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2. SPL e società partecipate 2.1 I Servizi Pubblici Locali

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2. SPL e società partecipate

2.1 I Servizi Pubblici Locali

L’articolo 112 del Testo Unico degli Enti Locali, D.lgs. 267/2000, stabilisce che «Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestio-ne dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produziogestio-ne di beni ed attività ri-volte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali».

Il servizio pubblico assume quindi la denominazione di locale quando è caratte-rizzato dai seguenti elementi:

 imputabilità all’ente locale del servizio;

 oggetto del servizio consistente nella produzione di beni ed attività desti-nati alla comunità locale;

 scopo consistente nella realizzazione di fini sociali e nella promozione e sviluppo delle comunità locali.

2.1.1 L’evoluzione normativa dei SPL

2.1.1.1 La normativa prima della riforma del 1990

L’esistenza di un sistema di servizi pubblici riconducibile agli Enti locali si giu-stificava con l’idea che tali enti, in ragione delle loro caratteristiche, fossero in grado di meglio interpretare le richieste della collettività e di assicurarne un mi-gliore e più adeguato soddisfacimento.

Il primo intervento normativo in materia risale alla legge 29 marzo 1903, n. 103, e al successivo regolamento di attuazione1, questi autorizzavano e disciplinavano l'assunzione, in via diretta, dei servizi da parte di Comuni e Province, lasciando agli enti la scelta in merito alla definizione dei propri ambiti di intervento.

La materia è stata poi riorganizzata dal R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578 che ha coordinato in un unico testo le disposizioni riguardanti la gestione dei servizi pubblici da parte degli enti locali.

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L'elemento che caratterizzava questa disciplina era la distinzione concettuale tra “titolarità” e “gestione” del servizio.

La “titolarità” dei servizi poteva essere necessariamente pubblica od occasional-mente pubblica, mentre la gestione del servizio poteva essere affidata o diretta-mente a soggetti pubblici, oppure a soggetti privati, utilizzando i modelli giuridi-ci di diritto pubblico, quindi c’era la possibilità di ricorrere alternativamente alla gestione:

 in economia;

 a mezzo di azienda speciale;

 mediante concessione a terzi, con riserva per l'amministrazione di eserci-tare la facoltà di riscatto.

Tuttavia, i modelli di gestione dei servizi pubblici locali previsti si rilevarono in parte inadeguati, per due motivi fondamentali, il primo dovuto alle crescenti aspettative della cittadinanza a ottenere l'erogazione di servizi qualitativamente Soddisfacenti, e il secondo legato, invece, all’insostenibilità, per lo Stato, dei co-sti sociali sopportati dai Comuni e dalle Province nell'erogazione di queco-sti servi-zi.

A fronte di questa situazione, era emersa l'esigenza, per gli enti locali, di adottare nuove politiche di gestione economica per l'erogazione dei servizi alle comunità, si ipotizzò, quindi, il ricorso allo strumento societario nella duplice forma delle società di capitali (per azioni) a partecipazione interamente pubblica o mista at-traverso lo strumento concessorio.

2.1.1.2 La Legge n. 142/1990 e il d.lgs. n. 267/2000

Con la legge 8 giugno 1990, n. 142 titolata “Ordinamento delle autonomie locali”, si modificò in maniera molto profonda la disciplina preesistente.

Nella versione originaria la legge, all'art. 22, disponeva che Comuni e Province potessero gestire i servizi pubblici nelle seguenti forme:

 in economia, quando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non era opportuno costituire un'istituzione o un'azienda;

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 in concessione a terzi, quando sussistevano ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale;

 a mezzo di azienda speciale, anche per la gestione di più servizi a rilevan-za economica ed imprenditoriale;

 a mezzo di istituzione, per l'esercizio di servizi sociali senza rilevanza im-prenditoriale;

 a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale, se era necessario, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipa-zione di altri soggetti pubblici o privati.

La più importante novità introdotta da questa legge è costituita dall'espressa in-troduzione, come nuovo strumento di gestione, delle società per azioni con capi-tale pubblico di maggioranza.

Nonostante le novità questo modello ha riscontrato anche una serie di limiti per-ché da un lato, la necessità che il capitale pubblico fosse detenuto in misura mag-gioritaria dall'ente locale ha portato a non utilizzare questo modello perché l’Ente non era in grado di sottoscrivere la quota di maggioranza del capitale, e dall’altro lo schema della società per azioni era inadeguato per la gestione di servizi di di-mensioni ridotte.

Per superare questi limiti per prima cosa con l’articolo 12 della legge 23 dicem-bre 1992, n. 49810, è stata ammessa la possibilità di utilizzare, come forma di gestione dei servizi pubblici locali, lo strumento della società per azioni a parte-cipazione pubblica minoritaria, poi con la legge 15 maggio 1997, n. 127, articolo 17, comma 58, è stata introdotta la possibilità di gestire i servizi minori adottando il modello della società a responsabilità limitata.

