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1. JOÃO BÉNARD DA COSTA: UNA VITA PER IL CINEMA

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1. JOÃO BÉNARD DA COSTA: UNA VITA PER IL CINEMA

1.1. La vita e le opere

Nel panorama della riflessione sul cinema portoghese, João Bénard da Costa è una delle figure di maggior rilievo. Importante critico cinematografico, è stato direttore della Cinemateca Portuguesa dal 1991 al 2009, anno della sua morte, avvenuta il 21 maggio, ha pubblicato molte opere sul cinema e sui nomi più importanti di quest’arte e, a conferma di questa sua grande passione, ha partecipato a vari film sia come attore che dietro le quinte.

Nasce a Lisbona il 7 febbraio del 1935. Dopo essersi laureato, nel 1959, in Storia e Filosofia alla Facoltà di Lettere dell’università di Lisbona, nonostante l’invito del professor Delfim dos Santos a divenire suo assistente nella stessa università, non può proseguire la carriera universitaria a causa della PIDE, la polizia politica del regime (le biografie reperite non forniscono informazioni precise in merito). Si dedica così all’insegnamento di storia e filosofia presso diversi licei fino al 1965.

Sin da questo momento rivela la sua passione per il cinema dedicandosi ai cineclubes, che dirige dal 1957 al 1960.

Nel 1963, è uno dei fondatori della rivista O Tempo e O Modo, che

ha diretto fino al 1970. Dal 1964 al 1966 ha svolto l’attività di ricercatore

presso il Centro di Ricerca Pedagogica della Fundação Calouste

Gulbenkian e dal 1966 al 1974 ha ricoperto il ruolo di Segretario Esecutivo

della Commissione Portoghese dell’Associazione Internazionale per la

Libertà della Cultura. Responsabile del Settore Cinema del Servizio di Belle

Arti della Fundação Gulbenkian dal 1969 al 1991, nel 1973 è tornato a

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dedicarsi all’insegnamento, tenendo lezioni di Storia del Cinema presso la Scuola Superiore di Cinema del Conservatorio Nazionale, fino al 1980. In questo stesso anno viene nominato vicedirettore della Cinemateca Portuguesa, diventandone il direttore dal 1991 fino all’inizio del 2009, quando ha abbandonato la direzione dell’istituto per ragioni di salute. Il periodo in cui ha diretto la Cinemateca è stato segnato da rilevanti iniziative volte al rilancio del cinema nazionale fra cui: il restauro di molte opere prime che si trovavano in pessime condizioni, il recupero di sale cinematografiche, lo sviluppo del museo e le molte pubblicazioni.

Tra il 1990 e il 1995 è stato presidente della Commissione di Programmazione e di Accesso alle collezioni della FIAF (Federazione Internazionale degli Archivi Filmici).

Nel 1997 è stato nominato dal Presidente della Repubblica, Jorge Sampaio, Presidente della Commissione della Giornata del Portogallo, di Camões e delle Comunità Portoghesi, incarico che ha ricoperto fino alla sua morte.

Bénard da Costa ha ricevuto inoltre numerosi premi: nel 1990, in Francia, è stato insignito del titolo di Officier des Arts e des Lettres e in Portogallo dell’Ordine dell’Infante D. Henrique dall’allora Presidente Mário Soares; nel 1995 l’Università di Coimbra gli ha consegnato il Premio degli Studi Filmici; nel 2001 ha ricevuto il Premio Pessoa, il premio culturale più prestigioso del Portogallo; nel 2007, il Premio Crónica João Carreira Bom; infine, nel settembre del 2008, ha ricevuto la medaglia al merito culturale da parte del Ministero della Cultura.

La sua passione per il cinema lo ha portato a dedicarsi anche alla

recitazione: ha infatti partecipato a Oxalá (1981) di António Pedro

Vasconcelos; Recordações da Casa Amarela (1989) di João César

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Monteiro; A Idade Maior (1991) di Teresa Villaverde; Palavra e Utopia (2000) di Manoel de Oliveira. Oltre che come attore, si è dedicato al cinema anche come assistente di produzione in A Estrangeira (1983) di João Mário Grilo e in Relação Fiel e Verdadeira (1989) di Margarida Gil.

Oltre a numerose collaborazioni con diversi quotidiani e riviste (Público, Expresso, Diário de Noticias e O Independente), ha pubblicato opere di filosofia, pedagogia e storia del cinema. Fra queste ultime sono da segnalare le monografie su Alfred Hitchcock (1982), Luis Buñuel (1982), Fritz Lang (1983), John Ford (1983), Josef Von Sternberg (1984), Nicholas Ray (1984) e Howard Hawks (1988). Sono inoltre da ricordare i volumi O Musical (1987), Os Filmes da Minha Vida (1990), Histórias do Cinema Português (1991), Muito Lá de Casa (1993) e O Cinema Português Nunca Existiu (1996).

1.2. João Bénard da Costa in Italia

In Italia le opere maggiori di João Bénard da Costa non sono state tradotte. Le sole pubblicazioni che è possibile trovare in italiano sono interventi contenuti in antologie della storia del cinema o nei cataloghi di importanti rassegne cinematografiche.

Nel 2000, infatti si è occupato del capitolo sul cinema portoghese

contenuto nel III volume della Storia del Cinema Mondiale, a cura di Gian

Piero Brunetta; in questo intervento l’autore illustra un breve panorama sul

cinema portoghese dagli albori ai nostri tempi: qui l’argomento è trattato in

maniera sintetica, senza approfondire alcun aspetto in particolare, ma viene

comunque offerto un resoconto abbastanza esaustivo. Verso la fine del

capitolo, Bénard da Costa traccia ritratti di registi portoghesi, da quelli più

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famosi e noti anche a livello internazionale come Manoel de Oliveira, Paulo Rocha, Fernando Lopes, Jorge Silva Melo, João César Monteiro, a quelli invece conosciuti solo a livello nazionale, potremmo dire in fase di sviluppo.

All’insegna della trattazione storica o quantomeno di una sistemazione cronologica sono anche gli altri due interventi che di Costa troviamo in cataloghi di festival del cinema: nel primo di questi, Nuovo Cinema Portoghese: rivoluzione o rivolta, contenuto nel Catalogo della XXIV Mostra del Cinema di Pesaro del 1988, l’argomento trattato dall’autore è il Cinema Novo: viene infatti illustrata quella fase della cinematografia portoghese chiamata Cinema Novo, sviluppatasi dal 1960 al 1974, soffermandosi sulle sue origini, sui registi più significativi di questa generazione e sui film realizzati. Nel secondo, Cinema portoghese dopo la Rivoluzione (1974-1999), cronologicamente successivo, contenuto infatti nel Catalogo del XVII Torino Film Festival del 1999, l’autore offre uno sguardo sul cinema portoghese dei trent’anni successivi alla Rivoluzione dei Garofani, cioè a partire dal 1974, fino alla fine degli anni Novanta.

