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Fisiopatologia clinica del piede diabetico

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Academic year: 2021

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Rassegna

Fisiopatologia clinica del piede diabetico

RIASSUNTO

Il piede diabetico è una grave complicanza del diabete mellito, che può interessare fino al 25% dei pazienti nel corso della loro vita con importanti effetti sulla sopravvivenza, sulla qualità della vita, sull’incidenza di ospedalizzazione, sulla possibile perdita di autonomia. La sua insorgenza è determinata dall’interazione delle complicanze croniche del diabete sia micro- sia macroangiopa- tiche, con un ruolo molto rilevante della neuropatia. In questo ar- ticolo vengono rivisti i meccanismi fisiopatologici implicati nella genesi di tale complicanza, le scelte terapeutiche da mettere in atto sia per la sua cura sia, soprattutto, per la sua prevenzione.

SUMMARY

The clinical pathophysiology of diabetic foot

Diabetic foot is a severe complication of diabetes mellitus that may affect up to 25% of patients in the course of their lifetime, with far-reaching effects on their quality of life, incidence of hos- pitalization, loss of independence, and even survival. It results from the interaction of the chronic micro- and macroangiopathic complications of diabetes, with a substantial role of neuropathy.

This article reviews the pathophysiological mechanisms triggering these complications, how they interact and eventually lead to di- abetic foot, and the therapeutic prospects – starting from pre- vention.

Introduzione

La definizione di piede diabetico comprende l’insieme delle manifestazioni patologiche direttamente correlate alle com- plicanze della malattia diabetica che coinvolgono le strutture anatomiche del piede.

Per l’importante ruolo funzionale svolto e per la sua peculiare localizzazione anatomica, posto alla periferia del sistema ner- voso e vascolare, il piede del soggetto diabetico è particolar- mente suscettibile agli effetti delle complicanze conseguenti alla neuropatia periferica, alle alterazioni vascolari e ai processi

F. Gallo, B. Salani, C. Mazzucchelli, C. Bordone, L. Fontana, D. Maggi, R. Cordera

DiMI, Università degli Studi di Genova, Genova Corrispondenza: dott. Davide Maggi, DiMI,

Università degli Studi di Genova, viale Benedetto XV 6, 16132 Genova

G It Diabetol Metab 2014;34:22-31 Pervenuto in Redazione il 20-05-2013 Accettato per la pubblicazione il 09-09-2013 Parole chiave: piede diabetico, neuropatia,

macroangiopatia diabetica, ulcerazione, arteriopatia periferica

Key words: diabetic foot, neuropathy, diabetic macroangiopathy, ulcer, peripheral artery disease

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infettivi; fra tutte le complicanze della malattia diabetica le le- sioni ulcerative del piede sono tra le più frequenti, potendo in- teressare fino al 25% dei pazienti nel corso della loro vita, e rappresentano la comune conseguenza della neuropatia pe- riferica, condizione che aumenta la soglia di percezione degli eventi microtraumatici(1) e della vasculopatia, condizione che, riducendo il flusso ematico oltre a facilitare l’insorgenza di le- sioni ulcerative, rende più difficile la guarigione delle stesse.

È importante a questo proposito ricordare che l’apporto di sangue necessario per la guarigione di un’ulcera è maggiore di quello per mantenere la cute integra e che la riduzione del flusso ematico ostacola la distribuzione dei farmaci antibiotici nella sede della lesione(2).

Anche la morbilità postoperatoria, soprattutto in termini di pa- tologie cardiovascolari, rappresenta un’evenienza frequente;

Fearon et al. hanno riportato un’incidenza di complicanze lo- cali del 18% e sistemiche del 36%, tra le quali assumevano un particolare rilievo le emorragie gastrointestinali, l’infarto del miocardio, lo scompenso cardiocircolatorio(3). La prognosi a lungo termine nei soggetti amputati non ha presentato un si- gnificativo miglioramento negli ultimi decenni; infatti, circa il 40% di soggetti sottoposti ad amputazione dovrà essere sot- toposto a un ulteriore intervento di amputazione nel volgere di 3 anni e il 55% circa dopo 5 anni(4).

Meccanismi fisiopatogenetici della neuropatia diabetica

Patogenesi

La neuropatia diabetica è una tra le più comuni e frequenti fra le complicanze specifiche della malattia diabetica, interessando oltre il 50% dei pazienti; le manifestazioni dipendenti dalla sua evoluzione, come per esempio il piede diabetico e la neuroar- tropatia di Charcot, rappresentano un’importante causa di mor- bilità e talora anche di mortalità. La polineuropatia simmetrica distale rappresenta la forma di più comune osservazione; con- siderando che il nervo è costituito da assoni sensitivi, motori e autonomici, è facile comprendere la molteplicità delle manife- stazioni secondarie a questa patologia(5). La frequente associa- zione fra retinopatia, neuropatia periferica e nefropatia depone per l’intervento di fattori patogenetici comuni rappresentati dagli effetti dell’iperglicemia cronica sul microcircolo che determinano

“microangiopatia”(6); questa è caratterizzata da ispessimento della membrana basale dei vasi di piccolo calibro secondaria all’aumentata espressione del collageno di tipo I, IV e V, della la- minina, di molecole proteiche modificate e immobilizzate dai processi di glicazione non enzimatica e dalla riduzione del- l’eparansolfato; questi processi evidenti anche nel fisiologico in- vecchiamento tessutale, assumono nel diabetico una particolare anticipazione e accelerazione. A ciò consegue alterazione del- l’elasticità microvasale, perdita della selettività del trasporto mo- lecolare transparietale e aumento della permeabilità.