Con l’entrata in vigore del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, “Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”, la disciplina delle forme di gestione dei servi-zi pubblici locali è stata trasfusa nell'art. 113 del Testo Unico, i cui contenuti era-no sostanzialmente riproduttivi dell'art. 22 della legge n. 142/1990.

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2.1.1.3 La Legge Finanziaria 2002

La normativa fino ad ora esposta ha subito una forte revisione con l’articolo 35 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 c.d. legge finanziaria 2002, che ha modifi-cato l'articolo 113 del TU e aggiunto l'articolo 113 bis.

Con queste legge si è introdotta la distinzione tra servizi a rilevanza industriale e servizi privi di rilevanza industriale.

I servizi pubblici a rilevanza industriale

Per quanto riguarda i servizi pubblici a rilevanza industriale disciplinati nell’articolo 113 si è affermato il principio della necessaria separazione tra il soggetto proprietario delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali e quello chiamato ad erogare il servizio e si è prevista una eventuale separazione tra soggetto erogatore del servizio e soggetto chiamato a gestire le reti.

Più precisamente:

 la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali è stata riservata all'ente locale, con divieto di attribuzione al gestore del ser-vizio;

 la gestione delle reti e degli impianti è di norma affidata al gestore del ser-vizio. Con rimando alle leggi di settore per eventuali eccezioni;

 per quanto riguarda l'attività di erogazione del servizio è previsto che l'af-fidamento potesse avere luogo esclusivamente a favore di società di capi-tali.

I servizi pubblici privi di rilevanza industriale

I servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale erano disciplinati, invece, all'articolo 113-bis.

Per questi servizi non si prevedere ne l'esclusività della proprietà dei beni da par-te dell'enpar-te locale, ne la separazione necessaria tra proprietà dei beni e gestione dei servizi. I soggetti affidatari di questi servizi potevano essere:

 istituzioni;

 aziende speciali, anche consortili;

 società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali, regolate dal co-dice civile;

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 la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le carat-teristiche del servizio, l'ente locale non ritenesse opportuno procedere agli affidamenti con le modalità sopraindicate.

Una disciplina speciale era, invece, prevista per i servizi culturali e del tempo li-bero, per i quali vi era la possibilità di affidamento ad associazioni e fondazioni.

2.1.1.4 La Legge Finanziaria 2004 e il d.l. n. 269/2003

Con la legge 24 dicembre 2003, n. 350, “legge finanziaria 2004” e con il d.l. 30 settembre 2003, n. 26914, sono state apportate ulteriori modifiche all'art. 113 e all'art. 113 bis, in primis la modifica delle espressioni “servizi a rilevanza indu-striale” e “servizi privi di rilevanza induindu-striale” con quelle di servizi a “rilevanza economica” e “privi di rilevanza economica”.

I servizi a rilevanza economica

Quanto ai servizi pubblici “a rilevanza economica”, le modifiche apportate ri-guardano:

 il profilo della proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni in-frastrutturali;

 le forme della gestione di questi beni;

 le modalità di erogazione dei servizi.

Per quanto riguarda il primo punto il testo dell'articolo 113 stabilisce che la pro-prietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni strumentali all'esercizio di un servizio pubblico, debba rimanere in mano pubblica e possono cedere le reti esclusivamente a società a totale capitale pubblico, per le quali è introdotto il vincolo dell'incedibilità delle azioni, questo per evitare l'affermarsi di posizioni di monopolio, permettendo così l’accesso alle infrastrutture a tutti i potenziali operatori delle infrastrutture.

Per quanto riguarda il secondo punto resta fermo il principio della separazione, solo eventuale, dell'attività di gestione della rete da quello di erogazione del ser-vizio. Nel caso di separazione, la gestione potrà essere affidata:

 ad imprese idonee, da individuarsi attraverso procedure ad evidenza pub-blica;

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 direttamente a società a totale capitale pubblico, appositamente costituite dagli enti locali a condizione che:

o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino su di esse un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi;

o la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. Con questa ipotesi, il legislatore previsto la possibilità di ricorrere, ai fini dell'affidamen-to del servizio di gestione dell'infrastruttura al cd. in house

provi-ding.

