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Landslide susceptibility was assessed without any reference to recur time and intensity of the expected phenomena.

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Academic year: 2021

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The aim of this thesis is to assess the landslide susceptibility of the area around Rontano e San Antonio (Tuscany, Italy), by means of GIS – supported analysis of the instability factors and statistical data analysis, (i. e. conditional analysis and multivariate analysis).

Landslide susceptibility was assessed without any reference to recur time and intensity of the expected phenomena.

The main landforms and processes linked to instability were investigated by means of aerial photographs, and on site survey. Furthermore, the main factors of slope instability were identified. The geotechnical survey allowed the definition of the geo-engineering features of the rock mass and soil cover; moreover, rocks and debris cover were sampled for the laboratory analysis. This led to the creation of a geo-engineering map, in which rocks and superficial deposits are divided into geo-engineering; it also led to construction of the geological - geomorphological map representing stratigraphic units, landforms, processes and deposits due to water flow, gravity and glacial action.

Both maps are presented at 1:5000 scale on the topographic base-map (Technical Regional Map of the Regione Toscana).

In the study area the formations belonging to the Tuscan Nappe and to Metamorphic Apuan Complex. Outcrop - stratified rocks marked different degree of strength, spacing and conditions of discontinuities jointed are present.

Pebbles and gravels with a sandy matrix mark out the alluvional deposit, while the moderately thickened to loose morain deposits, are characterized by pebbles and coarse debris with a sandy matrix. Debris cover are mainly formed of sand and gravel, and can be regarded as loose deposits. Furthermore we ought to underline the presence of debris mainly composed by stony elements with a sandy matrix – from moderately thickened to loose – that corresponds to debris cones and debris layers. Slope instability is mainly caused by landslide movements, classified as translational slips involving the debris.

In the second parts of this thesis, the collected data-set was processed by means of a GIS and statistical techniques the layers representing each predisponent factor were created. The instability factors considered in the model are : listen as follow landcover, geo-engineering features, curvature and steepness.

The multivariate and conditional statistical analysis, evaluates the statistical relations among the instability factors taken into consideration according to the landslide spatial distribution.

In the conditional analysis, the instability factors are individually evaluated, trought the

comparison with the landslide spatial distribution. In the multivariate analysis, the factors of

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the territory has been subdivided into different susceptibility degrees.

Finally, a comparison of corresponding results was performed.

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a presente tesi di laurea rientra nel progetto di realizzazione di una cartografia tematica del Foglio 250 Castelnuovo Garfagnana (scala 1 : 50 000). Castelnuovo è il capoluogo e il cuore della verde Garfagnana che costituisce la parte settentrionale della valle del fiume Serchio, racchiusa tra i contrafforti montuosi delle Alpi Apuane e dell’

Appennino.

Rontano e San Antonio sono caratteristiche frazioni, di antica origine, situate in ambienti paesaggisticamente suggestivi e con sentieri che, attraverso verdi boschi, permettono un tuffo nella natura. Il territorio della Garfagnana è stato sempre caratterizzato da un numero particolarmente elevato di fenomeni di instabilità dei versanti che, in molteplici situazioni, hanno determinato situazioni di pericolo sia per quanto concerne i centri abitati, sia per quanto riguarda la viabilità e le infrastrutture.

In questo territorio non sono rari gli eventi meteorici estremi che hanno portato all’attivazione, anche nel recente passato, di frane e colate rapide di detrito caratterizzate da imprevedibilità spazio-temporale causando distruzione e perdite di vite umane, come tragicamente ricordiamo in occasione dell’alluvione che nel 1996 colpì la Versilia e la Garfagnana.

A quanto appena detto si aggiunge la sismicità di un territorio, la Garfagnana, storicamente ad alto rischio, come testimoniato da numerosi terremoti violenti, fino al X grado M.C.S.

(Postpischl, 1985; Boschi et al., 1997, vedi tabella sottostante), che hanno attivato anche nel recente passato molti movimenti franosi.

Alcuni dei sismi più significativi della Garfagnana.

Lo scopo di questo lavoro è quello di valutare la pericolosità geologica da instabilità dei versanti, attraverso una suddivisone del territorio in esame in aree che presentano una suscettibilità al dissesto diversa. La pericolosità è intesa come la probabilità, indefinita nel tempo, che un determinato fenomeno si verifichi in una determinata area, non considerando i concetti di tempo di ritorno e di intensità del fenomeno atteso.

L

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all’identificazione dei processi, delle forme e dei fattori connessi alla instabilità e alla valutazione delle caratteristiche degli ammassi rocciosi e delle coperture.

La caratterizzazione geologico-tecnica degli ammassi e delle coperture è stata effettuata utilizzando sia prove in sito, sia prove in laboratorio.

Relativamente agli ammassi rocciosi, le indagini sono state rivolte alla determinazione della resistenza a compressione uniassiale in sito con le sclerometrie e in laboratorio tramite il Point Load Test. Inoltre, in sito l’interesse è stata rivolto alle caratteristiche che presentavano le varie discontinuità, con una particolare attenzione nella valutazione della scabrezza, del grado di alterazione, dell’umidità, della spaziatura e della persistenza.

Per quanto concerne le coperture, la loro granulometria è stata determinata in laboratorio in seguito a prove di vagliatura meccanica e di sedimentazione, su campioni, prelevati in fase di rilevamento, di coperture detritiche che sono state ritenute più significative. Inoltre per quei campioni che risultavano particolarmente ricchi delle frazioni più fini, sono stati determinati i limiti di Atterberg per una valutazione delle proprietà geomeccaniche.

La fase di rilevamento e quella di laboratorio, hanno permesso la realizzazione di due carte tematiche: la carta con elementi geomorfologici, dalla quale è stata estratta la carta inventario dei fenomeni franosi, e la carta litologico-tecnica, nella quale i materiali sono stati delimitati e suddivisi in Unità Litologico Tecniche caratterizzate da proprietà geomeccaniche omogenee.

Successivamente è stata effettuata l’analisi statistica dei vari fattori dell’instabilità, utilizzando un software GIS (Arc View 3.2 ESRI). I fattori che sono stati presi in considerazione sono stati l’acclività, l’uso del suolo, le caratteristiche litologico-tecniche e la curvatura dei versanti. La distribuzione spaziale di questi fattori è stata riportata su dei livelli informativi sovrapponibili.

Per valutare la propensione al dissesto sono state utilizzate le metodologie dell’Analisi Condizionale e dell’ Analisi Statistica Multivariata. Queste hanno permesso di realizzare un appropriato modello territoriale per valutare in modo quantitativo e oggettivo le relazioni che intercorrono tra i fattori dell’instabilità e la distribuzione dei dissesti.

Infine i risultati ottenuti con le due metodologie sono stati messi a confronto in modo da poter

valutare vantaggi e limitazioni dei metodi analizzati in relazione alle aree prese in esame.

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1

CAPITOLO

I NQUADRAMENTO GEOGRAFICO

Il presente lavoro di tesi di laurea è stato svolto nella fascia compresa tra Castelnuovo di Garfagnana (a Nord – Est) e le Alpi Apuane (a Ovest).

Le zone rilevate oggetto di studio, riferendosi alla cartografia della “Carta Tecnica Regionale”, sono S.ANTONIO e RONTANO e si trovano a Nord e a Sud del “Torrente Turrite Secca” che scende dalle Alpi Apuane per confluire nel fiume Serchio. Le aree studiate includono i centri abitati di S.Antonio, Piritano (“di Sopra” e “di Sotto”), C.Terlucchio, Rontano, Metello, le Coste, Mezzana di qua e Porciglia (“di Cima”, “di Mezzo” e “di Fondo”) (fig. 1.1a; e 1.1b).

Fig. 1.1a) : Carta geografica indicante (riquadro in rosso) l’area oggetto si studio.

L’area oggetto di studio è caratterizzata da una configurazione prevalentemente montuosa

dove spiccano le vette del M.te Uccelliera (1013,65m s.l.m.), del M.te Piglionico (1144,74m

s.l.m.) e del M.te di Gesù (1045m s.l.m.) (vedi Carta Geologica – Geomorfologica allegata) e

da una pendenza mediamente compresa tra 26,8° - 42,56° (vedi Cap. 5,fig. 5.20). Il reticolo

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idrografico è costituito essenzialmente dal Turrite Secca nel quale confluiscono una serie di torrenti di scarsa significatività.