In questi primi tre interventi, Bénard da Costa affronta il cinema portoghese da un punto di vista storico: racconta infatti gli avvenimenti che ne hanno caratterizzato lo sviluppo.

Infine, oltre a questi articoli, gli scritti di Costa che è possibile trovare in Italia, sono dedicati a tre importanti cineasti: Manoel de Oliveira, João César Monteiro e Paulo Rocha. Questi interventi sono omaggi che Costa fa ai tre artisti, sempre in occasione di rassegne cinematografiche e all’interno di cataloghi cinematografici.

Vediamo quindi che pur essendo una personalità importante in

Portogallo nel campo della critica cinematografica, di lui in Italia si conosce

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poco. Inoltre, ciò che è emerso dalle ricerche condotte è che le sue pubblicazioni italiane si riferiscono ad argomenti abbastanza noti, anche ai non addetti ai lavori: Bénard da Costa infatti si concentra ad esempio sul Cinema Novo, periodo del cinema portoghese particolarmente produttivo e che ha tracciato le premesse del cinema successivo in Portogallo. In generale, quindi vediamo che l’autore si sofferma su avvenimenti, registi, film più rilevanti, che in un certo senso hanno segnato la storia del cinema portoghese. Lo stesso può dirsi dei registi affrontati: questi sono comunque fra i più importanti, personaggi che potrebbero essere definiti i maestri di questa cinematografia. Si accenna anche a registi poco noti, emergenti, ma non ci si rivolge a questi con lo stesso interesse.

Tuttavia, la scelta di tali argomenti potrebbe essere considerata alla

luce della generale conoscenza e diffusione del cinema portoghese in Italia

e non come una scelta propria dell’autore. Cosa inoltre che è stato possibile

verificare e approfondire con le ricerche condotte in questo senso e di cui si

darà notizia di seguito.

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2. LA DIFFUSIONE DEL CINEMA PORTOGHESE IN ITALIA

Al fine di fornire informazioni su questo argomento, è stata condotta una ricerca bibliografica per verificare cosa è stato pubblicato in Italia riguardo il cinema portoghese, pertanto ci si è concentrati sulla ricerca di critica cinematografica, volumi riguardanti registi, cataloghi delle rassegne e dei festival cinematografici. Saranno quindi esposti di seguito i risultati ottenuti.

Innanzitutto, ciò che è stato notato dopo aver condotto le ricerche è il fatto che quella portoghese in Italia (e probabilmente non solo) è una cinematografia ancora non del tutto conosciuta: ciò che si conosce è veramente poco rispetto alle personalità e alla filmografia che il cinema portoghese ha prodotto e agli avvenimenti che ne hanno caratterizzato lo sviluppo. Ovviamente sempre considerando che il Portogallo è una nazione piccola e che la sua cinematografia non può essere messa a confronto con quella di paesi più grandi e da questo punto di vista, si potrebbe dire, più sviluppati: il tutto deve quindi essere sempre valutato in rapporto a questo.

Le ricerche condotte hanno portato ad evidenziare che le pubblicazioni sul cinema portoghese possono essere divise in due sezioni: da un lato, si hanno notizie e volumi sui registi e sulle relative produzioni; dall’altro, si hanno notizie generali sul panorama storico del cinema di questo paese. Si è notato però che nella maggior parte dei casi entrambi questi argomenti sono stati trattati solo all’interno di rassegne cinematografiche: non esiste infatti in Italia un volume specificamente dedicato al cinema portoghese.

Ritornando alla divisione fatta sopra, per quanto riguarda le

pubblicazioni sui registi si nota che queste trattano, come è ovvio,

soprattutto di quelli più internazionalmente noti: primo fra tutti Manoel de

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Oliveira, del quale è possibile trovare monografie, interviste e saggi inclusi in volumi, sia scritti dal regista e riguardanti altri nomi del cinema portoghese sia direttamente a lui dedicati; un esempio in questo senso può essere l’omaggio che, nell’edizione del 2000, il Torino Film Festival gli ha reso, pubblicando un intero volume su di lui, con suoi scritti, interviste e omaggi firmati da altri importanti cineasti. Ma, mentre sul più anziano cineasta portoghese ancora vivente si può trovare una buona percentuale di notizie e volumi, sui registi, magari non del suo stesso livello, ma altrettanto degni di nota, viventi e non, le informazioni sono scarse: in particolare, la ricerca condotta ha portato alla scoperta di solo due volumi dedicati l’uno a Paulo Rocha e l’altro a João César Monteiro (si è a conoscenza anche di una monografia su João Botelho che però non è stato possibile reperire e visionare). Anche in questo caso, non si tratta di volumi singoli ma sempre realizzati in occasione di particolari eventi cinematografici.

Passando invece alla seconda sezione individuata, che ricordiamo riguarda il cinema portoghese in generale e il suo percorso storico, le notizie sono relative. Si è potuto constatare infatti che l’argomento è trattato quasi in maniera marginale: abbiamo prima detto che non esiste una storia del cinema portoghese completa e informazioni storiche si trovano solo in cataloghi (in questo senso si parla di marginalità), costituiti da vari interventi e saggi che hanno cercato di illustrare e di dare uno sguardo parcellare su determinati periodi della storia del cinema portoghese, come è possibile vedere in alcuni interventi presenti in Portogallo: «Cinema Novo»

e oltre…. o anche negli interventi prima citati di João Bénard da Costa.

Dovendo tirare le somme, si nota che le opere di João Bénard da Costa

pubblicate in Italia e le pubblicazioni italiane sul cinema portoghese sono

potremmo dire in linea, in quanto entrambi si concentrano e danno risalto in

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primo luogo ai principali artisti, prestando particolare attenzione a Manoel de Oliveira che si distingue per essere fra tutti quello maggiormente conosciuto, e in secondo luogo a una trattazione storica circoscritta, che sembra quasi fare da contorno. Inoltre, dal materiale raccolto si ha la sensazione che, nonostante a partire dagli anni Ottanta il cinema portoghese sia riuscito a uscire dal proprio guscio e abbia iniziato a farsi conoscere all’estero, in Italia è ancora relegato ai festival: sembra essere ancora un cinema d’élite. Questo si rispecchia anche nelle pubblicazioni, dove, al di là delle personalità più rilevanti non si fa menzione né di registi meno noti al di fuori del Portogallo ma che meriterebbero ugualmente di essere conosciuti, né di registi che probabilmente non hanno ancora raggiunto la fama ma che magari ne avrebbero bisogno per emergere. Probabilmente, questo è dovuto anche ai problemi che da sempre hanno contraddistinto il cinema portoghese come la distribuzione e la continuità, oltre che ai problemi finanziari che questo settore ha dovuto affrontare: problemi che hanno obbligato questa cinematografia a ricominciare sempre da capo. E ovviamente, a mio avviso, essendo relativa e scarsa la diffusione e la conoscenza della filmografia ci sono anche poche pubblicazioni ed è relativo l’interesse nel pubblicarle.