Le cellule endoteliali sembrano essere le vittime precoci del- l’iperglicemia; in condizioni di iperglicemia, sia acuta sia cro- nica, sono state infatti rilevate un’aumentata espressione di

molecole di adesione nei confronti dei leucociti, una ridotta sintesi di NO conseguente alla diminuita attività della NO sin- tetasi, un’aumentata apoptosi associata a una diminuita mo- bilizzazione dei precursori a livello midollare e alla loro incorporazione nell’ambito del rivestimento endoteliale(7-9). Alla patogenesi della polineuropatia diabetica concorrono anche alterazioni anatomofunzionali molteplici sostenute dal- l’iperglicemia che alterano il flusso neuronale sia anterogrado sia retrogrado; infatti, in condizioni fisiologiche vi è un flusso di sostanze nutritive, molecole strutturali e fattori trofici che, sintetizzate dal pirenoforo, raggiungono le estremità più distali dell’assone. A questo trasporto anterogrado “centrifugo” si associa quello centripeto di neurotrofine, cioè fattori di cre- scita che, prodotti dai tessuti bersaglio, influenzano la prolife- razione e la differenziazione di particolari popolazioni neuronali. In questa neuropatia metabolica (dying-back) le al- terazioni mieliniche e assonali procedono in maniera sincrona in senso distale-prossimale(10). Il prevalere nelle fasi iniziali delle manifestazioni sensitive potrebbe essere secondario al fatto che, essendo la barriera tra strutture vascolari e nervose in- completa a livello delle radici posteriori, i loro gangli possono essere maggiormente esposti all’iperglicemia.

Meccanismi cellulari della neuropatia diabetica

Per quanto riguarda gli aspetti biologico-molecolari sia della microangiopatia sia della neuropatia, sono state prospettate ipotesi diverse tra le quali:

attivazione della via metabolica dei polioli;

aumentata produzione di specie reattive dell’ossigeno (reactive oxygen species, ROS);

conseguenze dipendenti dall’aumentata glicazione non enzimatica delle proteine (Fig. 1);

attivazione della proteina chinasi C e del metabolismo delle esosammine.

La via metabolica dei polioli

L’elevata concentrazione del glucosio a livello endocellulare in- duce la sintesi dell’enzima aldoso reduttasi, proteina ubiquitaria normalmente presente nei tessuti in concentrazioni ridotte che opera la riduzione del glucosio a sorbitolo utilizzando come co- fattore il NADPH. Ne consegue una sua ridotta disponibilità per la conservazione del patrimonio intracellulare di GSH (glutatione ridotto) a livelli adeguati per contrastare gli effetti dello stress os- sidativo. Il sorbitolo rappresenta un metabolita non perturbante, una molecola dotata cioè di scarsa attività metabolica, ma di importante potere osmotico che potrebbe, alterando l’equilibrio idrico-elettrolitico cellulare, assumere rilevanza nella patogenesi di alcune complicanze della malattia diabetica. Secondo alcuni autori (Brownlee, King) le concentrazioni rilevate a livello del tes- suto nervoso e vascolare non sarebbero tali da compromettere l’equilibrio osmotico; secondo questa ipotesi l’effetto dannoso dell’aldoso reduttasi è da ricondurre all’ossidazione a fruttosio del sorbitolo da parte della sorbitolo deidrogenasi (SDH), rea- zione che comporta la trasformazione del NAD+in NADH. L’au- mento del rapporto NADH/NAD+determina importanti effetti di

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ordine biochimico e metabolico: conversione del piruvato in lat- tato; inibizione dell’enzima gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi che comporta aumentata disponibilità di triosofosfati (gliceral- deide-3-fosfato e diidrossiacetonfosfato). Dal metabolismo di queste molecole deriva il metilgliossale, precursore che sostiene la glicazione proteica non enzimatica e il diacilglicerolo (DAG) at- tivatore delle isoforme della proteina chinasi C(11).

L’aumentata concentrazione endocellulare del glucosio nei tes- suti insulino- indipendenti eleva l’attività metabolica cellulare; ne consegue che l’aumentato gradiente elettrochimico a livello della membrana mitocondriale interna determinato dal mag- giore trasporto di protoni nello spazio intermembrana inibisce il flusso di elettroni lungo i componenti la catena respiratoria mi- tocondriale con conseguente “fuga” di elettroni, riduzione mo- noelettronica dell’O2e formazione di anione superossido (O2).

La validità di questa ipotesi è sostenuta dai rilievi ottenuti da in- dagini sperimentali nel corso delle quali inducendo l’espres- sione di proteine disaccoppianti la fosforilazione ossidativa è stata osservata ridotta formazione di ROS e prevenzione della morte di cellule neuronali poste in coltura(12).

Ruolo dello stress ossidativo

La sopravvivenza degli organismi aerobi in un ambiente ricco di O2è la risultante di un complesso e delicato equilibrio fra composti chimici altamente reattivi, i radicali liberi, intermedi

metabolici derivati dall’intervento dell’O2molecolare e l’abilità degli organismi stessi a neutralizzarli. La prevenzione dell’in- sulto ossidativo è infatti affidata all’intervento di attività en zima- tiche (superossido dismutasi, catalasi, glutatione perossidasi) volte a prevenire la formazione del radicale idrossile (·OH), ini- ziatore della perossidazione lipidica, e di molecole antiossi- danti sia idrosolubili (acido ascorbico, GSH) sia liposolubili (alfa-tocoferolo, ubichinone) fra le quali si instaurano impor- tanti interazioni (Fig. 2). Un’importante funzione difensiva nei confronti della perossidazione lipidica è svolta dalla vitamina E, che rappresenta circa il 90% dei tocoferoli presenti a livello cellulare, che inserendosi per la sua liposolubilità nell’ambito delle membrane biologiche si trova in una posizione privile- giata per svolgere una particolare azione difensiva, conside- rata anche la sua elevata velocità di reazione con i radicali perossilici(13).

