argilla. I maggiori produttori in ambito italico sono stati localizzati in Campania, Lazio, Etruria meridionale e settentrionale,ovvero le regioni tirreniche produttrici di vino; ben presto venne imitata anche in ateliers di altre regioni italiche, come l’Istria e l’Apulia

83

.

Gli impasti individuati riferibili ad anfore delle Dressel 2/4 provengono da aree campano laziali (1 a, 1b) e dal bacino dell’Arno (4 e 7). Nell’ager Pisanus e Volaterrano, molte delle manifatture individuate continuano la loro attività, convertendosi a questa nuova produzione. In particolare nel retroterra del Portus Pisanus, in località Campacci a circa due Km a nord- est di Livorno, è stata identificata, grazie alla presenza di concentrazioni di scarichi di anfore e ceramica comune, una fornace deputata alla produzione di Dressel 2/4. Nell’area era ubicato un insediamento rurale di età ellenistica, a cui si affiancò una fattoria, a cui è da riferirsi l’officina, abitata fino al tardo antico. A livello morfologico queste anfore sono caratterizzate da un orlo distinto e ingrossato, spesso a profilo arrotondato e le anse sono a doppio bastoncello, con qualche esempio di ansa bifida.

84

Alcuni frammenti rinvenuti in Piazza Duomo ’98 hanno un orlo molto piccolo, leggermente ingrossato e pareti di uno spessore modesto e trovano confronti puntuali in esemplari di Luni

85

e a Pisa in Piazza Dante

86

. Lusuardi Siena, in base agli impasti,ipotizzò una provenienza egea per questi frammenti

87

. Gli impasti individuati per gli esemplari pisani (numeri 7 e 11) invece, sono riconducibili a produzioni con argille provenienti dal

82 Massa 1993, pp. 356-358.

83 Massa 1993, p. 357.

84 Menchelli 1990, pp. 169-171.

85 Luni II, p. 24.

86 Storti 1989, p. 113.

87 Luni II, p. 241.

(30)

30 bacino dell’Arno, grazie a confronti con le paste ceramiche

88

potrebbero essere dunque le prime imitazioni nord-etrusche del modello di Coo.

Alla foce del Fine dove è stata ipotizzata la presenza di un approdo,è stato individuato un altro impianto per la produzione di Dressel 2/4, anch’esso connesso ad una fattoria

89

. A queste produzioni va associato sicuramente il nuovo assetto territoriale, conseguenza della deduzione della colonia Iulia Opsequens Pisana e Iulia Augusta Volaterrae

90

. L’ager Pisanus venne centuriato e in prossimità dei confini territoriali vennero costruite abitazioni rurali, tra cui la grande villa appartenente alla gens dei Venuleii Aproniani, individuata e scavata a Massaciuccoli

91

. La fascia costiera, fino all’ager Volaterranus, venne radicalmente occupata dagli insediamenti rurali e da altre importanti villae produttive: in località san Vincenzino, Torre salari e Pieve vecchia di Casale Marittimo

92

.

Per questo periodo non ci sono dati che possano permettere una ricostruzione abbastanza fedele dell’organizzazione delle manifatture di anfore, le fornaci risultano essere connesse a grandi villae, ad insediamenti rurali più modesti ma nella maggior parte dei casi sono da inserire topograficamente in quartieri artigianali non immediatamente collegati alle aziende agricole, in una situazione analoga a quella già vista per Albinia

93

.

DRESSEL 6/A

Le anfore che corrispondono alla forma contrassegnata con il numero 6 dal Dressel

94

, il quale per primo le classificò, furono successivamente denominate II da Baldacci

95

e infine indicate come Dressel 6A da Buchi

96

, per distinguerle dalle Dressel 6B, contenitori per olio

97

.

Queste anfore vengono prodotte sul versante adriatico della penisola italica, veicolando il vino di quelle regioni precedentemente contenuto

88 Menchelli 1986, p. 165.Confronti riportati nelle schede impasti.

89 Cherubini, Del Rio, Menchelli 2006 p. 71,Massa 1980-1981, p.223.

90 Pasquinucci –Menchelli 2003, pp. 237-249

.

91Anichini et alii 2012.

92 Cherubini, Del Rio, Menchelli 2006, pp. 70-71.

93 Vitali et alii, 2005, pp. 262-263.

94 CIL, XV,2pl. 1.

95 Baldacci 1967-1968, pp. 11-15.

96 Buchi 1974-1975, coll. 431-438.

97 Panella 2001, p. 194.

(31)

31 nelle Lamboglia 2. Presentano numerose varianti che interessano in modo particolare l’orlo: questo può essere a fascia rastremata verso il basso, oppure verticale, corta, ingrossata; in altri il profilo si presenta svasato verso l’esterno; il collo è cilindrico , le anse hanno sezione ovale; il corpo ha un profilo piriforme terminante con un lungo puntale troncoconico.

Inizialmente ritenute di produzione Istriana queste anfore furono prodotte in diversi centri del versante adriatico, soprattutto in Cisalpina, in Emilia Romagna e nel Piceno

98

.

Sfortunatamente le stratigrafie degli scavi del 1998 in Piazza Duomo non hanno restituito nessun frammento diagnostico ma solo puntali e anse caratterizzati da un impasto di colore beige rosato e depurato, che potrebbe indicare una produzione adriatica. (40-41-42-43)La presenza di queste anfore è comunque ben documentata a Pisa

99

e nel territorio circostante

100

. Due anfore Dressel 6A appartenenti al carico della nave B rinvenuta nel sito di Pisa San Rossore risultano bollate: su una compare il marchio L.SALVI, attestato in Italia settentrionale, sulla costa adriatica, nel Norico e, pur isolatamente, nel Mediterraneo occidentale. L’origine della gens Salvia potrebbe essere Nola oppure Venusia, località dove questo gentilizio è molto frequente e dove, in epoca augustea e giulio Claudia, alcuni senatori erano proprietari di figline. Un’altra Dressel 6A è bollata con un cartiglio rettangolare recante la scritta CORHER, riconducibile al gentilizio Cornelius, molto rappresentato in tutta la Cisalpina, a Trieste e in particolare in Istria nella prima metà del I secolo d.C

101

.

