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1.2 Composti dell’antimonio

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Academic year: 2021

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RIASSUNTO

Parole chiave: antimonio, antimoniato di N-metilglucamina, cardiotossicità, elettrocardiogramma.

I composti pentavalenti dell’antimonio sono i principali farmaci utilizzati per il trattamento della Leishmaniosi. La loro cardiotossicità è stata provata da diversi studi condotti sull’uomo e su colture di miociti animali. Gli effetti tossici dell’antimonio sarebbero legati a un’alterazione dell’omeostasi del calcio e all’instaurarsi di uno stress ossidativo a livello dei miociti. Tali squilibri provocherebbero alterazioni nel processo della ripolarizzazione cellulare, influenzando quindi, l’attività contrattile cardiaca. Gli studi elettrocardiografici condotti sull’uomo infatti, hanno evidenziato un ritardo nella ripolarizzazione ventricolare, con conseguente bradicardia, alterazioni dell’onda T e del tratto ST, prolungamento del QTc che predispone ad aritmie (torsione di punta). Lo scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare un’eventuale cardiotossicità dell’antimoniato di N-metilglucamina (Glucatime®) nel cane, effettuando un tracciato elettrocardiografico, prima e dopo un ciclo di terapia.

ABSTRACT

Key words: antimony, N-methylglucamine antimoniate, cardiotoxicity, electrocardiogram.

Pentavalent antimonial compounds represent the main drugs for the treatment of Leishmaniasis. Their cardiotoxicity has been proved by different studies carried out on humans and on animal myocyte cultures. The toxic effects of antimony can be linked to an alteration of Ca++ homeostasis and to the induction of oxidative stress in the myocytes. This imbalance causes changes in cellular repolarization.

Electrocardiographic studies carried out on humans have actually highlighted a delay in ventricular repolarization, with a consequent bradycardia, changes in the T wave and the ST segment and a QTc prolongation that can predispose to arrhythmia (torsades de pointes). The purpose of this work is to evaluate the possible cardiotoxicity of N-methylglucamine antimoniate (Glucatime®) in dogs, by making an ECG trace before and another one after a cycle of therapy.

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Introduzione... ...3

1. L’ANTIMONIO...5

1.1 Storia, etimologia e descrizione chimica...5

1.2 Composti dell’antimonio...7

1.3 Tossicità...8

1.3.1 Effetti sulla salute ...9

1.4 Utilizzo dell’antimonio nelle industrie. ...11

1.4.1 Casi di intossicazione per esposizione sul posto di lavoro...11

1.5 Utilizzo dell’antimonio nella medicina...14

2. GLUCANTIME®...16

2.1 Utilizzo e composizione ...16

2.2 Farmacodinamica…...….... ...18

2.3 Farmacocinetica...18

2.4 Tossicità ed effetti collaterali...20

3. ELETTROFISIOLOGIA CARDIACA...22

3.1 Il tessuto miocardico ...22

3.1.1 Potenziale d’azione e risposta meccanica ...24

3.2 Origine del battito cardiaco ...25

3.3 Refrattarietà... ...26

3.4 Azione degli ioni sul potenziale trans membrana ...27

4. L’ELETTROCARDIOGRAMMA...29

4.1 Eventi elettrici cardiaci e vettori ...31

4.1.2 Onda P ...33

4.1.3 Complesso QRS ...35

4.1.4 Onda T ...35

4.1.5 Intervallo ST...36

4.1.6 Segmento QT ...36

4.2 Torsione di punta... ... 38

5. EFFETTI DELLANTIMONIO SU COLTURE DI MIOCITI...40

5.1 Alterazione dell’omeostasi del calcio ...40

5.2 Valutazione dello stress ossidativo su colture di miociti...43

5.3 Studi sperimentali condotti sui “Guinea pigs” ...47

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- INDICE -

6. CARDIOTOSSICITÀ DEGLI ANTIMONIALI...48

6.1 Studi condotti sull’uomo...48

6.2 L’antimonio pentavalente e la “Torsione di punta”...49

7. PARTE SPERIMENTALE...51

7.1 Materiali e metodi... ...51

7.2 Analisi delle frequenze cardiache...53

7.3 Analisi dell’intervallo QT ...56

7.4 Tratto ST...57

7.5 Conclusioni...57

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Introduzione

I composti pentavalenti dell’antimonio sono utilizzati da più di cinquant’anni per il trattamento della Leishmaniosi.

I paesi di cultura anglosassone usano prevalentemente lo Stibiogluconato di sodio (Pentostam®), ma largamente è utilizzato anche l’antimoniato di n-metilglucamina (Glucantime®).

Questo prodotto è una soluzione contenente antimonio pentavalente all’8,5%.

La sua attività consiste nell’interferire con la glicolisi e la beta-ossidazione degli acidi grassi negli amastigoti, riducendo i livelli intracellulari di ATP o inibendo gli enzimi della via glicolitica.

Somministrato per via parenterale, a causa del basso assorbimento gastrointestinale, viene velocemente metabolizzato ed eliminato per via renale.

Secondo studi effettuati sull’uomo, il farmaco verrebbe eliminato per il 95%

dall’organismo, nell’arco di 6h. E’ stato però dimostrato che un trattamento continuo porta a un effetto cumulativo del farmaco all’interno delle cellule.

Gli studi più rilevanti sono stati condotti sull’uomo, a seguito del verificarsi di diversi casi di morte improvvisa per aritmia ventricolare, dovuta probabilmente ad alterazioni nella ripolarizzazione ventricolare.

Il trattamento con antimoniali nell’uomo infatti, è di frequente associato a bradicardia, ipotensione, sincope e cambiamenti nel tracciato elettrocardiografico (M.Toraason et al, 1997).

Le modificazioni elettrocardiografiche riscontrate nei gruppi di studio sono state:

alterazioni dell’onda T e del tratto ST, prolungamento dell’intervallo QT, riduzione dell’onda P.

Alcuni studiosi ritengono che i cambiamenti siano dose e tempo dipendenti, ma sperimentazioni di terapie a basse dosi e per brevi periodi mostrano il contrario.

Pazienti che hanno svolto due cicli di terapia di 10gg con dosaggi di 15mg/kg al giorno, hanno presentato le stesse modificazioni elettrocardiografiche, sempre riconducibili ad alterazioni nella ripolarizzazione ventricolare (A.L.P Ribeiro, 1999).

Il meccanismo di cardiotossicità studiato nell’uomo sembra sia legato a un accumulo di antimonio nelle fibre miocardiche, con conseguente alterazione nell’attivazione e

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- INTRODUZIONE -

nella ripolarizzazione delle stesse, perturbazione del ritmo cardiaco e della conduzione dell’impulso.

Gli studi effettuati su miociti di “Guinea Pig” esposti ad antimonio (16 mg/kg) hanno riportato una diminuzione della disponibilità di calcio.

Questa alterazione si esplica con un prolungamento del potenziale d’azione, una riduzione delle correnti di calcio e un ritardo nell’attivazione delle correnti del potassio.

L’antimonio, riducendo il rilascio di calcio dal reticolo del sarcolemma, altera la contrazione cardiaca. Il calcio infatti è indispensabile in quanto si deve legare alla troponina, deputata ad inattivare la tropomiosina; quest’ultima altrimenti eserciterebbe un effetto inibitore sull’ATPasi che fornisce l’energia utile per il legame actina-miosina.

Si ipotizza che l’effetto cardiaco sia dovuto, oltre che per un’interferenza sui canali del calcio, a uno stress ossidativo provocato per ossidazione dei lipidi, diminuzione del glutatione (fattore di protezione), inibizione della glutatione perossidasi e rilascio della lattico deidrogenasi.

I segni più evidenti sui Guinea Pig furono bradicardia e un prolungamento significativo dell’intervallo QT, un leggero aumento dell’intervallo PQ, un appiattimento dell’onda T (M.Alvarez, 2005).