Ritengo però che, al di là delle preferenze personali circa un determinato

regista piuttosto che un altro, o circa alcuni film piuttosto che altri, una

storia del cinema portoghese sarebbe utile in primo luogo per far venire alla

luce eventi del passato di questo cinema e di questa nazione, in secondo

luogo per conoscere un’altra parte del continente europeo e, infine,

potrebbe far crescere l’interesse verso questa cinematografia diversa e dare

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forse una spinta verso il futuro, perché il cinema portoghese a tutt’oggi resta

«un piccolo universo da scoprire»

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.

In ultimo, vista la recente scomparsa di João Bénard da Costa, si aggiunge un ulteriore buon motivo per pubblicare una storia del cinema portoghese e cioè rendere omaggio a un critico così di rilievo in questo campo: in questo modo, se da un lato si contribuirebbe ad approfondire la conoscenza del cinema portoghese in Italia, dall’altro una operazione del genere servirebbe anche a commemorare una personalità che proprio al cinema ha dedicato la sua vita.

1 GIANNI RONDOLINO, Premessa a Amori di Perdizione. Storie di cinema portoghese 1970-1999, Catalogo del XVII Torino Film Festival, 19-27 Novembre 1999, a cura di R. Turigliatto e S. Fina, Lindau, Torino 1999, pag. X.

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3. HISTÓRIAS DO CINEMA DI JOÃO BÉNARD DA COSTA

Il volume illustra il cinema portoghese dagli inizi – la prima proiezione avvenuta in Portogallo è del 1896 – fino agli anni Novanta: è stato infatti pubblicato nel 1991. La traduzione proposta però copre solo il periodo che va dagli inizi al 1942, anno di esordio di Aniki-Bóbó, primo lungometraggio di Manoel de Oliveira.

Il volume è stato pubblicato nell’ambito della rassegna Europalia, un grande festival internazionale nato in Belgio nel 1969, che si tiene a Bruxelles con cadenza biennale ed è volto a presentare il patrimonio culturale di un paese europeo. Ogni due anni, infatti, il festival mette in mostra tutte le discipline artistiche di un paese: musica, arti plastiche, cinema, teatro, danza, letteratura. Europalia ha l’obiettivo di promuovere lo scambio tra i popoli, offrendo al paese ospite la possibilità di presentare il proprio patrimonio culturale e i propri artisti contemporanei; in questo modo contribuisce a valorizzare e diffondere la conoscenza delle diversità delle culture europee.

Partecipare a questa manifestazione permette inoltre di raccogliere e presentare opere che rischierebbero di scomparire perché meno note o perché dimenticate, di tradurre delle opere che hanno visto la luce solo in lingua originale, o di dare visibilità ad artisti dimenticati o emergenti o ancora di ricevere artisti di fama mondiale. Infine, la partecipazione a Europalia dà la possibilità di pubblicare nuovi studi, così come è successo al Portogallo con questo e altri volumi.

Nel 1991, infatti il Portogallo è stato il paese a cui Europalia si è

dedicata e in questa occasione è stata pubblicata una collana Sínteses da

cultura portuguesa: una serie di volumi volta a illustrare «i tratti

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fondamentali di una cultura», come è possibile leggere sulla copertina del libro in portoghese. Fanno infatti parte di questa collana volumi dedicati alla storia, alla letteratura, alla danza, al teatro, alla scienza, alla fotografia, all’architettura, alle arti plastiche e ovviamente al cinema: tutti volumi che sono stati pubblicati in portoghese e tradotti e pubblicati nello stesso momento anche in francese.

Dal momento quindi che l’obiettivo di questa collana era far conoscere

il Portogallo e la sua cultura a popoli stranieri, in un certo senso di far

uscire il Portogallo allo scoperto, il volume in questione è stato scritto

proprio con questo intento, pensando a un pubblico straniero, e a mio

avviso, nel testo tradotto, i molti rimandi alla situazione storica e le

precisazioni circa importanti personalità (scrittori, attori teatrali e

cinematografici, vedette, sceneggiatori) portoghesi hanno proprio

l’obiettivo di diffondere queste informazioni, di aiutare il lettore a capire di

cosa si sta parlando, di offrirgli il maggior numero di informazioni su un

paese, e in particolare, sul cinema portoghese, che, come abbiamo avuto

modo di vedere precedentemente, è ancora troppo poco conosciuto

all’estero, se non limitatamente a quei registi di cui si deve ricordare e porre

in rilievo l’importanza, ma che non rappresentano tutto il panorama

cinematografico portoghese.

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4. COMMENTO ALLA TRADUZIONE

Prima di iniziare la disamina delle strategie traduttive adottate per tradurre Histórias do cinema di João Bénard da Costa, ritengo che sia utile fare una breve introduzione riguardo alcuni concetti della teoria della traduzione.

Vedremo cosa si intende per traduzione e quale dovrebbe essere il compito del traduttore. Solitamente, in una traduzione il compito del traduttore è quello di portare un messaggio dalla lingua di partenza a quella di arrivo:

L’atto del tradurre, più o meno approssimativamente, può essere assimilato a una transcodificazione: un messaggio nasce in un certo codice, questo codice viene decodificato, e la fase successiva è la ricodificazione del messaggio in un nuovo codice, quello di arrivo2.

Non sempre però nella pratica questo processo è così facile come appare in teoria: quando si traduce si deve tenere conto non solo dei fattori linguistici ma anche di quelli culturali. Infatti, non è solo la lingua di partenza ad essere “trasportata” nella lingua d’arrivo ma anche la cultura.

Inoltre, altri fattori da considerare e che potrebbero presentare particolari difficoltà nel processo traduttivo sono il lessico specifico, lo stile di un autore, il destinatario del testo, la tipologia a cui appartiene, il contesto culturale in cui questo è stato prodotto. Considerando pertanto tutti questi fattori, è possibile affermare che la traduzione è un’attività complessa in cui è pressoché impossibile raggiungere la perfezione o quantomeno una

2PAOLA FAINI, Tradurre. Dalla teoria alla pratica, Carocci, Roma 2004, p. 53.

