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G ENERARE LA DIVERSITÀ CELLULARE NEL TEMPO

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Academic year: 2021

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I NTRODUZIONE

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G ENERARE LA DIVERSITÀ CELLULARE NEL TEMPO

Uno degli interrogativi più affascinanti della biologia rimane quello di come strutture complesse, diversificate e dalle molteplici funzioni possano formarsi a partire da gruppi di cellule progenitrici tutte identiche senza nessun intervento organizzatore esterno. Questo mistero, il processo che noi chiamiamo “sviluppo”, è imprescindibile da una regolazione di estrema precisione di tutti i processi fondamentali presenti nelle cellule, a partire dalla loro crescita, riproduzione e morte (il ciclo cellulare e i processi di senescenza e apoptosi) proseguendo con la sintesi di acidi nucleici e proteine, il mantenimento e la modificazione della loro struttura interna (polarità, struttura citoscheletrica, localizzazione intracellulare), la loro comunicazione con l'ambiente esterno e con le altre cellule (trafficking di membrana, secrezione, trasduzione del segnale, adesione) e addirittura la loro migrazione.

Ognuno di questi componenti del macchinario cellulare deve effettuare certe operazioni in un momento ben preciso, con un minimo margine di errore, affinchè il risultato sia quello corretto, il tutto sulla base di un programma contenuto nelle cellule stesse che contiene un numero di istruzioni (i geni) straordinariamente piccolo se si considera la complessità dei processi che deve dirigere.

Tutto questo ci appare incredibile e affascinante, e la rivelazione dettagliata del “mistero dello sviluppo”, per non parlare della possibilità di manipolarlo a vantaggio del genere umano, è senz'altro un “santo graal” della ricerca biomedica odierna.

Se per alcuni tessuti particolarmente semplici (ad esempio alcuni epiteli di rivestimento e alcuni connettivi, tra cui il tessuto sanguigno) la risposta sembra abbastanza vicina, e vi sono già numerose applicazioni pratiche, lo sviluppo del sistema nervoso resta in gran parte un puzzle irrisolto. Le strutture nervose sono composte da un numero variabile di strati contenenti tipi cellulari differenti e di solito altamente specializzati, che si connettono in modo altamente specifico a uno o più altri elementi sia in modo orizzontale (entro lo stesso strato) che verticale (tra strati diversi).

Questo tipo di struttura presenta dei vantaggi decisivi per i compiti che il sistema nervoso deve

svolgere, perchè consente la creazione di reti di enorme complessità i cui nodi possono collegarsi

tra loro con rapporti diversi (uno-a-uno, uno-a-molti o molti-a-uno), pur mantenendo una

organizzazione di base nel processo di elaborazione, spesso basata su una serie di passaggi ordinati

effettuati in serie nei vari strati e in parallelo su “colonne” di tessuto ciascuna comprendente una

sezione di ogni strato (si pensi, a proposito, all'organizzazione colonnare della corteccia visiva, che

è forse l'esempio meglio studiato).

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Tuttavia, si tratta di una struttura estremamente difficile da costruire a partire da una massa di cellule proliferanti assolutamente identiche e per nulla stratificate. Per formare una successione ordinata di strati contenenti tipi cellulari diversi, i progenitori dei neuroni devono coordinare la loro riproduzione e i loro segnali interni in modo tale da produrre ondate successive di cellule, uscite dal ciclo cellulare, che migreranno andando poi formare gli strati stessi. Le cellule di ogni ondata dovranno poi essere in qualche modo istruite, o auto-istruirsi, su come diventare un certo tipo cellulare, vale a dire, per esempio, una cellula bipolare piuttosto di una cellula dei gangli o una cellula piramidale (Cremisi et al., 2003). Al tempo stesso i neuroni dovranno ricevere dei segnali che gli forniscano informazioni su dove inviare i loro prolungamenti e sui bersagli con cui formare sinapsi, formando in questo modo la “connettività” (quello che in inglese viene definito wiring) della rete nervosa (Mann et al., 2004). Alcuni gruppi di corpi cellulari, infine, migreranno in posizioni specifiche, in alcuni casi non corrispondenti agli strati in cui solitamente sono collocate (le cosiddette cellule displaced), mentre altri progenitori non diventeranno mai neuroni veri e propri (cioè non avranno una attività elettrica) e andranno a formare le cellule “di supporto” della glia.

Un fenomeno del genere non può non dipendere da numerosi meccanismi di regolazione, che agiscono sia all'interno delle cellule che tra una cellula e l'altra (fattori intrinseci ed estrinseci). In particolare, dal momento che, come detto, gli strati si formano a partire da ondate di cellule progenitrici che smettono di riprodursi in momenti successivi, questi meccanismi regolativi devono in qualche modo coordinarsi sulla base di una variabile temporale. In altre parole deve esistere un

“orologio” che indichi ai progenitori quando iniziare il programma di sviluppo. La decisione riguardo a quale programma attivare, potrebbe dipendere, oltre che da segnali esterni, quali gradienti spaziali di fattori morfogeni o interazioni cellula-cellula, dallo stesso orologio, che controllerebbe quindi due degli elementi fondamentali dello sviluppo nervoso, con ricadute potenzialmente applicabili anche allo sviluppo degli altri tessuti.

La ricerca dei meccanismi che legano lo sviluppo al tempo è lo scopo del filone di ricerca al cui

interno è contenuto questo lavoro di tesi. Come verrà descritto in seguito, studi effettuati negli

scorsi anni in in parallelo a questo lavoro lasciano supporre che nei progenitori neurali esista in

effetti un “orologio” in grado di misurare il tempo rilevando la lunghezza del ciclo cellulare e di

dirigere il differenziamento agendo su alcuni geni fondamentali che funzionano da “interruttori”,

attivando cascate di attivazione genica in grado di guidare le cellule verso uno specifico destino.

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M ODELLO DI STUDIO

Il modello da noi utilizzato, la retina neurale dell'anfibio Xenopus laevis, è ideale per questo tipo di studi per diversi motivi.

L’occhio, infatti, e nello specifico la sua parte sensibile, la retina, è una parte integrante del sistema nervoso centrale nonostante la sua posizione periferica. Embriologicamente deriva direttamente dalla stessa struttura che dà origine alle aree profonde del cervello (il diencefalo), e condivide con la corteccia (preposta alle funzioni superiori), l’ippocampo (memoria) e il cervelletto (integrazione motoria) la presenza di una struttura stratificata complessa. Non solo si tratta di una parte di sistema nervoso, quindi, ma una parte con notevoli funzioni integrative, capace di captare i segnali luminosi e di trasformarli in stimoli elettrici, ma anche di effettuare una elaborazione precoce di quei segnali (ad esempio individuando linee e contrasti) inviando alle aree visive della corteccia una informazione già molto “elaborata”.