Non esistono studi recenti che dimostrino gli effetti di cardiotossicità del farmaco sul cane. Soltanto uno studio risalente al 1965, effettuato su cuori isolati e collegati al circolo di un cane donatore, hanno rilevato la progressiva caduta della forza contrattile del miocardio (del 10% in pochi minuti,del 50% in un’ora) dopo la somministrazione di 15mg/kg di antimonio nel circolo coronario del cuore isolato.

Il nostro studio ha valutato un campione di 20 cani affetti da Leishmaniosi e sottoposti a terapia con Glucantime® con un dosaggio di farmaco di 75-100 mg/ kg.

Abbiamo effettuato un tracciato elettrocardiografico prima dell’inizio della terapia e uno a distanza di un mese, subito dopo il termine del trattamento.

Lo scopo dello studio è stato quello di valutare eventuali modificazioni elettrocardiografiche a fine terapia, che avessero punti in comune con quelle riscontrate sull’uomo.

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1 1

1. L’ ANTIMONIO

1.1 Storia, etimologia e descrizione chimica.

L’antimonio è un elemento semimetallico con simbolo Sb, appartenente al gruppo VB della tavola periodica. Il nome antimonio proviene dal latino medievale

“antimonium”, che deriva a sua volta, secondo la voce attualmente più accreditata, dall'arabo "itmid".

Poiché i monaci usavano questo elemento con lo scopo di evitare o almeno ridurre gli spiacevoli effetti del digiuno, alcuni studiosi ritengono che il nome antimonio derivi da una parola composta, dal greco "antí"→ contro e "mónos"→ uno che vive da solo, cioè letteralmente "contro il monaco", ma questa ipotesi è priva di fondamento.

Piuttosto si può trovare nella parola antimonium, sulla base di una lettura più aderente alle proprietà di questo elemento, il concetto di "metallo che si trova raramente da solo", cioè allo stato nativo, infatti, si estrae di norma dalla stibnite (Sb2S3) e dagli ossidi valentinite e senarmontite (Sb2O3).

L'antimonio è un elemento noto e usato nei suoi composti sin dall'antichità (antecedente al 3000 a.C). La stibnite, solfuro di antimonio, veniva usata sia come medicamento che per truccare gli occhi di nero.

Sono stati trovati reperti risalenti al IV millennio a.C. in cui Plinio il vecchio lo chiamava stibium, mentre attorno all'800 d.C. era più usato il nome di antimonium e i due nomi furono usati alternativamente sia per l'elemento che per il suo solfuro.

La prima vera descrizione dell’antimonio venne fatta dall’alchimista Gregorius Agricola nel Rinascimento. Nel 1591 il Codronchi trattò dell’antimonio per le sue

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- 1.L’ANTIMONIO -

proprietà curative e nel 1604 Basilius Valentinus scrisse una monografia in proposito (Triumph-Wagen des Antimonii) che venne pubblicata da Tholden nel 1676.

L’autore propose di usare l’antimonio e i suoi composti in un grande numero di malattie, dal semplice uso purgativo, alla cura della cancrena e per la peste.

Figura 1 - Cocchio trionfale dell'antimonio

L’Antimonio quindi, era conosciuto sin da tempi molto antichi, ma spesso veniva confuso con altri metalli quali arsenico e bismuto.

L’elemento infatti, molto abbondante in natura, si trova più frequentemente combinato con argento, arsenico e bismuto, piuttosto che allo stato puro. La facilità con cui l'antimonio forma leghe con l'oro, gli faceva attribuire proprietà nobili, da cui il nome regolo (piccolo re).

Si presenta in quattro forme allotropiche diverse. La forma stabile ha un aspetto metallico bianco-azzurrognolo, le forme instabili hanno colore giallo o nero.

Raramente si trova sotto forma di cristalli puri con struttura romboedrica di durezza 3.

Riscaldato all’aria, brucia con fiamma azzurrognola e dà fumi bianchi di triossido di antimonio (Sb2O3). Polverizzato s’infiamma nel cloro a temperatura ordinaria.

L'antimonio è uno scarso conduttore di calore e di elettricità, è stabile in aria asciutta e non è attaccato dagli acidi diluiti o dagli alcali.

La fonte principale di antimonio grezzo e l’antimonite, detta anche Stibina, un solfuro che viene estratto principalmente in Francia, Italia,Cina, Giappone, Messico e Stati Uniti, ma può essere ottenuto anche dalla lavorazione di minerali grezzi di rame e

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piombo. Si stima che l'abbondanza dell'antimonio nella crosta terrestre, sia compresa tra 0,2 e 0,5 ppm.

L'elemento ha peso atomico 121,75; fonde a 630 °C, bolle a 1380 °C e ha densità relativa 6,7.

Differisce dagli altri metalli in quanto possiede una conduttività elettrica minore allo stato solido, rispetto allo stato liquido e inoltre ha l’eccezionale proprietà di espandersi quando solidifica per raffreddamento.

1.2 Composti dell’antimonio

Diversi sali dell'antimonio tri e pentavalente sono stati usati largamente nel passato come medicamenti. Alcuni di essi sono ancora in uso (bario-antimoniltartrato, tricloruro di antimonio, trisolfuro di antimonio) sia in veterinaria che in medicina umana, soprattutto per il trattamento della schistosomiasi e della leishmaniosi.

I seguenti sono composti dell'antimonio trivalente:

antimonio litio tiomalato

antimonio potassio tartrato o tartaro emetico antimonio sodio tartrato

antimonio sodio dimetilcisteina tartrato antimonio-sodio tioglicolato

sodio antimonilgluconato

antimonio-sodio mercaptosuccinato o sodio stibocaptato stibofene

Sono invece composti dell'antimonio pentavalente i seguenti:

meglumina antimoniato o antimonio di meglumina sodio stibogluconato

urea-stibamina (carbostibamide).

Il prototipo del gruppo è l'antimonio sodio tartrato, al quale si può fare riferimento per la tossicità di tutti gli altri; uniche eccezioni il sodio antimonilgluconato e il sodio stibogluconato, meno tossici, irritanti ed emetici rispetto all'antimonio sodio tartrato.

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- 1.L’ANTIMONIO -

Gli antimoniali pentavalenti sono i farmaci di scelta impiegati nel trattamento delle leishmaniosi; sono meno tossici degli antimoniali trivalenti, già impiegati in passato.

− Stibiogluconato di sodio (Pentostam®) impiegato nei Paesi di scuola inglese.

− Meglumina antimoniato (Glucantime®) impiegato nei Paesi di scuola francese.

1.3 Tossicità

L'antimonio è un elemento chimicamente molto simile all'arsenico. Come per l'arsenico, il capello è un tessuto significativo per determinarne l'esposizione o un accumulo organico della sostanza.

Si sono rilevati elevati livelli di antimonio sul capello anche dopo un anno dall'esposizione. L'inquinamento ambientale (tramite le particelle sospese nell'aria proveniente dai processi di fusione e dalla produzione di fertilizzanti fosforosi) conduce a questi alti livelli di antimonio nei capelli.

Il cibo e il fumo sono i normali veicoli di contaminazione da antimonio.

Un'altra possibile fonte sono i tessuti ignifughi a contatto con la pelle, che vengono trattati con composti contenenti antimonio.

Nelle miniere da cui viene estratto, il minerale può trovarsi disperso nell'aria in polvere sottile la cui inalazione può provocare lesioni polmonari di tipo silicotico.

L'inalazione di vapori di anidride antimoniosa può causare polmonite chimica acuta.

La concentrazione massima tollerata( MAC) dei composti solubili dell'antimonio nell'aria e di 2 mg/m3, per l'anidride antimoniosa e di 0,5 mg/m3

L'idrogeno antimoniale o stibina (MAC 0,1 ppm) è simile all'arsina ma è più tossico:

alla concentrazione di 100 ppm la stibina è letale per il topo in 1,6 ore mentre l'arsina lo è in tre ore. Gli effetti tossici dei due gas sono simili e consistono in emolisi massiva.

I composti dell'antimonio sono assorbiti lentamente e in modo incompleto dal tubo digerente e tendono a provocare vomito. L'assorbimento è rapido e completo invece per i composti solubili inalati o somministrati per via parenterale.

