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CAPITOLO III

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CAPITOLO III

PROFILI PROCEDURALI DEL RECLAMO E DELLA MEDIAZIONE

1. Le parti del procedimento; 2. L’assistenza tecnica; 3. Il contenuto del reclamo e la sua integrabilità. La proposta di mediazione; 4. I documenti da allegare al reclamo; 5. La proposizione del reclamo. 6. La trattazione del reclamo e i possibili esiti. L’accordo di mediazione; 6.1 L’esame preliminare dell’istanza; 6.2 L’accoglimento integrale del reclamo; 6.3 L’accoglimento parziale del reclamo; 6.4 La mediazione; 6.4.1 I parametri di valutazione; 6.4.2 L’avvio, lo svolgimento e la conclusione della procedura; 6.4.3 Gli effetti dell’accordo perfezionato; 6.5 Il diniego del reclamo.

1. Le parti del procedimento

La fase di reclamo e mediazione deve svolgersi tra i soggetti che assumerebbero la qualità di parte nel processo che è tesa ad evitare.

Pertanto, la legittimazione alla presentazione dell’istanza appartiene a colui cui spetta la legittimazione processuale attiva nel giudizio tributario, cioè a quello che l’art. 10 del d.lgs. n. 546/1992 chiama, genericamente, “ricorrente” 1. Specularmente, competente a ricevere il reclamo è la Direzione regionale o provinciale dell’Agenzia delle Entrate “che ha emanato l’atto impugnato” (rectius, reclamato) o non ha concesso il rimborso richiesto 2

.

Invero, l’istruttoria che ne consegue è affidata ad apposite articolazioni degli uffici finanziari: gli Uffici Legali all’uopo costituiti, che pur dipendendo gerarchicamente dalla stessa figura dirigenziale (il Direttore regionale o provinciale), si pongono come unità organizzative distinte rispetto agli altri organi dotati di funzioni operative.

Tale particolare assetto si è reso necessario all’indomani della novella recata dal comma 5 dell’art. 17-bis in commento, per il quale, appunto, “il reclamo va presentato alla Direzione

1 Come osserva M. Bruzzone, Contenuto e parti dell’istanza di reclamo, in Corr. trib. n. 19 del 2012, pag. 1435, è la notificazione di un atto recettizio autonomamente impugnabile a fondare la legittimazione del soggetto notificatario alla proposizione del ricorso e, se ne ricorrono i presupposti, dell’istanza di reclamo eventualmente corredata di una proposta di mediazione. Sussiste altresì, in capo al notificatario, l’interesse all’impugnazione di un atto che, in difetto, diventerebbe definitivo nei suoi confronti. Né vale, ad escludere la ricorrenza delle condizioni dell’azione, l’eventuale estraneità del notificatario rispetto al rapporto tributario sottostante, non potendo negarsi la legittimazione e l’interesse all’impugnazione in capo al notificatario di un atto autonomamente impugnabile, se non altro al fine di contestare pregiudizialmente la propria estraneità rispetto al rapporto tributario sottostante.

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provinciale o alla Direzione regionale che ha emanato l’atto, le quali provvedono attraverso apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l’istruttoria degli atti reclamabili” 3

.

In questo modo si è inteso assicurare l’autonomia di giudizio di chi deve decidere sul reclamo e sull’eventuale mediazione, ancorché sia intuitivo osservare che detta autonomia rischia di restare sulla carta, non esistendo un’effettiva terzietà fra organi appartenenti alla stessa Amministrazione 4.

Né, d’altronde, si sarebbe potuta immaginare una soluzione diversa, come la creazione di organi pubblici realmente terzi rispetto all’Agenzia delle Entrate e ai contribuenti. A parte le difficoltà applicative e gli oneri che tale scelta avrebbe comportato, si sarebbe spezzato il

3 In relazione agli atti emanati dal Centro operativo di Pescara occorre fare riferimento alle previsioni contenute nel regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle entrate, al fine di individuare la struttura territoriale dell’Agenzia cui spettano le attribuzioni sul rapporto tributario controverso. Il comma 10 dell’articolo 5 del regolamento di amministrazione stabilisce che i Centri operativi “Curano inoltre, con

competenza su tutto o parte del territorio nazionale, le attività di controllo e di accertamento di cui all’articolo 28 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Conseguentemente, per il contenzioso relativo agli atti emessi nello svolgimento delle attività di cui al periodo precedente è competente la Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso e il predetto ufficio è, altresì, parte nel processo dinnanzi alle Commissioni tributarie. Per il contenzioso che deriva dallo svolgimento di tutte le altre attività attribuite ai centri operativi resta ferma la competenza della Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione hanno sede i centri e questi ultimi sono parte nel processo innanzi alle Commissioni tributarie”. In sostanza, per effetto della disposizione da ultimo citata:

- per il contenzioso relativo agli atti emessi dal Centro operativo di Pescara nello svolgimento delle attività di controllo e di accertamento di cui all’articolo 28 del d.l. n. 78 del 2010, è parte nel processo innanzi alle Commissioni tributarie (e quindi competente a ricevere l’istanza di mediazione) la Direzione alla quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso;

- di contro, per il contenzioso che deriva dallo svolgimento di tutte le altre attività attribuite al Centro operativo di Pescara, è esso parte nel processo innanzi alle Commissioni tributarie.

Individuata in tal modo la legitimatio ad causam del Centro operativo di Pescara, si ritiene configurabile la medesima differenziazione in ordine alla legittimazione passiva a ricevere l’istanza di mediazione.

Pertanto:

- nel caso di impugnazione di atto emesso dal Centro operativo di Pescara nello svolgimento delle attività di controllo e di accertamento di cui all’articolo 28 del d. l. n. 78 del 2010, l’istanza va notificata alla Direzione cui spettano le attribuzioni sul tributo controverso;

- di contro, nel caso di impugnazione di altri atti emessi dal Centro operativo di Pescara, l’istanza va notificata direttamente a quest’ultimo.

4 L’opinione, condivisa da tutti i commentatori della norma, è di A. Turchi, Reclamo e mediazione nel

processo tributario, in Rass. trib. n. 4 del 2012, pag. 898. Si veda anche C. Attardi, Reclamo e mediazione: costituzionalità e ricadute sulla teoria generale del processo tributario, in Corr. trib. n. 18 del 2013, pag.

1446, per il quale sarebbe illusorio predicare la terzietà in senso tecnico dell’Agenzia delle Entrate, posto che essa è soggetto attivo del rapporto giuridico d’imposta ed incarna altresì il ruolo di parte pubblica nel processo tributario; nondimeno, l’imparzialità deve essere comunque ad essa connaturata, in ossequio, prima di tutto, alla Costituzione repubblicana, la quale all’art. 97 impone il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione.

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nesso sussistente tra l’istituto del reclamo ed il potere di autotutela: chi se non l’Agenzia delle Entrate è in grado di valutare la sostenibilità in fatto e in diritto dei propri atti 5?

Non certo un organo diverso, poiché ciò comporterebbe un’inaccettabile compressione delle prerogative dell’Amministrazione finanziaria, che persegue le finalità – dotate di rilevanza costituzionale – di assicurare il rispetto dei principi di legalità in materia tributaria e di capacità contributiva, e del Giudice tributario, cui verrebbe sottratto l’esercizio della funzione giurisdizionale in ordine all’accertamento della legittimità e della fondatezza delle pretese impositive e sanzionatorie 6.

A fortiori, l’affidamento del reclamo e della mediazione alla gestione di soggetti privati, similmente a quanto avviene nella mediazione civile e commerciale, avrebbe posto seri problemi di costituzionalità in relazione all’assetto dei pubblici poteri, generando il rischio di una “privatizzazione” del potere impositivo 7

.

In questo contesto è quindi da apprezzare la scelta di attribuire le funzioni connesse al reclamo e alla mediazione alla struttura che, all’interno dell’Agenzia delle Entrate, è

5 Come osserva C. Attardi, cit., soltanto l’Amministrazione finanziaria è legittimata ad emettere provvedimenti amministrativi di imposizione, a ritirarli in caso di illegittimità od infondatezza della pretesa, a rideterminare la pretesa stessa qualora vi siano margini per una diversa quantificazione dell’imponibile, magari con l’adesione del soggetto passivo del tributo, tramite gli istituti deflattivi vigenti basati sul consenso.

