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Meccanica quantistica

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Academic year: 2021

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(1)

FISICA

Meccanica quantistica

Autore: prof. Pappalardo Vincenzo docente di Matematica e Fisica

www.liceoinweb.135.it

(2)

PROPRIETA’ ONDULATORIE DELLA MATERIA

All'inizio del 1900 si rese necessario attribuire alla radiazione elettromagnetica proprietà corpuscolari, introducendo i cosiddetti quanti o fotoni. Questa nuova concezione, proposta da Einstein, fu per molti un vero shock.

I fenomeni di interferenza e diffrazione della luce erano

infatti manifestazioni inconfutabili di una natura

ondulatoria. D'altra parte, oltre all'effetto fotoelettrico,

anche altre esperienze, come la diffusione Compton,

davano fondamento all'ipotesi corpuscolare.

(3)

Ma la luce è fatta di onde o di particelle? Sulla base dei fatti osservati, dobbiamo ammettere che a questa domanda non si può dare una risposta univoca:

l’oggetto fisico «luce» si presenta come onda o come particella a seconda delle

condizioni sperimentali.

Questa dualità è una proprietà intrinseca della luce e di

tutte le radiazioni elettromagnetiche, e non una

limitazione delle nostre conoscenze.

(4)

Ma le sorprese dovevano ancora arrivare. I due contraddittori aspetti della radiazione elettromagnetica non si erano mai manifestati nella meccanica dei corpi materiali: un elemento di materia, per quanto piccolo, era sempre e soltanto un'entità materiale, cioè un corpuscolo.

Nel 1924 de Broglie (1892-1987; Premio Nobel) avanzò,

nella sua tesi di laurea, un'ipotesi che portò ulteriore

sconcerto nel mondo della fisica classica. Partendo dal

presupposto che la dualità onda-corpuscolo dovesse

riflettere una legge generale della natura, egli pensò di

estendere questa proprietà alle particelle.

(5)

Se le radiazioni luminose, che presentano un aspetto palesemente ondulatorio, possono talvolta comportarsi come particelle, perché un elettrone o un protone, che sono dei corpuscoli, non dovrebbero comportarsi in determinate circostanze come delle onde?

Con considerazioni di tipo relativistico, de Broglie intuì che a ogni particella materiale con quantità di moto p si deve associare un’onda di lunghezza d’onda tale che:

LUNGHEZZA D'ONDA DI DE BROGLIE

La lunghezza d'onda di un corpuscolo materiale di massa m e velocità v è espressa da:

h h

mv p

λ = =

(6)

Dal momento che è inversamente proporzionale a p, agli oggetti macroscopici corrispondono lunghezze d'onda che sono praticamente nulle e che, quindi, non generano alcun effetto osservabile. Invece, elettroni e altre particelle subatomiche hanno lunghezze d'onda di de Broglie relativamente grandi (rispetto alle dimensioni degli atomi) che ne determinano i comportamenti fisici.

La proposta di de Broglie:

1. ingloba la relazione di Planck per i fotoni E=hf;

2. permette di giustificare la condizione di quantizzazione

di Bohr per l'atomo di idrogeno.

(7)

Per quanto riguarda il punto (1), basta ricordare che la quantità di moto p di un fotone è legata alla sua energia E dalla relazione p=E/c e quindi:

In relazione al punto (2), vediamo a cosa corrisponde, nel

modello ondulatorio, il moto circolare di un elettrone

atomico.

(8)

Nel modello corpuscolare l’elettrone gira continuamente lungo una traiettoria circolare di

raggio r n senza irraggiare.

Nel modello ondulatorio l’elettrone è un’onda stazionaria che deve

«richiudersi su se stessa», cioè un'onda che permanga invariata fino a che l'elettrone non cambia

stato di moto.