Le specie reattive dell’O2possono svolgere la loro azione dan- nosa (stress ossidativo) soltanto quando vengono prodotte a una velocità e in quantità tali da superare le capacità difensive della cellula. In tali circostanze il perossido di idrogeno intera- gisce con il Fe2+con conseguente liberazione di un radicale idrossile (·OH) iniziatore della perossidazione lipidica, processo che comporta il deterioramento ossidativo di lipidi contenenti alcuni doppi legami C=C. Infatti, la reazione con l’H di un atomo di C metilenico determina la formazione di un radicale lipidico centrato sul C (R·) che per effetto dell’O2si trasforma

Concentrazione endocellulare glucosio Legame con gruppi NH2 proteine

Formazione basi di Schiff

Prodotti di Amadori

Via ossidativa Via non ossidativa

AGE

AR Stress osmotico

Glucosio Sorbitolo

NADPH NADP

GSSG GSH Fruttosio

GAPDH Piruvato

Triosofosfati endocellulari Lattato

DAG Aldeide piruvica Gliossale

Glicazione NAD

SDH NADH

Figura 1 Formazione degli AGE. AR: aldoso reduttasi; SDH: sorbitolo deidrogenasi; GSSG: glutatione ossidato; GSH: gluta- tione ridotto; DAG: diacilglicerolo.

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in radicale perossile (ROO·). Si tratta di un processo autoca- talitico e l’autocatalisi è determinata dall’ingresso dell’O2nella reazione(14)(Fig. 3).

Gli effetti della perossidazione lipidica a livello delle membrane biologiche sono rappresentate dalla compromissione di atti-

vità enzimatiche a esse correlate e in particolare di quelle coin- volte nella regolazione dell’equilibrio ionico, da alterazioni della permeabilità e di funzioni recettoriali. Inoltre, dal catabolismo degli idroperossidi si formano aldeidi complesse che, essendo relativamente stabili, tendono ad accumularsi all’interno delle cellule determinando importanti alterazioni funzionali e strut- turali. Esse, infatti, reagendo con gruppi -SH ed -NH2delle proteine inattivano numerose attività enzimatiche che rive- stono un’importanza strategica nell’economia cellulare.

A livello endoteliale l’O2non solo riduce la sintesi di NO, ma reagendo con esso lo inattiva e determina la formazione di perossinitrito, potente ossidante, che promuove l’adesione dei leucociti all’endotelio e ne altera la funzione di barriera(12,15). La presenza di uno stress ossidativo nel corso della malattia diabetica è sostenuto dal riscontro di una ridotta disponibilità di molecole antiossidanti (vitamina E, GSH) e dall’aumentata eliminazione urinaria di isoprostani(12,14).

Va inoltre considerato che i mitocondri sono dotati di un proprio DNA il quale specifica parte del “macchinario” indispensabile alla loro attività. L’iperglicemia potrebbe perturbarne il funzio- namento determinando alterazioni a carico dei componenti la catena di trasporto elettronico con conseguente aumentata produzione di ROS anche quando la concentrazione media del glucosio ematico è compresa nei limiti della norma. Alcuni au- tori ritengono infatti che brevi periodi di iperglicemia postpran- diale non tali da determinare una significativa produzione di AGE (advanced glycosylation end products) o una induzione della aldoso reduttasi potrebbero, attraverso la produzione di ROS, sostenere l’insorgenza di una polineuropatia.

Ruolo degli AGE

Il glucosio e generalmente tutti gli idrati di carbonio dotati di attività riducente, siano essi aldosi o chetosi, possono stabi- lire legami covalenti, reversibili nelle fasi iniziali, con gruppi ami- nici primari o secondari delle proteine (reazione di Maillard) con formazione di derivati glucosamminici (basi di Schiff).

Questi, attraverso processi di riarrangiamento, si trasformano in molecole dotate di maggiore stabilità, i prodotti di Amadori.

Con il trascorrere del tempo attraverso complesse reazioni di ossidazione, condensazione e disidratazione i prodotti di Amadori sono convertiti in AGE. Fra le proteine extracellulari soltanto quelle dotate di una vita media maggiore, come i col- lageni, sono in grado di determinare una significativa forma- zione di AGE (a questo proposito è stata riferita un’alterata mobilità sia delle piccole sia delle articolazioni maggiori con- seguente a modificazioni strutturali del collageno per effetto dei processi di glicazione non enzimatica)(16). Essi tendono a formare legami covalenti con le proteine e pertanto i loro livelli tessutali permangono stabili o tendono ad accrescersi se il controllo metabolico risulta inadeguato. Attualmente si ritiene che la loro formazione sia a livello intra-, che extracellulare sia principalmente secondaria all’autossidazione del fruttosio- 3P e alla trasformazione dei triosofosfati con formazione rispettivamente di desossiglucosone, gliossale e aldeide pi- ruvica. Queste molecole possono alterare non solo la struttura e la funzione di proteine intracellulari, ma determinare impor- tanti modificazioni di costituenti la matrice interstiziale che, α-tocoferolo + radicale perossile radicale tocoperossile

2 GSH 2 GSSG

Radicale tocoperossile α-tocoferolo

Acido ascorbico Radicale ascorbile

NADP NADPH2

Figura 2 Barriera antiossidante.