6 Così F. Pistolesi, Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, in Rass. trib. n. 1 del 2012, pag. 65.

7 Come giustamente sottolinea C. Attardi, cit., il nostro ordinamento consente che l’annullamento dell’atto possa essere disposto soltanto dall’Amministrazione emittente – nell’ambito del generale potere di autotutela, con il quale il potere di riesame per effetto di reclamo ha diversi punti di contatto e condivisione di presupposti ed effetti – oppure dal giudice tributario in esito all’azione di annullamento promossa dal contribuente. Pertanto, un reclamo affidato ad un privato si tradurrebbe in un’indebita attribuzione a quest’ultimo di un potere amministrativo. Analogamente, le medesime considerazioni riguarderebbero la mediazione fiscale, tendenzialmente volta alla conferma o alla rideterminazione della pretesa in funzione deflativa e giustiziale. La rideterminazione dei contenuti dell’obbligazione tributaria non può essere praticata da un mediatore privato, giacché soltanto l’Amministrazione e nemmeno il giudice possono assumere determinazioni tipicamente amministrative proprie ed esclusive dell’attività di controllo sugli adempimenti dei contribuenti. La legge assegna tale compito agli “Uffici delle imposte”, come solennemente affermato in materia di imposte sui redditi dall’art. 31 del d.p.r. n. 600/1973, rubricato, non a caso, “Attribuzioni degli uffici delle imposte”.

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deputata alla gestione delle controversie tributarie: senz’altro la più idonea ad esprimere un giudizio prognostico sulla sostenibilità delle liti 8.

Del resto, anche la Corte Costituzionale 9, nel dichiarare infondata la questione di incostituzionalità dell’art. 17-bis in relazione alla mancata previsione di un mediatore estraneo alle parti del rapporto d’imposta, ha sottolineato che “la mediazione tributaria (…) costituisce una forma di composizione pregiurisdizionale delle controversie basata sull’intesa raggiunta, fuori e prima del processo, dalle stesse parti (senza l’ausilio di terzi), che agiscono quindi su un piano di parità”. “Deve dunque escludersi” – secondo la Consulta – “che un tale procedimento conciliativo preprocessuale, il cui esito positivo è rimesso anche al consenso dello stesso contribuente, possa violare il suo diritto di difesa o il principio di ragionevolezza o, tanto meno, il diritto a non essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge”.

Sebbene non espressamente richiamate dall’art. 17-bis, si ritengono applicabili al procedimento di reclamo le disposizioni di cui agli articoli 10 e 11 del d.lgs. n. 546 del 1992, per quanto concerne, in particolare, l’individuazione della legitimatio ad causam, vale a dire della capacità di essere parte nel processo tributario, e della legitimatio ad processum, che consiste nell’attitudine del soggetto che ha la titolarità dell’azione a proporre la domanda e a compiere validamente gli atti processuali.

Ciò comporta che l’istanza di reclamo e di mediazione può essere alternativamente sottoscritta:

- dal contribuente che ha la capacità di stare in giudizio, sia direttamente sia a mezzo di procuratore generale o speciale; la procura va conferita con atto pubblico o per scrittura privata autenticata;

- dal rappresentante legale del contribuente che non ha la capacità di stare in giudizio. - dal difensore, nelle controversie di valore pari o superiore a 2.582,28 euro.

Alcuni problemi di coordinamento sorgono tra l’istituto de quo e le ipotesi di litisconsorzio necessario ravvisabili nel processo tributario.

8 G. Corasaniti, Trattazione dell’istanza, accordo e perfezionamento della mediazione, in Corr. trib. n. 19 del 2012, pag. 1441.

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Come è noto, a differenza del litisconsorzio facoltativo, che postula la diversità dei rapporti sostanziali dedotti e la pluralità di cause connesse, il litisconsorzio necessario è implicato dall’esistenza di un rapporto plurisoggettivo unitario che comporta la partecipazione al processo di tutti i soggetti del rapporto stesso, presupponendo l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari pretermessi pena, in difetto, la pronuncia di una sentenza inutiliter data 10.

Un caso tipico di litisconsorzio necessario nella materia tributaria è costituito dalle controversie che hanno ad oggetto gli accertamenti dei redditi delle società aderenti al regime del consolidato ex art. 40-bis del d.p.r. n. 600/1973, ove l’Ufficio notifica un unico atto alla consolidata e alla consolidante.

Qui l’unicità dell’atto non crea difficoltà nella determinazione del valore della lite e rende agevole la presentazione di un unico reclamo, seguito eventualmente da un’unica mediazione o da un unico ricorso.

Le cose di complicano quando vengono emessi provvedimenti di imposizione distinti, ancorché legati da un rapporto di pregiudizialità-dipendenza.

Il caso classico è rappresentato dagli accertamenti dei redditi delle società di persone o degli altri soggetti “trasparenti” e quelli, consequenziali, notificati ai soci in relazione ai redditi di partecipazione.

La configurabilità del litisconsorzio necessario, in questi casi, è stata affermata dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 4 giugno 2008, n. 14815 11.

Trattasi, però, di una dimensione esclusivamente processuale, giacché, come chiarisce l’Agenzia delle Entrate 12, “nella fase di mediazione i rapporti vanno considerati autonomi e

indipendenti”.

In altri termini, il potenziale vincolo litisconsortile non si riverbera sul procedimento di reclamo, coerentemente a quanto statuito dai giudici di legittimità con riferimento ad altri istituti deflattivi del contenzioso.

10 Cfr. art. 14 del d.lgs. n. 546/1992.

11 In Corr. trib. n. 28/2008, pag. 2270, con commento di M. Basilavecchia, in GT – Riv. giur. trib. n. 9/2008, pag. 758, con commento di M. Nussi, in Corr. giur. n. 12/2008, pag. 1704, con commento di C. Consolo e L. Baccaglini, e in banca dati BIG Suite, IPSOA.

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In particolare, si ricorda l’orientamento giurisprudenziale che, assimilando l’intervenuta conciliazione giudiziale ai casi di dichiarazione integrativa e di definizione della lite pendente 13, ha sostenuto che “i soci delle società di persone sono titolari di una soggettività tributaria autonoma rispetto a quella della società e le vicende del loro accertamento restano insensibili alle determinazioni che la società autonomamente assuma in relazione all’accertamento che la riguardi” 14

, citando, nella motivazione, pronunce precedenti all’intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte con cui è stata riconosciuta la sussistenza del litisconsorzio necessario tra soci e società di persone.

In seguito, si è talvolta escluso il litisconsorzio necessario tra società di persone e soci a fronte dell’intervenuto perfezionamento del concordato di massa da parte della società partecipata 15, ponendosi in consapevole contrasto con le pronunce che, muovendo dall’“unitarietà dell’accertamento” che è alla base della rettifica delle dichiarazioni delle società di persone e dei soci, concludono viceversa che, anche a fronte dell’accertamento con adesione posto in essere dalla società, il socio “ove non voglia conformarsi ad esso”, possa contestarlo, assumendo che il reddito della società era quello dalla stessa a suo tempo dichiarato, così introducendo una questione inscindibilmente comune tanto alla società, quanto a ciascun socio, con la conseguente configurabilità di una ipotesi di litisconsorzio necessario, non possedendo l’accertamento con adesione, sotto tale profilo, “peculiarità intrinseche tali da distinguerlo dalle altre forme di accertamento” 16

.

Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, pertanto, la società può concludere la mediazione autonomamente rispetto ai soci.

I soci a loro volta:

a) possono concludere la mediazione tenendo conto di quella conclusa dalla società;

b) possono concludere autonomamente la mediazione in relazione al proprio rapporto anche se la società non ha mediato in ordine al proprio;

13 Cass., Sez. trib., 4 agosto 2006, n. 17731; Id., 20 febbraio 2006, n. 3620; Id., 16 novembre 2001, n. 14392, tutte in banca dati BIG Suite, IPSOA.

14 Cass., Sez. trib., 11 aprile 2011, n. 8168, in banca dati BIG Suite, IPSOA.

15 Cfr., Cass., Sez. trib., 9 febbraio 2010, n. 2827, in banca dati BIG Suite, IPSOA; in termini, cfr. Cass., Sez. trib. 30 luglio 2009, n. 17716, ivi.