(9)

Perché l’onda «si richiuda», la lunghezza 2 r n dell’orbita non può essere arbitraria, ma deve essere un multiplo della lunghezza d’onda dell’elettrone (nel caso della figura si è scelto n=10) :

2πr n = nλ

Sostituendo a λ la lunghezza di de Broglie, si ottiene:

2πr n = n h

p ⇒ 2πr n p = nh

Poiché per definizione il momento angolare di una particella su un’orbita c i r c o l a r e è L = r p , l ’ e s p r e s s i o n e p r e c e d e n t e d i v e n t a p r o p r i o l a condizione di quantizzazione di Bohr:

L = n h

(10)

Bohr, per impedire all’atomo di Rutherford di subire il collasso era stato costretto ad imporre una condizione per la quale non aveva dato nessuna giustificazione: un elettrone in un’orbita stazionaria intorno al nucleo non emette radiazione.

L’idea di de Broglie di trattare gli elettroni come onde stazionarie segnava un radicale allontanamento dalla concezione degli elettroni come particelle in orbita intorno ad un nucleo atomico. Quindi:

secondo il modello di de Broglie, è la natura ondulatoria dell'elettrone a determinare le

proprietà degli atomi e, in particolare, la

quantizzazione della loro energia.

(11)

Gli esperimenti di Compton avevano dimostrato che Einstein aveva ragione a ritenere che la luce avesse una natura anche corpuscolare. Ora de Broglie stava suggerendo lo stesso tipo di fusione, il dualismo onda- particella, anche per la materia.

Sia la radiazione elettromagnetica, sia le particelle subatomiche mostrano in alcuni fenomeni natura

ondulatoria, in altri natura corpuscolare. Questa proprietà è chiamata dualismo onda-particella.

Ma ciò era veramente possibile? De Broglie aveva subito

compreso che se la materia ha proprietà ondulatorie, un

fascio di elettroni dovrebbe “sparpagliarsi” come un

raggio di luce, ossia subire il fenomeno della diffrazione.

(12)

La prima verifica delle proprietà ondulatorie delle particelle fu effettuata nel 1927 da Davisson (1881-1958;

Premio Nobel) e Germer (1896-1971; Premio Nobel) con un esperimento di diffusione.

I due fisici americani osservarono che un fascio di

elettroni, interagendo con un cristallo di nichel,

produceva una figura di diffrazione. Facendo variare

l'energia degli elettroni incidenti, le posizioni dei massimi e

dei minimi di diffrazione si spostavano e, in tutti i casi, le

lunghezze d'onda misurate erano in accordo con la

formula di de Broglie.

(13)

Gli elettroni diffusi dal reticolo e analizzati da opportuni

rivelatori formarono una figura di diffrazione,

proprio come i raggi X della stessa lunghezza d’onda

inviati sullo stesso bersaglio.

Questo risultato, del tutto incomprensibile per la fisica classica, non lasciva dubbi:

Le particelle materiali si comportano, in determinate

circostanze, come onde.

(14)

Intorno al 1930, Stern (1888-1969), ripetendo gli esperimenti di diffrazione con atomi di sodio, dimostrò che anche corpuscoli più complessi come gli atomi presentano proprietà ondulatorie. 

Nel 1931, Knoll (1897-1969) e Ruska (1906-1988; Premio Nobel), servendosi della natura ondulatoria dell’elettrone, inventano il microscopio elettronico.

Le onde di de Broglie diventarono

un'indiscutibile realtà fisica, sebbene nessuno

capisse perfettamente che cosa fossero.

(15)

NASCITA DELLA

MECCANICA QUANTISTICA

La fisica atomica offriva un gran numero di risultati sperimentali ancora da interpretare e certe manifestazioni della natura a livello microscopico sembravano contraddirne altre e nessuno, fino a questo momento, aveva idea delle correlazioni che potevano sussistere.

Per superare i problemi che affliggevano la fisica atomica

era necessario porre fine alle ipotesi ad hoc introdotte

ogni qualvolta gli esperimenti fornivano dati in conflitto

con la teoria esistente.