SOD

Catalasi

GSH perossidasi

ROOH + Fe2+ RO

ROOH

R

ROO

(R)

R

O2

H2O HO O2

- + O2

-+ 2H+ H2O2 + O2

H2O2 + H2O2 2 H2O + O2

H2O2 + 2 GSH 2 H2O + GS-SG

H2O2 + Fe2+ Fe1+ + -OH + HO

– C = C – C – – C = C – C –

H H

H H H

H H

Figura 3 Reazioni ossidanti.

R: radicale lipidico centrato sul carbonio; ROO: radicale pe- rossile; ROOH: idroperossido; RO: radicale alcossile; SOD:

superossido dismutasi; O2-: anione superossido; HO: radi- cale idrossile.

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interagendo con gli AGE e con altri costituenti della stessa, favorisce la costituzione di complessi macromolecolari stabili.

I processi di glicazione non enzimatica possono verificarsi anche a carico delle lipoproteine circolanti e delle LDL in par- ticolare, assumendo pertanto un rilievo non trascurabile nel- l’insorgenza delle lesioni aterosclerotiche.

Le alterazioni riscontrate a livello delle membrane basali va- scolari sono caratterizzate da ridotta elasticità, deformabilità, selettività e aumentata permeabilità(7,11,12). Inoltre gli AGE e le proteine plasmatiche modificate dalla glicazione non enzima- tica, legandosi a specifici recettori (RAGE) posti sui macrofagi, inducono l’attivazione di NF-kB con conseguente liberazione di citokine proinfiammatorie (IL-1, TNF); l’interazione a livello endoteliale con i RAGE aumenta l’espressione del fattore tes- sutale, di molecole di adesione e della permeabilità vascolare.

Attraverso modalità recettore-mediate gli AGE attivano inoltre una famiglia di potenti ossidasi NADPH dipendenti(12,15); si tratta di complessi enzimatici che, normalmente inattivi, e suddivisi in subunità, in occasione dell’attivazione cellulare sono rapi- damente assemblati e agiscono convertendo l’O2molecolare in O2. A carico dell’endotelio lo stress ossidativo determina inattivazione di NO e aumentata espressione di molecole di adesione nei confronti dei polinucleati neutrofili, la loro margi- nazione e attivazione, effetti che amplificano il danno a carico delle strutture vascolari.

Il legame degli AGE con i recettori cellulari e l’aumentata con- centrazione citosolica di diacilglicerolo (DAG) conseguente all’accresciuta disponibilità di diidrossiacetonfosfato determi- nano l’attivazione di nove isoforme della famiglia della pro- teina chinasi C; gli effetti sono rappresentati dalla ridotta espressione della NO sintetasi, dall’aumentata produzione di endotelina, di PAI-I e dall’attivazione di NF-kB.

In condizioni di iperglicemia endocellulare il fruttosio-6P è convertito dalla glucosammina-6P amidotransferasi in gluco- sammina-6P che fornisce substrati per la sintesi di gluco- samminoglicani e proteine O-glicosilate (Fig. 4).

Le alterazioni anatomo-funzionali con le modalità preceden- temente descritte a carico del pirenoforo, che rappresenta la struttura centrale deputata alla sintesi di proteine di mem- brana, di componenti il citoscheletro (actina, tubulina), di cal- modulina e di enzimi glicolitici, compromettono il flusso anterogrado di molecole nutritizie e pertanto il trofismo dei prolungamenti neuronali periferici. Inoltre, la microangiopatia dei vasa nervorum e gli effetti determinati dai ROS a livello delle cellule di Shwann ne compromettono la capacità di sin- tetizzare la struttura mielinica e alterano i livelli energetici in- tracellulari indispensabili per gli scambi ionici che sono alla base della conduzione dell’impulso nervoso. La ridotta pro- duzione di molecole ad azione trofica e la riduzione del tra- sporto assonale realizzano un complesso di manifestazioni

Iperglicemia intracellulare

Aldoso reduttasi

Glucosio

Sorbitolo

Fruttosio

Ciclo di Krebs

Aumentato NADH/NAD+

Piruvato

Lattato

GAPDH

Metilgliossale

Danno mt- DNA Gliceraldeide 3P

DiidroacetonP

DAG

PKC ROS O2- NADPH

ossidasi

AGE NF-kB

Produzione citochine e fattori di crescita proinfiammatori

H2O2

H+ OH- Sintesi

NO

Alterato trasporto

elettroni Perossidazione lipidica

Alterazione equilibrio Ca2+

intracellulare

Apoptosi

Caspasi Calpaine

Gliossale glucosone aldeide piruvica AGE

+Fe2- NADPH

NAD+

NADH NADP

GSSG

GSH RAGE

Alterazione fosfolipidi di membrana

Figura 4 Meccanismi biochimici della neuro- patia.

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che analogamente a quanto accade in agricoltura può essere definito come “sindrome dei prati lontani”; le alterazioni si ren- dono dapprima evidenti nelle zone maggiormente distanti dalle fonti di approvvigionamento energetico.

Diagnosi della neuropatia

Il danno sensitivo dipendente dall’interessamento delle fibre di calibro minore insorge nelle sedi più distali, progredisce pros- simalmente con una distribuzione a calza e, riducendo la sen- sibilità termo-dolorifica fino anche a determinare anestesia completa di piede e gamba, tende a eliminare le reazioni di di- fesa nei confronti dei diversi stimoli nocicettivi.