16 Cass., Sez. trib., 9 giugno 2009, n. 13224, in banca dati BIG Suite, IPSOA; Id., 27 maggio 2009, n. 12318, ivi; Id., Sez. trib., 15 maggio 2009, n. 11318.

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c) possono costituirsi in giudizio dopo aver infruttuosamente esperito la fase amministrativa della mediazione relativa al proprio reddito;

d) possono presentare direttamente ricorso al giudice tributario se il valore della lite relativa ai loro redditi è superiore a ventimila euro.

Con il che, evidentemente, il rischio di determinazioni contrastanti della base imponibile non risulta affatto scongiurato; anzi, a certe condizioni può ritenersi tollerato 17.

La soluzione al problema è data dal coordinamento tra gli uffici, aspetto sul quale la circolare n. 9/E del 2012 impartisce precise istruzioni operative.

Infatti, non esiste nel corpo del d.lgs n. 546/1992 una norma analoga all’art. 4 del d.lgs. n. 218/1997 che, in tema di accertamento con adesione, indica come competente per la definizione l’Ufficio determinato con riferimento al domicilio fiscale della società, sia per essa che per i soci, nonostante questi abbiano un diverso domicilio fiscale.

Così, in base al documento di prassi, se lo stesso Ufficio è competente sia per la società che per soci, questo gestisce e conclude i procedimenti di mediazione in modo unitario nei confronti di tutti gli istanti.

Se, al contrario, l’Ufficio competente nei confronti della società non è competente nei confronti di uno o più soci, fermo restando che ciascun Ufficio gestisce la fase di mediazione relativamente agli atti di propria competenza, l’Ufficio che riceve l’istanza relativa al reddito di partecipazione del socio deve coordinarsi con quello competente in ordine alla società. Perciò, se il rapporto con quest’ultima viene definito, gli accertamenti nei confronti dei soci devono essere “adeguati” in sede di autotutela.

In altri termini, l’eventuale annullamento totale o parziale o la mediazione sulla pretesa riguardante la società produce effetti “a cascata” sulla posizione dei soci, anche se questi non mediano o non rientrano nell’ambito di applicazione della mediazione. In questo caso le sanzioni calcolate sul reddito rideterminato devono essere irrogate per intero, in quanto non è applicabile la riduzione al 40% disposta dall’articolo 48 del d.lgs. n. 546 del 1992, la quale presuppone, appunto, la mediazione del socio.

17 Una ricognizione dei problemi che possono sorgere al riguardo è svolta da A. Cissello, Reclamo e

mediazione: tutela cautelare e litisconsorzio, in Il fisco n. 14/2012, 1-2109, che segnala ad esempio

l’incongruenza emergente nel caso in cui, definita la mediazione da parte di uno dei soci, il processo prosegua nei confronti degli altri soci e della società, e si concluda con l’integrale accoglimento o con l’integrale reiezione del ricorso.

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Nondimeno, persistendo contrapposti orientamenti, non può affatto ritenersi pacifico quanto affermato nella circolare n. 9/E del 2012, ovvero che “i rapporti vanno considerati autonomi e indipendenti”. Del resto, l’incertezza interpretativa traspare anche nel successivo paragrafo 2.3 della circolare, nel quale, con riferimento alle ipotesi di solidarietà, si afferma che l’Ufficio “gestisce e conclude i procedimenti di mediazione in modo coordinato nei confronti di tutti i coobbligati, che abbiano presentato o che potrebbero presentare l’istanza”, premettendo l’inciso “ove lo ritenga necessario od opportuno”, così manifestando dubbi sulla “necessità” o sulla mera “opportunità” della partecipazione di tutti i coobbligati alla fase del reclamo. In verità, anche alla luce dei temperamenti apportati dalla Sezione tributaria della Corte di Cassazione 18 al principio espresso dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n. 1052 del 2007 19, sembra potersi concludere che il vincolo di solidarietà non implichi l’unitarietà e l’inscindibilità del rapporto d’imposta: al contrario, è proprio la pluralità e l’autonomia dei rapporti facenti capo a ciascun coobbligato che giustifica, sul piano processuale, ed anche in sede di reclamo, l’esclusione del litisconsorzio necessario, e la conseguente ipotizzabilità di un processo solo facoltativamente litisconsortile tra condebitori solidali.

2. L’assistenza tecnica

Il reclamo è l’istanza che anticipa i contenuti del ricorso, del quale peraltro è destinata a produrre gli effetti nel caso in cui non si addivenga ad una composizione stragiudiziale della lite 20.

La sostanziale corrispondenza tra reclamo e ricorso è testimoniata dall’espresso rinvio che l’art. 17-bis, comma 6, del d.lgs. n. 546/1992 opera alle disposizioni concernenti: l’obbligo di assistenza tecnica (art. 12); gli elementi necessari del ricorso (art. 18); gli atti impugnabili

18 Cass., Sez. trib., ord. 3 marzo 2010, n. 5146, in banca dati BIG Suite, IPSOA; Id., 10 aprile 2009, n. 8782, ivi.

19 Cass., SS.UU., 18 gennaio 2007, n. 1052, in Corr. trib. n. 12/2007, pag. 997, con commento di F. Randazzo; cfr. l’Editoriale di C. Glendi, Le SS.UU. della Suprema Corte officiano i “funerali” della

solidarietà tributaria, in GT – Riv. giur. trib. n. 3/2007, pag. 189.

20 In questi stessi termini, v. M. Basilavecchia, Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti

pendenti, in Corr. trib. n. 31/2011, pag. 2492, secondo cui “il reclamo non consiste in altro che nella

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(art. 19); le modalità di proposizione del ricorso (art. 20); il termine per la proposizione del ricorso (art. 21); i documenti da depositare in sede di costituzione in giudizio del ricorrente (art. 22, comma 4).

Esaminiamone la compatibilità con l’istituto del reclamo, con esclusione dell’art. 19, alla cui disamina è stato dedicato il precedente capitolo.

L’attitudine del reclamo a trasformarsi ope legis in ricorso, nell’ipotesi in cui non sia accolto e non sia conclusa la mediazione entro il termine dilatorio di novanta giorni, induce a ritenere che tale atto debba essere predisposto con l’assistenza tecnica di un difensore abilitato (ad esempio, un dottore commercialista, un avvocato, un consulente del lavoro) 21. Detto obbligo viene meno, naturalmente, ove la causa sia di valore inferiore ad € 2.582,28 o venga proposta direttamente da un soggetto che è abilitato a prestare assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie 22.

Quanto alle modalità di conferimento dell’incarico al difensore tecnico, pare doversi osservare le forme previste per il rilascio della procura ad litem, quindi atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero mandato apposto in calce o a margine del reclamo 23. Peraltro, la facoltà di definire la controversia in sede di mediazione deve essere conferita espressamente, in quanto comporta una disposizione del diritto in contesa ai sensi dell’art. 84 c.p.c. 24.

Tuttavia, essendo il reclamo una fase amministrativa e non giurisdizionale, è lecito chiedersi se il contribuente possa presentare l’istanza senza alcuna assistenza – nei casi in cui sarebbe obbligatoria – o con l’assistenza di soggetti non abilitati a norma dell’art. 12 cit.

Una risposta affermativa pare potersi trarre dall’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza, in base al quale il ricorso presentato personalmente dal contribuente in

21 A. Cissello, Reclamo e mediazione: il procedimento e la stesura dell’atto, in Il fisco n. 13 del 26 marzo 2012, n. 1-1950.

22 Cfr. art. 12, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 546/1992.

23 In maniera conforme all’art. 12, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992.

24 Infatti, per il compimento degli atti che implicano la disposizione del diritto controverso non è sufficiente il solo mandato alle liti, occorrendo il conferimento al difensore di un apposito potere in tal senso mediante indicazione espressa nella procura. Ciò vale, del resto, per l’acquiescenza alla sentenza (Cass. 14 febbraio 2000, n. 1610), per la conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 546/1992 e per la rinuncia al ricorso (Cass. 15 luglio 2005, n. 15016).

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violazione dell’obbligo di assistenza tecnica non è ex se inammissibile, potendo l’inammissibilità essere dichiarata solo in seguito all’inottemperanza della parte all’ordine di munirsi di un difensore abilitato entro il termine assegnatogli dal giudice 25.