Fig. 1.1b) : Immagine vista dal satellite. L’area oggetto di studio è rappresentata dal quadrato tratteggiato in rosso (immagine ripresa da www.alpiapuane.com).

Dal punto di vista amministrativo le aree rilevate rientrano nei comuni di Molazzana, Vergemoli, Caréggine e Castelnuovo di Garfagnana (fig. 1.2a e fig. 1.2b).

Fig. 1.2a) : Limiti amministrativi relativi all’ elemento Rontano.

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Fig. 1.2b) : Limiti amministrativi relativi all’elemento S.Antonio.

Di seguito viene inoltre mostrata una breve introduzione cartografica delle aree che sono state oggetto di tesi. Le aree prese in esame ricadono all’ interno del Foglio 250 Castelnuovo di Garfagnana, elementi n° 250093 S.Antonio e n° 250094 Rontano, come di seguito schematizzato nei quadri di unione (fig. 1.3a e fig. 1.3b).

Fig. 1.3a) : Quadri di unione (1:50 000 e 1:5000) dell’elemento Rontano.

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Fig. 1.3b) : Quadri di unione (1:50 000 e 1:5000) dell’elemento S.Antonio.

Il rilevamento e l’ allestimento topografico risalente al 1979 è basato su foto aeree del 1976 (fig. 1.4a e fig. 1.4b).

Fig. 1.4 a) : Riferimenti delle foto aeree relative all’elemento Rontano.

Fig. 1.4 b) : Riferimenti delle foto aeree relative all’elemento S.Antonio.

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2

CAPITOLO

I NQUADRAMENTO GEOLOGICO

2.1 Inquadramento tettonico

Per comprendere meglio le caratteristiche geologiche delle zone oggetto di studio che, come detto nel precedente capitolo sono S.Antonio e Rontano, si ritiene utile inserirle nel quadro evolutivo dell’ Appennino settentrionale, ricapitolandone le fasi principali.

L’ Appennino settentrionale è un tipico fold and trhust belt, ossia una catena collisionale costituita da più insiemi di unità tettoniche, ed è il risultato della collisione continentale tra la placca paleo-adriatica a sud-est (nelle figure indicata come Apulia), una propaggine della più grande placca paleo-africana, e il settore franco-iberico della placca paleo-europea a nord- ovest (nelle figure indicata come Iberia). Quindi l’ Appennino settentrionale non è altro che una catena a falde di ricoprimento, prodotto di una complessa storia evolutiva plurifasata (Elter 1960, 1973; Dallan & Nardi, 1974, 1979; Boccaletti & Coli, 1985; Federici & Rau, 1980; Bartolini et al., 1983; Boccaletti et al., 1981, 1987).

 Al momento in cui paleo-Africa e paleo-Europa hanno cominciato ad avvicinarsi (circa 90-100 milioni di anni fa) (fig.2.1 A) tutta la fascia intermedia era occupata da un profondo oceano, la Tetide. I bordi delle due masse continentali risultavano sommersi sotto queste acque marine e il fondo di tutta la zona oceanica era coperto da coltri di sedimenti più o meno spesse (in bianco nelle figure).

Fig. 2.1 A : Schema evolutivo dell’ Appennino Settentrionale ( da Plesi et al., 1997)

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 Il processo di riavvicinamento fra paleo-Africa e paleo-Europa, iniziato 90-100 milioni di anni fa (Cretaceo superiore), si è ripercosso in primo luogo sulla litosfera oceanica, composta dalla crosta oceanica e dalla sottostante parte superiore del mantello e relativi sedimenti (fig. 2.1B). Gli effetti in sintesi sono stati che la litosfera oceanica ha cominciato a infossarsi e a sparire sotto quella continentale. Il processo di subduzione non ha potuto interessare anche le coperture sedimentarie, troppo leggere per poter essere trascinate in profondità. Esse si sono scollate (fig. 2.1 B,C) dal loro substrato ofiolitico e si sono accatastate in una serie di embrici o “falde” sovrapposte (denominate “falde o unità liguri”, o “Liguridi”).

La prima fase del raccorciamento (“fase Ligure”) si è conclusa circa 37 milioni di anni fa (Eocene medio), con la chiusura dello spazio oceanico e con la collisione dei due blocchi continentali. Questa linea di sutura passa attualmente in mezzo al Mar Tirreno.

Poiché il dorso della catasta deformata di falde liguri, che si accavallavano sui bordi continentali, era più basso del mare, su di essa andavano deponendosi, in discordanza, nuovi sedimenti marini (la cosiddetta “successione epiligure”).

Fig. 2.1 B, C : Schema evolutivo dell’ Appennino Settentrionale ( da Plesi et al., 1997)

 Poiché il processo di riavvicinamento Africa-Europa perdurava, gli ulteriori raccorciamenti sono avvenuti a carico dei margini continentali e delle loro coperture sedimentarie: soprattutto il margine apulo-africano, su cui si andava costruendo l’

Appennino Settentrionale, è stato quello che ha subito una deformazione più intensa.

Si sono formate così nuove falde a spese delle successioni continentali (fig. 2.1 D). I

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spostamento verso l’esterno (cioè verso l’Adriatico), in modo tale che le successioni in origine più distanti dal continente africano ( le Liguridi) sono andate ulteriormente a sovrapporsi a quelle situate in prossimità del margine africano (“successioni subliguri”,

“toscane” e “umbro-marchigiane”). Queste ultime a loro volta si sono spostate progressivamente verso l’esterno (fig. 2.1 D,E) dando luogo ad una pila embricata spessa almeno una decina di km (costituita in gran parte dalle coperture sedimentarie liguri, subliguri e toscane, ma anche, in parte minore, dal sottostante substrato). Gli embrici o falde più basse di questo edificio hanno subito metamorfismo per le elevate condizioni termobariche in cui sono venute a trovarsi e ha cominciato a instaurarsi un processo di sollevamento “isostatico”.

In questa fase il sollevamento è stato tale che molte zone sono risultate emerse ed è iniziato il processo orogenico vero e proprio. Questo processo di costruzione della catena appenninica ha avuto luogo circa 25-20 milioni di anni fa (Oligocene sup.- Miocene inf.), ma nella parte più antica della catena è attualmente in gran parte sepolta sotto l’attuale Mar Tirreno a causa di un infossamento posteriore.

Nella zona attuale dell’Adriatico perdura a tutt’oggi un regime compressivo (Plesi, 1997).

Fig. 2.1 D, E : Schema evolutivo dell’ Appennino Settentrionale (da Plesi et al., 1997)

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Come già detto nel capitolo precedente, le zone di rilevamento si inseriscono nella fascia compresa tra le Alpi Apuane ed il Graben del Serchio, nel contesto dell’assetto strutturale dell’Appennino Settentrionale (fig. 2.2); andiamo a vedere più nel dettaglio la tettonica della zona apuana.

Fig. 2.2 : Schema strutturale dell’Appennino Settentrionale.

Per quanto riguarda la formazione delle Alpi Apuane si è adottato il modello generale di formazione di un metamorphic core complex (Carmignani & Kligfield, 1990) (fig. 2.3).

Fig. 2.3 : Metamorphic core complex relativo alle Alpi Apuane (da Carmignani & Kligfield, 1990)

Le Alpi Apuane sono una finestra tettonica dove,al nucleo, vi troviamo delle unità metamorfiche come l’ Unità Toscana (in facies scisti verdi), e l’ Unità di Massa (presenta un metamorfismo di più alto grado, infatti si trovano minerali quali Cianite e Granato).

Tutto attorno le Apuane abbiamo la Falda Toscana che ha una successione analoga al nucleo

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La struttura delle Apuane è caratterizzata da una geometria a “duomo” e altra caratteristica molto importante è la complessità strutturale che possiamo schematizzare in due fasi:

 Fase compressiva D

1

, riconducibile all’ intervallo di tempo Oligocene-Miocene inferiore dove abbiamo lo sviluppo di una foliazione e di un metamorfismo di alto grado;

 Fase di piegamento D

2

, che si sviluppa a partire dal Miocene inferiore, dove non abbiamo metamorfismo,ma presenta una caratteristica, quella di avere una vergenza opposta sui fianchi del duomo. Il fianco occidentale ha una vergenza verso W, il fianco orientale verso E; questa seconda fase è riconoscibile anche nell’ Unità Toscana non metamorfica.