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L’eliminazione avviene soprattutto per via fecale ed urinaria, quella attraverso le ghiandole salivari è minima; per questo motivo le manifestazioni infiammatorie del cavo orale sono segno di assorbimento prolungato e spia di intossicazione cronica.

La distribuzione e l'escrezione sono diverse a seconda della valenza del metallo.

L'antimonio trivalente si concentra nei globuli rossi, si accumula nel fegato e nel rene e viene escreto lentamente, in prevalenza con le feci.

L'antimonio pentavalente si ritrova in prevalenza nel plasma, tende a concentrarsi nel fegato e nella milza ed è escreto con le urine.

Generalmente l'escrezione dell'antimonio pentavalente è più rapida di quella della forma trivalente.

L'organo di accumulo principale dell'antimonio e il fegato, che ha anche la capacità di ridurre la forma pentavalente a trivalente. In generale la forma trivalente è più tossica di quella pentavalente.

L'organo bersaglio principale dell'azione tossica nell'uomo è il cuore, sul quale agisce provocando danno miocardico attraverso meccanismi diversi ancora poco chiariti.

I composti dell'antimonio hanno una marcata azione irritante locale. Il tipico effetto emetico è dovuto a quest'ultima, ma ha anche una componente centrale, dato che si verifica anche per somministrazione parenterale. Altri parenchimi e strutture sensibili alla sua azione, anche se non costantemente danneggiati, sono il fegato, il rene, gli eritrociti (emolisi), la retina o il nervo ottico.

Gli avvelenamenti si hanno soprattutto in ambiente industriale per inalazione di fumi o polveri.

Il meccanismo di tossicità dell’antimonio è poco chiaro. Probabilmente è dovuto all’alta affinità del metallo per i gruppi sulfidrilici (-SH), che sono essenziali per la struttura e la funzione delle proteine.

1.3.1 Effetti sulla salute

Il crescente uso industriale dell’antimonio e dei suoi composti comporta un incremento del numero di lavoratori esposti a tale sostanza (solo negli Stati Uniti sono circa 250.000) e ciò pone il problema dei possibili effetti sulla salute.

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- 1.L’ANTIMONIO -

L'esposizione umana all'antimonio può avvenire respirando aria, mangiando cibi e bevendo acque contaminate, ma anche attraverso il contatto della pelle con il terreno, l'acqua ed altre sostanze che lo contengono.

Frequenti segni di eccessi di antimonio nell’organismo sono: affaticamento, debolezza muscolare, miopatia e sapore metallico in bocca. Sintomi successivi possono includere disfunzioni cardiache. Un assorbimento attraverso la cute può portare a "macchie da antimonio" che ricordano le manifestazioni cutanee della varicella. L'inalazione di polveri o particelle di antimonio può causare danni ai tessuti dell’apparato respiratorio. L'esposizione a concentrazioni relativamente alte di antimonio (9 mg/m3 di aria) per un lungo periodo di tempo può causare irritazione a occhi, pelle e polmoni. Se l'esposizione continua possono verificarsi effetti più seri sulla salute, quali infezioni polmonari, problemi al cuore, diarrea, vomito incoercibile e ulcere gastriche.

L’evidenza di rischio carcinogenetico dimostrata da studi su animali ha indotto lo IARC (International Agency for Research on Cancer) a classificare l’antimonio triossido nella categoria 2B cioè come possibile carcinogeno per l’uomo.

IARC Descrizione Descrizione

1 Cancerogeno per l’uomo Effetti cancerogeni per l’uomo

Cancerogeno probabile Da considerare cancerogeno per l’uomo

2B Cancerogeno possibile Da considerare con attenzione per i possibili effetti cancerogeni per l’uomo

3 Non classificabile per la cancerogenicità per

l’uomo Sostanze non valutabili per la cancerogenicità

4 Probabile non cancerogeno per l’uomo Sostanze probabilmente non cancerogene per l’uomo

Tabella 1 - Classificazione IARC

Le informazioni attualmente disponibili riguardo gli effetti genotossici o cancerogeni in lavoratori esposti sono scarse. C’è una carenza di dati anche riguardo i possibili meccanismi d’azione dell’antimonio e dei suoi composti. È stato suggerito un danno ossidativo al DNA quale evento precoce dell’azione dell’Sb probabilmente connesso con l’inibizione dei meccanismi di riparazione del DNA o con l’induzione di stress

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1.4 Utilizzo dell’antimonio nelle industrie.

L’antimonio è usato per leghe speciali, in particolare con il piombo, il rame e lo stagno per la produzione di caratteri da stampa, munizioni, peltro, metallo bianco.

I suoi composti si usano nelle industrie per la fabbricazione della gomma, di ceramiche, di smalti, colori, vernici, mastici, miscele per la produzione di vetri, tintura e stampaggio dei tessuti.

L'antimonio molto puro è usato per fare determinati tipi di dispositivi a semiconduttore, come i diodi ed i rivelatori a infrarossi.

I composti inorganici dell'antimonio tri- o pentavalente, come l’anidride antimoniosa (in natura antimonite) e antimonica, il trisolfuro (in natura stibnite) e il pentasolfuro, sono usati nell'industria dei vetri e dei fiammiferi. Miscele di solfato di sodio, carbone, sabbia e pentasolfuro di antimonio sono utilizzate nelle vetrerie per ottenere una migliore tonalità di colore dei prodotti o per migliorarne la trasparenza.

L'aggiunta di manganese o di antimonio, che neutralizzavano l'effetto dovuto alle impurità del ferro, portò infatti alla fabbricazione di vetro trasparente.

1.4.1 Casi di intossicazione per esposizione sul posto di lavoro.

Il primo studioso che si occupò dei rischi dei lavoratori esposti all’antimonio e ai suoi derivati, fu Bernardino Ramazzani nel ’700.

Nel suo trattato “De Morbis Artificium Diatriba” parla dei sintomi presentati da vetrai e fabbricanti di specchi.

“…succede quindi spesso, che alcuni cadano a terra esamini per soffocamento, oppure con l’andar del tempo abbiano ulcerazioni

alla bocca, all’esofago, alla trachea…”

I primi studi su l’intossicazione professionale da antimonio risalgono al 1910 ad opera di Schrumpf e Zabel che hanno riportato alcuni casi di esposizione cronica di operai a polveri contenenti antimonio. I soggetti presentavano lacrimazione, irritabilità, insonnia, stanchezza, cefalea frontale ed occipitale, mialgie, nevralgie, nausea, vomito, coliche addominali, stomatite e faringite. A lungo andare l’astenia si

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- 1.L’ANTIMONIO -

accentuava e comparivano anche alterazioni cardiache. A livello ematico era stata riscontrata leucopenia, piastrinopenia, eosinofilia e inoltre anisocitosi, poichilocitosi e policromatofilia.

Il Palazzi nel 1923 definì la stomatite riscontrata in lavoratori esposti al metallo, come una stomatite mista, dovuta cioè all’associazione di antimonio piombo e stagno (Palazzi et al,1923).

Nel saturnismo l’orletto gengivale caratteristico è di colore nero ardesia, mentre quello dovuto ad antimonio ha un colore bruno rossastro e deriva dalla combinazione dell’antimonio con il solfocianato della saliva.

Questa stomatite da antimonio trova terreno favorevole in bocche con dentatura cariata, tartaro, elementi favorevoli per l’attecchimento di germi.

Inizia con arrossamento, edema, colorazione caratteristiche dell’orlo gengivale e scialorrea.; è piuttosto tardiva a comparire, cosicché la si osserva come fatto ultimo dell’intossicazione acuta e nel periodo tardivo dell’avvelenamento cronico.

Fra le cause dell’insorgenza della stomatite è di notevole importanza l’azione deprimente esercitata da questo metallo sulla fagocitosi, che porta a una diminuzione delle difese organiche.