Sembra quindi ragionevole concludere che anche il reclamo possa essere presentato senza l’assistenza di un difensore abilitato e che, in ipotesi, questi possa essere nominato nel corso del procedimento amministrativo o del giudizio di primo grado 26.

Diversamente opinando si tradirebbero le aspettative di elasticità e snellezza dello strumento deflattivo; infatti, posto che l’ordine di nominare un difensore tecnico verrebbe impartito dopo il deposito del ricorso in commissione tributaria, quindi dopo che la fase di reclamo-mediazione ha avuto luogo, si dovrebbe ammettere che il giudice, nell’ordinare al contribuente di munirsi di un difensore, ordini altresì di riesperire la procedura di reclamo, che deve necessariamente precedere l’iter processuale 27

.

Per lo stesso principio per cui il mandato a presentare reclamo non implica di per sé l’esercizio delle funzioni proprie della difesa in giudizio, si arriva a sostenere che possa essere affidato anche a soggetti non abilitati all’assistenza tecnica davanti alle commissioni tributarie. Il riferimento è a coloro che, a norma dell’art. 63, comma 2, del d.p.r. n. 600/1973, possono assumere la rappresentanza del contribuente nei rapporti con gli uffici finanziari, ferma restando ovviamente l’eventuale necessità di nomina di un difensore abilitato in caso di conversione del reclamo in ricorso.

3. Il contenuto del reclamo e la sua integrabilità. La proposta di mediazione

L’articolo 18 del d.lgs. n. 546/1992 stabilisce il contenuto del ricorso e ne richiede la sottoscrizione a pena di inammissibilità. La sua applicazione al reclamo deve essere verificata tenendo conto di quanto disposto dall’art. 17-bis circa il contenuto di tale atto e circa lo svolgimento e i possibili esiti del relativo procedimento.

A rigore, l’indicazione della commissione tributaria adita dovrebbe essere sostituita da quella dell’organo destinatario del reclamo, ossia della Direzione regionale o provinciale

25 Cfr., per tutte, Cass., SS.UU., 2 dicembre 2004, n. 22601. 26 Così A. Turchi, cit.

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dell’Agenzia delle Entrate che ha emanato l’atto in contestazione o non ha disposto il rimborso richiesto (o, nei casi previsti, del centro operativo di Pescara). Il dubbio che il reclamo debba essere intestato non all’ufficio dell’Agenzia ma alla commissione tributaria competente a decidere l’eventuale successivo ricorso potrebbe essere ingenerato dal fatto che, ai sensi del nono comma dell’art. 17-bis, in caso di esito negativo del procedimento “il reclamo produce gli effetti del ricorso”, compreso quello di radicare la lite avanti alla commissione presso la quale il contribuente si costituisca in giudizio; e anche il modello di reclamo allegato alla circolare n. 9/E del 19 marzo 2012 è intestato alla commissione tributaria provinciale. In senso contrario a questa soluzione sembra tuttavia orientare il fatto che il reclamo dà inizio ad un procedimento amministrativo al quale il giudice tributario rimane del tutto estraneo, e che di “organo destinatario” del reclamo parla l’ottavo comma dello stesso art. 17-bis. Nelle ipotesi di conversione del reclamo in ricorso, le commissioni tributarie potranno dunque trovarsi investite di ricorsi a loro non intestati, senza però che ciò determini violazione dell’art. 18 del d.lgs. n. 546/1992. In ogni caso, il contribuente può indicare nell’atto sia l’ufficio dell’Agenzia destinatario del reclamo, che la commissione tributaria chiamata a decidere la successiva eventuale controversia.

L’indicazione della parte reclamante, del suo legale rappresentante e dell’organo destinatario del reclamo segue la disciplina prevista per il ricorso giurisdizionale. Se il reclamante è una persona fisica, vanno indicati nome, cognome e residenza.

Se si tratta di un soggetto legalmente rappresentato da altri, devono essere indicati anche nome e cognome del procurator. In alternativa alla residenza, può essere indicato il domicilio eletto in Italia. L’indicazione della residenza e l’elezione del domicilio hanno effetto per tutti i gradi del processo eventualmente instaurato 28.

Se il reclamante è soggetto diverso da una persona fisica, l’atto deve indicare, oltre alla denominazione o ragione sociale e alla sede legale, nome e cognome della persona titolare del potere di rappresentanza processuale.

La mancanza o l’assoluta incertezza di queste indicazioni inficiano l’istanza di reclamo rendendo inammissibile il successivo ricorso giurisdizionale, anche se è auspicabile che lo svolgimento della fase amministrativa di mediazione permetta di superare i dubbi generati da una inesatta identificazione delle parti interessate.

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Al contrario, non causano l’inammissibilità del successivo ricorso la mancanza o l’assoluta incertezza delle indicazioni relative al codice fiscale del reclamante e dell’eventuale difensore, all’indirizzo di posta elettronica certificata e al numero di fax di quest’ultimo o della parte 29.

Particolare attenzione dev’essere posta all’enunciazione dell’oggetto della domanda (il “petitum”) e dei motivi di impugnazione (le “causae petendi”), atteso che, in caso di mancato accoglimento del reclamo o di mancata conclusione della mediazione entro il termine di novanta giorni, il reclamo si converte automaticamente in ricorso.

Dunque, l’oggetto della domanda deve essere formulato con chiarezza già in sede di reclamo, non potendo più essere modificato una volta che sia scaduto il termine per la presentazione dell’istanza 30

.

Tradotto in termini operativi, se nel reclamo si insiste esclusivamente per il parziale annullamento dell’atto, nell’eventuale successiva fase giurisdizionale non potrà essere formulata la diversa domanda di annullamento totale. Ciò in quanto la parte del provvedimento non reclamata si consolida, per effetto del mancato esercizio del potere di impugnazione dell’intero atto 31

.

Il contenuto della domanda varia a seconda del fatto che il reclamo sia presentato contro un atto notificato (es. avviso di accertamento o di liquidazione del tributo, atto di contestazione, diniego espresso di rimborso), oppure a fronte di un silenzio rifiuto di rimborso: l’oggetto del reclamo è costituito, rispettivamente, dalla richiesta di annullamento dell’atto e dalla domanda di accertamento del credito vantato dal contribuente e di condanna dell’Ufficio alla restituzione. Come appena evidenziato, in presenza di provvedimenti a contenuto unitario ma divisibile – come avvisi di accertamento contenenti più riprese a tassazione o provvedimenti impositivi con contestuale irrogazione delle sanzioni – la domanda di annullamento può investire singole parti dell’atto, trattandosi appunto di statuizioni che, seppur funzionali alla produzione di un medesimo effetto (l’obbligazione tributaria) o di

29 Cfr. art. 16, comma 1-bis, d.lgs. n. 546/1992 e 125 c.p.c.

30 Secondo A. Turchi, cit., la presentazione di un valido reclamo non consuma il relativo potere, e il contribuente non perde la possibilità di proporre un secondo tempestivo reclamo per formulare nuove domande, nuovi motivi o nuove proposte di mediazione.

31 M. Bruzzone, L’“anticipazione” dei motivi dal ricorso al reclamo, in Corr. trib. n. 10 del 2012, pag. 709.

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effetti connessi (l’obbligazione sanzionatoria collaterale al debito d’imposta), restano autonome fra loro: sicché è possibile parlare di distinti capi dell’atto e riconoscere a ciascuno autonomo rilievo, anche per quanto concerne gli eventuali vizi. Ciò comporta la possibilità di richiedere l’annullamento parziale dell’atto, con riguardo a uno o ad alcuni dei capi in esso contenuti. L’autonomia della potestà sanzionatoria rispetto a quella di imposizione rende altresì configurabile il reclamo avverso il solo provvedimento riguardante le sanzioni, per motivi indipendenti dall’an e dal quantum dell’obbligazione tributaria.

L’omessa proposizione nel reclamo della domanda volta a ottenere l’annullamento totale o parziale dell’atto impedisce all’Ufficio di pronunciarsi in merito, e comporta l’inammissibilità del successivo eventuale ricorso. Visto l’automatismo con cui il reclamo si converte in ricorso, è inoltre da escludere che il contribuente possa proporre in giudizio domande non formulate nell’atto di reclamo, o modificare quelle formulate.