Infine per quanto riguarda il terzo punto sono state individuate nuove modalità di affidamento, i soggetti a cui potrà essere affidata la gestione del servizio sono:

 società di capitali individuate attraverso l'espletamento di procedure ad evidenza pubblica;

 società a capitale misto pubblico privato, nelle quali il socio di privato venga scelto attraverso l'espletamento di procedure ad evidenza pubblica, che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza e secondo le linee di indirizzo emanate dalle auto-rità competenti attraverso provvedimenti e circolari specifiche;

 società a capitale pubblico maggioritario appositamente costituite dagli enti locali, a condizione che ricorrano i principi dell' in house providing. Quindi con queste modifiche sono state ampliate le forme di affidamento dei ser-vizi a rilevanza economica, affiancando all'individuazione del soggetto mediante gara le ipotesi di gestione in house e mediante società mista, e sia nel caso di af-fidamento diretto a società mista, sia nel caso di ricorso all'in house providing, i principi di concorrenza sono rispettati.

Altra rilevante modifica all'articolo 113 è l’introduzione dei commi 15 bis, ter e quater che riguardano la disciplina del periodo transitorio durante il quale gli af-fidamenti di gestione delle reti e dei servizi effettuati senza l'esperimento di pro-cedure concorsuali erano fatti salvi dalla decadenza.

Il comma 15 bis fissa al 31 dicembre 2006 il termine di scadenza delle conces-sioni rilasciate senza procedure ad evidenza pubblica, “nel caso in cui le

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disposi-zioni previste per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo transito-rio”. A questa regola generale è stato affiancato un regime di esclusioni (comma 15 bis) ed un regime di differimenti (comma 15 ter).

Per quanto riguarda le esclusioni, sono sottratti all'applicazione del termine del 31 dicembre 2006 gli affidamenti di servizi effettuati senza procedure ad eviden-za pubblica a:

 società a capitale misto, nelle quali il socio privato sia stato scelto median-te procedure ad evidenza pubblica nel rispetto delle norme inmedian-terne e co-munitarie in tema di concorrenza;

 società a capitale interamente pubblico se ricorrono le condizioni dell' in

house providing;

 società già quotate in borsa, nell'ipotesi in cui si tratti di concessioni già affidate alla data del 1 ottobre 2003 e a quelle da esse direttamente parte-cipate alla suddetta data, a condizione che siano concessionarie esclusive del servizio;

 società, in sede costitutiva, a capitale interamente pubblico a condizione che, entro il 1 ottobre 2003, abbiano provveduto a collocare sul mercato quote del proprio capitale attraverso procedure ad evidenza pubblica. Al comma 15 ter è invece previsto il differimento della durata delle concessioni:

 qualora, almeno dodici mesi prima dello scadere del termine si dia luogo mediante una o più fusioni, alla costituzione di una nuova società capace di servire un bacino di utenza complessivamente non inferiore a due volte quello originariamente servito dalla società maggiore, si tratta però di un differimento non superiore all’anno;

 nel caso in cui, sempre entro dodici mesi prima dello scadere del termine, un'impresa affidataria, anche a seguito di una o più fusioni, si trovi ad ope-rare in un ambito corrispondente almeno all'intero territorio provinciale, ovvero a quello ottimale, laddove previsto dalle norme vigenti. In questo caso il differimento non può superare i due anni.

In entrambi i casi il differimento è condizionato al raggiungimento di un accordo preventivo con la Commissione Europea.

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I servizi pubblici privi di rilevanza economica

Con riferimento ai servizi privi di rilevanza economica il nuovo testo dell'articolo 113-bis consente l'affidamento diretto di detti servizi a istituzioni e aziende spe-ciali (anche consortili) e a società secondo i principi dell'“in house”.

Rimane comunque la possibilità di gestione in economia il servizio quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, gli enti locali non ri-tengano opportuno procedere ad altre forme di affidamento.

E' stata, invece, abrogata la previsione relativa alla possibilità di affidare i servizi a società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali.

Le disposizioni dell’art. 113-bis sono state giudicate illegittime dalla Corte costi-tuzionale2 perché essendo prive di rilevanza economica, a tali attività non sono applicabili criteri concorrenziali.

2.1.1.5 La legge 133/2008

La disposizione sopra illustrate è stata superata in seguito all'approvazione dell'articolo 23 bis del d.l. 112/2008, che ha riformato i servizi pubblici a rilevan-za economica.

La finalità di questo articolo era quella di garantire l'applicazione della normativa comunitaria, a favorire il rispetto dei principi di concorrenza, libertà di stabili-mento e libera prestazione dei servizi da parte di tutti gli operatori economici in-teressati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, inoltre mi-rava a garantire il diritto di tutti gli utenti all'universalità e accessibilità dei servi-zi pubblici locali e al livello essenservi-ziale delle prestaservi-zioni. La sua introduservi-zione ri-spondere all'esigenza di sancire fortemente il principio dell'evidenza pubblica nell'affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, i casi di affi-damento diretto senza gara.