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versione ideale. Prima di affrontare una traduzione, affinché il traduttore possa decidere quale strategia traduttiva adottare e come trasmettere al meglio il messaggio dalla lingua di partenza a quella di arrivo, è necessario che questi analizzi bene il testo (nel lessico, nello stile, nella sintassi), individui la sua tipologia testuale e il suo destinatario. Dopo questa accurata analisi, ciò che il traduttore dovrà fare sarà cercare di rimanere fedele al testo di partenza e di riproporre lo stesso messaggio nel testo di arrivo, pur essendo consapevole del fatto che ci saranno inevitabilmente delle perdite nel testo finale. Questo perché:

È impossibile capire tutto ciò che un autore vuole trasmettere con il suo testo, ed è impossibile trasporre tutto ciò che si è capito in altra lingua, lasciando al lettore le stesse possibilità di comprensione/incomprensione e interpretazione presenti nell’originale3.

In ogni caso, dal momento che l’intento è sempre quello di produrre un testo chiaro nella lingua di arrivo, nell’impossibilità di ottenere la perfezione e nella consapevolezza che una traduzione rappresenta una delle possibili versioni del testo originale, il traduttore tenta sempre di trovare una sorta di compromesso, di creare armonia tra le parti in gioco. La

“missione” del traduttore sarà, quindi, quella del mediatore o, usando parole di Eco, del «negoziatore»

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.

Si è detto precedentemente che, prima di iniziare una traduzione, è importante analizzare il testo da tradurre e stabilire a quale tipologia questo appartiene. Generalmente, la distinzione che viene fatta al fine di delimitare

3 BRUNO OSIMO, Il manuale del traduttore, Hoepli, Milano 2004, p. 40.

4 Si veda UMBERTO ECO, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Bompiani, Milano 2004.

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le diverse categorie traduttive è quella fra traduzione letteraria e traduzione tecnica (detta anche tecnico-scientifica). Secondo Osimo però questa suddivisione sarebbe poco chiara e ritiene che, nel campo dell’editoria, sarebbe più giusto distinguere fra traduzione letteraria, traduzione editoriale e traduzione non editoriale. La traduzione letteraria comprende esclusivamente la traduzione di testi di narrativa, di poesia, di teatro e in certi casi anche di cinema. La traduzione editoriale comprende, invece, tutte le traduzioni commissionate dagli editori, indipendentemente dal tipo di testo e pertanto può anche includere testi non letterari: al suo interno si può parlare di traduzione letteraria, saggistica, poetica e giornalistica. Infine, la traduzione non editoriale comprende la traduzione specializzata o settoriale

5

. Al di là di queste suddivisioni proprie del campo dell’editoria, resta di fatto, all’interno delle diverse tipologie testuali e relativi generi traduttivi, la distinzione tra testi letterari e testi scientifici. Al centro di questi, in una sorta di terra di mezzo, si colloca il testo saggistico e la sua traduzione. Un testo saggistico consiste infatti nell’esposizione di un testo che non sia necessariamente letterario e, allo stesso tempo, non è detto che debba essere sviluppato con lo stesso rigore di un testo scientifico.

Secondo Federica Scarpa, la differenza tra traduzione letteraria e scientifica consisterebbe nel diverso approccio ai testi da parte di chi si accinge a questo lavoro: il traduttore letterario infatti ha a che fare con testi

“aperti”, testi cioè che possono avere diverse interpretazioni e in cui è altamente probabile che nel passaggio dal testo di partenza a quello di arrivo ci siano delle perdite; il traduttore scientifico invece lavora con testi

“chiusi”, cioè testi in cui il contesto permette un’unica e sola possibilità di

5 Informazioni tratte da Corso di traduzione di Bruno Osimo e rintracciabili all’indirizzo www.logos.it.

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traduzione. Questi diversi tipi di testi sono caratterizzati da diverse peculiarità: il testo scientifico prevede l’utilizzo di norme e convenzioni più rigide e nel testo d’arrivo si presta particolare attenzione all’accuratezza e alla trasparenza; anche il testo di arrivo di una traduzione letteraria deve essere accurato e trasparente, ma in questo caso è necessario mantenere tracce dello stile dell’autore del testo di partenza, poiché, in questo caso, il testo finale non è importante soltanto come veicolo di informazioni

6

.

In conclusione, si potrebbe affermare che da un lato (nel caso della traduzione scientifica) si hanno caratteristiche quali la trasparenza, l’accuratezza, il rispetto di termini tecnici, un destinatario specializzato, il rispetto di regole fisse, mentre dall’altro (nel caso della traduzione letteraria) si deve cercare di mantenere lo stile dell’autore e di rendere nel testo d’arrivo ciò che egli ha voluto esprimere nel testo di partenza, ossia l’intenzionalità dell’autore. Il testo saggistico rispecchia contemporaneamente le caratteristiche di queste due tipologie poiché «nel saggio prevalgono la razionalità delle argomentazioni e l’aspirazione estetica, la carica connotativa da un punto di vista formale. Ciò non toglie che non possano esserci una notevole precisione terminologica e delle rigorose procedure definitorie»

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: quando si traduce un saggio si deve certamente pensare che si sta presentando un’argomentazione e quindi si dovrà rispettare una terminologia adeguata, ma allo stesso tempo si dovrà anche prestare attenzione allo stile dell’autore, alla cura e alla resa dei tratti specifici che questi ha utilizzato nel testo di partenza.

Il testo di João Bénard da Costa rientra appunto in questa categoria e la sua traduzione ha permesso di verificare la compresenza delle

6 Cfr. FEDERICA SCARPA, La traduzione specializzata. Lingue speciali e mediazione linguistica, Hoepli, Milano 2001, pp. 69-70.

7 BRUNO OSIMO, Il manuale, cit., p. 127.

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caratteristiche sopra illustrate. Vediamo, nel particolare, il modo in cui si è proceduto nella traduzione, le difficoltà incontrate e le scelte traduttive adottate.

Il primo passo fondamentale nella traduzione del testo è stato leggere attentamente il testo di partenza: questa fase è stata importante per capire il contenuto generale del testo, lo stile dell’autore, e anche per capire bene dove e quali fossero, almeno a una prima lettura, i punti che avrebbero presentato maggiori difficoltà di traduzione. In questa fase di lettura ci si è concentrati su due obiettivi: i termini e le espressioni sconosciute o poco chiare, e lo stile dell’autore. Nel primo caso, gli strumenti di cui ci si è serviti sono stati dizionari monolingue e bilingue (sia cartacei sia on-line), e in una fase successiva, ossia nel momento in cui si è cercato di ottenere una buona resa nella lingua di arrivo, sono stati molto utili i dizionari di lingua italiana e quello dei sinonimi e contrari. Nel secondo caso, attraverso la lettura si è cercato di individuare lo stile utilizzato dall’autore e a questo proposito è stato possibile evidenziare alcune caratteristiche: innanzitutto, João Bénard da Costa ha utilizzato un registro non troppo marcato con delle incursioni di espressioni idiomatiche. Questo probabilmente è dato dal fatto che il testo è rivolto non solo a persone del settore cinematografico, ma anche a persone che sono interessate al cinema semplicemente per ampliare i propri orizzonti, per conoscenza e interesse personale. Probabilmente è per questo motivo che spesso nel testo è capitato di incorrere in domande retoriche, volte, nell’intenzione dell’autore, ad alleggerire il testo: come se l’autore si rivolgesse direttamente al lettore, come se volesse coinvolgerlo.