Il principio concerne anche i motivi di reclamo, coincidenti con i vizi dell’atto impugnabile afferenti ai diversi profili di illegittimità, formale o sostanziale, lamentati dal contribuente e tali da connotare in modo distinto e autonomo la domanda di annullamento.

Attesa la necessaria corrispondenza tra i motivi del reclamo e i motivi del ricorso, è fondamentale che il contribuente, fin dalla redazione del reclamo, individui e censuri tutte le patologie dell’atto, attraverso la deduzione di motivi specifici e circostanziati.

D’altronde, poiché tali motivi concorrono con la motivazione dell’atto impugnato a delimitare la materia del contendere nell’eventuale fase contenziosa, in linea di principio, non ne è ammessa l’integrazione in un momento successivo alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio, quand’anche esso rivesta le forme del reclamo, comunque potenzialmente idoneo a tramutarsi in ricorso ove il perseguito intento deflattivo del contenzioso non venga raggiunto. Al tempo stesso, dopo la proposizione del reclamo, non può consentirsi all’Ufficio, fuori dai casi in cui si giunga ad una mediazione concordata, di modificare la motivazione del proprio atto senza ricorrere all’autotutela sostitutiva, da esercitarsi entro i termini decadenziali normativamente imposti per l’esercizio della funzione impositiva, attraverso l’annullamento dell’atto illegittimo e la sua sostituzione con un altro provvedimento, esente da vizi. E, infatti, il reclamo non può rappresentare l’occasione per procedere surrettiziamente all’integrazione e/o alla modificazione dell’impianto motivazionale del provvedimento impositivo, non giustificandosi deroghe al

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“principio della immutabilità della contestazione contenuta nell’atto di accertamento”, nell’interesse unilaterale dell’ente impositore 32

.

Tale interpretazione costituzionalmente adeguata dei poteri dell’Amministrazione finanziaria esclude che l’indicata impossibilità (relativa) di ampliare i motivi di doglianza contenuti nel reclamo possa ledere il diritto di difesa del contribuente. D’altra parte, come osservato dalla Corte Costituzionale 33, anche per le controversie estranee all’ambito applicativo dell’art. 17-bis, il ricorrente deve, entro sessanta giorni dalla notificazione dell’atto impugnato, proporre il ricorso stesso e indicare in esso, tra l’altro, i “motivi” e l’“oggetto della domanda”. Perciò, il fatto che, per le controversie soggette all’obbligo della presentazione preliminare del reclamo, tali “motivi” e “oggetto della domanda” debbano essere resi noti prima dell’instaurazione della causa (quando ancora ci si trova in una fase amministrativa e pregiurisdizionale) non determina alcuna compressione delle facoltà difensive del privato. Infatti: a) nel caso in cui il reclamo venga accolto o la mediazione conclusa, il contribuente non avrà interesse ad adire la commissione tributaria; b) nei casi in cui, invece, decorra il termine dilatorio di novanta giorni dalla presentazione del reclamo senza che sia notificato l’accoglimento dello stesso o sia conclusa la mediazione o lo stesso reclamo venga, in tutto o in parte, respinto (e il contribuente, naturalmente, decida di adire l’autorità giudiziaria), il processo avrà ad oggetto lo stesso originario provvedimento amministrativo (nel caso di accoglimento parziale del reclamo, solo ridotto nella sua portata), nei confronti del quale il ricorrente ha potuto, nel consueto termine di sessanta giorni, esporre le proprie doglianze.

Invero, nella fase giurisdizionale, resta impregiudicata la facoltà delle parti di svolgere argomentazioni difensive attraverso il deposito di memorie illustrative, da effettuarsi perentoriamente entro dieci giorni liberi prima della data fissata per la trattazione del ricorso, ai sensi dell’art. 32 del d.lgs. n. 546/1992.

L’integrazione dei motivi di impugnazione originariamente dedotti, invece, è consentita esclusivamente quando “resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione”.

32 Cass., Sez. trib., ord. 29 marzo 2011, n. 7158, in banca dati BIG Suite, IPSOA. 33 C. Cost., sentenza 16 aprile 2014, n. 98, in banca dati fisconline.

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A norma dell’art. 24 del d.lgs. n. 546/1992, tale facoltà deve essere esercitata “entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha notizia di tale deposito”, nel rispetto di formalità procedimentali analoghe a quelle prescritte in caso di proposizione del ricorso.

L’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, nell’individuare precisamente le disposizioni applicabili al procedimento di reclamo e mediazione, non contiene alcun richiamo al citato art. 24.

Quid iuris, è lecito chiedersi se il contribuente possa avvalersi della facoltà di proporre motivi aggiunti anche nell’ipotesi in cui venga a conoscenza di nuovi documenti dopo la presentazione del reclamo ma prima della costituzione in giudizio.

In altri termini, la sopravvenuta conoscenza di documenti nuovi durante la fase di mediazione può giustificare l’integrazione dei motivi di reclamo/ricorso?

La risposta, ad avviso della dottrina, non può che essere affermativa. Sarebbe irragionevolmente lesivo del diritto alla difesa, e quindi costituzionalmente illegittimo, inibire l’esercizio della facoltà di dedurre motivi aggiunti nei soli confronti del contribuente che abbia acquisito conoscenza di nuovi documenti nel corso del procedimento instauratosi per effetto della proposizione, oltretutto obbligatoria, del reclamo, ed ammettere viceversa l’integrazione dei motivi se la conoscenza dei nuovi documenti sia intervenuta successivamente, in occasione del deposito dei documenti stessi nella successiva fase giurisdizionale 34.

Se l’ampliamento dei motivi di impugnazione ha carattere eccezionale, lo stesso non può dirsi per l’ipotesi opposta; qualora il reclamo sia stato parzialmente accolto (ovvero le parti siano addivenute ad una mediazione “parziale”), ed il contribuente intenda comunque costituirsi in giudizio, occorre rimodulare le difese alla luce del mutato oggetto del processo, che sarà limitato alla domanda di annullamento di quella parte dell’atto impugnato ancora controversa 35.

Inoltre, ove vengano dedotti, sia pure in via subordinata, motivi che, se accolti, giustificherebbero l’annullamento parziale dell’atto impugnato, può essere inserita nel reclamo anche l’eventuale proposta motivata di mediazione, “completa della

34 Per M. Bruzzone, cit., la Commissione tributaria, mediante ordinanza, potrebbe disporre d’ufficio l’acquisizione dei nuovi documenti, al fine di rendere possibile l’integrazione dei motivi, nel rispetto dei termini e delle procedure prescritte dall’art. 24.

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rideterminazione dell’ammontare della pretesa”. Nel corpo dell’atto introduttivo sarà opportuno tenere ben distinta la proposta di mediazione, se formulata subordinatamente alla domanda di annullamento integrale dell’atto, affinché detta proposta non possa essere erroneamente intesa, nell’eventuale successiva fase contenziosa, come parziale acquiescenza alla pretesa impositiva.

Il rischio, infatti, è che, approdata la lite in Commissione tributaria, il giudice sia condizionato dalla presenza di un’istanza proveniente dal contribuente in cui questi si dichiara disposto, sia pure in parte, ad accettare il pagamento di quanto richiesto o, entro certi limiti, anche il metodo accertativo scelto dall’Amministrazione 36

.

Dunque, per evitare che la proposta di mediazione leda la difesa del contribuente nella successiva fase processuale è opportuno richiedere la mediazione “in via subordinata” rispetto alla domanda di annullamento totale o parziale dell’atto 37.

I motivi del reclamo, con i quali si contesta l’illegittimità e/o comunque la totale infondatezza della pretesa impositiva, potenzialmente idonei, se fondati, a giustificare l’integrale annullamento dell’atto impugnato, rivestiranno rilevanza pregiudiziale rispetto ai motivi formulati a supporto della proposta di mediazione, motivi che, se ritenuti fondati dal giudice, potrebbero comunque giustificare, in ogni subordine, il parziale annullamento dell’atto impugnato.

Pertanto, a differenza della domanda di annullamento totale o parziale dell’atto reclamato (o, in caso rimborso, la domanda di accertamento del credito e di condanna dell’Amministrazione alla sua restituzione), che costituisce elemento imprescindibile del reclamo, pena, in difetto, l’inammissibilità del ricorso per carenza del petitum, la proposta di mediazione rappresenta una mera facoltà per il contribuente che va ad aggiungersi alle altre forme di definizione consensuale della pretesa tributaria di cui, in buona sostanza, costituisce un “doppione” 38

.