Nel 1949 Feil ha descritto una dermatite presentata da operai che lavoravano un minerale composto da antimonio (10-15%), quarzo e oro. Su quindici operai, quattordici presentavano eritema seguito da eruzione di vescicole. Le zone di elezione erano: collo, avambraccio e genitali. Queste eruzioni furono classificate come “ectima stibiei” e si osservò che guarivano spontaneamente con l’allontanamento dal lavoro.

Anche Selisky (1928) aveva in precedenza osservato la stessa dermatite in operai che usavano sali di antimonio in un’industria tessile (Selisky et al,1928). Seits studiò la tossicità dell’antimonio come componente principale di vapori e lo ritenne un fattore determinante nell’insorgenza di affezioni gastroenteriche.

In uno studio effettuato su un gruppo di lavoratori esposti a questi vapori riscontrò come sintomo principale il vomito, associato a astenia muscolare, nevralgie, vertigini, nausea e alterazioni epatiche e renali.

Gocher (1945) descrisse l’intossicazione cronica da antimonio come caratterizzata da cefalea occipitale, vertigini, mialgie.

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Renes (1953) studiò un gruppo di operai che lavoravano alla fusione di materiale contente antimonio e arsenico. Fra essi, settantotto presentavano lesioni di tipo infiammatorio dell’albero respiratorio e dermatiti. I soggetti con laringiti presentavano cambiamenti nella voce fino a totale afonia conseguente a ulcerazione ed erosione delle corde vocali.

Molti operai lamentavano dolori toracici, muscolari, cefalea. Sintomi meno frequenti erano l’insonnia, emissione di sangue dalle vie respiratorie, crampi addominali e visioni.

In questo schema sono riportate le percentuali per ogni sintomo osservato nel gruppo dei 78 lavoratori colpiti nel corso di cinque mesi di attività.

Sintomi %

Dermatite, Rinite 20

Laringite 11

Tracheite 10

Faringite, Gastrite 8

Bronchite 7

Gastroenterite 5.5

Congiuntivite 4

Perforazioni setto nasale 3.5

Sinusiti 1.5

Nei soggetti sintomatici la quantità di antimonio escreta con le urine andava da livelli molto bassi fino a 60mg per 100cc.

Nel 1958 l’Istituto di Medicina Industriale di Milano eseguì degli studi a seguito di una richiesta fatta da una vetreria per trovare le cause di una serie di disturbi accusati da sei operai addetti alla preparazione di una miscela per la produzione di vetro giallo.

Per ottenere una soddisfacente tonalità di colore, la vecchia miscela era stata sostituita con un nuovo preparato. Dopo venti giorni dall’entrata in uso di quest’ultimo, gli operai avevano accusato una seri di disturbi fra cui vomito, bocca impastata con sapore amarognolo, salivazione, nausea, scariche diarroiche. L’esame clinico ha rilevato in tutti i soggetti un fegato aumentato di volume, modicamente dolente e presenza di urobilinuria.

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- 1.L’ANTIMONIO -

Nessun segno di compromissione renale a parte la presenza di antimonio che viene eliminato soprattutto per via fecale e urinaria.

Dall’analisi chimica dei campioni del nuovo preparato, risultò che nel prodotto era presente antimonio in quantità pari all’1.04-1.74% sotto forma di pentasolfuro d’antimonio.

1.5 Utilizzo dell’antimonio nella medicina

Gli effetti emetici e purganti dell’ antimonio sono conosciuti sin dai tempi antichi.

I composti dell'antimonio hanno una marcata azione irritante locale. Il tipico effetto emetico è dovuto a quest'ultima, ma hanno anche una componente centrale, dal momento che questo effetto si verifica anche per somministrazione parenterale.

Il primo a scoprire l’azione purgante fu il monaco Basilio Valentino.

Appassionato di alchimia, scopri l’effetto del metallo per puro caso.

Gettò via qualche residuo di questo minerale che gli era servito per i suoi esperimenti e accidentalmente se ne cibarono alcuni maiali che furono fortemente purgati.

Il metallo fu anche inserito in un elenco di “rimedi naturali” da Paracelso all’inizio del sedicesimo secolo, ma vista la sua tossicità sorsero diatribe universitarie tali da indurre la Facoltà di Medicina di Parigi a coinvolgere il Parlamento francese per vietarne l'uso, ma i sostenitori del metallo attaccarono la decisione.

Questo divieto ebbe effetto legale solo in Francia,mentre i tentativi di combattere l’uso tradizionale dell’antimonio ebbero meno successo negli altri paesi.

La diatriba ebbe fine nel 1666, data in cui fu di nuovo inserito fra i preparati farmaceutici. Le preparazioni a base del metallo non furono mai completamente dimenticate e durante il periodo di divieto, vista l'efficacia come emetici capaci di allontanare i veleni creduti fonte degli stati di malattia, l'uso avveniva sottoforma d'infuso di vino facendo invecchiare quest'ultimo in contenitori metallici fabbricati con leghe d'antimonio e stagno.

Questo metodo veniva utilizzato anche dagli inguaribili bevitori che lasciavano del vino in una coppa di antimonio, cosicché gli acidi presenti nel vino sciogliessero una

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quantità di antimonio capace di liberare completamente lo stomaco il mattino seguente.

La somministrazione di antimonio o suoi derivati era quindi una pratica diffusa per la cura di diverse patologie, ma in molti casi si dimostrò fatale.

In Italia, nel 1619, Marco Cornacchini, Professore dell’università di Pisa, pubblicò un volume nel quale tentava di accreditare l’uso dell’antimonio entro gli schemi della medicina galenica e lo indicava come efficace per molte malattie.

L’opera del Cornacchini suscitò polemiche negli ambienti medici pisani.

L’autore dette anche il suo nome a un particolare preparato, detto “povere del Cornacchini”, che ebbe una notevole diffusione in Italia per la cura di molte malattie che andavano dalle febbri intermittenti a varie forme di ritenzione intestinale, colera, vaiolo, artrite e pleurite.

Il farmaco fu anche usato in ospedale a Firenze,ma con esiti poco favorevoli, mentre fu usato largamente per combattere la malaria nella Maremma toscana.

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- 2. GLUCANTIME®-

2 2

2. G LUCANTIME ®

2.1 Utilizzo e composizione

I composti dell’antimonio sono utilizzati da più di cinquant’anni nel trattamento della Leishmaniosi.

Lo stibiogluconato di sodio è utilizzato principalmente nei paesi anglosassoni, l’antimoniato di N-metilglucamina è prescritto soprattutto nei paesi francofoni e dell’America del Sud.

Figura 2 - Glucantime ®

Principio attivo

100 ml di soluzione contengono: Antimoniato di N-metilglucamina 30 g.

L’antimoniato di N-metilglucamina contiene una percentuale di antimonio

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Eccipienti

• Sulfito di sodio 0,018 g

• Anidrosulfito di potassio 0,160 g

• Acqua

• Soluzione iniettabile di Antimoniato di N-metilglucamina.

Figura 3 - Struttura chimica antimoniato di N-metilglucamina

La via di somministrazione è sottocutanea, intramuscolare profonda ed endovenosa lenta. Le prime due sono preferite rispetto alla via endovenosa che dovrebbe essere eseguita molto lentamente (5 min) e presenta rischio di tromboembolismo.

L’uso endovenoso riduce inoltre l’emivita del farmaco.

Le dosi di farmaco utilizzate nella Leishmaniosi canina derivano da quelle usate per trattare la Leishmaniosi umana.

Le dosi finora riportate in letteratura, sono state piuttosto variabili (50-100 mg/kg, q12-24h, per 1-6 settimane, generalmente per via IM o SC).

Ecco di seguito alcuni protocolli terapeutici.

• 50 mg/kg, BID, SC, per 1-2 mesi o fino a normalizzazione del quadro clinico (Oliva, 1998).

75 mg/kg SID SC per 20-40 gg (+ allopurinolo) (Ferrer, 1997);

100 mg/kg SID SC per 30 gg (+ allopurinolo 15 mg/kg BID) (Denerolle, 1999).

75-100 mg/kg, BID, SC, per 2-3 mesi (Pennisi, 2000).