Rispetto al cervello, la retina offre numerosi vantaggi per gli studi in vivo: è più accessibile, è facilmente osservabile ed ha una struttura relativamente più semplice di altre aree cerebrali, essendo costituita solo da tre strati in luogo dei sei che formano, ad esempio, la corteccia. Inoltre, la vista è un senso molto sviluppato già in vertebrati che non presentano, di contro, un grande sviluppo cerebrale, come ad esempio gli anfibi.

In particolare lo Xenopus laevis, una rana appartenente alla famiglia degli anuri, di origine sudafricana, è adatto al nostro studio per varie ragioni. Si tratta di un animale molto prolifico e facile da stabulare: in qualsiasi periodo dell’anno la femmina può essere artificialmente indotta a deporre uova mediante stimolazione ormonale: di solito vengono rilasciate tra le 1000 e le 1500 uova, che possono essere fecondate esternamente con facilità.

La grandezza delle uova, circa 1 mm di diametro, permette di manipolarle semplicemente con l’uso di uno stereoscopio e consente un’ampia gamma di esperimenti: ad esempio attraverso la microiniezione di DNA plasmidico o mRNA sintetizzato in vitro è possibile studiare l’effetto della sovraespressione di un gene; allo stesso modo e possibile microiniettare mRNA in oociti maturi per sfruttarli letteralmente come fabbriche di proteine.

Lo studio della perdita di funzione mediante “knock-out” genico, possibile in altri sistemi modello

(ad esempio il topo) ormai a livello di routine, in Xenopus laevis è impossibile: si tratta innanzitutto

un organismo tetraploide (e quindi dotato di 4 copie geniche da sopprimere), e inoltre la

ricombinazione omologa non avviene con la stessa efficienza che in altre specie. Dato che la

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maturità sessuale viene raggiunta dopo tre anni di vita, poi, contro i pochi mesi del topo, risulta anche scarsamente praticabile stabilire linee transgeniche. Ad ogni modo, in Xenopus sono disponibili metodi per l’inattivazione funzionale (knock-down), come la microiniezione di siRNA o di oligonucleotidi antisenso, oppure di costrutti dotati di potenti repressori trascrizionali (ad esempio il dominio di repressione del gene engrailed di Drosophila).

Altra caratteristica utile è la rapidità con cui si sviluppano gli embrioni: una volta fecondato, l’uovo di Xenopus laevis si divide in due blastomeri in circa 90 minuti e le divisioni successive avvengono in maniera sincrona ogni 20 minuti, fino allo stadio di blastula: di solito perché un embrione arrivi allo stadio di larva natante, e quindi abbia completato l’organogenesi, sono sufficienti due giorni (vedi fig. 1)

Fig. 1: Ciclo vitale di Xenopus laevis

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S VILUPPO RETINICO

Istologia e morfogenesi dell'occhio

L’occhio, nei vertebrati in generale e in Xenopus in particolare, è una struttura che deriva embriologicamente da diverse popolazioni cellulari, tra cui neuroectoderma anteriore, ectoderma epidermico e creste neurali.

La morfogenesi dell’occhio ha inizio dopo la chiusura del tubo neurale, con l’estroflessione di due vescicole ottiche a livello della vescicola diencefalica. Le vescicole si allontanano lateralmente dall’embrione, lasciandosi dietro il peduncolo ottico, e si invaginano, formando una struttura a coppa (coppa ottica) bistratificata, che darà origine alla retina neurale (strato interno) e all’epitelio pigmentato che la circonda (strato esterno).

Avvicinandosi all’ectoderma laterale le vescicole ottiche secernono dei segnali che provocano un suo ispessimento e una sua invaginazione a formare il futuro cristallino. La formazione del cristallino e l’istogenesi retinica procedono di pari passo fino al termine dello sviluppo.

Contemporaneamente le cellule gangliari emettono assoni che migrano, attraverso il peduncolo ottico, verso il tetto ottico, dove formano sinapsi con i neuroni preposti alla ricezione delle informazioni visive (Gilbert, 2006).

La retina dei vertebrati è una struttura pluristratificata. In sezione trasversale, dall’epitelio pigmentato al cristallino, si possono individuare diversi strati:

1. Lo strato nucleare esterno (ONL, Outer Nuclear Layer), composto dai corpi cellulari dei fotorecettori (coni e bastoncelli)

2. Lo strato plessiforme esterno (EPL, External Plexiform Layer), composto da assoni e dai dendriti dei fotorecettori e delle cellule bipolari, amacrine e orizzontali soprastanti

3. Lo strato nucleare interno (INL, Inner Nuclear Layer), composto dai corpi cellulari delle cellule bipolari, orizzontali ed amacrine

Fig. 2: Schema degli strati e dei tipi cellulari retinici

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4. Lo strato plessiforme interno (IPL, Internal Plexiform Layer), composto da assoni e dendriti delle cellule bipolari, orizzontali ed amacrine e delle cellule gangliari soprastanti 5. Lo strato delle cellule gangliari (GCL, Ganglion Cell Layer), composto dai corpi cellulari

delle cellule gangliari, i cui assoni formano il nervo ottico.

Si nota come i tre strati siano di fatto dedicati a tre funzioni differenti: trasduzione del segnale luminoso, elaborazione e trasmissione ai centri superiori. Tali funzioni sono mediate da diversi tipi cellulari, di seguito brevemente descritti:

Fotorecettori: sono localizzati nell’ONL e sono responsabili della trasduzione degli stimoli luminosi in potenziali di azione. Si dividono in bastoncelli, particolarmente sensibili alla luce e utilizzati per la visione monocromatica in condizioni di bassa luminosità (scotopiche) e coni, utilizzati per la visione cromatica in condizioni di luce buone (fotopiche). Ogni fotorecettore presenta un segmento esterno, in cui sono impilati i pigmenti fotosensibili, collegato da un peduncolo al corpo cellulare, che presenta all’estremità opposta il terminale sinaptico.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare i fotorecettori sono disposti con la porzione sensibile alla luce verso l’esterno. La retina, infatti, presenta una organizzazione invertita, per cui l’informazione visiva attraversa dapprima tutti gli strati deputati all’integrazione e alla trasmissione, per poi venire convertita in stimolo nervoso e seguire il percorso contrario prima di essere ritrasmessa ai centri superiori di elaborazione

Cellule orizzontali: deputate ad una prima integrazione dei segnali, sono posizionate nelle immediate vicinanze dell’EPL, sul lato esterno dell’INL. Emettono dendriti che contattano più fotorecettori. Sono le principali mediatrici dei fenomeni di inibizione laterale che consentono la percezione dei contrasti.