La struttura del Graben del Serchio (fig. 2.4) è invece dovuta all’onda progressiva che si propaga verso il margine esterno della catena, attualmente in compressione,che ha determinato un regime di tipo distensivo nelle zone più interne, con la formazione, appunto, di strutture a horst e graben parallelamente alla catena.

Fig. 2.4 : Depressione del Serchio; sono indicate le principali faglie ( da Dalla et al., 1991)

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Successivamente si sono verificati ulteriori movimenti sia di sollevamento, abbassamento e di basculamento a partire dal Pleistocene medio (Federici & Rau, 1980; Bartolini et. al.,1983;

Puccinelli, 1987); ad essi è seguito un rapido approfondimento del reticolo idrografico, con lo sviluppo di grandi dislivelli e un forte incremento dell’ energia del rilievo.Alcune evidenze morfotettoniche (riattivazione dell’ erosione fluvio-torrentizia, fasi di terrazzamento, attività sismica, ecc.) fanno ritenere che questi movimenti siano ancora attivi in aree dell’

Appennino settentrionale e anche in Garfagnana.

2.2 Caratteri geologico strutturali dell’ area di studio

Nelle zone di studio del presente elaborato, si sono potute riconoscere formazioni appartenenti alla Successione Toscana Non Metamorfica (“Falda Toscana”) e formazioni appartenenti al Complesso Metamorfico Apuano (vedi carta geologica – geomorfologica allegata). Sia la “Falda Toscana”, sia la successione metamorfica affiorano quasi completamente. Al di sopra, in discordanza sulle varie unità tettoniche, poggiano i depositi fluvio-lacustri villafranchiani e gli altri sedimenti quaternari, costituiti da depositi alluvionali, di versante ( depositi di detrito e frane) e glaciali (depositi morenici).

Fig. 2.5 : Diaspri ripiegati. L’ affioramento si trova lungo la strada che fiancheggia il M.te

Le formazioni della Falda Toscana e del Complesso Metamorfico Apuano, risultano interessate dalla tettonica polifasata che ha portato alla costruzione della catena appenninica.

Nell’ area di studio e più precisamente nei pressi di M.te Rovaio, M.te Gesù e S.Antonio, si osservano pieghe, da decametriche a centimetriche, aperte che si sviluppano nelle litologie che presentano una minore resistenza.

Pieghe analoghe le ritroviamo lungo la strada

che fiancheggia il M.te Uccelliera e che porta

all’ abitato di “Le Coste”, come messo in

evidenza nella figura 2.5.

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Come già accennato in precedenza, l’ intera area oggetto di studio è stata interessata dalla tettonica polifasata che ha portato alla costruzione della catena Appenninica.

Anticlinali e sinclinali, di dimensioni decametriche, sono ben visibili presso il M.te Rovaio e Pasquiglione.

Nell’ area in esame sono presenti anche faglie appenniniche immergenti verso nord-est, associate a minori faglie anti-appenniniche.

2.3 Stratigrafia

Nell’ aree in esame affiorano, come detto brevemente in precedenza, i termini riguardanti la Falda Toscana, i termini riguardanti il Complesso Metamorfico Apuano e, in discordanza su questi i Conglomerati di Barga che fanno parte dei depositi fluvio –lacustri villafranchiani, le alluvioni recenti riferibili al Torrente Turrite Secca, i depositi morenici che si collocano nella zona di S.Antonio in Alpe, coni e falde detritiche, detriti e terreni di copertura e frane.

Di ciascuno diamo, di seguito, una breve descrizione delle caratteristiche litostratigrafiche desunte dalla letteratura e osservate durante la fase di rilevamento.

2.3.1 Falda Toscana

La Falda Toscana sovrasta il Nucleo Metamorfico Apuano, ed è l’unità tettonica più rappresentata nell’area oggetto di studio; la successione inferiore e media è formata da depositi carbonatici di piattaforma (Calcare cavernoso, Calcari a Rhaetavicula contorta, Calcare massiccio) e da depositi calcareo – siliceo – marnosi emipelagici e pelagici (Rosso ammonitico, Calcare selcifero di Limano, Calcari e marne a Posidonia, Calcare selcifero della Val di Lima, Diaspri e Maiolica); la porzione superiore è costituita da successioni pelitiche e pelitico – calcaree (Scaglia toscana), risedimenti prevalentemente carbonatici grossolani (Calcareniti di Montegrossi) e torbiditi arenaceo – pelitiche (Macigno).

Nel descrivere le successioni, i vari termini vengono elencati cronologicamente partendo dal

basso e andando verso l’alto.

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CALCARE CAVERNOSO (Hettangiano) (CCA)

Calcari per lo più chiari, massicci, dolomitizzati nella parte inferiore. Il calcare cavernoso si presenta con aspetto alquanto variabile: da nettamente cavernoso con le caratteristiche cellette e la polvere calcitico-dolomitica (fig. 2.6), a brecciforme con elementi più o meno grossolani(fig. 2.7).

Nell’ area M.te Castellaccio e vicino all’ abitato de le Coste, la parte alta del calcare cavernoso è costituita da una breccia, interpretata da alcuni autori come tettonica, ricoperta a sua volta dal calcare massiccio (Carmignani & Kligfield, 1990).

Poiché rappresenta uno dei principali piani di scorrimento della falda toscana, si trovano inclusi nella formazione del “cavernoso” elementi brecciformi strappati all’ autoctono o, nel caso particolare, al complesso delle Panie (Nardi, 1961).

A causa dell’intensa deformazione dell’ originaria successione anidritico-dolomitica, il suo spessore è molto variabile anche su brevi distanze.

Fig. 2.6 : Calcare cavernoso con il caratteristico aspetto a “cellette”.

Fig. 2.7 : Calcare cavernoso “brecciforme”.

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CALCARI A RHAETAVICULA CONTORTA (Retico) (RET)

Sono calcari, calcari marnosi e dolomie, grigio-scuri, alternati a marne grigie e nerastre, alterate in giallo (fig. 2.8).

L’ ambiente di formazione è il tipico ambiente riducente di bassa profondità ed energia ( Nardi, 1961). Gli strati calcarei hanno di solito uno spessore di 20-40 cm, quelli pelitici 2-5 cm.

Fig. 2.8 : L’ immagine si riferisce ai Calcari a Rhaetavicula contorta affioranti lungo la strada nei pressi di

“Molino del Riccio”.

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CALCARE MASSICCIO (Hettangiano) (MAS)

Generalmente il “calcare massiccio” si presenta come una formazione non stratificata di colore da bianco a varie tonalità di grigio (Nardi, 1961).

In letteratura l’ ambiente di sedimentazione di questa formazione viene riferito ad una piattaforma carbonatica con limitata profondità (da laguna chiusa a laguna aperta).

Una caratteristica di questa formazione è la variazione dei caratteri litologici in breve distanza. Infatti percorrendo il tratto di strada del Cipollaio, compreso tra la centrale idroelettrica di Torrite e la località Case Riccio, possiamo vedere come la formazione si presenti da “non stratificata” a “stratificata” (fig. 2.9a e fig. 2.9b ).

Fig. 2.9a) : Calcare massiccio come si presenta normalmente; corrisponde al livello g1b della successione della Turrite Secca (Nardi, 1961).

Fig. 2.9b) : Calcare massiccio “stratificato” che corrisponde al livello g1c della successione della Turrite Secca descritta da Nardi, 1961.

(19)

Infatti già Nardi nel 1961 aveva evidenziato il fatto che il Calcare massiccio si presentava in vario modo percorrendo il tratto della strada del Cipollaio, compreso tra la centrale idroelettrica di Torrite e la località Case Riccio. Vide che avevamo una serie non continua, a causa delle frequenti faglie, serie che chiamò della Turrite Secca (fig. 2.10 ). La successione dal basso è la seguente:

i. Calcare dolomitico grigio chiaro, roseo (g

1a

);

ii. Calcare grigio più o meno cupo,massiccio (g

1b

);

iii. Calcare grigio stratificato (g

1c

);

iv. Calcari grigio-scuri o grigi intercalati aritmicamente a marne (g

2

).