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- 2. GLUCANTIME®-

2.2 Farmacodinamica

Il meccanismo d’azione degli antimoniali, ancora oggi non perfettamente chiarito, sembra essere legato all’inibizione di alcuni enzimi della glicolisi (fosfofruttochinasi e deidrogenasi piruvica) e all’ossidazione degli acidi grassi.

I sali di antimonio venivano anche utilizzati per curare la Schistomatosi, una parassitosi causata da Platelminti del genere Schistosoma.

L’antimonio sostituiva lo zolfo in alcuni enzimi utilizzati sia dal parassita che dall’ospite umano. In piccole dosi il farmaco riusciva ad uccidere il parassita senza danneggiare troppo il paziente.

Oggi, i composti a base di antimonio vengono utilizzati principalmente per la terapia della Leishmaniosi

2.3 Farmacocinetica

Il destino farmacocinetico dei composti antimoniali è pressoché sovrapponibile nell’uomo e nel cane; in entrambe le specie, infatti, l’antimonio somministrato per via endovenosa ha un’emivita molto breve, venendo eliminato quasi totalmente (80-95%) per via renale dopo circa 6 ore.

Uno studio effettuato da Valleredes nel 1996, ha analizzato la farmacocinetica dell’antimonio in un gruppo di cani a seguito di somministrazione endovenosa, intramuscolare e sottocutanea di 100mg /kg di Glucantime®, equivalenti a 27,2 mg di antimonio/Kg.

Dopo somministrazione intravenosa, la concentrazione di antimonio nel plasma decresce rapidamente e dopo 240 minuti ha valori più bassi dell’ED50 stabilita per Leishmania donovani. Durante le prime 6 ore, la percentuale di antimonio escreta raggiunge il 93% dopo somministrazione intravenosa e il 90% dopo somministrazione intramuscolare.

Gli stessi autori hanno riscontrato che l’emivita del farmaco è di 20.5 minuti a seguito di somministrazione intravenosa, 42.1 minuti per la somministrazione intramuscolare

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Dopo somministrazione IV c’è una fase iniziale rapida caratterizzata dalla distribuzione del farmaco ai tessuti e una seconda fase in cui i livelli plasmatici diminuiscono lentamente.

La farmacocinetica in seguito a somministrazione IM e SC è molto simile.

La fase di assorbimento porta a raggiungere il picco di concentrazione dopo 80 minuti dalla somministrazione. Questa fase è seguita da una diminuzione, prima rapida e poi lenta, della concentrazione plasmatica.

A seguito di somministrazione IV, il processo d’eliminazione dell’antimonio può essere suddiviso in tre fasi:

− Rapida distribuzione ai tessuti.

− Fase lenta di conversione dell’antimonio pentavalente in trivalente nel fegato e rapida escrezione renale della forma pentavalente.

− Fase lenta di eliminazione dell’antimonio trivalente che ha emivita di 618 minuti.

E’ stato stimato che l’80.4% dell’antimonio viene escreto attraverso le urine (Al-Jaser et al., 1995).

Questo dato è indicativo del fatto che qualsiasi anomalia della funzionalità renale può ridurre o rallentare l’eliminazione dell’antimonio dall’organismo, con conseguenti livelli plasmatici troppo alti e potenzialmente tossici.

Nelle prime tre ore viene escreto circa il 78% del farmaco..

Gli studi sulla concentrazione di antimonio efficace nei confronti del parassita hanno portato a risultati abbastanza variabili fra loro.

Secondo uno studio effettuato da Gebre-Hiwot e colleghi nel 1992, l’antimoniato di N-metilglucamina è attivo nei confronti del parassita con un valore di ED50 pari a 2,9 µg di antimonio/ml.

Nell’uomo è più efficace una dose di 10mg di antimonio/kg, somministrato per via IM ogni 8h per 10 giorni, rispetto alla stessa dose somministrata una volta al giorno per 30 giorni (Chulay et al., 1988).

Nell’uomo, l’emivita del farmaco oscillerebbe fra 1 e 8 ore in base alla via di somministrazione. Se inoculato per via EV è inferiore ad un’ora, IM circa 3 ore e per via SC circa 6-8 ore. Per questo motivo la somministrazione per via SC è preferibile alle altre anche se non sono infrequenti le reazioni nei siti d’inoculo.

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- 2. GLUCANTIME®-

Considerata la breve emivita del farmaco, sarebbe più efficace un protocollo terapeutico che preveda dosi più basse somministrate ogni 8-12 h, rispetto al dosaggio di 100 mg/kg/die che porterebbe ad avere per un periodo di circa 12h, una concentrazione di farmaco non terapeutica.

Il rischio di un’esposizione al farmaco non continua e inadeguata è lo sviluppo di resistenze.

2.4 Tossicità ed effetti collaterali

L’antimonio pentavalente nell’uomo può causare tossicità tubulare ed i pazienti con riduzione del GFR sono più suscettibili. Gli studi a riguardo sono molteplici.

Delagado e colleghi., nel 1999 studiarono un gruppo di 25 persone affette da Leishmania viscerale e trattate con antimonio di meglumina e in 14 di essi (46%) riscontrarono insufficienza renale acuta. Hantson e colleghi., riportarono nel 2000 un caso di insufficienza renale acuta in un paziente con funzionalità renale nella norma, a seguito della prima somministrazione di Glucantime®.

Nei cani affetti da leishmaniosi non sono stati descritti chiari effetti collaterali sulla funzione renale a seguito dell’impiego del farmaco. Tuttavia, le dosi finora riportate in letteratura sono state piuttosto variabili e la maggior parte degli studi ha coinvolto animali con creatininemia normale.

In un recente studio l’antimonio pentavalente (75 mg/kg, q12h, per 21 giorni, IM) è stato somministrato quale unica terapia a tre cani con aumento della creatininemia, uno dei quali presentava i segni clinici dell’azotemia.

La terapia ha determinato un miglioramento della funzione renale nei due cani asintomatici. Il cane sintomatico è deceduto dopo tre giorni dall’inizio del trattamento a causa del peggioramento della sintomatologia. È stato ipotizzato che l’antimonio pentavalente avesse compromesso ulteriormente la funzione renale (G.S.L.C 2007).

Effetti collaterali degli antimoniali pentavalenti devono essere attesi fino a 28 giorni dall'inizio della terapia, ma insorgono solitamente nella seconda o nella terza settimana di terapia: aumento delle lipasi e amilasi (sofferenza pancreatica), mialgie e

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artralgie, sintomi gastro-enterici, cefalea, aumento delle transaminasi (sofferenza epatica), pancitopenia, neuropatia periferica reversibile.

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- 3. L’ELETTROFISIOLOGIA CARDIACA -

3 3

3. E LETTROFISIOLOGIA CARDIACA

3.1 Il tessuto miocardico

Le fibrocellule cardiache possono essere distinte in due tipi. Le fibrocellule con funzione puramente contrattile (tessuto miocardico comune o di lavoro) e le fibrocellule specializzate che generano e conducono gli impulsi elettrici (tessuto miocardico specifico).

Il tessuto specializzato comprende il nodo del seno-atriale (NSA), il nodo atrio- ventricolare (NAV), il fascio di His, suddiviso nel tronco comune e nelle branche destra e sinistra, e le ramificazioni di queste branche che formano la rete di Purkinje.

Inoltre esiste un altro gruppo di fibrocellule a livello degli atri, con caratteristiche proprie del tessuto specifico, che costituiscono il tessuto di Bachmann.

Le cellule del miocardio specifico posseggono proprietà elettriche particolari.

I principali ioni responsabili dell’attività elettrica cardiaca sono: il sodio, il potassio, il calcio, il cloro e gli anioni diffusibili. Gli anioni si trovano all’interno della cellula e sono rappresentati da proteine ad elevato peso molecolare, mentre gli ioni che posseggono maggiore capacità di diffusione sono il sodio e il potassio.

La differenza di potenziale elettrico tra l’interno e l’esterno della membrana cellulare prende il nome di potenziale transmembrana e misura circa -90 mV.