36 G. Sepio, La proposta di mediazione da parte del contribuente e i limiti del reclamo, in Corr. trib. n. 11/2012, pag. 771. Ad avviso dell’Autore, il contribuente per il motivo esposto nel testo, sarà indotto a presentare la proposta di mediazione nei casi in cui sia “consapevole della debolezza delle proprie tesi difensive” e quindi di avere scarse possibilità di vittoria.

37 Così M. Bruzzone, cit.

38 Sul punto, cfr. S. Capolupo, Mediazione tributaria e accertamento con adesione, in Corr. trib. n. 8/2012, pag. 584.

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In particolare, è opinione pressoché unanime quella secondo cui il contribuente possa instaurare dapprima il procedimento di accertamento con adesione, beneficiando della sospensione dei termini per ricorrere, per poi, in caso di esito negativo del contraddittorio, proporre il reclamo, eventualmente corredato della domanda di mediazione.

I termini di quest’ultima, tuttavia, possono discostarsi anche in maniera significativa dalle posizioni assunte nel procedimento di accertamento con adesione. Del resto, posto che il reclamo è destinato a produrre gli effetti del ricorso, nel caso in cui anche questo tentativo di definizione stragiudiziale della lite fallisca, esso dovrà necessariamente contenere tutte le eccezioni e le difese proponibili di fronte al giudice, anche al fine di non incappare nelle preclusioni processuali. Perciò, diversamente da quanto avviene nella fase di contraddittorio prodromica all’accertamento con adesione, il contribuente non potrà permettersi di attuare tattiche attendiste, selezionando preventivamente quali argomenti portare all’attenzione del Fisco, e quali invece riservarsi per l’eventuale fase contenziosa 39

.

In definitiva, il contribuente, in sede di reclamo, è costretto ad anticipare la sua strategia processuale, motivando in maniera completa e puntuale sia la richiesta di annullamento dell’atto impugnato sia l’eventuale proposta di revisione della pretesa impositiva.

Tant’è vero che una proposta apodittica non può essere presa in considerazione dall’Agenzia delle Entrate, la quale deve sempre esporre le ragioni che ne determinano l’operato. E tali ragioni non sussisterebbero affatto ove aderisse ad un’immotivata ipotesi di mediazione. Resta, peraltro, salva la possibilità per l’Organo amministrativo di comunicare una propria argomentata proposta di mediazione, pure al privato che ne avesse formulata una irricevibile in quanto non motivata 40.

39 Come osserva G. Sepio, cit., si tratta di tattiche difensive di scarso effetto a meno che l’adesione non riguardi un momento precedente rispetto alla formazione dell’atto accertativo: ad esempio, accertamento con adesione a seguito di notifica di un p.v.c. Una volta emesso l’avviso di accertamento, infatti, la posizione del Fisco si cristallizza anche sotto il profilo processuale, dal momento che per la parte erariale è l’atto a delimitare la materia del contendere, perciò anche nella fase di accertamento con adesione, come del resto nel reclamo, andrebbero proposte tutte le contestazioni sia di merito che relative alla legittimità del procedimento amministrativo (ad esempio, durata della verifica presso il contribuente, mancanza delle autorizzazioni, ecc.). E’ innegabile allora che, almeno sotto questo aspetto, il contribuente si ritroverà, qualora abbia formulato l’istanza di accertamento con adesione, a dover ripetere le proprie censure avverso l’atto impositivo.

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Invece, l’eventuale mancanza della “rideterminazione dell’ammontare della pretesa” impositiva, nonché di quella sanzionatoria, così come il suo erroneo computo, non inficia la proposta di mediazione. Del resto, l’esatta e definitiva enunciazione del quantum debeatur non può che competere all’Agenzia delle Entrate, anche qualora aderisca in toto all’ipotesi di mediazione del contribuente.

Quel che conta, quindi, è che detta proposta sia adeguatamente motivata affinché l’organo deputato a vagliarla ne possa comprendere le ragioni e i termini 41.

Alla luce dell’analisi costi-benefici connessi alla formulazione di una proposta di mediazione da parte del contribuente è ragionevole ritenere che, nella maggior parte dei casi, il reclamo conterrà unicamente la richiesta di annullamento totale o parziale dell’atto impositivo sulla scorta di tutti i motivi deducibili a sostegno del ricorso. In questo modo, il contribuente evita di mettere “nero su bianco” affermazioni che implichino l’accettazione, ancorché condizionata e parziale, dei rilievi mossi dall’Ufficio e che quindi possano inficiarne la tesi difensiva. Al contempo, però, non chiude la porta ad un’eventuale proposta di mediazione da parte dell’Amministrazione finanziaria, da valutare serenamente in contraddittorio senza doversi preoccupare dei successivi risvolti processuali.

È probabile, infatti, che il comportamento delle parti, durante la fase di negoziazione, ricalchi quanto già avviene in sede di accertamento con adesione, dove sia il contribuente che l’Ufficio tendono ad evitare di formalizzare per iscritto le proprie proposte onde scongiurare il rischio che quanto indicato possa trasformarsi in un’ammissione da far valere davanti al giudice.

L’eventualità che sia l’Agenzia delle Entrate ad avanzare, di propria iniziativa, una proposta di mediazione, con potenziale rideterminazione della pretesa originaria, sembra accreditata dal tenore dell’art. 17-bis, comma 8, del d.lgs. n. 546/1992, in base al quale, in caso di mancato accoglimento del reclamo (e dell’eventuale proposta di mediazione del contribuente), l’organo amministrativo “formula d’ufficio una proposta di mediazione avuto riguardo all’eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell’azione amministrativa”.

Benché la disposizione in esame lasci intendere che sussista un obbligo siffatto in capo all’Agenzia delle Entrate, la dottrina è di tutt’altro avviso 42

.

41 F. Pistolesi, cit.

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D’altronde, affermare che il Fisco sia immancabilmente tenuto a rinunciare, ancorché parzialmente, ad una pretesa che ritenga legittima e fondata, sarebbe irrazionale e lesivo dei principi di legalità, di capacità contributiva, di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa 43.

Nello stesso senso si esprime la Circolare n. 9/E del 19 marzo 2012, par. 6, laddove invita gli uffici periferici a comunicare la proposta di mediazione “quando opportuno”.

Una soluzione ragionevole e di fatto praticata è la seguente: nei casi in cui gli Uffici Legali dell’Agenzia delle Entrate non ravvisino i presupposti per accordare una riduzione dell’iniziale pretesa tributaria, essi propongono, di norma, l’abbattimento delle sole sanzioni irrogate, nella misura prevista dall’art. 48 del d.lgs. n. 546/1992, richiamato espressamente dal comma 8 dell’art. 17-bis. Ciò al solo fine di deflazionare il contenzioso tributario.

In questo modo, infatti, le ipotesi di diniego totale o parziale dell’istanza di reclamo assumumono valenza residuale, trovando applicazione solamente in quei contesti in cui la mediazione “al cento per cento dell’imposta” con riduzione delle sole sanzioni non è in concreto percorribile (si pensi, ad esempio, alle liti di rimborso o alle controversie che riguardano atti impositivi privi di sanzioni oppure provvedimenti irrogativi di sanzioni non definibili in via agevolata).

Tale modus operandi tiene fermo l’incentivo alla mediazione, consistente nella riduzione delle sanzioni al quaranta per cento, ma nel contempo evita che i contribuenti siano indotti a commettere gli illeciti tributari nella convinzione di poter sempre spuntare uno “sconto” sulle maggiori imposte accertate. Esito, questo, che spianerebbe la strada a tanto evidenti quanto ingiustificati benefici, spogliando l’istituto di ogni logica sul piano sistematico. Naturalmente, nel formulare la proposta di mediazione l’Ufficio può rivedere la motivazione del provvedimento reclamato e mutarne alcuni profili di fatto e di diritto; fermo restando però che, in caso di esito negativo del procedimento e di conseguente conversione del reclamo in ricorso, le nuove ragioni addotte in sede di mediazione non possono trovare

42 Come rileva A. Turchi, cit., si tratterebbe in ogni caso di un dovere dai confini molto incerti, perché correlato all’esistenza di parametri (l’eventuale incertezza delle questioni controverse, il grado di sostenibilità della pretesa e il principio di economicità dell’azione amministrativa) che nel caso concreto potrebbero orientare non tanto alla ricerca di una definizione mediata della controversia, quanto alla conferma integrale del provvedimento reclamato.