L'ambito della riforma aveva una vocazione universale e prevaleva sulle discipli-ne di settore eventualmente difformi, anche se poi questo è stato ridimensionato escludendo diversi settori quali:

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 il settore della distribuzione del gas naturale;

 i settori della distribuzione di energia elettrica;

 i settori del trasporto ferroviario regionale;

 i settori della gestione delle farmacie comunali.

Per quanto riguarda l'affidamento dei servizi pubblici locali ad esso ancora as-soggettabili, l'articolo 23-bis prevedeva tre modalità procedurali:

 le prime due, definite «ordinarie» che facevano ricorso a procedure di evi-denza pubblica;

 la terza modalità, in deroga a quelle ordinarie, prevedeva invece la possi-bilità di un conferimento diretto secondo il modello dell' affidamento "in house".

La possibilità di affidamento diretto era tuttavia subordinata ad alcune condizio-ni, che dovevano renderlo un fenomeno eccezionale, in particolare, era previsto che il modello dell'"in house" potesse configurarsi solo in presenza di situazioni tali da non permettere un efficace ed utile ricorso al mercato e doveva avvenire solo in favore di società totalmente partecipate dall'ente pubblico concedente, ca-ratterizzate dalla prevalenza dell'attività svolta favore di quest'ultimo, e nel ri-spetto della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società affidataria.

Nei casi di affidamento diretto, l'ente che affidava il servizio era tenuto a darne adeguata pubblicità, motivandola e verificandola, e, in caso di affidamenti di va-lore economico superiore a determinate soglie, doveva trasmettere una relazione all'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per l'espressione di un pare-re ppare-reventivo.

L'art. 23-bis prevedeva anche che la gestione delle reti potesse essere affidata a soggetti privati, ferma restando la proprietà pubblica delle stesse.

La norma disciplinava anche l'affidamento simultaneo di una pluralità di servizi pubblici locali, possibilità che era però subordinata alla duplice condizione che venisse effettuata una gara e che potesse essere dimostrato il vantaggio economi-co economi-correlato a tale scelta.

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Il regime dell'articolo 23 bis era accompagnato da un articolato sistema transito-rio secondo il quale i titolari di servizi pubblici locali affidati senza gara non po-tevano acquisire la gestione di servizi ulteriori oppure non popo-tevano operare in ambiti territoriali diversi da quelli originari, e non potevano svolgere servizi o at-tività per altri enti pubblici o privati.

Il relativo regolamento di attuazione si è concretizzato nel D.P.R. n. 168 del 7 settembre 2010 rubricato "Regolamento in materia di servizi pubblici locali di ri-levanza economica, a norma dell'articolo 23-bis, comma 10, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n.133", ma neanche un mese dopo la sua pubblicazione la Corte Costituziona-le, con la pronuncia n. 325 del 17 novembre 2010, ha dichiarato l'illegittimità co-stituzionale dell'art. 23-bis, comma 10, lettera a), prima parte, del D.L. 112/2008. La disciplina dei servizi pubblici locali fino ad ora esaminata ha subito una trau-matica battuta di arresto il 13 giugno 2011, cadendo sotto la scure della consulta-zione referendaria, infatti dietro ad uno dei due quesiti posti si celava una propo-sta di integrale annullamento dell'art. 23 bis del d.l. 112/2008. Purtroppo i citta-dini furono poco informati riguardo a questo aspetto e il referendum passò la vo-tazione causando così un vuoto normativo per tutti gli Enti locali

Un'effettiva situazione di vuoto normativo si è determinata solamente a seguito della pubblicazione del D.P.R. n. 113/2011, con cui è stato ufficialmente procla-mato l'esito del referendum abrogativo quindi è solo a decorrere dal 21 luglio 2011 che l'art. 23-bis del d.l. 112/2008 ha formalmente cessato di spiegare effica-cia giuridica, consolidando la lacuna di cui si è detto.

2.1.2 Il cambio di Ruolo dell’Ente locale

Questo processo di esternalizzazione ha comportato la trasformazione dell’Amministrazione pubblica in interprete dei bisogni dei cittadini e responsa-bile del loro soddisfacimento attraverso idonei operatori, con il graduale supera-mento del suo ruolo di erogatore diretto del servizio.

L’affidamento dell’erogazione del servizio ad un soggetto esterno ha determinato la necessità di una netta definizione dei rispettivi ruoli.

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Nel sistema dei servizi si sono così venuti a distinguere due differenti posizioni, da un lato l’ente locale con la sua attività di indirizzo e controllo, dall’altro il soggetto erogatore incaricato di organizzare materialmente il servizio.