Cellule amacrine: si tratta di neuroni associativi ubicati nell’INL, deputati all’elaborazione degli stimoli visivi. Si dividono in due categorie: amacrine colinergiche, che trasmettono gli stimoli alle cellule gangliari degli strati più interni, e amacrine AII, che costituiscono una sorta di ponte tra bipolari, bastoncelli e gangliari consentendo la visione in condizioni scotopiche (Xu & Karwoski, 1995).

Cellule gangliari: sono deputate alla trasmissione dell’informazione visiva ai centri

superiori, e nello specifico al tetto ottico. Ogni cellula gangliare genera un assone,

contribuendo a formare il nervo ottico. Ogni cellula invia i segnali relativi ad una

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specifica area del campo visivo, detta campo ricettivo. Il segnale trasmesso è composto da una sequenza continua di potenziali di azione, la cui frequenza è modulata dai segnali in ingresso dagli strati più esterni. Per ogni segmento del campo visivo la trasmissione è svolta da due categorie di cellule, rispettivamente definite centro-on e centro-off. Le prime inviano stimoli quando viene illuminata l’area centrale del campo ricettivo, le seconde vengono inibite dalle stesse condizioni. Questo fa sì che, se due segmenti adiacenti presentano un livello di attivazione diverso (ad esempio perchè uno è illuminato e l'altro no) lo stimolo finale sia più intenso, e in definitiva consente la visione dei contrasti.

Cellule bipolari: come tutte le cellule nervose bipolari, hanno la funzione di ritrasmettere stimoli da un recettore e un altro tipo di cellula nervosa. Le bipolari retiniche, vale a dire le cellule sul cui differenziamento è basato questo intero lavoro, si trovano nell’INL e cointattano da una parte un fotorecettore e dall’altra una o più cellule dell’INL.

Cellule della glia di Müller: si tratta di cellule gliali i cui prolungamenti attraversano tutta la retina neurale, e i cui nuclei si trovano solitamente all’interno dell’INL. Non sono impegnate direttamente nella generazione e propagazione del segnale nervoso, hanno funzioni trofiche e di sostegno per i neuroni.

Lateralmente, in corrispondenza del margine ciliare, su entrambi i lati, si trova una zona, detta CMZ (dall’inglese Ciliar Marginal Zone) in cui si trovano, ad ogni stadio di sviluppo, progenitori retinici proliferanti (Perron & Harris, 2000) Si tratta di una sorta di riserva di cellule staminali retiniche, da cui per tutto l’arco dello sviluppo dell’organismo si differenziano neuroni e cellule gliali. Inizialmente una tale area è stata identificata in Xenopus e in altri vertebrati inferiori, ma di recente

Fig. 3: Occhio di X.laevis trasfettato con un vettore di espressione codificante RFP – proteina fluorescente rossa. Da F.Cremisi, dati non pubblicati

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un suo analogo è stato visto essere presente anche in uccelli (G.gallus) e in uomo. (Fischer & Reh, 2000; Mayer et al., 2003)

La retina si accresce infatti per apposizione, per cui le cellule formatesi precocemente si trovano centralmente rispetto a quelle più tardive. Dalla CMZ al centro della retina è presente una sorta di gradiente latero-mediale, divisibile in diverse zone sulla base dell'espressione di geni marcatori di staminalità specificazione neurale precoce e tardiva, con cellule via via più differenziate quanto più ci si allontana dal margine ciliare. Per questo si dice che la CMZ riepiloga la retinogenesi, (Perron et al., 1998, Tropepe et al., 2000). Una importante conseguenza di questo è la possibilità di avere informazioni su un pattern temporale (ad es. di sviluppo cellulare o di attivazione genica) osservando un pattern spaziale.

Differenziamento dei tipi cellulari retinici

La complessità strutturale della retina neurale appare tanto più degna di nota in quanto viene raggiunta, così come accade in tutte le altre aree del sistema nervoso centrale, a partire da un singolo epitelio monostratificato composto da cellule staminali multipotenti dette progenitori retinici o retinoblasti. Questi progenitori attraversano dapprima una fase proliferativa guidata dall'azione di vari fattori di trascrizione e molecole secrete, tra cui rx1 (Casarosa et al., 2003) e sonic hedgehog (shh, Locker et al., 2006; Perron et al., 2003), aumentando di numero, per poi iniziare a differenziarsi dando origine ai diversi tipi cellulari.

E’ in questa fase che si forma anche la stratificazione già descritta.

Gli strati cellulari si formano, significativamente, dall’esterno verso l’interno (nel resto del sistema nervoso centrale si formano dall’interno all’esterno, si è già detto come la retina sia invertita rispetto al resto del SNC) e dai lati verso il centro. I progenitori retinici sono localizzati a ridosso dell’epitelio pigmentato e nella CMZ e continuano a produrre, per tutto lo sviluppo neurale, neuroni differenziati (post-mitotici) che si aggiungono per apposizione agli strati più interni.

Fig. 4: Multipotenza e ordine temporale nella genesi dei tipi cellulari retinici. G: cellula gangliare, H:

orizzontale, A: amacrina, C: cono, R: bastoncello, B:

bipolare, M: glia di Muller

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Una prima fondamentale osservazione su questo processo riguarda proprio la multipotenza dei progenitori retinici, che sono in grado di differenziarsi in tutti i tipi cellulari neuronali presenti nella retina e anche nelle cellule della glia di Müller. Questo è stato dimostrato in vivo, nel 1987 da Price, Turner e Cepko, che iniettando in R.norvegicus un vettore retrovirale contenente il reporter della β- galattosidasi hanno dimostrato che da un singolo progenitore si formava una progenie contenente tutti i tipi cellulari sopra descritti (Price et al., 1987; Turner & Cepko, 1987). La multipotenza dei progenitori è stata dimostrata anche in Xenopus trasfettando GFP in embrioni a stadio precoce (Cremisi et Al, dati non pubblicati).