(16)

Il metodo da seguire doveva essere quello utilizzato da Einstein che lo aveva portato ad elaborare la teoria della relatività, ossia stabilire i principi fisici prima di passare a sviluppare le minuzie matematiche formali necessarie per tenere insieme il complesso edificio teorico.

Per un quarto di secolo, gli sviluppi della fisica

quantistica , dalla legge della radiazione di corpo nero di

Planck al quanto di luce di Einstein, dall’atomo

quantistico di Bohr-Sommerfeld al dualismo onda-

particella per la materia di de Broglie, erano stati il

prodotto di un matrimonio infelice tra concetti quantistici

e fisica classica.

(17)

I fisici dovevano liberarsi di cercare di far rientrare concetti quantistici nella cornice rassicurante e familiare della fisica classica.

Ciò che occorreva era una nuova teoria, una nuova meccanica del mondo quantistico, appunto la

meccanica quantistica.

Il primo a farlo fu Heisenberg (1902-1976; Premio Nobel),

quando adottò in modo pragmatico il credo positivista

secondo il quale la scienza doveva basarsi su fatti

osservabili, e tentò di costruire una teoria basata

esclusivamente sulle grandezze osservabili.

(18)

L’orbita di un elettrone intorno al nucleo di un atomo di idrogeno non era osservabile, per cui l’idea di elettroni in orbita doveva essere abbandonata, così come qualunque tentativo di visualizzare ciò che accadeva all’interno di un atomo.

Pertanto Heisenberg, nel suo tentativo di costruzione di

una teoria coerente ed unitaria, decise di ignorare tutto

ciò che era inosservabile e concentrando l’attenzione

soltanto su quelle grandezze che potevano essere

misurate in laboratorio, come le frequenze e le intensità

delle righe spettrali associate con la luce emessa o

assorbita quando un elettrone salta da un livello

energetico ad un altro.

(19)

L’osservabilità era il promettente principio di questa nuova meccanica.

Non potendo affrontare nei dettagli questa teoria,

c h i a m a t a M e c c a n i c a m a t r i c i a l e , i n q u a n t o

matematicamente molto complessa, ne esaminiamo il

principio fondamentale, il cosiddetto Principio di

indeterminazione.

(20)

Principio di indeterminazione

Ogni grandezza fisica deve essere suscettibile di una definizione operativa, nel senso che deve essere sempre possibile, mediante un'osservazione o un'esperienza, misurarne il valore. Nella fisica classica si supponeva che la misura di una grandezza potesse essere eseguita con precisione sempre maggiore, a condizione di utilizzare un dispositivo sempre più qualificato e una tecnica sempre più razionale.

In realtà ciò non è esatto: misurare significa sempre perturbare il sistema e quindi anche le grandezze che lo

caratterizzano.

(21)

Per esempio, facendo arrivare un fascio luminoso sulla pallina in movimento, possiamo studiare il suo moto senza che esso sia influenzato dalle grandezze, quantità di moto, energia, ecc., associate alla radiazione.

Queste sono infatti trascurabili

r i s p e t t o a i v a l o r i d e l l e

corrispondenti grandezze fisiche

che caratterizzano l'oggetto.

(22)

Il moto di un elettrone è

invece perturbato in

modo imprevedibile dai

fotoni con i quali si vuole

d e t e r m i n a r e l a s u a

p o s i z i o n e e , d o p o

l’osservazione, la quantità

di moto dell’elettrone è

indeterminata.

(23)

Fra l'oggetto (elettrone) e lo strumento di misura si verifica dunque uno scambio energetico, u n ' i n t e r a z i o n e c h e tende a modificare qualche grandezza dinamica dell'oggetto.

"conoscere" significa "misurare" e "misurare"

significa "perturbare".

Da questo discende in modo inequivocabile che:

(24)

Quindi:

non è possibile conoscere con precisione dove si trova l’elettrone, senza impartirgli una quantità

di moto non determinabile.