Ora i ruoli dell’ente locale sono quelli di:

 indirizzo, ed esso concerne la scelta delle soluzioni che, compatibilmente con la disponibilità di risorse dell’ente affidante o dell’utenza, possono meglio soddisfare le legittime aspettative dei cittadini, non termina con l’affidamento dell’esecuzione del servizio perché è compito dell’ente affi-dante la costante verifica della bontà delle soluzioni adottate e l’iniziativa di adeguare il servizio alle mutate esigenze dei cittadini. L’ente per effet-tuare questo controllo si avvarrà del supporto tecnico-operativo dell’erogatore, poiché dovrà operare scelte che si riferiscono non solo al servizio vero e proprio, ma anche ai servizi connessi ed alle politiche ge-nerali o intersettoriali; non dovrà né delegare al gestore né rendere vacante questa funzione.

Controllo, l’ente locale dovrà esercitare, limitandosi esclusivamente agli aspetti prestazionali e non a quelli organizzativi interni del gestore, l’effettiva e corretta erogazione di quanto previsto contrattualmente. Tale attività, che assume particolare importanza in una visione temporale pari a quella della durata dell’affidamento, dovrà essere svolta attraverso una se-rie di strumenti di rilevamento e controllo che garantiscano un reale e co-stante monitoraggio delle prestazioni erogate e dei loro risultati.

L’integrazione di questi con quanto risultante da altri sistemi di informazione permetterà di attivare la fase di valutazione dei risultati e di indirizzo.

Il Ruolo del soggetto gestore sarà quello di:

 Organizzare il servizio, l’affidatario individuato dall’ente locale organiz-za l’erogazione del servizio seguendo gli indirizzi dell’amministrazione affidante, ma mantenendo piena autonomia nella gestione.

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 Erogare il servizio, l’affidatario, sulla base della propria autonomia orga-nizzativa e seguendo gli indirizzi ed obiettivi fissati dall’Amministrazione affidante, eroga il servizio, garantendo il conseguimento degli standard prestazionali pattuiti.

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2.2 Le partecipate degli Enti locali

2.2.1 Cosa sono le società partecipate

Le società partecipate si definiscono come società di diritto privato, esterne all’Ente pubblico locale, il cui capitale è di proprietà dell’Ente e soprattutto di-pende da esso, si tratta di società legate a doppio filo con l’Ente, sia sotto il profi-lo economico-finanziario, che sotto il profiprofi-lo della produzione. L’essere parteci-pate da Enti pubblici consente alle società di essere affidatarie dirette delle com-messe, con il solo vincolo di poter svolgere l’attività solo per conto dell’Ente proprietario. Queste società costituiscono un vero e proprio prolungamento della Pubblica Amministrazione e rappresentano un importante modalità attraverso la quale la Pubblica Amministrazione eroga e gestisce una parte significativa dei suoi servizi.

Diverse sono invece le società controllate, queste sono definite tali quando l’Ente pubblico detiene la maggioranza assoluta delle quote societarie.

2.2.2 Lo sviluppo delle società partecipate

Si può individuare l’inizio dello sviluppo delle società partecipate dagli inizi de-gli anni ottanta quando quote sempre maggiori di ricchezza regionale vennero gestite attraverso le società “controllate”. Questa esternalizzazione di servizi di competenza degli enti locali, come la viabilità, l’energia, l’ambiente, venne mo-tivata con la non convenienza a svolgerli in proprio, quindi con risorse economi-che pubblieconomi-che vennero create società di capitali esterne economi-che andarono ad occupare i campi dell’economia pubblica.

2.2.3 La normativa riguardante le società partecipate

La possibilità di gestire i servizi pubblici locali con il ricorso al modello societa-rio è stata introdotta con la Legge n. 142/90, è stato per primo l'articolo 22, comma 3, lett. e), a prevedere che i comuni e le province potessero gestire i ser-vizi pubblici “a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico locale,

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qualora si renda opportuna, in relazione alla natura del servizio da erogare, la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati.”.

Tuttavia, ancor prima dell'entrata in vigore di questa legge, questo particolare modello di gestione si era già diffuso nella prassi applicativa in modo sempre più continuo, in particolare lo schema societario si era sviluppato in base alla consta-tazione che il ricorso alla struttura societaria consentiva agli Enti locali di condi-videre il rischio di impresa con altri soggetti, inoltre, questo modello gestionale permetteva agli Enti pubblici locali di beneficiare della esperienza professionale, della competenza tecnica e della capacità manageriale acquisita dai privati nello specifico settore, nonché dell'apporto di tecnologie e know-how avanzati.

In definitiva, è stata proprio la presa di coscienza dell'esistenza di tale modulo gestionale, e dei vantaggi che esso comportava, ad indurre il legislatore a preve-dere l'istituto delle società per azioni a prevalente partecipazione pubblica locale. A partire dalla suddetta Legge l'istituto societario è divenuto il più diffuso model-lo gestionale dei servizi pubblici model-locali, tanto che, dopo il 1990, l'evoluzione normativa dell'intera disciplina delle forme di gestione dei servizi pubblici locali è sostanzialmente basata sullo sviluppo dell'istituto delle società a partecipazione pubblica locale.