Un secondo punto di estrema importanza è quello riguardante il momento in cui ogni tipo cellulare esce dal ciclo e inizia il differenziamento (la sua birth date). Studi in vivo eseguiti tramite incorporazione di timidina triziata o di Bromo-deossi-uridina (BRDU) hanno dimostrato che il differenziamento segue un ordine conservato in tutti i vertebrati: dapprima escono dal ciclo le cellule gangliari, seguite poi da coni e cellule orizzontali, cellule amacrine, bastoncelli, cellule bipolari e infine cellule della glia (vedi fig. 4)(Cepko et al., 1996; Harris, 1997; Decembrini et al., 2006).

Questi due elementi suggeriscono che la competenza dei progenitori retinici sia variabile nel tempo. In altre parole, i retinoblasti, dopo la fase proliferativi iniziale, caratterizzata da divisioni simmetriche, andrebbero incontro ad una serie di divisioni asimmetriche, in cui cioè una delle due cellule figlie rimane proliferante mentre l’altra, post-mitotica, va incontro a differenziamento. Con il passare del tempo i progenitori restanti modificherebbero la loro specificazione, producendo a stadi diversi tutti i tipi cellulari, secondo un ordine sia temporale che spaziale.

Per cellule gangliari, amacrine e bipolari si osserva l’esistenza di un rapporto tra lo stadio di uscita dal ciclo e la posizione negli strati, dove le cellule più precoci si localizzano più internamente rispettando il modello ad apposizione. Questo non accade invece per quanto riguarda coni, bastoncelli e cellule orizzontali (per cui sono forse possibili fenomeni di migrazione post- differenziativi)

Il differenziamento è guidato dall'azione di fattori sia intrinseci che estrinseci (Livesey & Cepko,

2001). I primi sono costituiti in massima parte da geni pro-differenziativi codificanti per fattori di

trascrizione (TFs) ad omeodominio (geni homeobox) che agiscono in modo cellula-autonomo. In

molti casi l'attivazione di un singolo gene è sufficiente a promuovere una cascata di eventi che

guida la cellula verso il differenziamento. Per questo motivo è lecito pensare che tali fattori di

trascrizione siano uno degli ultimi passaggi nel meccanismo che i progenitori retinici usano per

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“scegliere” il loro destino differenziativo in base al tempo, e quindi si trovino a valle di una serie di altri fattori (i fattori estrinseci già menzionati, assieme ad altri fattori intrinseci) che ne regolano finemente l'espressione nello spazio e nel tempo in modo da ottenere come risultato finale una retina correttamente stratificata.

Di seguito sono descritte le conoscenze finora disponibili sui principali TFs pro-differenziativi retinici, sui cui meccanismi di regolazione è basato questo lavoro, e sugli altri fattori intrinseci che li regolano. Vengono inoltre brevemente introdotti, per completezza, alcuni dei principali fattori estrinseci noti.

Fattori intrinseci (geni homeobox pro-differenziativi)

otx

La famiglia otx contiene geni omologhi a orthodentiche (gene gap cefalico, che controlla lo sviluppo della testa) di Drosophila, codificanti per fattori di trascrizione caratterizzati da un omeodominio di tipo paired-like. Nei vertebrati sono stati isolati e caratterizzati come appartenenti a questa famiglia i geni otx1, otx2, otx3, otx4, otx5 e otx5b (crx nei mammiferi), tutti coinvolti nella formazione delle parti anteriori dell’embrione e degli organi di senso.

Numerosi studi su topo (Simeone & Acampora, 2001; Acampora et al., 1995), zebrafish (Li et al., 1994; Mercier et al., 1995) e Xenopus (Andreazzoli et al., 1997;Vignali et al., 2000) hanno dimostrato l’importanza di tutti i geni otx, durante le prime fasi dello sviluppo, per la corretta specificazione delle aree anteriori del sistema nervoso. Esperimenti di knock-out genico hanno mostrato sostanziale riduzione del neuroectoderma anteriore in embrioni in cui tali geni erano inibiti, mentre ibridazioni in situ hanno mostrato una loro localizzazione nelle strutture nervose della testa, retina compresa. Infine esperimenti di sovraespressione hanno mostrato la loro capacità di indurre tessuto neurale ectopico.

I geni otx diventano importanti per l’istogenesi retinica a stadio più tardivo, quando alcuni di essi sono necessari e sufficienti a indurre il differenziamento di fotorecettori (otx5b in Xenopus, otx2 e crx in topo) e di cellule bipolari (otx2 in Xenopus) (Viczian et al., 2003)

In particolar modo, per crx è nota, in topo, la capacità di attivare numerosi geni specifici dei

fotorecettori come rodopsina e IRBP (interphotoreceptor retinoid binding proteini) β-

fosfodiesterasi. Topi mutanti crx

-/-

non formano il segmento esterno dei fotorecettori (Furukawa et

al. 1999), mentre mutazioni di hcrx (umano) provocano distrofia cono/bastoncellare, associata a

cecità, retinite pigmentosa e amurosi congenita di Leber (Freund et al., 1997).

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chx/vsx

chx10 è un gene di topo, dotato di homeobox, di cui è noto il pattern di espressione: dapprima in tutti i progenitori retinici e in seguito nelle cellule bipolari.

La funzione precoce di questo gene, e del suo omologo in zebrafish vsx2, è quindi quella di stimolare la proliferazione dei progenitori retinici. Mutanti in cui chx10/vsx2 è inibito mostrano un calo nel numero di retinoblasti presenti nella retina e un ritardo nello sviluppo oculare (Burmeister et al., 1996).

La funzione tardiva sull’istogenesi, invece, pare essere quella di attivare, assieme ad otx2, il differenziamento delle cellule bipolari. Questo è dimostrato sia in topo che in zebrafish dell’osservazione di mutanti chx10/vsx2

-/-

che non presentano affatto cellule bipolari, indice del fatto che l’espressione del gene è necessaria al differenziamento. Viceversa una sovraespressione di chx10/vsx2 provoca un aumento delle cellule bipolari a scapito di altri tipi cellulari retinici (Hatakeyama et al., 2001)

In Xenopus è stato recentemente isolato un gene omologo a chx10/vsx2 denominato Xvsx1 (D'Autilia et al., 2006). E’ stato dimostrato che tale gene è espresso selettivamente nelle cellule bipolari e che la sua attivazione è sufficiente a spingere i progenitori retinici verso un destino differenziativo bipolare. In topo, il gene vsx1 pare essere necessario alla specificazione delle cellule bipolari che contattano i coni (Ohtoshi et al., 2004)

bh1

I geni bh sono omologhi del gene bar di Drosophila, necessario per la corretta specificazione dei fotorecettori oculari (strati R1-R6) (Hayashi et al., 1998). Il primo membro della famiglia ad essere stato isolato è Xbh1 in Xenopus, che è espresso nelle cellule gangliari durante l’istogenesi retinica.