La diagnosi di neuropatia può essere posta attraverso gli studi di conduzione nervosa, ma questi, oltre a essere costosi e non disponibili in ambulatorio, sono meno utili nello screening dei pazienti con perdita della sensibilità protettiva (cioè quel grado di neuropatia oltre il quale il rischio di ulcerazione del piede è considerevolmente aumentato)(17); essi dovrebbero quindi essere riservati ai casi con caratteristiche cliniche ati- piche che possono fare sospettare un’altra eziologia del danno(18).

Lo strumento più frequentemente utilizzato per identificare la perdita di sensibilità protettiva è il monofilamento di Semmes- Wenstein: l’incapacità di percepire la forza di 10 grammi ap- plicata da un monofilamento 5,07 è associata con un danno clinicamente significativo delle fibre nervose (sensibilità 66- 91%, specificità 34-86%)(17). L’esecuzione di questo test con- siste nell’appoggiare la punta del monofilamento applicando una forza tale da causarne la flessione su 8-10 punti del piede del paziente, il quale, senza potere vedere, deve rispondere affermativamente quando percepisce il tocco; può essere suf- ficiente anche esaminare solamente quattro punti (l’alluce e le teste del primo, terzo e quinto metatarso) considerando la sensibilità protettiva carente nel caso di mancata percezione in uno o più punti(17).

La sensibilità vibratoria può essere valutata mediante l’uti- lizzo di un biotesiometro oppure, in modo più semplice ed economico, di un diapason, considerando la sensibilità pa- tologica se il paziente non percepisce più la vibrazione quando l’esaminatore la sente ancora; la relazione con il ri- schio di ulcerazione è però minore di quella del test con mo- nofilamento(17).

Lo screening per la polineuropatia simmetrica distale do- vrebbe essere effettuato con cadenza annuale mediante l’uti- lizzo del monofilamento, del diapason o la valutazione dei riflessi achillei (che però non sono predittivi per la comparsa di ulcere); l’utilizzo di più di un test aumenta la sensibilità(18).

Possibilità terapeutiche

Il trattamento farmacologico delle varie forme di neuropatia diabetica è a oggi un punto problematico: se infatti sono pre- senti alcuni farmaci sintomatici per combattere il dolore neu- ropatico, quali gli antidepressivi triciclici, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, gli inibitori della ricapta- zione della serotonina e della noradrenalina, i modulatori dei

canali per il calcio, i bloccanti i canali del sodio, la capsaicina topica, gli oppioidi o la lacosamide. Tutti questi spesso non garantiscono un risultato soddisfacente e possono essere gravati da effetti collaterali; inoltre non tutti i pazienti con do- lore neuropatico ricevono cure adeguate(19).

Per quanto riguarda la riduzione o perdita della sensibilità, la situazione terapeutica è ancora più critica, in quanto non esi- stono farmaci in grado di migliorare il deficit, a parte alcuni tentativi con l’acido α-lipoico che potrebbe agire sulla pato- genesi riducendo lo stress ossidativo(19). Il miglioramento sta- bile del compenso glicemico si è dimostrato essere un efficace mezzo per rallentare la progressione del danno neu- ropatico(20,21).

L’adozione di idonee ortesi volte a ridurre il carico pressorio sui punti “a rischio” del piede, la chirurgia ortopedica finalizzata alla correzione di alterazioni morfostrutturali del piede (alluce valgo, dita en griffe) contribuiscono efficacemente alla pre- venzione delle ulcerazioni.

L’utilizzo di questi presidi si è dimostrato utile nel ridurre l’iper- pressione plantare e l’incidenza di ulcerazioni, ma la scarsità di studi coinvolgenti un ampio numero di pazienti rende diffi- cile determinare quale tipo di plantare e in quale materiale sia migliore nei diversi casi, restando la decisione al personale sanitario esperto in questo campo(22).

Lo scarico della pressione si è dimostrato efficace anche nel- l’accelerare la guarigione delle ulcere neuropatiche plantari at- traverso l’utilizzo di gambaletti gessati non rimovibili(1).

Vasculopatia diabetica

La malattia diabetica come è noto rappresenta un importante fattore di rischio per l’insorgenza di alterazioni vascolari peri- feriche di tipo sia macroangiopatico sia microangiopatico.

L’arteriopatia a livello degli arti inferiori si manifesta più preco- cemente e con maggiore gravità rispetto alla popolazione ge- nerale, eleva da 10 a 20 volte la probabilità di un intervento di amputazione ed è fattore di rischio per morbilità e mortalità coronarica.

L’aterosclerosi è la condizione che sottende la macroangio- patia e può essere definita come una malattia infiammatoria nella quale i meccanismi immunitari interagiscono con i vari fattori di rischio metabolici nell’insorgenza, crescita e attiva- zione delle lesioni delle arterie(23,24).

Meccanismi patogenetici

Il ruolo dell’iperglicemia nella patogenesi della macroangio- patia è ancora controverso(24,25), recentemente studi coinvol- genti soggetti con DM2 da lungo tempo hanno evidenziato un beneficio derivante da un controllo glicemico aggressivo soltanto nei confronti delle complicanze microangiopatiche(26) (studio ADVANCE) o hanno addirittura mostrato un aumento della mortalità(27)(studio ACCORD), mentre sembrerebbero esserci dei vantaggi se il controllo intensivo viene attuato fin dagli inizi della storia di malattia, prima che si sviluppino le- sioni avanzate, in quanto l’iperglicemia potrebbe essere mag-

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giormente associata con la comparsa della placca ateroscle- rotica che con la sua evoluzione(24).