La crescente diffusione delle società partecipate dagli enti locali ha richiesto l’intervento del legislatore il quale ha posto in essere interventi volti a porre vin-coli alla possibilità di detenzione delle stesse società da parte di enti interessati e volti anche a ridurne il numero e ad aumentarne la trasparenza finanziaria, questo è avvenuto perché la costituzione e la partecipazione in società da parte degli enti locali risultava essere spesso utilizzata come strumento per forzare le regole della tutela della concorrenza e per eludere i vincoli di finanza pubblica imposti agli enti locali.

Il legislatore ha deciso di adottare specifici divieti alla costituzione e al manteni-mento di società da parte di comuni piccoli e medio-piccoli.

Un primo intervento di si ebbe con la Legge n. 244/2007, articolo 3, comma 27, secondo la quale per le Pubbliche amministrazioni vigeva il divieto di costituire

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società aventi ad oggetto la produzione di beni e servizi non strettamente neces-sarie al perseguimento delle proprie finalità istituzionali3, ovvero di assumere o mantenere, direttamente, partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. Era comunque sempre ammessa la costituzione e la partecipazione in società che producevano servizi di interesse generale, la norma inoltre stabilisce che i vincoli sopracitati valgono solo per le partecipazioni dirette, escludendo cosi le parteci-pazioni indirette.

Al comma 28 la norma proseguiva stabilendo che l’assunzione di nuove parteci-pazioni e il mantenimento dei pacchetti azionari detenuti dovevano essere auto-rizzati dall’organo competente4

con delibera motivata che doveva poi essere tra-smessa alla sezione competente della Corte dei conti.

Venne stabilito il termine entro il quale le partecipate vietate dovevano essere cedute a terzi nella data del 1° gennaio 2011 (comma 29). La disciplina fino ad ora descritta non si applicava alle partecipazioni in società quotate nei mercati regolamentati5.

Nell’ultimo decennio il fenomeno si è amplificato sempre di più e questo ha atti-rato l’attenzione della Corte dei Conti che ha posto questa proliferazione di so-cietà partecipate oggetto di un indagine dalla quale è risultato che nel 2010 erano circa 5.860 gli organismi controllati da 5.928 enti tra comuni e provincie.

Nel 2010 con il decreto legge n. 78/2010, poi modificato dal decreto legge n. 138/2011, il legislatore interviene nuovamente sul fenomeno della propagazione delle società a partecipazione locale, in particolare:

 Ai comuni con meno di 30.000 abitanti è fatto divieto di costituire società, essi sono tenuti, entro il 31 dicembre 2012, a mettere in liquidazione le società già costituite al 31 maggio 2012 cedendone le partecipazioni, spet-ta al prefetto il controllo dell’adempimento degli Enti locali a questo ob-bligo.

3. Per il concetto di “finalità istituzionale” si fa rifermento alla Circolare 3 novembre 2010, nella quale si specifica che relativamente al concetto di finalità istituzionali dei Comuni si può far riferimento al T.U.E.L., articolo 3, comma 5, della legge n. 131/2003.

4. L’organo competente per gli enti locali è l’organo consiliare. 5. Articolo 3, comma 32-ter, legge n. 244/2007

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L’obbligo di liquidazione non si applica se le società già costituite abbiano al 31 dicembre 2012 il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi, non abbia-no subito, nei percenti esercizi, riduzione di capitale conseguenti a perdite di bilancio e non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilan-cio alle quali il comune ha l’obbligo di procedere al ripiano delle perdite;

 I comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere le partecipazioni di una sola società e devono mettere in liquida-zione, entro il 31 dicembre 2011, tutte le altre,

Il legislatore, inoltre, introduce strumenti per incentivare le dismissioni delle par-tecipazioni, ad esempio secondo la disciplina del patto di stabilità interno l’ente che a decorrere dall’anno 2013 effettua operazioni di dismissioni viene conside-rato un ente virtuoso, inoltre ai comuni che cedono proprie partecipazioni in so-cietà esercenti servizi pubblici locali di rilevanza economica viene riconosciuta una quota del fondo infrastrutture che potrà essere destinata a interventi infra-strutturali nei territori dei medesimi comuni.