E’ stato dimostrato che Xbh1 svolge un importante ruolo nella retinogenesi, promuovendo il differenziamento di cellule gangliari a scapito dei fotorecettori. (Poggi et al., 2004)

nr1

Il gene homeobox nr1 pare regolare il destino differenziativo tardivo dei fotorecettori verso cono

o bastoncello. In particolare, come dimostrato in Xenopus, nr1 è in grado di indurre la formazione

dei bastoncelli bloccando nel frattempo quella dei coni, ragion per cui una sua sovraespressione

provoca uno sbilanciamento tra i sottotipi recettoriali a favore dei primi (McIlvain & Knox, 2007)

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Fattori intrinseci (regolatori)

Le due principali classi di geni in grado di influenzare il differenziamento dei neuroni retinici sono i fattori di trascrizione del campo oculare (o eye field transcription factors, EFTFs) e i geni pro-neurali.

Gli EFTFs sono inplicati nella specificazione, allo stadio di sviluppo di neurula precoce, dell'area di tubo neurale destinata a formare gli occhi, il cosiddetto campo oculare, che inizialmente è unico e disposto centralmente (solo in seguito si divide per formare le due vescicole ottiche). Essi includono induttori specifici della piastra neurale anteriore (otx2, che come già detto funziona in seguito anche da gene pro-differenziativo) e fattori specifici oculari come pax6 (omologo del gene eyeless di D.melanogaster), rx1 e six3. L'azione di questi geni è diretta principalmente sulle cellule staminali retiniche (retinal stem cells o RSC) che formano il campo oculare, e, se da una parte è fondamentale per mantenerle in stato di pluripotenza, dall'altra rende possibile gli eventi successivi della retinogenesi, vale a dire l'acquisizione di un destino differenziativo innanzitutto neurale (si passa cioè da cellule staminali retiniche a progenitori retinici), e in seguito specifico per un tipo cellulare (Andreazzoli et al., 2003; Casarosa et al., 1997; Zaghloul & Moody, 2007a; Zaghloul & Moody, 2007b; Gestri et al., 2005)

Infatti, anche a stadi tardivi dello sviluppo dell'occhio, gli EFTFs hanno un ruolo nel differenziamento dei tipi cellulari retinici guidato dai geni homeobox descritti nel capitolo precedente. Una modifica della loro espressione, anche in momenti diversi da quello in cui viene specificato il campo oculare, ha infatti effetti pesanti sulla corretta formazione degli strati retinici.

Bisogna precisare, però, che si tratta di un ruolo più “permissivo” che “determinante”. In altre parole, gli EFTFs sono necessari, ma non sufficienti al differenziamento.

I geni pro-neurali, invece, sono fondamentalmente costituiti da gruppi di omologhi dei geni

achaete-scute e atonal (geni pro-neurali attivatori) e enhancer of split e hairy (geni pro-neurali

repressori), tutti dotati di motivo di legame bHLH. Questi fattori sono necessari perchè le cellule del

campo oculare acquisiscano in gran parte un destino neurale, lasciando al tempo stesso alcune

cellule indifferenziate che in seguito diverranno cellule della glia. Come è noto, i geni pro-neurali

attivatori (i complessi ash e ath) attivano il fattore neurogenico delta, che interagendo con il

recettore notch attiva una cascata di segnale intacellulare. Questo, attraverso i fattori inibitori (ad

esempio i complessi hes), blocca il differenziamento neurale nelle cellule adiacenti a quella che li

esprime. Tale processo è classicamente noto come ” inibizione laterale” (Sanes et al., 2000)

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I geni pro-neurali sono attivi ad uno stadio di sviluppo oculare molto precoce (non a caso vengono usati come marcatori per visualizzare i progenitori retinici negli esperimenti di ibridazione in situ), ma anch'essi rimangono necessari durante il differenziamento tardivo (Ohnuma & Harris, 2003; Ohnuma et al., 2002). Se i fattori inibitori sono necessari perchè si formino le cellule gliali (che dal punto di vista dello sviluppo si possono forse definire come cellule che non sono mai riuscite ad acquisire un destino differenziativo neurale), i geni dei complessi ash e ath e, in alcuni casi, NeuroD, sono necessari (anche se, di nuovo, non sufficienti) per il differenziamento tardivo di quasi tutti i tipi cellulari. Presumibilmente la loro azione viene compiuta, almeno in parte, attraverso la regolazione dei geni homeobox pro-differenziativi, che di fatto funzionano da veri e propri

“interruttori generali” dello sviluppo.

Fig. 5: Sommario dei fattori intrinseci coinvolti nello sviluppo retinico in M.musculus. Lo schema è in gran parte adattabile a X.laevisi, sebbene alcuni fattori abbiano una funzione differente (ad esempio otx2, che in Xenopus contribuisce a formare cellule bipolari e non fotorecettori)

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Fattori estrinseci

I fattori estrinseci che svolgono un ruolo primario nella proliferazione e nel differenziamento sono numerosi e molto diversi tra loro; per semplicità possiamo dividerli in tre classi: fattori neutrofici, fattori di crescita, morfogeni. Molti di essi, specie i primi, svolgono la loro funzione principale in momenti precedenti il differenziamento dei tipi cellulari retinici, e sono necessari perchè esso possa avvenire. Tuttavia alcuni svolgono anche una funzione più tardiva.

Un esempio della funzione svolta da fattori estrinseci è dimostrata dal differenziamento dei bastoncelli (Ezzeddine et al., 1997) in M.musculus. I bastoncelli sono il tipo fotorecettoriale piü abbondante nella retina di topo: essi rappresentano circa il 70% dei fotorecettori (Young, 1985). Il CNTF, uno dei membri di una famiglia di citochine che include IL-6, IL-1 1, LW e OSM, può alterare la specificazione dei progenitori bastoncellari ed il loro differenziamento, diminuendone il numero a favore delle cellule bipolari. Questo cambiamento di scelta nel differenziamento dimostra la plasticità dei progenitori retinici che in alcuni casi può estendersi ad un periodo postmitotico (Ezzeddine et al., 1997). Un altro fattore che può determinare questa ri-specificazione è il LIF, che si serve dello stesso recettore del CNTF per la traduzione del proprio segnale (Neophytou et al., 1997).