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ingresso nel giudizio avanti alla Commissione tributaria, dovendo l’Ufficio limitarsi a difendere il provvedimento impugnato 44.

È opinione condivisa che il reclamo, in quanto suscettibile di convertirsi in ricorso, possa contenere anche la richiesta di sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato e di discussione della causa in pubblica udienza 45.

4. I documenti da allegare al reclamo

Poiché la procedura di reclamo è diretta a valutare le concrete possibilità di evitare il contenzioso, sussiste l’esigenza, per l’Ufficio, di effettuare un esame preliminare dei motivi di impugnazione dell’atto nonché dei documenti che l’istante intende produrre in giudizio perché ritenuti idonei a dimostrare la fondatezza delle censure mosse avverso l’atto impugnato.

A tal fine, in virtù dell’espresso rinvio disposto dal comma 6 dell’articolo 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, trova applicazione l’articolo 22, comma 4, del medesimo decreto, secondo cui “Unitamente al ricorso ed ai documenti previsti al comma 1, il ricorrente deposita il proprio fascicolo, con l'originale o la fotocopia dell'atto impugnato, se notificato, ed i documenti che produce, in originale o fotocopia”.

Pertanto, in base al combinato disposto delle norme sopra richiamate, quando il contribuente consegna o spedisce il reclamo alla parte reclamata, o successivamente in pendenza del termine dilatorio di novanta giorni previsto per il procedimento de quo, deve depositare presso l’Agenzia delle Entrate anche:

- la copia del provvedimento impugnato;

- tutti i documenti (in originale o in fotocopia) che, in caso di esito negativo della fase di mediazione e di eventuale costituzione in giudizio, egli intenderebbe allegare al ricorso e

44 Chiaro su quest’ultimo punto, F. Tesauro, Manuale del processo tributario, Torino, 2009, pag. 148. Il divieto per l’Ufficio di mutare in corso di causa “i termini della contestazione, deducendo motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell’atto di accertamento”, è ribadito dalla giurisprudenza di legittimità: così, ex multis, Cass., 29 marzo 2011, n. 7158, in banca dati fisconline; Id., 16 luglio 2010, n. 16724, ibid.; Id., 29 ottobre 2008, n. 25909, ibid.

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depositare presso la segreteria della Commissione tributaria provinciale, con il proprio fascicolo di causa 46.

È preferibile che i documenti in questione siano prodotti in allegato al reclamo, onde consentire all’Agenzia di procedere con immediatezza alla valutazione dell’istanza.

Si ritiene, in ogni caso, che la mancata allegazione di atti o documenti già in possesso dell’Ufficio, non costituisca motivo di rigetto del reclamo.

Di contro, la mancata allegazione di atti o documenti non in possesso dell’Ufficio potrebbe rendere l’istanza incompleta e quindi non conforme al ricorso, completo di allegati, eventualmente depositato in Commissione al termine del procedimento.

La tesi suddetta, sostenuta dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 9 del 2012, par. 2.6., sembrerebbe alludere ad una vera e propria causa di inammissibilità del reclamo/ricorso. Tale estrema conseguenza, tuttavia, non è desumibile dal dettato normativo, ove la conformità richiesta dall’art. 22, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992 deve sussistere tra l’esemplare del ricorso (rectius, reclamo) notificato all’Ufficio e quello depositato presso la segreteria della commissione, senza considerare i relativi allegati 47. Se il reclamo non ha esito positivo, la legge non impedisce al contribuente di produrre in giudizio documenti ulteriori rispetto a quelli esibiti all’Ufficio, purché sia rispettato il termine previsto dall’art. 32 (venti giorni liberi prima della data di trattazione della controversia). A maggior ragione, non può ritenersi preclusa la possibilità di depositare in commissione documenti menzionati, ma non allegati al reclamo, ma sarebbe contrario ai principi di buona fede e correttezza di cui all’art. 10 della l. n. 212/2000, oltre che di celerità ed efficienza della tutela giurisdizionale ritraibili dall’art. 111 Cost., riservare alla fase giudiziale le prove che potrebbero assumere rilievo decisivo ai fini della condivisione della tesi difensiva del privato.

5. La proposizione del reclamo

46 I documenti comprovanti la notifica del reclamo, quali ad esempio la copia della ricevuta di spedizione e dell’avviso di ricevimento, devono essere depositati solo in occasione dell’eventuale costituzione in giudizio. Di essi, infatti, l’Agenzia delle Entrate può fare a meno per verificare la rituale e tempestiva proposizione del reclamo.

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Le modalità e i termini di presentazione del reclamo sono gli stessi del ricorso giurisdizionale, stante il rinvio espresso agli articoli 20 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 ad opera del comma 6 dell’art. 17-bis.

A sua volta l’art. 20, al comma 1, richiama l’art. 16, commi 2 e 3, del decreto sul contenzioso tributario, per il quale “le notificazioni sono fatte secondo le norme degli articoli 137 e seguenti del codice di procedura civile, salvo quanto disposto dall’art. 17. Le notificazioni possono essere fatte anche direttamente a mezzo del servizio postale mediante spedizione dell'atto in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento, sul quale non sono apposti segni o indicazioni dai quali possa desumersi il contenuto dell'atto, ovvero all'ufficio del Ministero delle finanze ed all'ente locale mediante consegna dell'atto all'impiegato addetto che ne rilascia ricevuta sulla copia”.

Pertanto, la notifica del reclamo alla Direzione Provinciale (o Regionale) dell’Agenzia delle Entrate che ha emanato l’atto reclamato o non ha emanato l’atto richiesto deve essere effettuata secondo una delle seguenti modalità 48:

a mezzo di ufficiale giudiziario, con le forme previste dall’articolo 137 e seguenti del codice di procedura civile 49;

mediante consegna diretta all’Ufficio dell’Agenzia delle entrate, che ne rilascia ricevuta; mediante spedizione postale in plico senza busta raccomandato con avviso di ricevimento

50

.

Nella pratica possono sorgere problemi analoghi a quelli che attengono al rispetto delle modalità di notifica del ricorso giurisdizionale, concernenti ad esempio la sorte del ricorso – e, ora, anche del reclamo – spedito in busta chiusa, per posta ordinaria o con raccomandata semplice: ma la soluzione di questi problemi deve tener conto delle peculiarità della

48 Si rammenta che, in attesa dell’emanazione del regolamento previsto dall’articolo 39, comma 8, lettera d), del d.l. n. 98 del 2011, nel processo tributario non è ammessa la notifica del ricorso tramite posta elettronica certificata (PEC).

49 In questo caso il pubblico ufficiale consegna copia autentica dell’atto al destinatario e restituisce l’originale al soggetto che ha richiesto la notifica, con apposita relazione ex art. 148 c.p.c..; nei casi, invece, di spedizione postale o di consegna, il ricorrente/reclamante spedisce o consegna l’originale dell’atto alla controparte e ne deposita copia conforme per la costituzione in giudizio.

50 In tal caso il reclamo si intende proposto al momento della spedizione a norma dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992.

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fattispecie regolata dall’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992, alla quale non sono tout court applicabili le conclusioni cui la giurisprudenza è pervenuta nell’interpretare l’art. 20.

Nel silenzio della legge, la Corte di Cassazione ha ritenuto a volte che la spedizione postale del ricorso in busta chiusa, priva di qualsiasi indicazione relativa all’atto in essa contenuto, costituisse una mera irregolarità ove il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non fossero contestati, essendo altrimenti onere del ricorrente provare l’infondatezza della contestazione mossa dall’Ufficio 51

; e ha altre volte considerato nulla tale notifica per violazione di un essenziale requisito di forma, ammettendo però la sanatoria della nullità per effetto della costituzione in giudizio della parte resistente 52.