Per quanto riguarda la dislipidemia, il profilo lipidico è più fre- quentemente alterato nei soggetti affetti da DM2 che DM1, in particolare è frequente un aumento dei trigliceridi accompa- gnato da una riduzione dei livelli di colesterolo HDL, mentre, anche se i livelli di LDL sono simili a quelli del resto della po- polazione, queste lipoproteine sono più piccole e dense, e quindi più aterogene(24).

Le LDL esercitano un ruolo chiave nello sviluppo dell’atero- sclerosi: infiltrano la parete arteriosa e vengono trattenute nell’intima, soprattutto nei punti di maggiore stress emodina- mico; le modificazioni ossidative ed enzimatiche portano al ri- lascio di lipidi infiammatori che inducono l’espressione di molecole di adesione per i leucociti da parte dell’endotelio (ti- picamente VCAM-1 è up-regolata in risposta all’ipercoleste- rolemia, quindi le cellule con recettori per questa molecola, come linfociti e monociti, aderiscono di preferenza a questi siti) e i macrofagi, attraverso i loro recettori scavenger, fago- citano le LDL modificate trasformandosi quindi in cellule schiu- mose(28).

La produzione di AGE, quali per esempio 2-(2-furoil)-4(5)- furanil-1H-imidazolo (FFI), 1-alchil-2-formil-3,4-diglicosil pir- roli, N-εcarbossi-metil-lisina (CML), pirralina, pentosidina, si verifica sia nel diabete mellito sia, generalmente, nell’infiam- mazione, e può contribuire all’aterosclerosi accelerata attra- verso l’ossidazione delle LDL e alterazioni del collagene dell’intima dei vasi(29).

Gli AGE possono promuovere l’aterogenesi attraverso mec- canismi non recettoriali, quali azioni sulla matrice extracellulare (formazione di legami crociati nel collagene e aumentata resi- stenza all’azione delle collagenasi, aumentata sintesi di com- ponenti della matrice, inibizione del NO dagli AGE legati al collagene) e modificazioni delle lipoproteine (ridotto ricono- scimento da parte del recettore delle LDL legate ad AGE e maggiore suscettibilità delle LDL ad alterazioni ossidative) e meccanismi recettoriali con azioni sulla fagocitosi, le cellule muscolari lisce e le cellule endoteliali (Fig. 5).

Disfunzione endoteliale

L’endotelio è uno dei maggiori bersagli dei fattori di rischio cardiovascolare i quali lo danneggiano riducendone la fun- zione di barriera, aumentandone la permeabilità e di conse- guenza l’accumulo nell’intima di lipidi e leucociti; può inoltre avere un ruolo attivo nell’ossidazione delle LDL, produzione di fattori di crescita e chemochine e molecole di adesione per i leucociti(9).

La disfunzione endoteliale, identificata come un’alterata ri- sposta della vasodilatazione endotelio-dipendente, è presente sia nei soggetti diabetici di tipo 1 e 2 sia negli insulino-resi- stenti non diabetici(24).

La diminuita vasodilatazione in risposta a NO e prostacicline nei vasi di resistenza contribuisce a peggiorare l’ipertensione, il vasospasmo e l’ischemia e quindi ad aumentare l’ateroge- nesi nel DM2; a ciò può aggiungersi l’effetto di sostanze va- socostrittrici rilasciate dall’endotelio come la PGH2, il trombossano A2, l’anione superossido e l’endotelina-1 in ri- sposta all’iperglicemia e l’iperinsulinemia(9).

L’insulina stessa stimola inoltre la produzione di NO da parte dell’endotelio; ciò porta a un reclutamento dei capillari, vaso- dilatazione e a un aumento del flusso e quindi maggiore di- sponibilità di glucosio nei tessuti insulino-dipendenti(30), ma questa capacità è diminuita nell’insulino-resistenza (insulino- resistenza vascolare)(9).

La disfunzione endoteliale, oltre a essere una conseguenza dell’insulino-resistenza sistemica, potrebbe anche contribuire ad aumentarla: infatti, la mancata vasodilatazione in vasi me- tabolicamente importanti come la arteriole del muscolo sche- letrico può ridurre l’incremento postprandiale del flusso ematico nei tessuti insulino-dipendenti, che è considerato im- portante nell’utilizzo del glucosio(9).

Ruolo dell’infiammazione

L’infiammazione non solo contribuisce agli eventi cardiova- scolari acuti, ma ha anche un ruolo chiave nell’insorgenza e

Macrofago Endotelio

RAGE AGE RAGE

Danno vascolare

Marginazione Neutrofili Migrazione

Fattore tessutale NADPH ossidasi

Produzione molecole di adesione

O2 O2- NO perossinitrito NO2- -OH NF-kB

IL-1 TNF-α

Figura 5 Interazione tra macrofagi, AGE, endotelio nella patonegesi del danno vascolare.

(8)

progressione delle lesioni aterosclerotiche, nelle quali è pos- sibile identificare molti marker infiammatori, come citochine e fattori di crescita rilasciati dai macrofagi attivati, la maggiore componente cellulare delle lesioni insieme ai linfociti T(28). Il processo infiammatorio può portare all’incremento dei livelli ematici delle citochine pro-infiammatorie e di altri mediatori di fase acuta, per esempio è stato dimostrato che la proteina C-reattiva e l’IL-6 aumentano nei pazienti con angina instabile e infarto miocardico, e si può ritenere che l’attivazione della ri- sposta immune infiammatoria abbia un ruolo nell’insorgenza delle sindromi coronariche acute(28).