La cellula normalmente polarizzata è in grado di rispondere a uno stimolo elettrico o meccanico adeguato. L’eccitazione ha luogo quando il potenziale transmembrana si riduce dal suo livello di riposo a un potenziale soglia (PS) di -70 mV.

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Se lo stimolo è tale da provocare il raggiungimento del PS, il potenziale di membrana si modifica bruscamente e il voltaggio interno raggiunge valori di +20 mV.

Pertanto si definisce come “potenziale soglia”, il livello del potenziale transmembrana che deve essere raggiunto o superato per permettere l’inizio della depolarizzazione

Il processo di ritorno alla polarizzazione di base si chiama ripolarizzazione ed è caratterizzata da una fase rapida iniziale, da una fase lenta o plateau e da una fase rapida terminale.

Il potenziale transmembrana di riposo è essenzialmente dovuto alla differenza di concentrazioni ioniche del potassio all’interno e all’esterno della cellula.

Durante la fase di riposo la concentrazione di ioni K+ all’interno della fibrocellula è di circa 140 mM, mentre quella all’esterno è di 4 mM. Al contrario la concentrazione di ioni Na+ all’interno della fibrocellula è di circa 12 mM, mentre quella all’esterno è di circa 145mM.

La depolarizzazione cellulare è legata ad un cambiamento della permeabilità di membrana e cioè all’apertura di canali che permettono il passaggio di determinati ioni.

Potenziale d’azione Cardiaco

Fase 0

Rapida apertura canali Na+ (-90 mv), Lenta apertura canali Ca++

Fase 1

Chiusura canali Na+ = cessa il flusso di Na+

Fase 2

Apertura canali K+,continua il flusso di Ca++ ( Fase di Plateau – responsabile del prolungamento del potenzile d’azione )

Fase 3

Ripolarizzazione si chiudono i canali del Ca++, K+ verso l’esterno

Fase 4

Chiusura canali K+. Transporto attivo di Na+ e K+ per ristabilire le concentrazioni.

Tabella 2 - Flusso di ioni durante il potenziale d'azione cardiaco

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- 3. L’ELETTROFISIOLOGIA CARDIACA -

Fase 0

Caratterizzata da una rapidissima variazione del potenziale di riposo che partendo da - 90 mV raggiunge e supera il potenziale 0, fino ad arrivare a +20 mV rispetto all’esterno della fibrocellula.

Fase 1

Rappresenta una iniziale ripolarizzazione ed è di breve durata. Il potenziale ritorna verso il livello di 0 mV.

Fase 2

Fase di plateau in cui la ripolarizzazione si arresta e permane in questa situazione per un tempo sufficientemente lungo.

Fase 3

Riprende e si completa la ripolarizzazione iniziata nella fase 1.

Fase 4

Potenziale di riposo che raggiunge nuovamente i -90 mV.

3.1.1 Potenziale d’azione e risposta meccanica

L’eccitazione della cellula, cioè la creazione di un potenziale d’azione, è in grado di determinare la contrazione per mezzo di un processo che viene chiamato accoppiamento eccitazione-contrazione.

Il passaggio dallo stato diastolico di riposo a quello sistolico di contrazione nelle cellule miocardiche, è fatto scattare da un improvviso aumento della disponibilità intracellulare di Ca++. Il calcio che entra nelle cellule miocardiche durante la fase di plateau, è coinvolto nel processo di accoppiamento eccitazione-contrazione, per attivare le proteine contrattili.

Il calcio è indispensabile perché si deve legare alla Troponina, che è una proteina deputata all’inattivazione della Tropomiosina. Quest’ultima è inibitrice dell’enzima ATPasi che determina l’idrolisi dell’ATP in ADP, fornendo così l’energia che rende possibili i legami fra actina e miosina.

I flussi di calcio che partecipano all’accoppiamento eccitazione-contrazione sono rappresentati da movimenti di calcio tra lo spazio extracellulare, un deposito

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attivatore, un deposito intracellulare (che è probabilmente all’interno del reticolo sarcoplasmatico) ed un deposito di contrazione che è il calcio legato alla troponina.

Dal deposito attivatore si genererebbe un flusso di calcio che dà luogo alla liberazione del calcio presente nel deposito intracellulare. Una piccola quantità di calcio stimolerebbe una seconda liberazione di calcio, in quantità molto maggiore, in grado di provocare la contrazione muscolare.

3.2 Origine del battito cardiaco

Da un punto di vista fisiologico si possono distinguere due tipi di eccitamento:

l’eccitazione spontanea e l’eccitazione che deriva da uno stimolo esterno. La prima si realizza nelle cellule automatiche dette anche pacemakers o segnapassi, capaci di dare origine ad impulsi propri.

Tipiche cellule di questo tipo si trovano a livello del nodo del seno-atriale (NSA), nel nodo atrio- ventricolare (NAV), nel fascio di His e nella rete di Purkinje.

In condizioni normali il battito prende origine dal NSA. Le fibre localizzate vicino alla giunzione del NSA ed alla muscolatura atriale rappresentano pacemakers di riserva, capaci di guidare il cuore ad una frequenza più bassa nel caso in cui l’automatismo del NSA venga soppresso.

Inoltre le cellule del NAV e del fascio di His possono diventare pacemakers attivi quando viene soppressa l’attività del NSA.

Nelle cellule del miocardio comune, il potenziale transmembrana rimane costante mentre nelle cellule pacemakers si osserva una lenta e costante depolarizzazione definita potenziale pacemakers.

Dopo la ripolarizzazione infatti, il potenziale transmembrana decresce spontaneamente fino a raggiungere il valore soglia, in corrispondenza del quale si verifica l’attivazione.

Questa spontanea depolarizzazione è la causa dell’attività automatica di queste cellule.

Al contrario, le cellule miocardiche comuni hanno la capacità di rimanere polarizzate fino a che non le ecciti uno stimolo esterno.

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- 3. L’ELETTROFISIOLOGIA CARDIACA -

La frequenza intrinseca di scarica di una fibrocellula automatica, non dipende solo dalla depolarizzazione spontanea, ma è anche modificata dal livello del potenziale soglia, dalla velocità della fase 4 e dall’ampiezza del potenziale di riposo.

Un aumento della velocità della fase 4 dà luogo al raggiungimento più rapido della soglia, una riduzione del potenziale soglia accelera la partenza della fase 0, una riduzione dell’ampiezza del potenziale di riposo riduce il tempo per raggiungere il livello soglia.

Il risultato di tutti questi meccanismi è un aumento della frequenza cardiaca, se invece avvengono in senso contrario avremo una diminuzione.

3.3 Refrattarietà

L’eccitazione della fibrocellula cardiaca si verifica nel momento in cui uno stimolo elettrico è capace di innalzare il potenziale di riposo fino ad un valore critico, chiamato potenziale soglia. Finché la cellula rimane depolarizzata, non è possibile ottenere una risposta ad un ulteriore impulso.

Pertanto uno stimolo applicato nella fase 0, 1, 2 e parte della fase 3, non provoca eccitazione cellulare.

Una volta che la cellula si è ripolarizzata è possibile ottenere una corrente di sodio verso l’interno della cellula, dando così luogo a una nuova fase 0.

Si può determinare l’eccitabilità di una fibrocellula cardiaca, misurando l’intensità dello stimolo necessario per provocare una risposta.

I valori soglia delle cellule infatti non sono costanti, ma variano col ciclo cardiaco;

per questo è possibile distinguere diversi periodi di eccitabilità.

Il periodo refrattario effettivo corrisponde al periodo del ciclo cardiaco durante il quale, qualsiasi stimolo, per quanto potente, non è in grado di generare un potenziale d’azione.

Il periodo refrattario relativo rappresenta il periodo in cui uno stimolo di intensità abnorme è in grado di generare un potenziale d’azione propagato. Tale potenziale però, ha una fase di ascesa molto lenta e la forza di contrazione che ne deriva è più

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Il periodo supernormale segue quello refrattario relativo. In questa fase, stimoli leggermente minori dello stimolo soglia, provocano una risposta propagata.