Anche il concetto di traiettoria, fondamentale nella

meccanica classica, perde senso perché si può parlare di

traiettoria di un corpo solo se si può osservare il suo moto

senza perturbarlo.

(25)

Partendo da queste premesse, Heisenberg introdusse un principio secondo il quale è: impossibile valutare simultaneamente in modo rigoroso e senza alcun limite la posizione e la quantità di moto di un oggetto.

PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE DI HEISENBERG

Ogni qualvolta vogliamo determinare

simultaneamente la posizione x di un corpuscolo lungo una data direzione e la sua quantità di moto p x lungo la stessa direzione, le incertezze Δx e Δp x

delle due grandezze sono legate dalla relazione:

Δx ⋅ Δp x ≥ ! ! = h

(26)

L'indeterminazione p x sulla quantità di moto r i s u l t a d u n q u e t a n t o maggiore quanto più esatta è la misura della posizione e viceversa: x e p x sono inversamente proporzionali

Al limite, se potessimo conoscere perfettamente la

quantità di moto di una particella, essendo p x =0

avremmo x=∞, e la posizione sarebbe perciò

totalmente indeterminata, cioè la particella può essere

trovata con eguale probabilità ovunque.

(27)

Vale anche una seconda forma del principio di indeterminazione che riguarda le grandezze fisiche e n e r g i a e t e m p o : è i m p o s s i b i l e v a l u t a r e simultaneamente in modo rigoroso e senza alcun limite l'istante di tempo in cui un sistema si trova in un particolare stato e la corrispondente energia del sistema.

PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE DI HEISENBERG

Se misuriamo l'energia E di un corpuscolo mentre si trova in un determinato stato, impiegando un

intervallo di tempo Δt per compiere tale osservazione, l'incertezza ΔE sul valore dell'energia è tale che:

ΔE ⋅ Δt ≥ ! ! = h

(28)

Cosa significa? Se su un sistema si esegue una misura di energia, la precisione intrinseca E con la quale è possibile ottenere il risultato è determinata dalla durata della misurazione: più breve è la misura, più impreciso è il valore trovato dell’energia.

Viceversa, se si vuole conoscere ciò che accade in un

intervallo di tempo molto piccolo, il comportamento

quantistico dei sistemi impone che si debbano impartire

energie grandi: così, dopo la misura, l’energia del sistema

è molto indeterminata.

(29)

Tuttavia le relazioni di indeterminazione rappresentano delle medie statistiche i cui valori derivano da un elevato

numero di misure. Va quindi rilevato che da una verifica più approfondita risulta le relazioni d’indeterminazione

assumono la forma:

Δx ⋅ Δp x ≥ ! 2

ΔE ⋅ Δt ≥ !

2

(30)

Ø  Quanto più si cerca di migliorare la precisione della misura di una delle due grandezze coniugate

(x e p, oppure E e t) tanto più aumenta l'imprecisione della conoscenza dell'altra. 

In definitiva:

L’indeterminazione nella conoscenza contemporanea dell’energia e del tempo, della velocità e della posizione, non significa che la conoscenza dello stato fisico del sistema è indeterminata, ossia dovuta a tecniche di misura insufficienti, ma che:

l’indeterminazione è insita nello

stato fisico del sistema.

(31)

Per la coerenza della teoria quantistica, le relazioni di

Heisenberg sono valide per ogni fenomeno che avviene in

natura e quindi anche per il moto di un oggetto

macroscopico. Solo che in questo caso l'indeterminazione

quantistica è così piccola che appare trascurabile di

fronte all'incertezza che deriva dagli errori sperimentali

delle misure.

(32)

LE ONDE DI PROBABILITA’

Le originali idee di de Broglie sulla natura ondulatoria della materia acquistarono un soddisfacente formalismo matematico (Meccanica ondulatoria) nel 1926 per ope- ra del viennese Schrodinger (1887-1961; Premio Nobel).