La progressione dell’aterosclerosi è controllata dal bilancio tra l’attività pro- e antinfiammatoria, e su questo possono inci- dere i fattori metabolici in molti modi(28):

contribuiscono alla deposizione di lipidi nella parete arte- riosa, e di conseguenza al reclutamento di cellule del si- stema immunitario;

il tessuto adiposo dei pazienti affetti da sindrome meta- bolica e obesità produce citochine pro-infiammatorie, so- prattutto TNF e IL-6;

le adipochine prodotte dal tessuto adiposo, quali la leptina e l’adiponectina, possono influenzare la risposta infiam- matoria sistemica;

le molecole generatesi durante la perossidazione lipidica nella malattia aterosclerotica possono indurre reazioni sia protettive sia infiammatorie, per esempio legandosi ai re- cettori nucleari che controllano i geni dell’infiammazione.

Un altro punto di contatto tra l’infiammazione e il metaboli- smo lipidico può essere evidenziato nelle proprietà farmaco- logiche delle statine, tra i cui più importanti effetti pleiotropici si possono identificare soprattutto quelli antinfiammatori; ciò è dovuto probabilmente all’inibizione della formazione di acido mevalonico, da cui derivano, oltre che il colesterolo, anche vari intermedi utilizzati dai lipidi per interagire con molte mo- lecole che regolano il segnale intracellulare(28).

Calcificazione vascolare

Uno degli aspetti peculiari dell’arteriopatia diabetica è la cal- cificazione vascolare, che rappresenta un sito patologico di ossificazione secondaria o di deposizione distrofica di calcio, essenzialmente in risposta a stimoli lesivi, come i fattori me- tabolici e i radicali reattivi dell’ossigeno associati al diabete mellito, con il coinvolgimento di mediatori e marker infiam- matori quali il TNF-α, l’IL-1, l’IL-6 o la proteina C-reattiva(31). La calcificazione può riguardare due siti distinti della parete arteriosa, l’intima o la tonaca media:

la calcificazione intimale si verifica in corrispondenza delle placche aterosclerotiche, ha una morfologia diffusa e pun- tata e appare come un aggregato di cristalli di calcio, fino a poter raggiungere la caratteristiche dell’osso vero e pro- prio; la deposizione di calcio si verifica probabilmente nel contesto di vescicole di matrice e corpi apoptotici che non vengono fagocitati dai macrofagi a causa della presenza nella placca di lipidi ossidati che competono per il legame ai fagociti; le cellule muscolari lisce esprimono inoltre pro- teine regolanti la calcificazione che hanno la proprietà di le- gare il calcio e l’apatite(32);

la calcificazione della media si può verificare indipenden- temente da quella intimale e dall’aterosclerosi; inizialmente si manifesta con depositi lineari lungo le lamelle elastiche, progredisce con l’età e nelle forme più severe forma una densa lamina circonferenziale di cristalli di calcio nel cen- tro della tonaca media, legata su entrambi i lati da cellule muscolari lisce e spesso contenente trabecole ossee e osteociti. Si verifica comunemente nelle arterie degli arti inferiori di soggetti anziani senza altre patologie (sclerosi di Monckeberg), evidenziabile come un’immagine a binario nelle radiografie, o in soggetti più giovani affetti da diabete mellito o insufficienza renale cronica(32).

Nel diabetico la calcificazione della media può essere favorita dalla mancata fagocitosi dei corpi apoptotici derivanti dalle cellule muscolari lisce la cui morte potrebbe essere una con- seguenza della microangiopatia e della neuropatia(32). Tra gli altri fattori di rischio per lo sviluppo di questa condi- zione si possono identificare una ridotta sensibilità vibratoria, una lunga durata di malattia, elevati livelli glicemici, di omoci- steina, di proteina C-reattiva, di acido urico e la presenza di microalbuminuria(31).

Nei soggetti diabetici la calcificazione della media sembra es- sere un forte predittore indipendente di mortalità cardiova- scolare e si verifica prevalentemente in quelli con neuropatia;

la rigidità della parete arteriosa correla in modo indipendente con la calcificazione dell’aorta e questo potrebbe portare a un incremento del lavoro cardiaco e della pressione arteriosa, che è a sua volta un importante fattore di rischio per l’infarto del miocardio e il decesso per cause cardiovascolari(32).

Possibilità terapeutiche

Modificazione dei fattori di rischio

Gli eventi cardiovascolari sono la principale causa di morte nei pazienti con arteriopatia periferica; è quindi importante im- postare una terapia antipertensiva, ipoglicemizzante e ipoli- pemizzante tale da permettere di raggiungere un adeguato controllo pressorio e glicometabolico(33); sono inoltre impor- tanti l’abolizione del fumo e l’attività fisica che, se costante, permette di incrementare l’intervallo libero in caso di claudi- catio intermittens(33).

È da segnalare, inoltre, come il raggiungimento di un buon controllo glicemico all’esordio della malattia si sia dimostrato correlato a una ridotta incidenza di arteriopatia (“memoria me- tabolica”)(20,21)e come la correzione di fattori di rischio come pressione arteriosa e dislipidemia abbia prodotto una ridu- zione significativa degli outcome legati alla microangiopatia(34).