Gli esempi in questo senso sono svariati e, menzionandone solo alcuni, nel

testo di partenza si trovano a pag. 10 (“E foi-o?” reso con “Ma lo è stato

veramente?”), a pag. 14 (“Simples acidente?” reso con “Un semplice

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incidente?”), a pag. 20 (“Terá a formação da Companhia Cinematográfica de Portugal contribuído, também, para o fim da Portugália?” reso con “Ma anche la nascita della Companhia Cinematográfica de Portugal avrà contribuito alla fine della Portugália?”), a pag. 22 (“E daí, que sabemos nós?” reso con “E in fondo, cosa ne sappiamo noi?”), a pag. 61 (“Terão sido os resultados tão catastróficos como è de lenda?” reso con “I risultati saranno stati così catastrofici, come tramanda la leggenda?”), a pag. 88 (“Será mais feliz Um Homem às Direitas?” reso con “Sarà più felice Um Homem às Direitas?”), a pag. 90 (“Que tinha ela a ver com a Espanha?”

reso con “Cosa c’entrava questa storia con la Spagna?”), a pag. 94 (“Qual seria a opinião de Ferro sobre esta obra?” reso con “Quale sarà stata l’opinione di Ferro su quest’opera?”): in tutti questi casi, si è preferito riprodurre le domande anche in italiano, in quanto si ritiene che facciano parte dello stile dell’autore. In alcuni casi è stato opportuno attuare dei piccoli cambiamenti (aggiunta di avverbi, articoli, cambio di posizione dei costituenti) affinché in italiano venisse riprodotto in maniera adeguata il senso dell’originale.

Un’altra caratteristica che si è deciso di mantenere sempre nel

rispetto dello stile dell’autore sono state le molte espressioni idiomatiche

disseminate nel testo e i giochi di parole (incontrati spesso anche nei titoli

dei capitoli). Nella traduzione delle prime solitamente si è cercato un

corrispondente in italiano, in modo da mantenere il ritmo del testo e allo

stesso tempo permettere al lettore italiano di cogliere con chiarezza il

messaggio espresso nel testo di partenza; in altri casi, e questo soprattutto

per quanto riguarda la traduzione dei giochi di parole, è stato necessario

introdurre note esplicative per evitare perdite nel testo di arrivo. Vediamo

alcuni esempi.

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Le espressioni idiomatiche sono modi di dire propri di una cultura o di una lingua. Ai fini di una traduzione è importante riconoscerli nel testo di partenza: in questo modo si eviterà di tradurli letteralmente, poiché non avrebbero senso, dal momento che questi espressioni hanno un significato metaforico. Dopo averle identificate, processo avvenuto nella fase di lettura, si è proceduto alla decodifica, in modo da poterle successivamente riformulare nella lingua di arrivo e trovare in questa un equivalente. In questa fase ci si è avvalsi dei dizionari bilingui, di quelli monolingui e infine, quando è stato necessario, nei casi in cui questa prima ricerca non ha prodotto risultati, si è optato per l’utilizzo di Internet. È noto infatti che una lingua è in continua evoluzione e, alle volte, i dizionari potrebbero non contenere nuovi modi di dire. In questi casi, Internet è stato un’utile risorsa:

si è infatti proceduto a scrivere fra virgolette l’espressione da ricercare; in questo modo è stato possibile riscontrare che l’espressione era contenuta in blog, in articoli di giornale o anche in testi di canzoni o brani di poesie:

questo ha permesso di verificare in quali contesti una particolare espressione viene utilizzata, si è quindi risaliti al significato generale e infine si è adattato quel significato al senso usato nel testo di partenza.

Esempi di espressioni risolte attraverso l’utilizzo di Internet sono:“Acertou o passo” (pag. 47)

8

. Una prima ricerca effettuata sui dizionari non ha prodotto risultati poiché l’espressione non è stata trovata né sotto il lemma acertar né sotto il lemma passo. Su Internet, attraverso una prima ricerca, è stato possibile incontrare l’espressione in un sito di espressioni idiomatiche (www.casota.org) dove si è riscontrato il significato “pôr na linha”;

effettuando una successiva ricerca, l’espressione è stata incontrata anche in

8 In questo caso bisogna però puntualizzare che, più che di un’espressione idiomatica, si tratta di un’espressione tipica di un determinato linguaggio o settore.

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contesti militari, in particolare si è visto che viene utilizzata per riferirsi ai soldati che durante le marce, dopo aver perso il ritmo, si allineano nuovamente al passo con gli altri; infine, su blog e su articoli di giornali on- line l’espressione veniva utilizzata con il significato di “riallinearsi rispetto a qualcun altro”. Pertanto si è pensato di rendere questa espressione con l’espressione italiana “Si mise al passo”. Lo stesso procedimento è stato seguito anche per la traduzione dell’espressione “As barbas do vizinho já estavam a arder” (pag. 55): si è proceduto prima con una ricerca sui dizionari, in particolare sotto i lemmi barba, vizinho e arder, ma non trovando risultati, ci si è rivolti anche in questo caso a Internet dove l’espressione è comparsa all’interno di blog o nei commenti che gli utenti possono apporre sotto gli articoli di giornali on-line. Questo, oltre a far meglio coglierne il senso, ha permesso di appurare che l’espressione in portoghese è molto colloquiale: in italiano esistono altre espressioni ugualmente colloquiali corrispondenti a quella portoghese ma, tenendo conto della natura saggistica del testo si è optato per la seguente traduzione

“Il vicino era già sui carboni ardenti”, meno colloquiale, appartenente a un registro meno marcato, ma che rende ugualmente bene il significato dell’espressione di partenza. Infine, si è utilizzato Internet anche per la traduzione dell’espressione “Meter o Rossio na Betesga” (espressione contenuta nella prima frase di pag. 88). Questa espressione significa “fare qualcosa di impossibile”: su Internet è stato possibile verificare che pur non conoscendo esattamente l’origine di questa espressione, le diverse ipotesi in merito concordano su questo significato. Innanzitutto, bisogna segnalare che, come è stato possibile verificare sul dizionario bilingue, “betesga”

significa “via stretta”, “via piccola” o “vicolo” ed è il nome di una viuzza

vicino alla piazza del Rossio, che è una delle più grandi piazze di Lisbona;

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secondo una delle tante ipotesi sull’origine di questa espressione, voler mettere la piazza del Rossio nella strada che oggi collega questa piazza con Piazza da Figueira, significa voler realizzare qualcosa di difficile o impossibile, per questo si è ritenuto che un modo per rendere questa espressione in italiano sia “far passare un cammello per la cruna di un ago”. In questo modo, si perdono sicuramente i riferimenti del testo di partenza quali “betesga” e “Rossio”, ma si è tentato almeno di riprodurne il senso, come sempre venendo incontro al lettore del testo di arrivo.