Nel 2012 con il d.l. n. 95 il legislatore pone altri vincoli al mantenimento delle società partecipate, secondo l’articolo 4, del suddetto Decreto, le società control-late, direttamente o indirettamente, dalle pubbliche amministrazioni che nel 2011 hanno conseguito un fatturato da prestazione di servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90% devono o essere sciolte entro il 31 dicembre 2013 oppure l’Ente stesso deve provvedere ad alienare le partecipazioni, con procedure di evidenza pubblica, detenute alla data di entrata in vigore del pre-sente decreto, entro il 30 giugno 2013 ed alla contestuale assegnazione del servi-zio per cinque anni a decorrere dal 1° gennaio 2014.

Se l’Amministrazione comunale non dovesse procedere con quanto specificato sopra le società di riferimento del Decreto a partire dal 1° gennaio 2014 non pos-sono comunque ricevere affidamenti diretti di servizi, né pospos-sono fruire del rinnovo di affidamenti di cui sono titolari.

La norma assoggetta determinate categorie di società all’esclusione del rispetto di essa, queste categorie sono:

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 le società che svolgono servizi di interesse generale, anche aventi rilevan-za economica;

 le società che gestiscono banche dati strategiche;

 le società operanti in peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambien-tali e morfologiche del contesto, anche territoriale, di riferimento, che non consentono all’amministrazione controllante un efficace e utile ricorso al mercato;

 le società che svolgono funzioni di centrali di committenza;

 le società finanziarie delle Regioni.

L’intervento della giurisprudenza e della dottrina non si è mai fermato negli anni, le partecipate locali sono da sempre al centro di dibatti e discussioni per i numeri sempre crescenti che mostrano nonostante si cerchi di limitarne la costituzione, riguardo a questo nel 2014 il Ministro Cottarelli ha elaborato un piano di raziona-lizzazione delle partecipate locali che solo in parte è stato recepito dalla Legge Finanziaria 2015 e sarà argomento del capitolo 4 di questa tesi.

2.2.4 Gli Organi di amministrazione delle partecipate

Gli organismi di controllo all’interno delle società partecipate sono il Consiglio di amministrazione o un amministratore unico che viene indicato da chi detiene le azioni della società.

Secondo la disciplina generale, agli Enti pubblici che hanno partecipazioni in una società per azioni che non fa ricorso al mercato del capitale di rischio lo statuto può attribuire la facoltà di nominare amministratori, sindaci e componenti del consiglio di sorveglianza, in numero proporzionale alla partecipazione al capitale sociale. Questi soggetti nominati degli Enti pubblici possono essere revocati solo per volontà dell’ente stesso che li ha nominati e hanno gli stessi diritti e obblighi dei membri nominati dall’assemblea.

Gli amministratori non possono essere nominati per un periodo superiore a tre esercizi e terminano la loro nomina alla data dell’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio relativo all’ultimo anno della loro carica, lo stessa

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vale anche per i sindaci e i componenti del consiglio di sorveglianza che restano in carica per tre esercizi e terminano la loro nomina alla data dell’assemblea con-vocata per l’approvazione del bilancio relativo al terzo esercizio della loro carica. Per l’ente che partecipa in società che fanno riscorso al mercato azionario vengo-no riservate azioni fornite di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi, ma non del voto nell’assemblea generale degli azionisti.

Non possono essere nominati amministratori quei soggetti che avendo ricoperto carica analoga nei cinque anni precedenti, hanno chiuso in perdita per tre esercizi consecutivi, in particolare per le società partecipate dagli enti locali, la nuova di-sciplina sui servizi pubblici locali, vieta di nominare amministratori, di società partecipate da enti locali, soggetti che nei tre anni precedenti alla nomina hanno ricoperto la carica di amministratori negli enti locali che detengono quote di par-tecipazione di capitale alla società stessa.

La composizione degli organi sociale è disciplinata dal codice civile secondo il quale spetta all’atto costitutivo o all’assemblea dei soci stabilire il numero degli amministratori delle società per azioni e determinare i relativi compensi, ma a questo proposito sono stati numerosi gli interventi legislativi che hanno introdot-to una serie di disposizioni speciali per le società non quotate controllate, diret-tamente o indiretdiret-tamente, da amministrazioni statali, ma anche per quanto ri-guarda le società partecipate totalmente dagli enti locali e a partecipazione mista, sono state previste limitazioni al numero dei componenti del consiglio di ammi-nistrazione nominati dagli enti stessi.

Per le società totalmente partecipate, anche in via diretta, dagli enti locali, è stato posto il limite numerico di tre componenti per i relativi consigli di amministra-zione, tale limite sale a cinque se il capitale della società, interamente versato, raggiunge o supera l’importo di 2 milioni di euro. Per le società miste, partecipa-te cioè anche da altri soggetti pubblici o privati, il numero massimo di compo-nenti del consiglio di amministrazione che è possibile nominare non deve essere superiore a cinque.