Fig. 2.10 : Serie della “Turrite Secca “, colonna stratigrafica C (da Nardi, 1961)

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CALCARI AD ANGULATI (Hettangiano-Lias superiore?) (ANL)

Calcari e calcari marnosi grigi, con intercalazioni di argilliti e marne grigie, alterate in giallo;

nella porzione inferiore, calcari grigio scuri in banchi. La prevalenza di organismi planctonici tra i bioclasti e la regolarità degli apporti terrigeni fini (emipelagici) suggeriscono un ambiente di sedimentazione emipelagico, come una porzione distale di una rampa carbonatica.

I Calcari ad Angulati affiorano con continuità e spessore di 50-70 metri nell’area compresa tra i centri abitati di le Coste (fig. 2.11) e Rontano, mentre affiorano in maniera discontinua e con spessori ridotti nell’ area Case Pian di Lago e S.Antonio.

Fig. 2.11 : Affioramento di Calcare ad Angulati situato nei pressi del centro abitato di “Le Coste”.

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ROSSO AMMONITICO (Sinemuriano-Pliensbachiano) (RSA)

E’ costituito da un calcare generalmente non stratificato, che si presenta a grana fine, e nei pressi della “costa del solco”, a sud del M.te Castellina si presenta con un colore giallo chiaro, nocciola ( Fig. 2.12 ).

Sempre nella stessa zona la formazione si presenta più marnosa e di colore rosato (Fig. 2.13).

I caratteri litologici ed il contenuto paleontologico, suggeriscono per questa formazione un ambiente di sedimentazione pelagico, con una profondità prossima al limite di compensazione dell’aragonite (ACD).

Fig. 2.12 : Affioramento di Rosso Ammonitico presso la “costa del solco”.

Fig. 2.13 : Affioramento di Rosso Ammonitico che si trova a circa 50m dal precedente. Si può vedere che, pur essendo la stessa litologia, la formazione cambia il suo aspetto.

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CALCARE SELCIFERO DI LIMANO (Domeriano basale-Toarciano inferiore) (LIM)

Calcari grigio-chiari a grana fine stratificati, intercalati ad argilliti e marne, che presentano liste e noduli di selce chiara (fig. 2.14).

Spesso si notano sparse nella formazione, concrezioni o passerelle limonitiche. Nell ’ affioramento nei pressi di Pian di Lago, abbiamo intercalazioni di una breccia ad elementi di selce e di calcare, interpretata come dovuta a rimaneggiamenti da parte di correnti marine del materiale ancora non diagenizzato (Nardi, 1961).

Molto spesso ciò che rimane in superficie della formazione, è un caratteristico terreno di alterazione costituito da piccoli frammenti di selce, residuo della decalcificazione del calcare, dove l’asportazione del materiale è particolarmente lenta per ragioni morfologiche (Nardi, 1961).

Fig. 2.14 : Calcare selcifero di Limano. L’ affioramento si trova alla biforcazione della strada che porta al M.te Piglionico e all’ abitato di S.Antonio.

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CALCARI E MARNE A POSIDONOMYA (Dogger) (POD)

Sono torbiditi calcareo-calcarenitiche a letto marnoso-pelitico, di colore grigie e giallastre e si presentano ben stratificate ( fig. 2.15). La stratificazione, come detto è ben visibile, si trovano però affioramenti dove questa è molto fitta, dando luogo ad una situazione di stabilità precaria (fig. 2.16 ). Questa litologia è molto rappresentata nel territorio; infatti la ritroviamo nella carta Rontano come una fascia variamente ripiegata di spessore notevole (300-400 metri) che corre da est ad ovest. Significativi sono gli affioramenti che si trovano lungo la strada che porta a Rontano e quelli che si trovano lungo la strada che porta all’abitato di Porciglia. Nella carta S.Antonio affiora invece nella parte est come una sottile fascia.

Questa litologia, pur essendo molto rappresentata arealmente, non lo è dal punto di vista degli affioramenti rocciosi che sono sub-affioranti o si collocano su versanti interessati da movimenti franosi (fig. 2.17 ).

Fig. 2.15 : Affioramento che da Le Coste porta a Porciglia

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Fig. 2.16 : Affioramento vicino al precedente; si vede come la stratificazione è più fitta rispetto al precedente ammasso.

Fig. 2.17 : Frana presso l’abitato di Le Coste in un affioramento di POD.

CALCARE SELCIFERO DELLA VAL DI LIMA (Oxfordiano-Kimmeridgiano Sup.) (SVL) Si tratta di una formazione prevalentemente calcarea di colore grigio scuro, infatti, sono calcilutiti e calcareniti intercalati a peliti (origine torbitica da sedimenti di piattaforma) (Plesi 1997) con interstrati di selce nera, a volte in forma di noduli e lenti.

Agli strati calcarei si intercalano sporadicamente marne fogliettate, in straterelli di piccolo

spessore, 5-10 centimetri (Nardi 1961).

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DIASPRI (Malm) (DSD)

La formazione dei diaspri è rappresentata da sottili strati silicei e diasprigni, rossastri, verdi e violetti, talvolta con interstrati marnosi. Stratificati in banchi da qualche centimetro a qualche decimetro di spessore, presentano frattura prismatica.

I diaspri si ritrovano discontinui e con spessore variabile, perché costituiscono una formazione fragile molto soggetta a stiramenti e laminazioni (Nardi 1961).

I diaspri si ritrovano, nella “carta di Rontano” (elemento 250094), come una striscia quasi continua di spessore ridotto, 5-10 metri, che mi separa la formazione della Maiolica dalle Marne a Posidonomya. Non ci sono affioramenti ben evidenti in quanto lo spessore ridotto, la folta vegetazione, e i vari sistemi di fratturazione che l’ hanno interessata, fanno si che si presenti in sub-affioramento o che non ci sia proprio.

L’unico affioramento ben visibile è quello lungo la strada che costeggia il M.te Uccelliera e porta all’abitato di Le Coste alla quota di 887 metri. Questo affioramento, anche se è lungo la strada, è posto ad una quota di circa 3-4 metri sopra il livello stradale ed è a contatto con le Marne a Posidonomya (fig. 2.18).

Fig. 2.18 : Contatto tra le formazioni diaspri- marne a Posidonomya. La linea in rosso separa i diaspri (a destra) dalle marne a Posidonomya (a sinistra).

(26)

MAIOLICA (Titoniano / Neocomiano) (MAI)

Si tratta di calcilutiti e calcari selciferi bianchi e grigi ( fig. 2.19 ). La maiolica presenta spessori elevati, fino a circa 300 metri ( Monte Ciutella e Castellina). La base della formazione è un calcare di colore giallastro .

Fig. 2.19 : Affioramento di Maiolica sul versante nord del Castellina ( monte che si trova immediatamente sopra l’abitato di Rontano)

La maiolica si presenta inoltre come stratificata in tutti gli affioramenti. Lo spessore degli

strati è però variabile; si passa infatti da strati di spessore 40cm ( fig. 2.19), ad affioramenti

dove gli strati hanno uno spessore più ridotto, circa 10 cm (fig. 2.20).

(27)

Fig. 2.20 : Maiolica nei pressi del M.te Ciutella

In generale la maiolica si presenta molto fratturata con giunti perpendicolari al piano di stratificazione. Questo tipo di litologia è ampiamente rappresentato nella zona, infatti la troviamo come una fascia variamente ripiegata che corre nella parte nord dell’ elemento Rontano e va da est verso ovest; inoltre si ritrova anche ad est nella carta S.Antonio.

(28)

SCAGLIA TOSCANA (Aptiano Inferiore-Oligocene Superiore) (STO) & (STO 3)

La scaglia toscana, registra il passaggio da una sedimentazione pelagica profonda ad una sedimentazione di scarpata nella sua porzione sommitale.

Questa formazione comprende numerose litofacies e membri, alcuni dei quali possono essere distinti cartograficamente ( litofacies pelitica, Calcari di Puglianella, Calcareniti di Montegrossi).

Nelle aree di studio sono stati riconosciuti e cartografati il litotipo pelitico (Scaglia Rossa Toscana) e quello calcarenitico (Calcareniti di Montegrossi).

Vediamo le caratteristiche che si sono riconosciute in affioramento:

 Litofacies pelitica : si tratta di argilliti e di marne varicolori con intercalazioni di Calcilutiti grigio-verdi chiare, stratificate, fittemente foliate e fittemente fratturate.