Per ultimo abbiamo il periodo della ripolarizzazione completa, durante il quale la cellula miocardica genera ad una soglia normale, un potenziale d’azione normale.

Il periodo refrattario di solito è più lungo nel NAV, più breve nella muscolatura atriale ed ha una durata intermedia nei ventricoli.

Inoltre l’eccitabilità delle fibrocellule cardiache può variare in base a diverse condizioni:

è aumentata dalla ritenzione della CO2, dall’aumento delle catecolamine circolanti e dal livello degli elettroliti.

3.4 Azione degli ioni sul potenziale transmembrana

La concentrazione di ioni come potassio, calcio e sodio influisce notevolmente sullo sviluppo e sulla propagazione dei potenziali d’azione.

Qualsiasi alterazione nell’equilibrio degli ioni all’interno o all’esterno delle cellule, quindi, può influire sull’attività contrattile del miocardio.

Potassio

Iperpotassiemia

Provoca una riduzione del potenziale di riposo dipendente da una variazione del rapporto tra K+ intra ed extracellulare. Questa parziale depolarizzazione inattiva i canali rapidi del Na+ con una riduzione sia della salita che dell’ampiezza del potenziale d’azione.

Ne risulta un rallentamento della velocità di conduzione che corrisponde sul tracciato elettrocardiografico a un aumento della durata del QRS e dell’onda P, con possibilità di blocchi atrio-ventricolari.

L’onda T si presenta ad alto voltaggio ed appuntita (T “a tenda”).

Ipopotassiemia

Provoca un prolungamento della durata del potenziale d’azione. La fase di plateau è ridotta d’ampiezza ma è prolungata. L’intervallo QT risulta allungato e il rallentamento della velocità di ripolarizzazione predispone al rischio di aritmie.

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- 3. L’ELETTROFISIOLOGIA CARDIACA -

Un’onda di depolarizzazione può arrivare in parti del cuore in cui le cellule sono ancora parzialmente depolarizzate. Ciò spiega l’allargamento del QRS e la tendenza a sviluppare una fibrillazione ventricolare. L’onda T si può presentare difasica.

Calcio Ipercalcemia

Porta a un aumento dell’altezza del plateau ma a una diminuzione della sua durata.

L’aumento d’altezza è dovuto a un incremento della corrente lenta Ca-dipendente.

La diminuzione in durata del plateau è effetto di una ripolarizzazione più rapida, dovuta all’uscita di potassio dalla cellula.

Pertanto si ha un QT accorciato, anomalie nel segmento ST e nell’onda T, che derivano dalla ripolarizzazione alterata.

Ipocalcemia

Porta a una riduzione della velocità di insorgenza e dell’ampiezza del potenziale d’azione. Aumenta però la durata del potenziale d’azione, probabilmente perché le correnti di potassio in uscita, che dovrebbero ripolarizzare la cellula, compaiono in ritardo. Il risultato è un prolungamento dell’intervallo QT.

Sodio

Ipernatriemia

Aumenta la velocità di ascesa della depolarizzazione. Questa situazione è di particolare importanza in caso di iperpotassiemia, in quanto il sodio annulla o diminuisce gli effetti dell’aumento del potassio all’esterno della cellula.

Iponatriemia

Riduce la velocità di ascesa e l’ampiezza della fase 0. Tuttavia è difficile avere livelli di iponatriemia compatibili con la vita che diano al contempo modificazioni elettrofisiologiche apprezzabili.

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4 4

4. L’ ELETTROCARDIOGRAMMA

L'elettrocardiogramma (ECG) è il tracciato ottenuto mediante l'elettrocardiografo, apparecchiatura inventata nel 1887 dal tedesco Augustus Waller e perfezionata successivamente dal fisiologo William Einthoven che registra l'attività del cuore tramite elettrodi applicati in diversi punti del corpo.

Il principio su cui si basa la misurazione dell'attività elettrica del cuore è prettamente fisiologico: l'insorgere degli impulsi nel miocardio porta alla generazione di differenze di potenziale (ddp), che variano nello spazio e nel tempo e che possono essere registrate tramite degli elettrodi.

La registrazione della ddp da parte di elettrodi posti sulla superficie corporea avviene grazie alla conducibilità dei liquidi interstiziali del corpo umano.

Le connessioni convenzionali che vengono utilizzate per ottenere un tracciato sono dette derivazioni e si distinguono in derivazioni degli arti, derivazioni degli arti amplificate e derivazioni precordiali. Queste ultime non sono applicate routinariamente negli animali, per la difficoltà nel porre gli elettrodi nei punti esatti.

Le derivazioni periferiche bipolari, dette anche di Einthoven sono tre.

Derivazione I.

Identifica le variazioni di potenziale elettrico fra arto anteriore sinistro ed arto anteriore destro. Quando la parte sinistra del corpo è a potenziale positivo rispetto alla destra si osserva una deflessione verso l’alto.

Derivazione II.

Si ottiene collegando l’arto anteriore destro con l’arto posteriore sinistro.

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-4.L’ELETTROCARDIOGRAMMA -

Quando l’arto sinistro è a potenziale positivo rispetto all’arto anteriore destro, si osserva sul tracciato una deflessione verso l’alto.

DerivazioneIII.

Rappresenta la connessione fra l’arto posteriore sinistro e l’arto anteriore sinistro.

Quando l’arto posteriore ha potenziale positivo rispetto all’anteriore, si osserva sul tracciato una deflessione positiva.

Nell’insieme, le tre linee che congiungono gli elettrodi , formano un triangolo (triangolo di Einthoven).

Einthoven introdusse la convenzione di considerare il piano frontale come un cerchio diviso in due metà, una superiore e l’altra inferiore.

Procedendo in senso antiorario sul perimetro della metà superiore del cerchio, gli angoli assumono valori negativi, da 0˚a -180˚. Sulla metà inferiore invece, procedendo in senso orario, si avranno valori che vanno da 0˚a +180˚.

Utilizzando il triangolo di Einthoven è possibile calcolare l’asse elettrico cardiaco che rappresenta la direzione media dell’attivazione.

Nel cane l’asse elettrico si trova fra +40˚ e +100˚; nel gatto è compreso fra 0˚ e +160˚.

Sull’orientamento dell’asse elettrico influisce anche la conformazione toracica.

Gli animali a torace stretto presentano un asse cardiaco più verticale, mentre animali a torace largo hanno un asse più orizzontale.

Figura 4 - Asse elettrico cardiaco

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4.1 Eventi elettrici cardiaci e vettori

Un insieme di cellule che sono investite da una rapida variazione del potenziale di riposo, generano un’onda di depolarizzazione, che può essere rappresentata come un dipolo (insieme di cariche di segno opposto, separate fra loro).

Le forze elettriche sono vettori rappresentati per convenzione da frecce. La grandezza della forza corrisponde alla lunghezza della freccia, la punta invece indica la direzione e la polarità.

Quando l’onda di depolarizzazione si muove verso l’elettrodo positivo,si registra una deflessione positiva. Quando l’onda di depolarizzazione parte da un elettrodo positivo, si registra una deflessione negativa, perché l’onda si allontana dall’elettrodo.

Si registrano deflessioni piccole o assenti quando l’onda di depolarizzazione è perpendicolare alla linea immaginaria che congiunge gli elettrodi

disposto per convenzione con il segno positivo in avanti, cioè nel senso della corrente di depolarizzazione e con la coda negativa.

Volendo, a questo punto, rilevare una tale attività di depolarizzazione che investe il miocardio, sul tracciato ECG, essa è rappresentata da una deflessione positiva se l’elettrodo che esplora tale dipolo è posto di fronte, cioè se "vede" tale dipolo che si avvicina a lui, se, viceversa, il dipolo si allontana, sarà negativa.

LA FIBRA È A RIPOSO

LA FIBRA SI DEPOLARIZZA DA Dx A Sx

LA FIBRA É TUTTA DEPOLARIZZATA

LA FIBRA SI DEPOLARIZZA DA Sx VERSO Dx

LA FIBRA E’ A RIPOSO Figura 5 - Depolarizzazione della fibra muscolare.