Questi due bolli potrebbero darci qualche indicazione sulla provenienza delle Dressel 6A che raggiungevano il territorio pisano, fermo restando che probabilmente non erano adibite al solo trasporto del vino ma anche di frutta e garum

102

.

98 Massa 1993, p. 360.

99 Massa 1993, p. 358-360; Pesavento Mattioli et alii 2000, pp. 133-134.

100 Menchelli 1986, p. 170.

101Pesavento Mattioli et alii 2000, pp. 140-141; Pesavento Mattioli-Mazzochin 2002, pp.

779-786.

102 Baldacci 1967-1968, pp. 10-11.

(32)

32 ANFORE A FONDO PIATTO (Tav. XII)

Due frammenti di orli sono riconducibili a contenitori dal fondo piatto, che iniziarono ad essere prodotti tra la metà del I secolo a.C. e i decenni iniziali del II secolo d.C., quando la circolazione della Dressel 2-4 iniziò a scemare forse perché sostituita da altri contenitori, forse dolia.

103

Nello stesso momento per la distribuzione interna divvenero sempre più frequenti i contenitori a fondo piatto. Si può parlare per il II secolo di una vera e propria “rivoluzione morfologica”, che interessa solo le fabbriche occidentali e quella italica in particolare

104

. Questo mutamento morfologico è probabilmente sintomatico delle profonde trasformazioni dei sistemi di distribuzione delle merci, in questo caso del vino, che privilegia mercati su scala locale e regionale rispetto al commercio transmarino.

Questi contenitori, infatti, viaggiano preferibilmente in rotte di cabottaggio o fluviali, spesso inoltre, il fondo è dotato di una protezione di paglia intessuta, che riprende forme e modalità di conservazione proprie dei contenitori da dispensa

105

. Le officine italiche si spostano verso l’entroterra, come nel caso delle fornaci rinvenute vicino al fiume Vingone, nella piana tra Firenze, Prato e Pistoia, che produceva anche anfore a fondo piatto, ad imitazione di modelli gallici

106

.

Probabilmente proprio a questa produzione, potrebbero appartenere i due orli, vicini al tipo 4 variante 2, leggermente estroflessi e sagomati a doppi listello, che imitano modelli prodotti in Aquitania tra il 20 a.C. e il 20 d.C.

107

L’impasto, di colore arancio rosato, molto poroso e ricco di inclusi di colore rosso-bruno e bianchi, è confrontabile con quelli delle anfore del Vingone, in particolare con il gruppo 4

108

.

103 Massa 1993, p. p. 357.

104 Panella 1989, p. 156-161.

105 Panella 1989, p. 160, Laubenheimer, 1985, p. 69.

106 Shepherd et alii, 2006.

107 Martelli 2006, pp. 151-152.

108Shepherd et alii, p. 247.

(33)

33 PRODUZIONI IBERICHE

DRESSEL 2/4 (Tav. XIII)

Nella forma Dressel 2/4 vengono genericamente identificati contenitori vinari prodotti in diverse regioni del Mediterraneo, non solo nelle regioni italiche. In età proto-imperiale la forma venne imitata nella penisola Iberica, come dimostrano gli esemplari di produzione tarraconese presenti nei campi militari di Haltern e Oberaden e nei depositi augustei di Ostia

109

. Le importazioni di prodotti iberici (olio, salse di pesce e, in minore quantità, vino) sono attestate nell’Etruria settentrionale costiera a partire dall’ età augustea. I più antichi e i più numerosi centri di produzione di anfore (una sessantina finora rinvenuti) sorgevano nell’area intorno a Barcellona, in Catalogna, corrispondente alla provincia della Tarraconense

110

. Qui venivano prodotte, a partire dall’ultimo decennio del I secolo a.C.fino agli inizi del I secolo d.C., Dressel 2/4 che imitavano quelle tirreniche. Il caratteristico impasto rosso-marrone a punti bianchi, come i nostri impasti 8, 8A, 13, è distintivo proprio di quest'ultima area

111

, ma a livello morfologico le differenze non sono così evidenti. In linea di massima si potrebbe affermare che il profilo dell’orlo di queste anfore tarraconesi è più marcato, ingrossato e arrotondato, talvolta tendente verso l’esterno, al contario di quelle tirreniche, la cui parete ha un andamento rettilineo. Il corpo risulta più affusolato, come dimostrano gli esemplari rinvenuti nel relitto del Petit Congluè, contenente Dressel 2-4 iberiche, datato tra il 10 e il 30 d.C

112

. Un solo orlo con attacco d’ansa, che trova un confronto nelle stratigrafie pisane di Piazza Dante, può essere ascritto a questa produzione, più per le caratterististiche del suo impasto, (numero 13) che per la sua morfologia. Oltre alla produzione Tarraconese è bene ricordare che queste anfore furono prodotte anche nella Betica, come dimostra un nostro frammento prodotto con un impasto (numero 14) associato anche ad anfore Dressel 20, notoriamente prodotte in quella regione.

109 Massa, 1993, p. 365.

110 Panella 2001, p. 199

.

111 Panella 2001, p. 200.

112 Sciallano Sibella,1994.

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