Gli strati hanno uno spessore medio molto basso che si aggira sui 5 cm.

Questo litotipo affiora solamente nella porzione rilevata corrispondente all’elemento 250094(Rontano), in due zone, e più precisamente nella zona intorno all’abitato di Metello (fig. 2.21) e nella parte nord-occidentale della carta. In entrambe le zone gli affioramenti non sono molto rappresentativi in quanto il litotipo è sub-affiorante.

Fig. 2.21 : Scaglia rossa Toscana, copertura.

(29)

 Calcareniti di Montegrossi (STO 3): alternanze di bancate calcarenitiche stratificate e fratturate. Caratteristica è la presenza di bioclasti, soprattutto Nummuliti.

Gli ammassi si presentano intensamente fratturati, con giunti che si presentano molto aperti e in alcuni casi beanti, a causa di fenomeni di dissoluzione concentrata (fig. 2.22a e fig. 2.22b ).

Questo membro della scaglia si trova, come la litofacies pelitica, nella carta di Rontano, e più precisamente si trova a Metello dove è letteralmente circondato dalla facies pelitica, e poi lo ritroviamo nella parte nord-occidentale della carta immediatamente sotto la litofacies pelitica precedentemente descritta.

Fig. 2.22a) : Calcareniti di Montegrossi; affioramento situato presso l’ abitato di Metello.

Fig. 2.22b) : Calcareniti di Montegrossi, copertura.

(30)

MACIGNO ( Oligocene superiore-Miocene Inferiore ) (MAC)

Torbiditi quarzoso-feldspatiche di avanfossa da medio-fini a molto grossolane, da grigio chiaro a marrone chiaro, con intercalazioni di arenarie a grana fine e siltiti in strati sottili e medi. Nelle arenarie oltre a frammenti di peliti scure, sono assai diffuse le miche.

L’ intensa fatturazione, l’alterazione fisico-chimica, hanno favorito la formazione di una estesa e imponente coltre detritica che ha ricoperto quasi interamente il versante nell’ unica zona, nei pressi dell’abitato di Metello, dove affiora ( fig. 2.23). Sempre nella stessa zona si trovano arenarie quarzoso-feldspatiche, da medio fini a grossolane, di colore marrone chiaro, non in posto essendo, la zona, dislocata da una frana.

Tutti gli autori sono concordi nel riferire questa formazione ad un bacino di avanfossa, delimitato ad occidente dalla paleocatena appenninica.

La formazione è stata riferita all’ Oligocene superiore-Miocene inferiore, ovvero al Chattiano- Aquitaniano ( Plesi el al., 1998).

Fig. 2.23 : Coltre di detrito riferibile alla formazione Macigno nei pressi dell’ abitato di Metello.

(31)

2.3.2 Complesso Metamorfico Apuano

Il Complesso Metamorfico Apuano affiora nel settore nord-occidentale delle due carte oggetto di studio e, più precisamente, lo ritroviamo sul versante garfagnino delle Alpi Apuane, cioè si trova subito sotto il versante orientale della Pania della Croce presso l’abitato di S.Antonio, scende fino alla Turrite Secca e risale sul versante opposto, affiorando sempre nella parte occidentale della carta.

Nella zona la successione è caratterizzata da depositi terrigeni continentali e marini (Formazione di Vinca), ricoperti da successioni carbonatiche di mare basso (Grezzoni, Marmi dolomitici e Marmo di M.te Roccandagia). Inoltre abbiamo la presenza di formazioni provenienti da depositi di scarpata (Calcari selciferi a Entrochi) e da depositi di rampa (Scisti sericitici, Cipollini). Infine abbiamo torbiditi silicoclastiche (Pseudomacigno).

Nel descrivere le successioni, i vari termini vengono elencati cronologicamente partendo dall’ alto e andando verso il basso.

FORMAZIONE DI VINCA (Carnico-Norico) (VIN)

Si tratta di quarziti e metarenarie feldspatiche, con livelli di filladi e dolomie.

Questi litotipi affiorano in limitati lembi a valle del piccolo villaggio di Tievora (fig. 2.24).

Fig. 2.24 : Formazione di Vinca;

(32)

GREZZONI (Norico) (GRE)

Si tratta di dolomie grigie con metabrecce nella porzione inferiore. I primi 25-30 metri di questa unità i vecchi autori chiamavano “calcare metallifero” . Nell’ area oggetto di studio si ritrovano in un piccolo affioramento presso Tievora-Canale Rienti (fig. 2.25).

Fig. 2.25 : Grezzoni, affioramento nei pressi di Tievora-Canale Rienti.

(33)

MARMI DOLOMITICI E DOLOMIE (Retico) (MDL)

Si tratta appunto di marmi dolomitici e di dolomie. Affioramenti di notevole potenza li troviamo lungo la strada che costeggia la Turrite Secca (fig. 2.26). Come possiamo vedere non abbiamo tracce di una stratificazione e sembra che l’unità litostratigrafia sia cataclasata.

Fig. 2.26 : Marmi dolomitici e dolomie; affioramento lungo la strada che costeggia la Turrite Secca.

(34)

MARMO DI MONTE ROCCANDAGIA (Lias inferiore ) (MMR)

Si tratta di metacalcari bianchi, grigi da chiari a scuri, con vene più o meno evidenti. Le vene sono distribuite in modo da sottolineare la foliazione, mentre i marmi bianchi e/o poco venati hanno all'affioramento un aspetto massiccio. Potenti e vasti affioramenti si trovano lungo la strada che dal M.te Piglionico porta alla Cappella Volitiva del CAI (fig. 2.27) e nell’ insieme questa unità litologica la troviamo a sud dell’area studiata.

Fig. 2.27 : Marmo di Monte Roccandagia; affioramento lungo la strada che dal M.te Piglionico porta alla Cappella del CAI.

(35)

CALCARI SELCIFERI Auctt. (Lias medio-superiore) (CLF)

Si tratta di metacalcilutiti, con liste e noduli di selce e rari livelli di calcareniti, spesso alternati a calcescisti e filladi.

Questa formazione si presenta come scistosa, con livelli che non superano mai i 20-25 cm di spessore (fig. 2.28a). Lo spessore però si può ridurre notevolmente (2-3 cm) e dare un aspetto di intensa fratturazione (fig. 2.28b).

Fig. 2.28a) :Lo spessore dei livelli non supera i 20-25 cm

Fig. 2.28b) :Lo spessore in questo caso è notevolmente inferiore (2-3 cm)

(36)

Questa formazione si presenta però anche con livelli di spessore notevole che ne conferiscono un aspetto massivo (come mostrato nella figura riportata di seguito, fig. 2.28c).

Fig. 2.28c) : Calcare Selcifero Auctt.; i livelli si presentano con uno spessore maggiore e conferiscono alla formazione un aspetto massivo.

METADIASPRI (Malm) (MDI)

Metaradiolariti di colore rosso cupo, stratificate con spessori che vanno da 3 a 10 cm. Questo litotipo lo ritroviamo in limitati porzioni nei pressi di Colle Panestra, M.te Rovaio e Case Tievora come già noto da tempo in letteratura (Nardi, 1961).

Questi affioramenti sono interessati da mineralizzazioni di Fe e Mn e stati oggetto di sfruttamento nel passato. Lo stesso Nardi (1961) citava le seguenti parole: “minerali di ferro sono presenti anche nella regione di S.Antonio in Alpe, dove sembra, da quanto afferma la gente del luogo, che molti decenni fa siano stati tentati lavori di estrazione, di cui però attualmente non rimane traccia, se non nel nome dell’ abitato di Piritano”.

CALCARI SELCIFERI A ENTROCHI (Titoniano sup-Cretaceo inf) (ENT)

Metacalcilutiti e metacalciruditi, con liste e noduli di selce. Questo litotipo è scarsamente presente nella regione considerata e si presenta come sub-affiorante a sud-ovest di Colle Panestra.

Altri affioramenti si trovano a nord di Colle Panestra e nei dintorni del M.te Rovaio, sempre

in condizioni di subaffioramento.

(37)

SCISTI SERICITICI Auctt (Appiano inferiore-Chattiano) (SSR)

Filladi varicolori con livelli di marmi metaradiolariti e metacalcareniti a macroforaminiferi.