Un fattore estrinseco che gioca un ruolo fondamentale nel differenziamento retinico ê il fattore di crescita delle cellule epidermiche (EGF). Sovraesprimendo il gene codificante per EGF, mediante l‘utilizzo di retrovirus in precursori retinici, si ha un aumento del numero dei cloni contenenti cellule gliali (Lillien, 1995). Cambiamenti nella capacità di rispondere a questo fattore di crescita potrebbero conferire ai precursori retinici la competenza per diventare cellule gliali (Lillien &

Cepko, 1992).

E’ stato dimostrato in vitro che lo sviluppo dei bastoncelli richiede il rilascio di un’attività

diffusibile da parte delle cellule della retina (Altshuler & Cepko, 1992). La taurina sembra essere

componente essenziale di questa attività. Essa, aggiunta a colture cellulari di retina, stimola lo

sviluppo dei bastoncelli. Questa, pur non essendo l’unico fattore che promuove lo sviluppo di

questo tipo di fotorecettori, è richiesta in colture di cellule retiniche che promuovono lo sviluppo dei

bastoncelli (Altshuler et al., 1993). Infine l’espressione di un’antagonista della taurina è stato

identificato e quando espresso mostra una inibizione parziale dello sviluppo bastoncellare in

espianti di retina, suggerendoci che questa normalmente partecipa al differenziamento dei

bastoncelli all’interno della retina.

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Altri esempi inerenti la funzione svolta dai fattori estrinseci si basano su esperimenti effettuati su cellule in coltura. E’ stato osservato che espianti di cellule retiniche a stadio E16 messe in coltura con cellule P0 (postnatali), mostrano una diminuzione della percentuale di amacrine ed un aumento di coni, nei confronti dei relativi controlli (Belliveau & Cepko, 1999). Questo dato ci suggerisce che le cellule P0 producano un fattore che inibisce la produzione di cellule amacrine da progenitori di stadio E16. E’ stato dimostrato che l’origine dei fattori che inibiscono la produzione delle cellule amacrine è il differenziamento delle amacrine stesse che, tramite un meccanismo di “feedback”

negativo, indirizzano la scelta del destino di progenitori cellulari retinici. Tramite questo meccanismo, le cellule amacrine attuano un controllo mirato alla regolazione della propria frazione.

Come conclusione vale la pena di ricordare che l’effetto dei fattori estrinseci è collocato

idealmente a monte di quello dei fattori intrinseci. Essenzialmente queste molecole regolano

l’espressione di geni del destino differenziativo, i quali a loro volta dirigono il differenziamento.

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L' “ OROLOGIO RETINICO

Riassumendo brevemente quanto detto finora, possiamo dire che i tipi cellulari facenti parti della retina si formano sequenzialmente, a ondate, e acquisiscono il loro destino differenziativo per l'azione di fattori di trascrizione specifici (homeobox), a loro volta regolati da fattori sia intrinseci che estrinseci.

E' quindi quest'ultima regolazione, l'attivazione dei geni differenziativi, che di fatto è fondamentale perchè si produca una retina correttamente stratificata. In effetti, perchè l'ordine temporale nella formazione dei tipi cellulari sia mantenuto, tali geni devono attivarsi anch'essi in modo sequenziale.

Un primo dato fondamentale a questo riguardo è stato fornito nel 2006 dal laboratorio del Dott.

Federico Cremisi (Decembrini et al., 2006), che ha mostrato come, in realtà, i geni otx5b, otx2 e vsx1 siano sempre trascritti all'interno della retina in sviluppo, fin da stadi precedenti il

Fig. 6: Trascrizione e traduzione dei geni otx5b, vsx1 e otx2, implicati nel differenziamento verso fotorecettori (otx5b) e cellule bipolari (vsx1, otx2). Il segnale rosso corrisponde al mRNA rilevato per ibridazione in-situ, il verde alle proteine rilevate tramite anticorpi policlonali specifici. Si nota come la proteina compaia solo agli stadi corrispondenti alle ondate di differenziamento verso i suddetti tipi cellulari (illustrazioni in alto), mentre il mRNA è sempre presente, inizialmente in modo uniforme e in seguito limitatamente all'ONL (otx5b) e all'INL (vsx1, otx2)

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differenziamento che dovrebbero controllare (rispettivamente quello verso fotorecettori e cellule bipolari), ma non siano tradotti. La proteina corrispondente al fattore di trascrizione diventa rilevabile solo allo stadio in cui il relativo differenziamento ha effettivamente inizio (vedi fig. 6)

La regolazione temporale dell'espressione dei geni pro-differenziativi, in altre parole, è traduzionale e non trascrizionale. Deve quindi esistere un meccanismo che in qualche modo impedisca la traduzione dei messaggeri fino al momento corretto. Il meccanismo sembra essere diretto contro il 3' UTR dei messaggeri, dato che se questi vengono clonati in un vettore di espressione dotato di promotore costitutivo (ad esempio CMV), a valle di un gene reporter fluorescente (GFP) la fluorescenza diviene rilevabile esattamente agli stadi in cui il gene corrispondente all'UTR verrebbe attivato.

Una seconda importante informazione ottenuta dallo stesso gruppo riguarda il collegamento tra l'avanzamento nel ciclo cellulare e la competenza dei progenitori retinici. Se si impedisce in singole cellule, attraverso la lipofezione di costrutti codificanti per geni come gadd45γ, la progressione del ciclo, infatti, i progenitori perdono la capacità di formare i tipi cellulari più tardivi (in particolar modo fotorecettori e cellule bipolari) e si differenziano molto più di frequente in tipi cellulari precoci (come cellule gangliari, amacrine e orizzontali). Questo corrisponde esattamente ad una mancata attivazione (anche se sarebbe più adeguato parlare di de-inibizione traduzionale) dei geni pro-differenziativi relativi proprio ai neuroni tardivi (otx5b, vsx1, otx2). Non a caso la lipofezione di questi geni è in grado di contrastare gli effetti del blocco del ciclo, ripristinando rapporti numerici normali tra i neuroni della retina.

Il blocco del ciclo cellulare tramite un trattamento farmacologico, come l'idrossiurea-afidicolina (che blocca il ciclo in fase S precoce) ha effetti analoghi sulla traduzione dei geni pro- differenziativi, anche se in questo caso, trattandosi di un effetto globale e non su singole cellule, lo sviluppo retinico presenta difetti molto più gravi e i tipi cellulari non sono neppure identificabili con chiarezza. Questi risultati portano ad affermare che la progressione nel ciclo sia un fattore indispensabile perchè i geni del differenziamento si attivino con un ordine temporale tale da permettere la formazione di una retina funzionante.

L'ultimo elemento, che porta a formulare l'ipotesi dell' “orologio retinico”, è la relazione tra la durata del ciclo cellulare e il destino differenziativo.