Nel caso del reclamo, eventuali vizi formali di notifica dovrebbero risultare irrilevanti in tutte le ipotesi in cui l’Agenzia delle Entrate venga comunque in possesso dell’atto e – come la legge prevede – dia corso al relativo procedimento. In altri termini, l’effetto sanante di un’eventuale nullità, prodotto in sede processuale dalla costituzione in giudizio della parte resistente, risulterebbe qui anticipato al momento della ricezione del reclamo da parte dell’Ufficio destinatario, tenuto ex lege alla relativa istruttoria a prescindere dall’esistenza di vizi di notifica dell’atto stesso 53

.

Non vanno sottaciuti, tuttavia, gli importanti principi affermati dalla Suprema Corte in ordine alla data di efficacia della notificazione a mezzo posta: ogni qualvolta i giudici di legittimità si sono espressi riconoscendo l’uso della busta, anziché del plico raccomandato, come una mera irregolarità, ne hanno tratto la conseguenza che, ai fini della tempestività del ricorso (ed ora del reclamo), fa fede la data di spedizione 54. Di contro, quando l’organo di nomofilachia ha seguito un’interpretazione più rigorosa del disposto dell’art. 20, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, per il quale "La spedizione del ricorso a mezzo posta dev'essere fatta in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento. In tal caso il ricorso s'intende proposto al momento della spedizione nelle forme sopra indicate", ha coerentemente ritenuto che, in caso di inserimento dell'atto in una busta, la tempestività dell'inoltro non

51 Cass., 12.06.2009, n. 13666, in banca dati fisconline; Id., 13.11.2008, n. 27052, in Boll. trib., 2009, pag. 158.

52 Cass., 14.04.2010, n. 8846, in Il fisco, 2010, fascicolo n. 1, pag. 3174. 53 Così A. Turchi, cit.

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possa rilevarsi dalla sua spedizione, ma piuttosto dalla sua ricezione, con la conseguenza che l'eventuale superamento del termine massimo stabilito per il compimento dell'atto, che si intendeva porre in essere, determina inesorabilmente l'inammissibilità dell'atto medesimo

55

.

I principi testé richiamati si estendono anche al reclamo. Quest’ultimo, infatti, deve essere notificato entro i termini previsti per il ricorso, vale a dire:

- entro sessanta giorni dalla data di notifica dell’atto che il contribuente intende impugnare, a pena di decadenza 56;

- ovvero, nel caso di rifiuto tacito opposto ad un’istanza di rimborso, dopo il novantesimo giorno dalla relativa domanda presentata entro i termini previsti da ciascuna legge d’imposta e fino a quando il diritto alla restituzione non è prescritto 57.

La proposizione tempestiva del reclamo, data la stretta connessione funzionale tra la fase amministrativa preprocessuale e quella propriamente giurisdizionale innanzi alle Commissioni tributarie, produce i medesimi effetti giuridici che scaturiscono dalla notifica dell’atto introduttivo del giudizio: sia effetti sul piano sostanziale, come quello di impedire la definitività del provvedimento impugnato o la prescrizione del diritto al rimborso, sia effetti sul piano processuale (litispendenza 58, c.d. perpetuatio iurisdictionis 59).

In altre parole, dal punto di vista degli effetti, la notificazione del reclamo – in relazione alle controversie che rientrano nel suo ambito di applicazione – equivale a quella del ricorso 60. Tale constatazione induce a ritenere che il termine di presentazione del reclamo rimanga sospeso nel periodo compreso tra il 1° ed il 31 agosto di ogni anno (c.d. sospensione feriale

55 Cfr., ex multis, Cass., n. 27067/2006.

56 Cfr. art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992. 57 Cfr. art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992.

58 Si ricorda che, per effetto della litispendenza, si determina la carenza di potere del giudice successivamente adito a pronunciarsi sul merito della domanda già proposta davanti ad altro giudice (articolo 39 c.p.c.).

59 Per effetto di tale istituto, sono irrilevanti, rispetto alla determinazione del giudice fornito di giurisdizione e di competenza, i mutamenti della legge vigente e dello stato di fatto successivi al momento della proposizione della domanda (articolo 5 c.p.c.).

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dei termini processuali di cui all’art. 1 della l. 7 ottobre 1969, n. 742 61

. Ciò benché il reclamo non costituisca ab origine un atto processuale, ma lo divenga solo in seguito all’esito negativo del relativo procedimento.

Allo stesso modo, si ritiene applicabile il disposto dell’articolo 6, comma 3, del d.lgs. n. 218 del 1997 che, in caso di presentazione di istanza di accertamento con adesione, prevede la sospensione per novanta giorni del termine di impugnazione dell’atto impositivo 62

. Ovviamente, ai fini in esame, il reclamo deve considerarsi “impugnazione” alla stregua del ricorso giurisdizionale.

Analogo principio dovrebbe valere nelle ipotesi in cui l’art. 40, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992 dispone la proroga di sei mesi del termine per impugnare: si tratta degli eventi interruttivi che colpiscono la parte o il suo rappresentante prima della proposizione del ricorso (ai sensi dell’art. 40, comma 1, “Il processo è interrotto se, dopo la proposizione del ricorso, si verifica: a) il venir meno, per morte o altre cause, o la perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti, diversa dall’ufficio tributario, o del suo legale rappresentante o la cessazione di tale rappresentanza” (...)).

In tali ipotesi anche il termine per presentare reclamo dovrebbe ritenersi prorogato ex lege a decorrere dalla data dell’evento 63

, sì da garantire il principio del contraddittorio nella fase preprocessuale.

Fatte salve le sospensioni e le proroghe anzidette, la tardiva presentazione del reclamo comporta, in linea di principio, l’inammissibilità del successivo ricorso depositato in Commissione.

Ciò, sempreché non sussistano valide ragioni che giustificano la rimessione in termini della parte privata, sulla scorta di quanto dispone l’art. 153, comma 2, c.p.c., norma senza dubbio applicabile anche al processo tributario in virtù dell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992.

61 Così riformulato dal comma 1 dell’art. 16, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla l. 10 novembre 2014, n. 162. Il precedente periodo di sospensione feriale dei termini processuali, in vigore fino al 2014, andava dal 1° agosto al 15 settembre.

62 Nel senso dell’operatività della sospensione del termine per il reclamo per effetto della preventiva domanda di adesione, R. Lunelli, Reclamo: rapporti con gli altri istituti deflativi del contenzioso, in Guida ai controlli fiscali n. 11/2011, pag. 61.

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Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate non fornisce chiarimenti ufficiali sul coordinamento tra l’istituto della rimessione in termini ed il procedimento di reclamo-mediazione.

La funzione deflattiva e, in una certa misura, “anticipatoria” del probabile esito del giudizio che caratterizza quest’ultimo portano a ritenere che, in caso di notifica tardiva del reclamo, l’Ufficio possa reagire in due modi:

a) limitarsi a respingere il reclamo o, addirittura, restare inerte attendendo la scadenza del termine (novanta giorni dalla presentazione dell’atto) previsto dalla legge per la sua conversione in ricorso. A quel punto, il reclamo si trasformerebbe in un ricorso inammissibile perché tardivo, fatta salva – ripetesi – la rimessione in termini del contribuente da parte della commissione tributaria (il giudice potrebbe infatti rigettare l’eccezione di inammissibilità rimettendo in termini il contribuente ed esaminare nel merito la causa);

b) esaminare comunque nel merito il reclamo tardivo e, se ritenuto fondato, accoglierlo in tutto o in parte, nella considerazione che anche i provvedimenti di imposizione divenuti definitivi perché non tempestivamente impugnati possono essere annullati in via di autotutela. In queste situazioni, il reclamo produce effetti del tutto analoghi a quelli dell’istanza di annullamento di un atto definitivo e come tale va considerato dall’Ufficio.

La scelta dell’uno o dell’altro comportamento non può chiaramente prescindere da un’indagine circa l’esistenza nel caso concreto dei presupposti che consentono la rimessione in termini del contribuente (ad esempio, perché la scadenza del termine di presentazione del reclamo è coincisa con un periodo di degenza del contribuente stesso) 64.

6. La trattazione del reclamo e i possibili esiti. L’accordo di mediazione

Pervenuta l’istanza al competente Ufficio Legale dell’Agenzia delle Entrate, prende avvio il procedimento volto a valutare le possibilità concrete di evitare il giudizio, se del caso anche attraverso la conclusione di un accordo di mediazione. Tale fase, per espressa disposizione di legge, deve concludersi nell’arco di novanta giorni.

64 A. Cissello, ult. op. cit.

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