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CONCLUSIONI
Il lavoro effettuato sul testo e sulla sua contestualizzazione mi ha indotto a un’ultima riflessione personale sul ruolo del traduttore, sul suo rapporto sia con il testo di partenza che con il lettore e su come io abbia applicato tutto questo al testo in traduzione.
Come dice Cavagnoli in La voce del testo
la traduzione non è una semplice procedura tecnica, e soprattutto non è mai un gesto meccanico. Richiede un processo di riflessione e un bagaglio interdisciplinare che permette di individuare i fattori coinvolti nella trasposizione di un testo da una cultura all’altra.1
Il primo requisito del traduttore è un’ottima conoscenza della lingua di partenza e un’ancor migliore conoscenza della lingua di arrivo. Per questo è necessario leggere testi stranieri ma è importante non trascurare quelli italiani. In fondo, tradurre è come arrangiare una melodia con altri strumenti: è fondamentale avere padronanza delle note (le parole) e degli strumenti musicali di partenza (la lingua straniera), ma è altrettanto importante saper suonare gli strumenti di cui si dispone per ricreare la melodia, e per farlo bisogna imparare dai migliori musicisti.
Il secondo requisito del traduttore è la curiosità, l’avidità di sapere. Il traduttore deve conoscere non soltanto la lingua da cui traduce e quella in cui traduce, ma deve conoscere quanto più possibile l’autore, il suo stile e le sue opere
1 Cfr. Cavagnoli, Franca, La voce del testo. L’arte e il mestiere di tradurre, Milano, Feltrinelli, 2012, p. 36, da qui in poi abbreviato in V.T. Quanto riportato in questa tesi come citazione dai suoi libri, è stato riproposto dalla stessa Cavagnoli al seminario di traduzione letteraria dall’inglese cui ho avuto il piacere di partecipare nell’ambito del Pisa Book Festival 2013, nel quale si affrontava un excursus nella letteratura americana tra diversi usi linguistici, epoche e culture.
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precedenti per cogliere riferimenti, sfumature e significati ulteriori in ciò che traduce. Inoltre, il traduttore deve arricchire senza sosta la propria cultura generale, per riuscire a entrare sempre più in sintonia con la cultura di provenienza dell’opera da tradurre e con quella in cui quest’opera va trapiantata.
Saranno poi la sua sensibilità e abilità linguistica a trasportare il microcosmo del prototesto (azioni, descrizioni, dialoghi, riferimenti al macrocosmo della realtà) nel microcosmo del metatesto.
Il terzo requisito è la diplomazia. Il traduttore è chiuso tra due poli d’attrazione, il testo di partenza e il lettore, e andare in una direzione piuttosto che in un’altra implica l’addomesticamento o lo straniamento di cui si è detto nel commento. In questo caso l’abilità del traduttore starà nel bilanciare quest’attrazione senza offendere nessuna delle parti in causa: deve cercare di rimanere fedele al prototesto in modo equilibrato, senza snaturarlo o reinventarlo (“ci sono delle traduzioni che […] riescono a dire di più degli originali. Ma di solito questo evento […] pone capo a un’opera apprezzabile di per se stessa, non come versione del testo fonte”2); allo stesso tempo non deve perdere di vista le esigenze del lettore e fare in modo che questi riesca a seguirlo.
Il traduttore non deve mai dimenticare che il suo lavoro esiste grazie al lettore, grazie a qualcuno che, per diletto o necessità, vuole conoscere il significato di ciò che è scritto in un’altra lingua: senza lettore non c’è traduttore.
Quest’ultimo ha il compito di trasferire forma e contenuto, e per tornare alla metafora musicale usata poche righe sopra, dobbiamo chiederci se questo arrangiamento non debba tener conto dei gusti del pubblico. Uno dei primi
2 Cfr. Eco, Umberto, op. cit., p. 110.
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accorgimenti che il traduttore deve prendere è chiedersi per chi traduce, tracciare un profilo del suo lettore3, e si tratta, a mio avviso, dell’accorgimento che sta alla base di tutta la traduzione, perché le scelte dovranno essere pensate in relazione al destinatario: un conto è tradurre per un pubblico ristretto di intenditori, un conto è farlo per un pubblico più vasto e variegato. Più il lettore ideale è indefinibile, più il traduttore deve calibrare il testo di arrivo per raggiungerlo. In questo caso, nella scelta tra assecondare il destinatario della traduzione (impigrendolo) e fornirgli un testo ricco di elementi stranianti (stimolandone la curiosità)4, ritengo che la cosa più indicata sia cercare, quanto più possibile, un giusto mezzo, soprattutto se parliamo di narrativa che apre spunti di riflessione ma che può anche essere destinata a un momento di svago.
Mettendomi nei panni del lettore – e il traduttore è, prima di tutto, un lettore – ho considerato Sweet Hope un romanzo che rispecchia proprio questa tipologia e può essere letto con più intenzioni. Ho cercato, quindi, di proporre una traduzione che, oltre ai contenuti e allo stile dell’autrice, rispettasse il sapore del testo di partenza in modo conforme alle varie tipologie di destinatario che il romanzo storico può abbracciare, dove sia il lettore che il testo di partenza si sentissero a proprio agio e potessero riconoscersi.
Ritengo di aver approcciato il testo con occhio critico e con passione, sentendomi “Primo Lettore” (“la prima insidia per quel lettore particolare e con grandi responsabilità che è il traduttore è proprio costituita dalla lettura del testo, dalla sua percezione”5) ma cercando di adottare frequentemente anche la visione
3 Cfr. Cavagnoli, Franca, V.T., p. 24.
4 Cfr. Morini, Massimiliano, La traduzione. Teorie, strumenti, pratiche, Milano, Sironi Editore, 2007, p. 43.
5 Cfr. Cavagnoli, Franca, V.T., p. 16.
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del “Lettore Comune”, senza smettere mai di chiedermi quale fosse l’effetto delle mie scelte sul destinatario e preoccupandomi di rispettare quella che, nella mia interpretazione, era l’intenzione dell’autrice.
Per tornare alla metafora musicale con cui ho aperto la mia riflessione, ho cercato di accordare al meglio il mio strumento. La parola adesso passa al lettore:
è suo il compito di giudicare la melodia.