Abbiamo visto come le cellule, per de-reprimere in modo sequenziale i geni del

differenziamento, debbano in qualche modo misurare il tempo. Questa variabile potrebbe venire

quantificata 1) misurando il tempo “assoluto” (ipotesi poco probabile, in assenza di un qualche tipo

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di sistema oscillante con periodo uniforme su cui basare il calcolo) 2) misurando il numero di cicli cellulari a partire da un momento iniziale, oppure 3) misurando la lunghezza del ciclo, nel caso in cui il ciclo tenda a variare in modo uniforme nel tempo. E inoltre possibile che 4) Le cellule della retina ricevano dei segnali estrinseci induttivi in momenti diversi (anche se questo in realtà non fa altro che spostare il problema della misurazione del tempo dalle cellule della retina a quelle che produrrebbero i segnali)

La terza alternativa appare la più probabile, dato che sia la prima che la seconda prevedrebbero meccanismi di cui finora in biologia non si ha alcun esempio. Inoltre gli embrioni, già in condizioni naturali, si sviluppano in tempi diversi in modo dipendente dalla temperatura (a 14°C è necessario un tempo triplo che a 22°C), e questo non altera in alcun modo il differenziamento della retina, che si forma comunque normalmente.

Già in altri modelli animali (Alexiades & Cepko, 1996) è stato dimostrato che la lunghezza del ciclo cellulare dei progenitori neurali si allunga con il progredire dello sviluppo, dato confermato anche in Xenopus attraverso la misurazione del tasso di incorporazione di BRDU (che è proporzionale alla durata del ciclo) di progenitori precoci e tardivi (Decembrini et al., 2006). La lunghezza del ciclo può però essere modificata dalla trasfezione di geni come myc o e2f o da trattamenti farmacologici come la ciclopamina, che agisce bloccando il fattore estrinseco shh che come abbiamo visto regola la proliferazione dei progenitori (Locker et al., 2006).

In tutti questi casi, quando il ciclo risulta accorciato (ad esempio nel caso di e2f), si assiste ad una maggiore produzione di tipi cellulari precoci, accompagnata dalla mancata de-inibizione dei geni pro-differenziativi tardivi (in particolare vsx1 e otx2), mentre quando risulta allungato (è questo il caso della ciclopamina) si hanno sia una maggiore attivazione di tali geni che una maggiore produzione di cellule tardive (vedi fig. 7). Significativamente, questi effetti sono tutti recuperabili se si va ad agire direttamente sull'espressione dei geni, il che dimostra che gli

Fig. 7: Espressione della proteina in retine di X.laevis trattate con ciclopamina. Il segnale in rosso si riferisce all'espressione proteica rivelata tramite anticorpo specifico, mentre in blu si ha la colorazione nucleare con hoechst. Si nota come il trattamento con ciclopamina, che allunga il ciclo cellulare dei progenitori retinici, anticipi la de-repressione traduzionale di otx2 (che appare già a st. 35) e aumenti il numero di cellule otx2-positive.

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effetti del ciclo cellulare sono realmente mediati da una azione su di essi (Decembrini et al., 2006;

F.Cremisi, dati non pubblicati).

Nonostante i dati finora riportati suggeriscano l'esistenza di un orologio cellulare controllato

dalla lunghezza del ciclo, la natura molecolare dell'orologio è ancora sconosciuta. Obiettivo di

questo lavoro di tesi è stato proprio cercare di identificare le molecole usate dall'orologio cellulare.

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RNA INTERFERENCE – S TRUTTURA E FUNZIONE DEI MI RNA S

I piccoli RNA inibitori, responsabili del fenomeno noto come RNA interference (RNAi), sono i protagonisti di un campo di studio che negli ultimi anni ha subito un’espansione straordinaria. Da

“curiosità” biologica i siRNAs, miRNAs, shRNAs e tutte le altre categorie in cui i piccoli RNA si dividono sono balzati agli onori delle cronache in tutte le principali pubblicazioni scientifiche, via via che diventava nota la loro implicazione in tutti i principali fenomeni biologici.

La prima indicazione di un possibile ruolo attivo del RNA, diverso da quella di mero trasferimento dell’informazione tra i geni e le proteine assegnatagli dal dogma DNAe RNA

e

Proteine risale al 1993, quando il gruppo di Victor R. Ambros osservò che il mRNA di un gene di C.elegans, lin-4, originariamente lungo 61 nt, veniva in qualche modo processato fino a formare un corto RNA di 22 nt, che si dimostrava in grado di inibire la sintesi della proteina codificata da un secondo gene, lin-14, senza che il mRNA di quest’ultimo venisse degradato.

Doveva essere presente quindi una inibizione a livello traduzionale (Lee et al., 1993). Per inciso, occorre notare che lin-4 è stato originariamnete isolato mediante analisi genetica formale come responsabile di un fenotipo eterocronico nello sviluppo embrionale di c. elegans, un verme piatto allora pressochè sconoscito al mondo dei biologi molecolari.

Quasi contemporaneamente furono osservate altre evidenze di un ruolo inibitorio degli RNA: il fenomeno della co-soppressione nelle piante (silenziamento genico dovuto a degradazione di mRNA in seguito all’iniezione di un transgene o di un RNA a doppio filamento) e il suo analogo in N.crassa, detto quelling. In seguito RNA inibitori sono stati isolati in quasi tutte le altre specie animali e vegetali, e i ricercatori hanno cominciato a conoscere qualcosa sui processi attraverso i quali l’inibizione si espleta.

Oggi i piccoli RNA inibitori vengono classificati in diverse categorie. La classificazione varia spesso, via via che divengono note nuove informazioni che spingono all’apertura di nuove categorie o all’unificazione di altre preesistenti. Sono comunque individuabili almeno tre ripartizioni, tutte composte da RNA di circa 20-23 nt, caratterizzate da funzioni diverse ma accumunate, fino a un certo punto, dalla condivisione di molti dei passaggi chiave del pathway inibitorio.

1. siRNA (small inhibiting RNA): inibitori derivanti da un RNA a doppio filamento

(dsRNA), spesso proveniente dall’esterno della cellula (esogeno) o da elementi

genico transposibili o da transgeni. Per essere efficaci necessitano di una

complementarietà completa o quasi con il mRNA contro cui sono diretti. Una volta

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legati al bersaglio ne provocano la degradazione. Agiscono in modo competitivo (il siRNA con maggiore specificità si lega al bersaglio scalzando gli altri) e catalitico (basse quantità di inibitore sono sufficienti per ottenere un alto livello di inibizione, grazie ad un passaggio di amplificazione presente nella via di processamento). Sono implicati in fenomeni di difesa antivirale (specie nei confronti dei retrovirus), soprattutto nelle piante in cui formano un vero e proprio sistema pseudo-immunitario.