In altri casi è stato sufficiente il solo utilizzo del dizionario bilingue:

negli esempi scelti e proposti di seguito, vediamo che nelle due lingue esistono espressioni equivalenti e questo ha inoltre permesso di rimanere nello stesso campo semantico. Esempi in tal senso sono le espressioni

“Muita água correu por baixo das pontes” (pag. 8) resa con l’espressione

“Molta acqua passò sotto i ponti” e “Nunes de Matos (…) não alargou os cordões à bolsa” resa con “Nunes de Matos (…) non mise mano al portafoglio”.

Al contrario, in altri casi si è dovuto ricercare e quindi optare per un traducente diverso, basato su una metafora differente che però esprimesse lo stesso significato. Esempi di questo genere sono: l’espressione “O italiano mexera cordelinhos” (pag. 32) resa con “L’italiano si era dato parecchio da fare”: effettuando una ricerca sul dizionario monolingue si è visto che in portoghese l’espressione significa “Manovrare di nascosto, usare mezzi nascosti per ottenere qualcosa o raggiungere un fine”; inizialmente, per restare nello stesso campo semantico dell’espressione di partenza, una prima proposta di traduzione è stata “Aveva intrecciato fila su tutti i fronti”

ma quest’espressione non corrispondeva esattamente al significato

dell’originale, così si è optato per “Si era dato parecchio da fare” in quanto

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rende meglio l’idea espressa in portoghese. Altri casi in cui si è dovuto cambiare campo semantico per la resa in italiano delle espressioni di partenza sono: “Os capitalistas (…) tiraram-lhe o tapete” (pag. 34) resa con “I finanziatori (…) gli chiusero il rubinetto” e “Os homens do vinho lhe roeram a corda” (pag. 59) resa con “Gli uomini del vino non mantennero la parola data”.

Per quanto riguarda la traduzione dei giochi di parole, come è stato detto prima, si è preferito a volte – quando necessario per cogliere appieno il gioco – porre delle note esplicative che, in questo caso, sono servite per

«spiegare tratti del contesto culturale originale, o comunque fornire al lettore di arrivo gli elementi necessari alla comprensione del senso globale del testo»

9

. Vediamo gli esempi più rilevanti.

A pag. 8, l’autore crea un gioco di parole nel titolo del secondo capitolo “Paz dos Reis e paz no reino”. Paz dos Reis è il cognome di uno dei pionieri del cinema portoghese e letteralmente significa “Pace dei re”;

la seconda parte del titolo “paz no reino” significa “pace nel regno”. In questo caso, dal momento che i nomi propri di persona non si traducono, lasciando il nome in portoghese e traducendo solo la seconda parte senza alcuna spiegazione, il significato sarebbe stato poco chiaro per il lettore del testo di arrivo, per questo motivo si è optato per la nota. Si è ritenuto che questa scelta fosse necessaria anche considerando che verso la fine dello stesso capitolo si ritrova questo gioco in una citazione: “O seu ideal era que a República viesse, como o seu apelido o indicava, na paz dos reis e de todo o mundo” (pag. 10) (“Il suo ideale era che la Repubblica arrivasse, come indicava il suo cognome, nella pace dei re e di tutto il mondo”). A maggior ragione, per permettere al lettore del testo di arrivo di capire sin

9 PAOLA FAINI, op. cit., p. 94.

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XXVI

dall’inizio il riferimento che avrebbe poi ritrovato più in là nel testo, è stata introdotta la nota.

A pag. 45, nel capitolo intitolato O advento do sonoro e a tentativa do cinema como indústria, l’autore fa riferimento alla “Legge dei 100 Metri”, la prima legge a protezione del cinema portoghese. Questa legge in portoghese viene detta lei dos cem metros (legge dei cento metri, per l’appunto) che però divenne presto famosa, presso i registi e le case di distribuzione che vi si opposero, come lei sem méritos (legge senza meriti).

Come è stato spiegato in nota, nell’originale è presente fra le due espressioni una paronomasia che nel testo di arrivo si è persa, dal momento che in italiano queste due espressioni non hanno la stessa affinità fonetica:

pertanto si è, anche in questo caso, optato per una nota esplicativa.

Un altro caso di paronomasia è presente a pag. 84, fra il nome

“Irmãs Meireles” (nome di tre attrici sorelle) e l’espressione “as mais reles” (reso con “le più scadenti”), soprannome dato a questo gruppo.

Anche in questo caso, nell’impossibilità di tradurre il nome e poiché, se ci si fosse limitati a tradurre l’espressione il lettore italiano non avrebbe compreso, si è deciso di tradurre, nel testo di arrivo, i due sintagmi e di introdurre una nota esplicativa.

Infine, a pag. 85, l’autore crea un nuovo gioco di parole nel titolo del

capitolo. Nell’originale abbiamo, infatti, “Filmes às dereitas, filmes de

dereita”. La prima espressione significa “Film fatti bene, come si deve”,

mentre la seconda “Film di destra”: qui è presente un riferimento culturale

all’epoca storica, al governo di Salazar, che l’autore riprenderà in altri

passaggi nel corso dello stesso capitolo. Dal momento che in italiano non è

possibile riprodurre lo stesso gioco utilizzando il vocabolo “destra”, si è

cercato di avvicinarsi. Si sono infatti presentate due opzioni: tradurre il

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titolo con una paronomasia del tipo “film poco maldestri, film di destra”, oppure “film a regime, film di regime”. Si è infine optato per la seconda possibilità: in italiano infatti esiste l’espressione “mettere qualcuno a regime” che significa “far rigare diritto qualcuno, fargli seguire delle regole” e quest’espressione corrisponde bene all’espressione portoghese

“às dereitas”; circa la seconda parte, quando si parla di “regime”, ci si riferisce in generale a un “sistema di governo totalitario”

10

e inoltre, per antonomasia, al regime fascista, quindi in questo modo si è cercato anche di riprodurre il riferimento all’epoca storica. Si è comunque preferito introdurre una nota esplicativa per far presente al lettore del testo di arrivo, il gioco di parole presente nel testo di partenza.