La grana è di solito assai minuta e si ha una organizzazione a livelli prevalentemente a composizione fillosilicatica. Gli Scisti sericitici Auctt. formano affioramenti di limitata estensione nei pressi di Colli (fig.2.29a), sul versante sinistro della Turrite Secca. Livelli di entità minore si trovano a C. Piastricoli, nei dintorni di S. Antonio, nella zona M. Bovaio- Monte di Gesù-Tievora. In questo caso l’unità litostratigrafia si presenta come un volume filladico omogeneo (fig. 2.29b).

Come messo in evidenza da Nardi (1961), questa formazione viene a contatto tettonicamente con tutti i termini metamorfici più antichi.

Fig. 2.29a) : Scisti sericitici Auctt., affioramento nei pressi di Colli.

Fig. 2.29b) : Scisti sericitici Auctt.; in questo affioramento si presentano come un volume filladico omogeneo.

(38)

MARMO CIPOLLINO (Cretaceo inferiore-Oligocene superiore) (MCP)

Unità litostratigrafica costituita da calcescisti e alternanze discontinue di letti marmorei e interstrati filladici, che localmente si intercalano negli Scisti sericitici.

Il marmo cipollino lo troviamo solamente in un affioramento nella zona di Colli (fig. 2.30a).

Possiamo vedere come l’ attività tettonica della zona ha dato luogo ad una serie di pieghe;

possiamo anche notare la presenza di bouden (fig. 2.30b) dati dalla diversa competenza dei materiali che costituiscono il Marmo cipollino.

Fig. 2.30a) : Affioramento di Marmo cipollino presso i Colli.

Fig. 2.30b) : Bouden che indicano una diversa competenza dei materiali

PSEUDOMACIGNO (Oligocene superiore-Miocene inferiore) (PSM)

Metarenarie quarzoso-feldspatico-micacee, alternate a filladi quarzitiche. Nella zona oggetto

di rilevamento affiorano nella parte ovest della carta riferita all’ elemento “Rontano”. La folta

vegetazione e l’alterazione fisico-chimica, fanno si che non si ha l’ affioramento della

formazione, ma la presenza di una coltre detritica. Bonatti (1938), riconobbe la

corrispondenza che sussiste tra la formazione dello Pseudomacigno e il Macigno della Falda

(39)

certi sull’ età del tetto della formazione, possiamo riferirla, per analogia con il macigno della Falda Toscana, al Miocene inferiore.

2.3.3 Depositi del ciclo fluvio-lacustre di Castelnuovo Garfagnana

Depositi associati a sedimentazione fluvio-lacustre dei bacini intermontani villafranchiani e pleistocenici di Castelnuovo Garfagnana, in discordanza stratigrafica sulla sottostante Falda Toscana.

CONGLOMERATI DI BARGA (Villafranchiano inf.) (PLB)

Nell’area oggetto di studio affiora la litofacies conglomeratica, e l’unico affioramento si trova davanti l’ ingresso della cava di proprietà della Fassa Bortolo (fig. 2.31).

I conglomerati si presentano clasto-sostenuti con una percentuale di matrice che si aggira sul 20-25%. I clasti si presentano da arrotondati a subarrotondati e la provenienza è da attribuire sia al Complesso Metamorfico Apuano, sia alla Falda Toscana.

Fig. 2.31 : Conglomerati di Barga; l’affioramento si trova davanti l’ingresso della Fassa Bortolo.

(40)

2.3.4 Depositi quaternari

Questi depositi comprendono i depositi connessi all’azione della gravità (movimenti di massa, depositi detritici), delle acque superficiali (depositi alluvionali e alluvionali di paleovalli), all’azione glaciale (depositi morenici) e a più agenti morfogenetici (superfici subpianeggianti con suoli relitti). Alcuni di questi depositi, come ad esempio i corpi di frana, saranno trattati in modo specifico nel capitolo successivo.

ALLUVIONI ATTUALI E RECENTI (Olocene)

Sono formati da ciottoli, ghiaie e sabbie e dipendono dalle formazioni affioranti nel bacino di alimentazione. A seconda dell’ entità del dilavamento possono essere clasto-sostenuti o matrice- sostenuti.

Si ritrovano lungo il torrente Turrite Secca (fig. 2.32).

Fig. 2.32 : Alluvioni recenti e attuali lungo il torrente “Turrite Secca”, nei pressi della località

“Molino del Riccio”.

CORPI DI FRANA (Olocene)

Depositi di materiale eterogeneo a dimensione variabile, angoloso-subangoloso, alterato,

immerso in una matrice sabbioso-limosa.

(41)

DEPOSITI DETRITICI (Olocene)

Si tratta di materiale eterogeneo, eterometrico, di composizione variabile; la matrice è generalmente scarsa o assente. I depositi detritici sono frequenti soprattutto alla base di scarpate e pendii acclivi. Grandi accumuli derivano dal disfacimento di formazioni calcaree e calcareo – marnose (esempio : Calcare massiccio, Maiolica). I depositi detritici possono essere organizzati in coni o falde detritiche.

Per i primi il materiale si deposita ai piedi di un canalone dando origine, appunto, ad un cono.

Per i secondi (falde detritiche), il materiale si deposita ai piedi del versante. Esempi di falde detritiche si ritrovano sul versante orientale del M.te Uccelliera e sul versante sud del M.te di Gesù.

DEPOSITI MORENICI (Pleistocene superiore)

Depositi costituiti da clasti con un grado di arrotondamento variabile, da sub-angolosi a smussati, provenienti principalmente dalle arenarie del macigno mescolate a detrito prevalentemente calcareo, con dimensioni eterometriche, immersi in una matrica sabbioso- limosa.

Questi depositi affiorano presso la località S.Antonio e a sud di questa, andando cioè verso la zona delle Panie.

DEPOSITI SU SUPERFICI RELITTE (?Pleistocene medio/sup.-Olocene)

Sono costituiti da materiale argilloso-limoso-sabbioso; si trovano a quote relativamente alte rispetto ai fondovalle attuali su superfici subpianeggianti e la loro ampiezza è di poche decine di metri. Si ritrovano come lenti isolate presso l’abitato di Pian di Lago e ad ovest del paese di Metello.

DEPOSITI ALLUVIONALI DI PALEOVALLI (Pleistocene medio/sup.? – Olocene)

Sono costituiti prevalentemente da ciottoli arenaci o poligenici, dispersi in abbondante

matrice sabbioso-siltosa.

(42)

3

CAPITOLO

I NQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO

3.1 Lineamenti generali

I lineamenti geomorfologici delle aree oggetto di studio sono prevalentemente controllati dalle strutture che hanno portato alla formazione della catena Apuana e della valle del Serchio, al quale si aggiunge, fino a divenire prevalente in alcune zone, quello relativo alla litologia.

Nelle zone dove affiorano rocce lapidee e più in generale, dove affiorano rocce con buone caratteristiche meccaniche, abbiamo versanti acclivi, localmente sub-verticali e valli maggiormente incassate (fig. 3.1). Contrariamente, le aree dove affiorano litotipi calcareo – marnosi e arenacei, o più in generale dove abbiamo rocce con proprietà meccaniche scadenti, le forme sono più dolci, intervallate a volte da forme più aspre, messe in risalto dall’erosione selettiva, che ha evidenziato corpi lapidei intercalati o sovrapposti. Il reticolo idrografico è rappresentato dal Torrente Turrite Secca che scorre in direzione OSO-ENE e nel quale confluiscono pochi torrenti scarsamente significativi.

Fig. 3.1 : Panoramica della valle dove scorre il

“Torrente turrite Secca”. Possiamo osservare versanti acclivi dovuti alla presenza di rocce lapidee e, versanti aventi forme più dolci, dati da litotipi calcareo – marnosi e arenacei.

(43)

3.2 Caratteristiche geomorfologiche

Il rilevamento geomorfologico è stato effettuato alternando la fotointerpretazione con le osservazioni effettuate in campagna. Questo è stato fatto per redigere la carta geologica- geomorfologica in scala 1:5000 delle aree oggetto di studio. L’ attenzione è stata rivolta principalmente alle forme e ai processi dovuti all’ azione della gravità, all’ azione delle acque superficiali e all’ azione glaciale.