Sono attualmente in corso di sviluppo molte tecniche che ne prevedono l’uso come strumento di inibizione genica per studi di perdita di funzione.

2. miRNA (micro inhibiting RNA): inibitori derivanti da un RNA endogeno a singolo filamento (ssRNA) che assume nel nucleo, immediatamente dopo la trascrizione, una struttura secondaria ad ansa e forcina (hairpin loop). Possono legare il mRNA bersaglio con complementarietà completa o quasi (provocandone la degradazione come per i siRNAs) o incompleta (provocando il blocco traduzionale ma non la degradazione, anche se talvolta questa accade ugualmente in seguito ad una traslocazione del mRNA nei cosiddetti corpi P, strutture cellulari deputate alla degradazione di trascritti non tradotti).

i miRNA giscono in modo cooperativo (più miRNAs possono legarsi a bersagli diversi su uno stesso mRNA, innalzando ciascuno il livello di inibizione) e quantitativo (non vi sono passaggi di amplificazione, inibitore e bersaglio si legano con rapporto 1:1). Sono implicati in numerosi processi biologici, specialmente negli animali, mentre il loro ruolo nei vegetali è (per quanto se ne sa al momento) meno rilevante.

3. rasiRNA/shRNA (repeat associated small inhibiting RNA/small heterocromatic RNA): piccoli RNA presenti nel nucleo in grado di attivare, regolando la metilazione degli istoni, la compattazione della cromatina (eterocromatizzazione). Il silenziamento genico che ne risulta è a livello trascrizionali anziché traduzionale come accade per le altre categorie.

Esistono inoltre altre categorie di piccoli RNA, come i piRNA (piwi-associated RNA, scoperti

nel laboratorio di G.Hannon nel 2006, vedi Girard et al., 2006), che svolgono funzioni particolari in

fenomeni come la spermatogenesi e la trasposizione genica. Negli ultimi anni, in seguito

all'esplosione di questo campo di ricerca, le sigle e le denominazioni si sono moltiplicate, via via

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che per i piccoli RNA si scoprivano nuove possibili funzioni. In realtà le vie attraverso cui tutte queste tipologie di RNA svolgono la loro funzione sono in gran parte convergenti.

Di recente, anche il dogma che vedeva i piccoli RNA esclusivamente come inibitori degli RNA messaggeri è stato cancellato. Sono stati scoperti, infatti, miRNA in grado di passare da una funzione inibitoria a una di attivazione in corrispondenza di una variazione del ciclo cellulare (Vasudevan et al., 2007). Questo è esemplificativo di come la definizione dei piccoli RNA stia cambiando, e trasformandosi in quella di molecole “guida” in grado dirigere una qualsiasi attività enzimatica (con conseguente attivazione, inibizione, eterocromatizzazione o degradazione) in modo specifico su un insieme di bersagli genici.

Ai fini di questo lavoro la categoria più importante è quella dei miRNA. Di seguito sono descritti solo i passaggi principali del loro processamento, fermo restando che, come detto, tali passaggi sono spesso condivisi anche dalle altre.

Le sequenze geniche da cui vengono trascritti i progenitori dei miRNAs si possono trovare essenzialmente in tre collocazioni: all’interno di introni di altri geni (il progenitore del miRNA si forma dopo lo splicing), all’interno di esoni (uno degli esoni di un gene viene escisso e processato come miRNA) o all’interno di unità trascrizionali proprie. Queste sequenze vengono trascritte dalla RNA polimerasi II (Lee et al., 2004), la stessa deputata alla trascrizione dei RNA messaggeri.

Questo fa si che la trascrizione dei miRNA sia sottoposta a tutti i complessi processi regolatori a cui è sottoposta l’espressione genica, prerequisito questo indispensabile per una classe di molecole coinvolta in così tanti processi diversi.

Spesso lo stesso miRNA si trova in più di una unità di trascrizione, e svolge quindi la sua funzione (con effetti finali diversi) in momenti differenti a seconda delle condizioni di attivazione.

Esiste anche l’evento contrario, vale a dire la presenza di più miRNAs con effetti diversi all’interno di una stessa unità (clustering) (Altuvia et al., 2005). E’ importante notare che solitamente (escludendo quelli presenti in unità proprie) l’espressione dei miRNAs ricalca quella genica ed è con questa coordinata.

Comunque avvenga la trascrizione, il risultato è un RNA con struttura ansa-stelo (stem-loop). Il

primo passaggio del processamento avviene nel nucleo, ad opera di una RNAsi 3’-endonucleasi

denominata drosha, che elimina le sequenza esterne alla forcina lasciando al 3’ una estremità

protrudente (rispetto allo stelo) e al 5’ un fosfato. La molecola risultante, definita pre-miRNA, viene

a questo punto esportata nel citosol attraverso il poro nucleare con l’ausilio dell’esportina V e il

consumo di energia sotto forma di ATP. Qui ha sede il secondo passaggio del processamento, vale a

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dire l’eliminazione dell’ansa, che porta alla formazione di un dsRNA di circa 20-22 nt. Questo passaggio è svolto da dicer, un’altra RNAsi 3’ – endonucleasi.

A questo punto il miRNA si lega a un complesso proteico detto RISC (acronimo di RNA induced silencing complex), che elimina uno dei due filamenti e “accompagna” il rimanente sul mRNA bersaglio, impedendo il legame dei fattori di inizio traduzione e del ribosoma. RISC comprende sempre proteine appartenenti alla famiglia argonauta, e proprio da queste deriva il destino finale del mRNA inibito.

Se la complementarietà è totale o quasi la proteina argonauta che si lega è ago2, una endonucleasi capace di attività attivare la degradazione del mRNA (attività detta slicing). Al contrario, se l’appaiamento è imperfetto e limitato a una piccola regione di circa 6 nt al 5’

del bersaglio definita mIRNA seed, le proteine ago che si legano sono diverse e non attivano la degradazione. (Liu et al., 2004; Carmell et al., 2002).

Uno schema dell'intera via di processamento compare in fig. 8.

L’effettivo silenziamento del mRNA dipende spesso dal raggiungimento di una data soglia di inibizione. Un singolo miRNA può non essere sufficiente per questo effetto, che quindi può richiedere l’azione cooperativa di più inibitori.

Fig. 8: Schema della via di processamento dei microRNA

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