In questo contesto possono rientrare anche le esclamazioni come

“Meu Deus!” (pag. 52), “De novo!” (pag.56), “Hélas!” (pagg. 58 e 86),

“Nem mais nem menos” (pag. 92) (tradotte rispettivamente con “Mio Dio!”, “Di nuovo”, “Ahinoi!” e “Niente po’ po’ di meno”) che possono essere considerate delle incursioni colloquiali ma, allo stesso tempo, anche piccoli giudizi di merito dell’autore su ciò di cui sta raccontando; in tutti questi casi, sembra infatti che Bénard da Costa si sia voluto, in un certo senso, esporre in maniera esplicita. Anche in questo caso, considerando questi elementi come tratti distintivi dell’autore, si è deciso di mantenerli ed è stato possibile riprodurli con gli esatti corrispettivi italiani.

Un’altra caratteristica riscontrata nello stile dell’autore è l’abbondanza di incisi e la complessità del testo: infatti, al di là delle espressioni idiomatiche che l’autore di tanto in tanto inserisce nel testo, bisogna segnalare anche che in generale cerca, in alcuni passaggi più che in

10 Tutte le definizioni sono state tratte da Il Grande Dizionario Garzanti della Lingua Italiana, Garzanti Editore, Milano 1997.

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altri, di raggiungere una certa eleganza formale, o di introdurre osservazioni che sarebbe più appropriato utilizzare in un testo letterario che non in un saggio; proprio l’adozione di questo stile di scrittura ha, in alcuni casi, contribuito a rendere il testo complesso e spesso di difficile comprensione, difficoltà che si è rispecchiata successivamente anche nella traduzione. Nei passi in cui è stato riscontrato questo tratto, pur nel rispetto dello stile personale dell’autore, nella traduzione si è cercato di ottenere chiarezza, di eliminare le ridondanze, in modo che nella lingua di arrivo il testo risultasse più lineare, chiaro e scorrevole. Pertanto, spesso si è optato per una semplificazione del testo di partenza.

Un altro elemento da considerare nel testo è l’uso della terminologia cinematografica. In particolare, sono da rilevare due casi: i termini in cui si è riscontrata particolare difficoltà di traduzione e i termini che in portoghese sono utilizzati in francese.

Per quanto riguarda la prima categoria, vediamo alcuni esempi più significativi. Uno dei primi termini di cui si è affrontata la traduzione è stato il vocabolo “sessão”: il vocabolo, come molti altri termini cinematografici utilizzati in lingua portoghese, è un calco del francese

“séance” che, fra le diverse accezioni, ha anche quella di “spettacolo

cinematografico”. Infatti, confrontando la traduzione francese del testo di

João Bénard da Costa, “sessão” è stato sempre tradotto con “séance”. Per

la traduzione italiana di questo termine, servendosi del dizionario

monolingue si è visto che questo in portoghese ha lo stesso significato del

termine italiano “sessione”. Nel caso in questione, “sessão” è riferito alle

prime proiezioni realizzate in Portogallo, nello stesso periodo in cui in

Francia e in altre nazioni europee, si stavano diffondendo le proiezioni dei

fratelli Lumière. Si è ritenuto che il termine “sessione”, in questo contesto,

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sarebbe risultato forse insolito al lettore italiano, perciò, dopo aver effettuato una ricerca su testi di storia del cinema in italiano e dopo aver verificato i termini utilizzati in queste circostanze (nello specifico si è riscontrato l’uso dei seguenti termini: rappresentazione, spettacolo o spettacolo cinematografico, serata, presentazione, visioni o dimostrazioni pubbliche e proiezione), si è optato per “proiezione”, dal momento che è risultato essere quello di più frequente utilizzo.

Un altro esempio di questo genere è rappresentato dal termine

“ficção”. Questo vocabolo, oltre a essere il traducente dell’italiano

“finzione”, corrisponde anche all’inglese “fiction”, termine ormai entrato nell’uso comune della lingua italiana. Le difficoltà di traduzione sono sorte dal fatto che in portoghese si utilizza “ficção” sia nei casi in cui in italiano si usa “fiction”, intendendo per fiction una storia inventata, una finzione narrativa, sia associandola ai diversi generi filmici (ad esempio, in portoghese “fantascienza” si dice “ficção científica”). Nei casi in cui nel testo di partenza si è incontrato “filme de ficçao” (o anche

“longametragem”), tra le alternative presentatesi (film di finzione, film a soggetto e film narrativi) si è preferito utilizzare “film narrativi”. Questa scelta è stata effettuata soprattutto tenendo conto del fatto che l’espressione

“filme de ficção” è stata utilizzata per la prima volta nel testo di Bénard da

Costa per distinguere i primi film portoghesi che, a differenza dei

precedenti, avevano una storia e non erano soltanto un accostamento di

immagini, come nel caso dei primi film girati dai Lumière o dai loro

operatori. Anche in questo caso è stata effettuata una ricerca su testi di

cinema in lingua italiana, sui quali, in riferimento allo stesso periodo, si è

spesso riscontrato l’uso dell’espressione “film narrativi”. Un esempio fra

tutti lo troviamo a pag. 16: “A primeira tentativa que se conhece de uma

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ficção portuguesa data de 1907” tradotta in italiano con “Il primo tentativo di film narrativo portoghese di cui si ha notizia risale al 1907”. Una volta scelta questa possibilità di traduzione, si è deciso di mantenerla anche nei casi in cui si è incontrato nel testo di partenza “longametragem de ficção”, in quanto in questo caso si parla di lungometraggi narrativi perché, come per i film di cui si è parlato prima, sono costituiti da una storia di fantasia e sono in contrapposizione con il genere dei documentari. In altri casi, si è preferito tradurre “ficção” con “narrazioni” o “cinema portoghese”, vista la diversa accezione con cui il termine è stato utilizzato. Alcuni esempi sono: “Quinze anos depois dos Lumière e treze anos depois das primeiras ficções congéneres filmadas por esse mundo” (pag. 18) tradotta con

“Quindici anni dopo i Lumière e tredici anni dopo le prime analoghe narrazioni filmate da quel mondo” oppure “Só por essa obra podemos julgar a ficção portuguesa deste primeiro e efémero ‘boom’” (pag. 19) tradotta con “Solo da quest’opera possiamo giudicare questo primo ed effimero ‘boom’ del cinema portoghese”.

Infine, un altro termine tecnico incontrato è stato “contratipagem”, operazione che consiste nel riprodurre un negativo da una pellicola positiva, che è stato tradotto con “controtipaggio” dal momento che in italiano esiste il suo equivalente.

Passando invece alla seconda categoria sopra individuata e cioè i

termini cinematografici che in portoghese sono utilizzati in francese, nel

testo è stata riscontrata la presenza di termini tecnici in francese, fra quelli

più utilizzati “écran”, “décor” o “mise-en-scène”: in portoghese questi

termini vengono tuttora utilizzati nell’accezione francese, pertanto si è

ritenuto di conservarli anche nel testo di arrivo come tratti caratteristici

della lingua di partenza.