Le aree rappresentate dagli elementi n°250093 e n°250094 oggetto di studio, hanno una configurazione prevalentemente montuosa, dove spiccano le vette del M.te Uccelliera (1013,65m s.l.m.) e del M.te Piglionico (1144,74m s.l.m.) che si collocano, rispettivamente, a nord-ovest della carta appartenente all’ elemento Rontano e a sud di quella riferita a S.Antonio.

Come accennato in precedenza, l’idrografia è connessa al “bacino” del Torrente Turrite Secca, che scende dall’area apuana e che presenta un regime torrentizio.

La morfologia, nella zona relativa alla carta S.Antonio e alla zona sud-ovest relativa all’

elemento Rontano, risulta particolarmente influenzata dalla presenza di numerose faglie con

Fig. 3.2 : Scarpate su linee di faglia sul M.te Rovaio visibili dall’ abitato di Colli.

(44)

direzione sia appenninica che antiappenninica, che hanno dislocato le varie formazioni coinvolte (principalmente quelle appartenenti al Complesso Metamorfico Apuano), generando pareti verticali o sub-verticali (fig. 3.2).

Per il resto la morfologia risulta influenzata in maniera più diretta dalla litologia come detto in precedenza.

Infatti pareti verticali o sub-verticali si trovano, come detto in precedenza, anche là dove abbiamo l’ affioramento di rocce lapidee appartenenti alla Falda Toscana.

3.2.1 Processi, forme e depositi dovuti alla gravità

3.2.1.1 ACCUMULI DI DETRITO

Nelle zone oggetto di rilevamento, l’ intensa fatturazione e l’ elevata alterazione, ha

determinato la formazione di estese coperture detritiche. Da un punto di vista granulometrico,

questi accumuli di detrito sono caratterizzati dalla presenza di blocchi, ciottoli e ghiaie

immersi in una matrice scarsa (sabbioso-limosa) o assente. Alla base di alcuni versanti, come

sul versante est del M.te Uccelliera e sul versante sud del M.te di Gesù (fig. 3.3), il materiale

detritico si accumula originando delle falde detritiche o dei coni detritici, come quelli che si

possono osservare lungo il versante a sud della strada che costeggia la Turrite Secca.

(45)

3.2.1.2 FRANE

Il WP/WLI (Working Party on World Landslide Inventory) ha dato una semplice definizione del termine “frana” (landslide) come “movimento di una massa di roccia, terra o detrito lungo un versante” (Cruden, 1991).

Le zone oggetto di studio sono sede di numerosi fenomeni di instabilità, come del resto lo è la Garfagnana e queste zone, appunto non fanno eccezione.

I movimenti franosi che sono stati riconosciuti e poi cartografati sulle carte geologiche- geomorfologiche in scala 1:5000, sono stati distinti facendo riferimento alla classificazione proposta da Cruden & Varnes del 1996.

La versione redatta nel 1996, come quella proposta nel 1978, prevede una nomenclatura binomiale. Una prima suddivisione viene effettuata in funzione al tipo di movimento e una ulteriore definizione identificando il materiale coinvolto.

Tale classificazione è molto utilizzata in ambito internazionale per la sua semplicità, e viene usata anche in Italia poiché si adatta particolarmente bene al nostro territorio.

TIPO DI MOVIMENTO

1) Crollo : distacco improvviso di una massa di roccia da pareti assai ripide o anche strapiombanti; lo spostamento per taglio è limitato o nullo e nel movimento iniziale prevale la componente verticale (fig.3.4).

Fig. 3.4 : Frane di crollo

2) Ribaltamento : rotazione verso l’ esterno del versante di una massa, intorno ad un

punto o ad un asse, situato al di sotto del proprio baricentro (fig. 3.5). Il ribaltamento è

prevalentemente guidato dalla presenza di discontinuità che, per esempio a causa dell’

(46)

azione dell’ acqua e/o del ghiaccio, tendono a dilatarsi e a far mettere in movimento la massa rocciosa potenzialmente instabile.

Fig. 3.5 : Frana per ribaltamento.

3) Scivolamento : il movimento avviene lungo una superficie o entro una fascia in modo planare o curvo, dove prevale una intensa deformazione di taglio. Per cui avremo:

 Scivolamento Traslativo – la superficie di taglio si innesca lungo una superficie di discontinuità preesistente inclinata. In molti casi si verifica su pendii “a franapoggio” (fig.3.6). Generalmente lo spessore del materiale interessato dallo spostamento è molto inferiore alla lunghezza della superficie di rottura.

Fig. 3.6 : Scivolamento traslativo.

 Scivolamento Rotazionale – la superficie di rottura (cioè di taglio), curva o

concava, solitamente è di neo-formazione (fig.3.7). Il rapporto tra lo spessore

del materiale interessato dallo spostamento e la lunghezza della superficie di

rottura, ha un range compreso tra 0,15 e 0,33 e, in generale, è maggiore

rispetto a quello relativo agli scivolamenti traslativi (<0,1).

(47)

Fig. 3.7 : scivolamento rotazionale.

4) Espansione : movimento di materiale coesivo o roccioso fratturato, associato nell’

insieme ad una generale subsidenza, su del materiale sottostante meno competente. La superficie di rottura non è una zona di intensa deformazione di taglio; l’ espansione può quindi essere causata dalla liquefazione o dal flusso del materiale sottostante a bassa competenza (fig.3.8).

Fig. 3.8 : Espansione laterale.

5) Colamento : è un movimento continuo in cui le superfici di taglio sono multiple, temporanee e di solito non preservate. Sono per lo più provocate da ammollimento di masse argillose ad opera dell’ acqua; le velocità sono riferibili a quelle di tipo fluido- viscoso. Se il terreno è interessato anche in profondità, la massa può coinvolgere nel suo movimento blocchi rocciosi d’altra natura. Esiste una graduale transizione tra frane di scivolamento e colamenti all’ aumentare del contenuto in acqua (fig. 3.9).

Fig. 3.9 : Colamento.

(48)

TIPO DI MATERIALE

Per quanto riguarda il materiale, viene fatto riferimento al suo stato prima che si fosse verificato il movimento. A tale proposito sono state individuate 3 classi:

a) Roccia : materiale lapideo, che prima del movimento era intatto e in posto;

b) Detrito : materiale sciolto contenente dal 20% all’ 80% di particelle di diametro

>2mm, con la frazione rimanente avente diametro <2mm;

c) Terra : materiale sciolto costituito da almeno l’ 80% di particelle aventi diametro

<2mm.

CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE

La terminologia da adottare, per quanto riguarda la descrizione delle principali caratteristiche morfologiche di un corpo di frana, è stata redatta nel 1990 da una commissione formata dalla International Association of Engineering Geologists (IAEG), dal “Comitato Tecnico sulle Frane” della International Society of Soil Mechanics and Foundation Engineering (ISSMFE) e da membri della International Society of Rock Mechanics (ISRM).

Facendo riferimento alla fig. 3.10 si possono definire i seguenti elementi riguardanti le caratteristiche delle frane:

1) CORONAMENTO : materiale rimasto praticamente in posto nella parte alta della

“scarpata principale”.

2) SCARPATA PRINCIPALE : superficie generalmente ripida che delimita l’ area quasi indisturbata circostante la parte sommitale della frana, generata dal movimento del

“materiale spostato” (13). Rappresenta la parte visibile della “superficie di rottura” (10).

3) PUNTO SOMMITALE : punto più alto del contatto fra “materiale spostato” (13) e la

“scarpata principale” (2).

4) TESTATA : parti più alte della frana lungo il contatto fra “materiale spostato” (13) e la

“scarpata principale” (2).

5) SCARPATA SECONDARIA : ripida superficie presente sul “materiale spostato” (13) della frana prodotta da movimenti differenziali all’ interno del “materiale spostato”.

6) CORPO PRINCIPALE : parte del “materiale spostato” (13) che ricopre la “superficie di rottura” (10) fra la “scarpata principale” (2) e l’ “unghia della superficie di rottura” (11).

7) PIEDE : porzione della frana che si è mossa oltre l’ “unghia della superficie di rottura”

(49)

Fig. 3.10 : Caratteristiche delle frane. Il terreno indisturbato è mostrato in rigato obliquo. La zona retinata mostra l’ estensione del “materiale spostato” (13) (Cruden &Varnes, 1996).

8) PUNTO INFERIORE : punto dell’ “unghia” (9) situato a maggior distanza dal “punto sommitale” (3) della frana.