I compensi degli amministratori delle società partecipate dagli enti locali sono soggetti a specifici vincoli. Nelle società totalmente partecipate da comuni o

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pro-vincie e nelle società da queste controllate, il compenso lordo annuale onnicom-prensivo del presidente e dei componenti del consiglio di amministrazione non può essere superiore, per il presidente al 70 per cento e per i componenti al 60 per cento delle indennità spettanti al sindaco e al presidente della provincia, inol-tre il presidente e i componenti del consiglio di amministrazione hanno diritto al rimborso delle spese di viaggio e l’indennità di missione previste per gli ammini-stratori locali all’articolo 84 del T.U.E.L.. Nelle società a partecipazione mista di enti locali i compensi possono essere elevati in proporzione alla partecipazione dei soggetti diversi dagli enti locali, secondo specifici criteri, in particolare, i compensi possono essere elevati nella misura di un punto percentuale ogni cin-que punti percentuali di partecipazione di soggetti diversi dagli enti locali nelle società in cui la partecipazione degli enti locali è pari o superiore al 50 per cento del capitale, e di due punti percentuali ogni cinque punti percentuali di partecipa-zione di soggetti diversi dagli enti locali nelle società in cui la partecipapartecipa-zione de-gli enti locali è inferiore al 50 per cento del capitale.

2.2.5 I modelli di controllo delle partecipate all’interno degli Enti locali Le modalità di controllo possono essere di tre tipi:

 modello tradizionale

 modello dipartimentale/specialistico

 modello Holding

Il modello tradizionale, così chiamato in quanto richiama ruoli, compiti e funzio-ni relative a strutture già esistenti e competenti per area di attività della partecipa-ta, si compone in genere di settori/unità organizzative interne all’Ente, opportu-namente riqualificate, all’interno dei quali veniva gestito il servizio prima della sua esternalizzazione.

Nel modello tradizionale i settori operativi, opportunamente riqualificati, si oc-cupano dei rapporti con la società di servizi nata dalla esternalizzazione degli stessi, si tratta di rapporti operativi derivanti dalla gestione del contratto di servi-zio, dal controllo operativo sulla qualità e quantità della fornitura.

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Generalmente l’unità interna alla direzione finanziaria, cura gli aspetti di natura propriamente contabili legati agli atti specificamente riferiti alle società parteci-pate, o segue gli aspetti legati alla funzione di proprietà. Il livello di governance su aspetti contrattuali e istituzionali spesso non sono integrati da una visione di insieme. Le competenze decisionali sono ascrivibili a ciascun assessore per com-petenza. Di fatto i rapporti con le società controllate sono intrattenuti da pochi assessori che tuttavia riescono ad instaurare una relazione con il vertice dell’impresa in forza del mandato “politico” assegnato al management.

Tavola 2.2

Nel modello dipartimentale, o specialistico che dir si voglia, viene costituita all’interno dell’ente locale una unità organizzativa preposta a mantenere contatti stabili e profondi con le aziende del gruppo, c.d. Unità Controllo Partecipate. Questa mantiene l’indubbio vantaggio di porsi come unico e principale referente tecnico dei flussi comunicativi tra ente e società, anche se non devono mancare i flussi con le altre unità organizzative interne all’Ente.

Normalmente a livello politico tale soluzione si accompagna alla presenza di un assessorato alle partecipazioni con funzioni di coordinamento politico istituzio-nale.

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E’ opportuno richiamare il rapporto tra la scelta di collocare l’unità di controllo delle partecipate come autonoma unità in staff alla Direzione generale e quella che la vede quale unità organizzativa in seno alla funzione generale di Controllo, questo esso dipende dalle dimensioni dell’ente, nel senso che enti di maggiori dimensioni opteranno per l’una o per l’altra a seconda del peso e della valenza delle partecipazioni, Enti minori troveranno più funzionale ed economico favori-re le sinergie tra la funzione di Programmazione e Controllo di gestione e l’unità di controllo delle Partecipate.

Tabella 2.3

Con il modello della Holding la gestione delle partecipazioni, delle relazioni isti-tuzionali e di indirizzo vengono affidate ad una società esterna, di cui l’ente è azionista.

Tale soluzione ha il vantaggio della elevata specializzazione nella gestione dei rapporti societari, istituzionali e delle funzioni di controllo dell’Ente, in questo caso l’ente locale, assicurando il coordinamento e il governo con questa unica azienda persegue il coordinamento dell’intero gruppo pubblico.

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All’ente resta comunque lasciata la gestione delle relazioni contrattuali e di rego-lazione del servizio.

Tale soluzione, però, richiede come requisito essenziale un portafoglio partecipa-zioni di una certa rilevanza anche in termini di numero di società partecipate oltre che di percentuali di controllo e, una attenta valutazione degli aspetti relativi agli indirizzi da dare alla Holding così costituita.

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