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-4.L’ELETTROCARDIOGRAMMA -

Nel cuore lo stimolo elettrico nasce e si propaga dagli atri ai ventricoli attraverso un sistema cellulare che possiede particolari caratteristiche, detto 'sistema di conduzione'.

Tale sistema comprende il nodo seno-atriale situato nell'atrio destro: esso è il ritmatore (o pacemaker) naturale del cuore. Dal nodo seno-atriale la depolarizzazione si propaga agli altri generando sull'elettrocardiogramma l'onda P, un complesso rapido di lieve voltaggio. Quando il ritmo cardiaco è determinato dall'attività del nodo seno-atriale il ritmo si dice 'sinusale'. Lo stimolo elettrico passa dagli atri ai ventricoli convogliato al nodo di Tawara, situato tra gli atri e i ventricoli; da questo nasce il fascio di His che percorre il setto interventricolare e si divide dopo un breve tratto in una branca destra e in una sinistra, le quali a loro volta si ramificano nel sistema delle fibre di Purkinje che terminano sfioccandosi nel tessuto miocardico ventricolare.

In ultima analisi un ciclo cardiaco è dato dall’onda P di attività elettrica atriale, legata alla contrazione degli atri, un complesso QRS ad alto voltaggio, dove la Q deve essere sempre molto piccola, R è la deflessione positiva ed S quella negativa, che costituiscono l’attività dei ventricoli; a questo punto segue un tratto S e T, e l'onda T di debole voltaggio.

Il tratto ST riveste notevole importa ai fini dell’interpretazione dell’ECG, perchè esprime lo stato delle coronarie e dell’ossigenazione del miocardio, intesa come flusso ematico.

La fase di ripolarizzazione, in cui le cellule, per effetto delle pompe di membrana, riprendono la carica elettronegativa all’interno, viene rappresentata come onda della fase di ripolarizzazione o di recupero o onda T.

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La registrazione del tracciato viene fatta su carta tarata, con velocità di scorrimento variabile (25mm/sec o 50mm/sec) e taratura 0.5, 1 ,2 centimetri equivalenti ad 1 mV.

La lettura del tracciato elettrocardiografico prevede il calcolo della frequenza cardiaca, l’individuazione del pacemaker (ritmo) e la misura di:

 Asse elettrico cardiaco

 Ampiezza e durata dell’onda P

 Durata del segmento PQ

 Ampiezza onda R

 Durata del complesso QRS

 Ampiezza dell’onda Q

 Durata del segmento ST

 Durata del segmento QT

 Ampiezza e durata dell’onda T

4.1.1 Ritmo cardiaco e frequenza

Un ritmo regolare è contrassegnato dalla costanza dell’intervallo R-R o P-P.

In caso di regolarità bisogna stabilire se si tratta di un ritmo sinusale (fisiologico) o ectopico. Un ritmo sinusale mostra variazione dell’intervallo R-R inferiori al 5%.

Generalmente la variazione è maggiore in presenza di bradicardia e minore in presenza di tachicardia. Si possono avere anche variazioni sincrone con la respirazione. Si parla di aritmia sinusale respiratoria, quando la frequenza aumenta durante l’inspirazione e diminuisce durante l’espirazione.

4.1.2 Onda P

L’onda P rappresenta la depolarizzazione atriale e la sua durata indica il tempo che un impulso impiega per passare dal NSA al NAV. L’onda P può essere positiva,

dentellata, bifasica o negativa.

In derivazione II, normalmente un’onda P si presenta piccola e arrotondata.

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-4.L’ELETTROCARDIOGRAMMA-

Nel caso in cui si presenti dentellata, può essere considerata normale se l’intervallo fra le cuspidi è inferiore a 30 msec. Si definisce di ampio voltaggio un’ampiezza dell’onda P superiore a 0.3 mV.

Alterazione dell’onda P e del tratto P-R possono essere indice, oltre che di dilatazione della camera atriale sinistra, anche di ispessimento parietale e alterazione della

conduzione interatriale. Nel caso di ingrandimento atriale sinistro, l’onda P si presenta larga e bifida (P “mitralica”).

Figura 7 - Alterazioni onda P

L’ingrandimento atriale destro determina un aumento di voltaggio dell’onda P (> 0.4 mV) che prende il nome di P “gotica” o “polmonare”. Presenta una aspetto allungato e sottile nelle derivazioni I, III e aVF.

Figura 8 - Alterazioni onda P

Un aumento della durata e del voltaggio dell’onda P invece, è indice di ingrandimento biatriale. Una polarità negativa nelle derivazioni dove l’onda P è normalmente positiva, è segno di anormale depolarizzazione atriale, soprattutto se

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4.1.3 Complesso QRS

Corrisponde alla depolarizzazione ventricolare ed è costituito da tre onde. La normalità del complesso QRS è definita dalla combinazione di vari parametri: dalla durata delle singole deflessioni, dal loro voltaggio, dalla regolarità del loro contorno.

L’onda Q è la deflessione negativa che precede l’onda R. Il picco R è una forte deflessione positiva e in alcuni casi può essere seguita da una seconda deflessione positiva, R’. L’onda S è la deflessione negativa che segue la R.

Nel cane la durata è compresa fra 0.04” e 0.07”. Il voltaggio dell’onda Q deve essere inferiore a 1/3R e il voltaggio massimo di R è 3mV. Il complesso ventricolare termina con una piccola punta negativa, l’onda S, dovuta la fatto che l’ultima masserella di ventricolo che si depolarizza si trova alla base del ventricolo sinistro. La durata del complesso QRS nel cane è:

− inferiore a 0.06 sec per soggetti di peso >20 kg;

− inferiore a 0.05 sec per soggetti di peso <20 kg;

4.1.4 Onda T

L’onda T segue il complesso QRS e rappresenta la ripolarizzazione ventricolare. Nel cane può essere una deflessione positiva o negativa.

La sua durata massima è di 0.08”, il voltaggio di 0.18 mV.

In corso di iperkaliemia, possiamo ritrovare alterazioni dell’onda T che si presenta di voltaggio maggiore ed appuntita (cosiddetta T “a tenda”).

Questa conformazione si può ritrovare anche in corso di ipossia miocardica, ingrandimento ventricolare e anomalie della conduzione ventricolare.

In corso di ipokaliemia si presenta invece difasica.

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-4.L’ELETTROCARDIOGRAMMA-

4.1.5 Intervallo ST

L’onda S è seguita da un tratto isoelettrico durante il quale tutte le cellule ventricolari sono nella fase 2, cioè sono depolarizzate con un voltaggio stabile. Questo tratto riveste una particolare importanza perché se un gruppo di cellule è diventato ineccitabile a causa di un infarto, fra le cellule eccitate e quelle danneggiate continua a passare corrente elettrica e l’intervallo ST risulta slivellato (G.Crepaldi et al.).

L’elevazione del segmento ST può indicare:

− pericardite;

− infarto;

− ipossia miocardica;

− ipertrofia ventricolare;

La depressione (sottoslivellamento) può indicare:

− ischemia miocardica;

− infarto miocardico;

− iperkaliemia, ipokaliemia;

− ipertrofia ventricolare;

4.1.6 Segmento QT

Rappresenta la sistole elettrica, ossia il tempo che intercorre fra le fase iniziale di depolarizzazione e la ripolarizzazione ventricolare. É il tratto compreso fra l’inizio dell’onda Q e la fine dell’onda T.

Il suo valore varia in relazione alla frequenza cardiaca secondo una legge di proporzionalità inversa. L’intervallo QT può essere misurato in valori assoluti oppure corretti in relazione alla frequenze cardiaca utilizzando l’indice di Bazzet:

QTc= QT R @ R

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dove l’intervallo R-R rappresenta il tempo che intercorre fra due picchi R consecutivi.

Il limite minimo entro il quale l’intervallo QT è considerato nella norma è di 0.15”, il

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