9) UNGHIA : margine inferiore, generalmente curvo, del “materiale spostato” (13) della frana,situato alla maggior distanza dalla “scarpata principale” (2).

10) SUPERFICIE DI ROTTURA : superficie che forma (o che formava) il limite inferiore del “materiale spostato” (13) sotto la “superficie originaria del versante” (20). L’

idealizzazione della “superficie di rottura” può essere definita “superficie di scorrimento”.

11) UNGHIA DELLA SUPERFICIE DI ROTTURA : intersezione (generalmente sepolta) fra la parte inferiore della “superficie di rottura” (10) della frana e la “superficie originaria del versante” (20).

12) SUPERFICIE DI SEPARAZIONE : parte della “superficie originaria del versante” (20) ricoperta dal “piede” (7) della frana.

13) MATERIALE SPOSTATO (o FRANATO) : materiale spostato dalla sua posizione

originaria sul versante a causa del movimento della frana. Esso forma sia la “massa

distaccata” (17) che l’ “accumulo” (18).

(50)

14) ZONA DI ABBASSAMENTO : parte della frana entro la quale il “materiale spostato”

(13) giace al di sotto della “superficie originaria del versante” (20).

15) ZONA DI ACCUMULO : parte della frana entro il quale il “materiale spostato” (13) giace al di sopra della “superficie originaria del versante” (20).

16) ABBASSAMENTO : volume delimitato dalla “scarpata principale” (2), la “massa distaccata” (17) e la “superficie originaria del versante” (20).

17) MASSA ABBASSATA : volume del “materiale spostato” (13) che ricopre la “superficie di rottura” (10) e che giace al di sotto della “superficie originaria del versante” (20).

18) ACCUMULO : volume del “materiale spostato” (13) che giace al di sopra della

“superficie originaria del versante” (20).

19) FIANCO : materiale non spostato adiacente ai margini della “superficie di rottura” (10). I fianchi possono essere identificati mediante l’ azimut misurato con la bussola oppure dai termini “destro” e “sinistro”, riferiti a chi guarda la frana dal “coronamento” (1).

20) SUPERFICIE ORIGINARIA DEL VERSANTE : superficie del versante che esisteva prima che avvenisse il movimento franoso.

Sono state tracciate le linee guida per determinare altri parametri morfometrici per descrivere le dimensioni del fenomeno franoso, come indicato in figura 3.11 :

1) LARGHEZZA DELLA MASSA SPOSTATA W

d

: larghezza massima della “massa spostata” misurata perpendicolarmente alla “lunghezza della massa spostata” L

d

.

2) LARGHEZZA DELLA SUPERFICIE DI ROTTURA W

r

: larghezza massima fra i

“fianchi” della frana, misurata perpendicolarmente alla “lunghezza della superficie di rottura” L

r

.

3) LUNGHEZZA TOTALE L : distanza minima fra il “punto inferiore” della frana e il

“coronamento”.

4) LUNGHEZZA DELLA MASSA SPOSTATA L

d

: minima distanza fra il “punto sommatale” ed il “punto inferiore”.

5) LUNGHEZZA DELLA SUPERFICIE DI ROTTURA L

r

: minima distanza fra l’ “unghia della superficie di rottura” ed il “coronamento”.

6) PROFONDITA’ DELLA MASSA SPOSATATA D

d

: profondità massima della

“superficie di rottura” sotto la “superficie originaria del versante” misurata

perpendicolarmente al piano contenente L

d

e W

d

.

(51)

7) PROFONDITA’ DELLA SUPERFICIE DI ROTTURA D

r

: profondità massima della

“superficie di rottura” sotto la “superficie del versante” misurata perpendicolarmente al piano contenente L

r

e W

r

.

Fig. 3.11 : Dimensioni delle frane. Il terreno indisturbato è mostrato in rigato obliquo (Cruden & Varnes, 1996).

Una delle innovazioni più importanti introdotte dalla Commissione nel 1990, riguarda l’

attività delle frane che viene articolata in tre punti:

 STATO DI ATTIVITA’ : che descrive le informazioni note sul tempo in cui si è verificato il movimento. Facendo riferimento alla fig. 3.12 si possono distinguere i seguenti stati di attività:

1) Frana ATTIVA : attualmente in movimento.

(52)

2) Frana SOSPESA : si è mossa entro l’ ultimo ciclo stagionale ma non è attiva attualmente.

3) Frana RIATTIVATA : di nuovo attiva (1) dopo essere stata inattiva (4).

4) Frana INATTIVA : si è mossa l’ ultima volta prima dell’ ultimo ciclo stagionale. Le frane inattive si possono dividere ulteriormente negli stati 5-8.

5) Frana QUIESCENTE : frana inattiva (4) che può essere riattivata (3) dalle sue cause originali.

6) Frana NATURALMENTE STABILIZZATA : frana inattiva (4) che è stata protetta dalle sue cause originali da misure di stabilizzazione.

7) Frana RELITTA : frana inattiva (4) che si è sviluppata in condizioni geomorfologiche o climatiche considerevolmente diverse dalle attuali.

Fig. 3.12 : frana da ribaltamento con diversi stati di attività (Cruden & Varnes, 1996).

(53)

 DISTRIBUZIONE DI ATTIVITA’ : descrive dove la frana si sta muovendo e l’ evoluzione del movimento (fig. 3.13) :

1) Frana IN AVANZAMENTO : la superficie di rottura si estende nella direzione del movimento.

2) Frana RETROGRESSIVA : la superficie di rottura si estende in senso opposto a quello del movimento del materiale spostato.

3) Frana MULTIDEREZIONALE : la superficie di rottura si estende in due o più direzioni.

4) Frana IN DIMINUZIONE : il volume del materiale spostato decresce nel tempo.

5) Frana CONFINATA : è presente una scarpata ma non è visibile la superficie di scorrimento al piede della massa spostata.

6) Frana COSTANTE : il materiale spostato continua a muoversi senza variazioni apprezzabili della superficie di rottura e del volume di materiale spostato.

7) Frana IN ALLARGAMENTO : la superficie di rottura si estende su uno o entrambi i margini laterali.

Fig. 3.13 : Frane con diversa distribuzione di attività (Cruden & Varnes, 1996).

(54)

 STILE DI ATTIVITA’ : indica come diversi meccanismi di movimento contribuiscono alla frana (fig. 3.14) :

1) Frana COMPLESSA : caratterizzata dalla combinazione, in sequenza temporale, di due o più tipi di movimento (crollo, ribaltamento, scivolamento, espansione, colamento).

2) Frana COMPOSTA : caratterizzata dalla combinazione da due o più tipi di movimento (crollo, ribaltamento, scivolamento, espansione, colamento), simultaneamente in parti diverse della massa spostata.

3) Frana SUCCESSIVA : fenomeno caratterizzato da un movimento dello stesso tipo di un fenomeno precedente e adiacente, in cui però le masse spostate e le superfici di rottura si mantengono ben distinte.

4) Frana SINGOLA : caratterizzata da un singolo movimento del materiale spostato.

5) Frana MULTIPLA : molteplice ripetizione dello stesso tipo di movimento.

Fig. 3.14 : Frane con diverso stile di attività (Cruden & Varnes, 1996).

(55)

VELOCITA’

La classificazione di Cruden & Varnes prevede la distinzione di sette classi di velocità distribuite su dieci ordini di grandezza (fig. 3.15), messe in correlazione con l’ intensità del fenomeno franoso.

Il criterio con il quale è stata definita l’ intensità del fenomeno franoso, è analogo a quello che si basa sulla stima dei terremoti quando viene adottata la scala Mercalli. Infatti l’ intensità è basata sulla stima delle conseguenze ipotizzabili che si possono verificare.

Fig. 3.15 : Classi di velocità e potenzialità distruttiva delle frane (Canuti et al., 1994).

CONTENUTO DI ACQUA

Il contenuto di acqua si riferisce alle condizioni di umidità del materiale prima che si instauri il movimento franoso. Viene quindi descritto qualitativamente facendo riferimento alle seguenti definizioni:

1) SECCO : assenza di umidità.

2) UMIDO : piccola quantità di acqua non libera che conferisce al materiale un comportamento plastico, che però non è in grado di fluire.

3) BAGNATO : l’ acqua è presente in quantità tale da conferire al materiale un

comportamento simile a quello di un fluido e a generare superfici di acqua libera

stagnante.

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