Terapia antiaggregante e altri farmaci

La terapia antiaggregante piastrinica con acido acetilsalicilico riduce il rischio di morte per cause cardiovascolari, infarto del miocardio e ictus del 25% nei soggetti arteriopatici, ed è quindi indicata in questi pazienti; i farmaci tienopiridinici non determinano particolari vantaggi e sono quindi da riservare ai casi di intolleranza all’acido acetilsalicilico(33).

(9)

Il cilostazolo è un inibitore della fosfodiesterasi 3 con effetto vasodilatatore e lievi proprietà antiaggreganti che si è dimo- strato in grado di aumentare l’intervallo libero da claudicatio di circa il 50%; i più comuni effetti avversi comprendono ce- falea, diarrea, palpitazioni e vertigini ed è controindicato nei soggetti con scompenso cardiaco; la pentoxifillina, un deri- vato della metilxantina, presenta minori evidenze favore- voli(33).

Trattamento endovascolare

La bassa morbilità e mortalità di procedure come l’angio- plastica transluminale percutanea lo rendono il trattamento di scelta nel caso di patologia limitata, come le stenosi e oc- clusioni fino ai 10 centimetri di lunghezza, con percentuali di successo nella ricanalizzazione delle stenosi femoro-poplitee del 95%; per quanto riguarda l’arteria femorale superficiale migliori risultati sono invece ottenuti con la terapia chirur- gica(35).

La terapia medica dopo l’angioplastica e il posizionamento di stent è raccomandata per prevenire fallimenti precoci legati alla trombosi nel sito di intervento; la terapia standard consi- ste nell’utilizzo di eparina durante l’intervento seguita poi da terapia antiaggregante piastrinica da proseguire indefinita- mente, anche per la prevenzione degli eventi cardiovasco- lari(35).

Per quanto riguarda le lesioni sotto-poplitee, l’angioplastica di brevi stenosi delle arterie tibiali può essere eseguita conte- stualmente a quella femorale o poplitea; questa tecnica può essere raccomandata nei soggetti con ischemia critica e oc- clusioni di arterie sotto-poplitee se può essere ripristinato il flusso ematico al piede e in presenza di comorbilità mediche;

la rivascolarizzazione viene ottenuta nel 90% dei casi con suc- cesso clinico in circa il 70%(35).

Predicono un esito positivo una minore lunghezza delle oc- clusioni e un numero minore di vasi trattati; un fallimento del- l’angioplastica non preclude future procedure chirurgiche(35).

Trattamento chirurgico: il bypass

Il principio base di questa tecnica consiste nell´inserimento di una protesi che collega “a ponte” (bypass) due distretti va- scolari situati prossimamente e distalmente rispetto al tratto ostruito; le zone prescelte per le anastomosi devono essere il più possibile indenni da lesioni.

Le protesi più frequentemente utilizzate negli interventi sul- l’arto inferiore sono la vena grande safena (previa devalvula- zione) oppure elementi in materiale sintetico come il politetrafluoroetilene (PTFE).

Gli svantaggi sono legati alle complicanze che possono deri- vare dall’intervento chirurgico ed eventualmente dall´impiego di materiali sintetici: infezioni, pseudoaneurismi anastomotici, trombosi.

A seconda della topografia delle ostruzioni, può essere utiliz- zato in modo complementare al trattamento endovascolare, in modo da consentire un adeguato ripristino del flusso ema- tico(35).

Come prevenire l’ulcerazione nel paziente diabetico?

In tutti i pazienti diabetici bisognerebbe effettuare un esame dei piedi almeno una volta all’anno, prendendo in considera- zione i diversi fattori che possono favorire l’ulcerazione(36): anamnesi: pregresse ulcerazioni, amputazioni, neuroar-

tropatia, interventi di chirurgia vascolare o angioplastiche, fumo, sintomi di neuropatia o di vascolopatia, altre com- plicanze del diabete;

esame obiettivo dei piedi, con attenzione alle condizioni della cute e agli eventuali segni di neuropatia autonomica, ricerca di infezioni fungine, zone ipercheratosiche o ulce - re non avvertite dal paziente, rilevazione di deformità muscolo-scheletriche o ipotrofia muscolare, studio della sensibilità mediante monofilamento (consigliabile in ag- giunta anche l’esame della sensibilità vibratoria e dei ri- flessi achillei), valutazione vascolare (palpazione dei polsi e misurazione dell’indice pressorio).

L’insieme delle varie condizioni valutate permette di stratifi- care i pazienti in base al rischio di ulcerazione e quindi di pre- vedere la cadenza delle visite di controllo(36):

classe 0 (assenza di neuropatia, vasculopatia o alterazioni muscolo-scheletriche): esame annuale, fornendo al pa- ziente adeguate indicazioni per l’automonitoraggio e le corrette procedure igienico-sanitarie di prevenzione (toi- lette del piede, caratteristiche delle calzature ecc.);

classe 1 (presenza di neuropatia, con o senza alterazioni muscolo-scheletriche): esame ogni 3-6 mesi, valutando se sono necessari plantari o calzature apposite;

classe 2 (presenza di vasculopatia, con o senza neuropa- tia): esame ogni 2-3 mesi, valutando la necessità di con- sulenza vascolare, plantari o calzature;

classe 3 (anamnesi positiva per ulcerazione o amputa- zione pregressa): esame ogni 1-2 mesi, valutando la ne- cessità di consulenza vascolare, plantari o calzature.

Fonti di finanziamento

PRIN 2010JS3PMZ_009 del MIUR (Progetti di Rilevante In- teresse Nazionale del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca).

Conflitto di interessi

Nessuno.

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