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Nel corso della traduzione è stato inoltre necessario operare degli adattamenti per quanto riguarda gli elementi deittici e degli aggiornamenti per quanto riguarda le informazioni che dal 1991, data di pubblicazione del libro, a oggi sono cambiate. Ma vediamo nel dettaglio.

Per quanto riguarda gli elementi deittici, gli adattamenti hanno riguardato gli aggettivi possessivi e le locuzioni temporali. Riguardo i primi, si è provveduto a eliminare tutte le espressioni come “o nosso teatro”, “o nosso cinema” o ancora “um dos nossos mais populares actores” poiché riferite a una realtà che appartiene al solo autore e non a un vasto pubblico internazionale, optando invece per forme più neutre come

“il teatro portoghese”, “il cinema portoghese” e “uno degli attori più popolari del teatro portoghese”. Circa le locuzioni temporali, si è provveduto ad aggiornare tutte le forme come “nesta década” o “deste século” perché l’autore si riferisce all’anno e al secolo in cui scrive, pertanto sono state tradotte rispettivamente con “negli anni Novanta” e

“del Novecento”. In un solo caso si è preferito eliminare il riferimento temporale presente nel testo di partenza: nella traduzione della frase “Desde que se enunciou a realização do filme – a 7 de Agosto de 1930 – até à sua estreia de gala, no S. Luís, a 17 de Julho de 1931 – há 60 anos – as revistas da especialidade quase nunca deixaram de lhe consacrar capas e reportagens especiais.” (pag. 52), l’espressione “há 60 anos” (sessanta anni fa) è stata eliminata in quanto informazione non necessaria ai fini della comprensione.

Gli interventi di aggiornamento hanno riguardato principalmente le

date di morte di attori e registi deceduti successivamente alla pubblicazione

del libro e informazioni circa sale cinematografiche, case di produzione o

altri enti (ad esempio il Parque Mayer) non più attivi oggigiorno. Per questi

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aggiornamenti sono state introdotte delle note con, nel primo caso, le date di morte delle personalità in questione e nel secondo, quelle di cessazione dell’attività.

Infine, note sono state utilizzate anche per fornire il corrispondente valore in euro in tutti quei casi in cui il testo di partenza utilizzava i

“contos”: essendo il conto un multiplo dello scudo, i contos sono stati trasformati in scudi nel testo di arrivo e nelle note sono state riportate le relative corrispondenze in euro. Come è stato detto prima, il testo è stato scritto nel 1991, anno in cui in Portogallo, come nel resto d’Europa, non era ancora entrato in circolazione l’euro. Si è optato per questa soluzione poiché quando l’autore parla per la prima volta di contos, si riferisce ad avvenimenti accaduti nell’Ottocento e utilizzare la parola “euro” sarebbe stato un anacronismo; in seguito, si è preferito mantenere questa linea traduttiva poiché ci si riferisce sempre a periodi storici in cui l’euro non esisteva ancora.

Bisogna segnalare anche che nel testo di partenza sono stati

riscontrati due casi in cui è stato necessario introdurre un sic per segnalare

che l’errore era già presente nel testo di partenza. In questi casi, è stata

conservata l’informazione del testo di partenza ed è stata aggiunta accanto a

questa una parentesi quadra con il sic e l’informazione corretta. I casi si

ritrovano, nella traduzione, a pag. 79 e nella nota 89, a pag. 100: nel primo

caso, nel testo di partenza si dice che il campo di concentramento di

Tarrafal si trova a Cabo Verde, sull’isola di Sal, ma in realtà si trova

sull’isola di Santiago; nel secondo, nella nota del testo di partenza si dice

che il film Alô, alô, Carnaval è stato realizzato dal regista americano

Wallace Downey, ma in realtà il titolo del film è Alô, alô, Brasil.

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XXXIII

Per ultimo, ai fini della massima chiarezza e nell’intento di mettere il lettore del testo di arrivo nelle condizioni di capire al meglio tutte le informazioni presenti nel testo di partenza, accanto ai titoli dei film portoghesi è stata fornita la relativa traduzione; nel caso, invece, di film francesi, tedeschi o inglesi, è stato fornito il titolo con cui questi sono usciti in Italia. Per lo stesso motivo è stata fornita anche la traduzione, generalmente in nota, di versi di poesia o di canzoni tratti da film; solo in un caso, si è preferito fornire una traduzione già esistente in Italia: alla fine del capitolo Adeus à terrinha (Addio al paesello) sono infatti presenti versi di Alexandre O’Neill, di cui si è fornita la traduzione di Joyce Lussu (Einaudi 1966).

In conclusione di questa analisi delle strategie e scelte traduttive adottate, ritengo utile affermare che questo lavoro di traduzione è stato condotto pensando al lettore italiano: ci si è messi nei suoi panni e si è pensato a come questi avrebbe potuto meglio recepire il testo di partenza.

Questa posizione è stata assunta anche in considerazione del fatto che,

come è stato detto nella prima parte di questo lavoro, il volume nasce come

testo indirizzato agli stranieri, di conseguenza si è sempre cercato di rendere

il messaggio quanto più chiaro possibile: questo spiega la scelta di

introdurre note esplicative per i giochi di parole, di semplificare i periodi

che nel testo di partenza risultavano poco chiari, di fornire una traduzione

letterale dei titoli o dei versi incontrati. A mio avviso, ogni traduzione deve

essere orientata verso il lettore. È a quest’ultimo che il traduttore, durante il

suo lavoro, deve guardare ed è agli usi e alle convenzioni della lingua di

arrivo che penso questi si debba conformare. Ovviamente questo non

significa neutralizzare le peculiarità dello stile dello scrittore o della lingua

e cultura di partenza (infatti in alcuni casi, nella mia proposta di traduzione,

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sono state introdotte delle note proprio per evitare delle perdite e per far

presente al lettore di arrivo tratti della lingua di partenza), ma dovendo fare

una scelta, dal momento che tradurre significa spesso fare delle scelte e in

un certo senso schierarsi, credo che nella sua funzione di mediatore, il

traduttore debba sempre tenere conto del lettore. Per questo motivo, lo stile

del testo di arrivo deve essere il più naturale possibile: il testo deve produrre

lo stesso effetto che il testo di partenza ha prodotto sul lettore di quella

lingua, altrimenti si rischia di consegnare al lettore un testo finale che

potrebbe risultare ambiguo e che questi potrebbe leggere con difficoltà. In

questo caso, il traduttore non avrebbe svolto la sua “missione” e ci sarebbe

una perdita. Per il lettore.

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XXXV

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Riferimenti

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