La fisica di un’onda, qualunque essa sia, è sempre descritta da un’equazione. Non ci possono essere onde senza un’equazione d’onda. Quindi Schrodinger decise di trovare l’equazione mancante per le onde materiali di de Broglie.

L’atomo d’idrogeno, per ovvi motivi, sarebbe stato il

banco di prova dell’equazione d’onda che doveva

trovare.

(33)

Dopo mesi di lavoro, Schrodinger arrivò a formulare l’equazione (un’equazione differenziale alle derivate parziali) che descriveva le onde di materia, molto simile a quella che descrive la propagazione delle onde meccaniche o elettromagnetiche:

EQUAZIONE D’ONDA DI SCHRODINGER

d 2 ψ

dx 2 + 8 π 2 m

h 2 [ E − V (x) ] ψ = 0

q E è l’energia meccanica totale (cinetica+potenziale) della particella di massa m in moto.

q V(x) è il campo di potenziale che agisce nella regione

in cui si muove la particella.

(34)

Non entriamo nel merito

dell’equazione, ma analizziamo la sua importanza e il significato della

funzione (x,y,z,t), chiamata

funzione d’onda.

(35)

Ø  L’equazione genera i valori corretti per i livelli energetici dell’atomo di idrogeno di Bohr-Sommerfeld.

Ø  Più complicata delle onde stazionarie unidimensionali di de Broglie che si inserivano nelle orbite circolari, l’equazione genera gli analoghi tridimensionali di quelle onde, gli orbitali elettronici.

L’equazione funziona

Ø  Le energie associate agli orbitali elettronici sono

anch’esse generate come parte integrante delle

soluzioni accettabili dell’equazione d’onda di

Schrodinger.

(36)

Tutte le ipotesi ad hoc finora introdotte nell’atomo quantistico per dar conto delle sue evidenze sperimentali, adesso scaturiscono in modo naturale dall’interno della struttura della nuova meccanica di Schrodinger, la meccanica ondulatoria.

In netto contrasto con l’austera meccanica delle matrici di Heisenberg, Schrodinger offriva un’alternativa familiare e rassicurante e prometteva di spiegare il mondo dei quanti in termini più vicini alla fisica classica.

In sintesi:

Le soluzioni ψ(x,y,z,t) dell’equazione di

Schrodinger forniscono le proprietà quantistiche

del sistema in esame.

(37)

Qual era, ammesso che ve ne fosse una, la connessione tra meccanica delle matrici e meccanica ondulatoria?

Fu lo stesso Schrodinger a trovare la connessione. Le due teorie che sembravano così diverse per forma e contenuto, l’una impiegando equazioni d’onda e l’altra algebra matriciale, erano matematicamente equivalenti.

Le due teorie potevano anche essere tecnicamente

equivalenti, ma la natura della realtà fisica che stava

oltre la matematica era del tutto diversa: le onde e le

continuità di Schrodinger contro le particelle e la

discontinuità di Heisenberg. Ciascuno dei due era

convinto che la sua teoria cogliesse la vera natura della

realtà fisica. Non potevano avere entrambi ragione.

(38)

Il significato della funzione d’onda

La soluzione dell’equazione di Schrodinger, nota come funzione d'onda e indicata con la lettera

ψ , contiene tutte le informazioni circa

l'evoluzione dell'onda-particella nello spazio e nel tempo, ossia dalla cui conoscenza è possibile ricavare lo stato della particella.

Ma c’era una domanda cui Schrodinger trovava difficile

rispondere: che cos’era a compiere l’oscillazione? In

sostanza, qual è il significato fisico della funzione d’onda?

(39)

A compiere l’oscillazione sono le molecole d’aria, nel caso delle onde sonore, o il campo elettromagnetico nel caso delle onde elettromagnetiche.

Schrodinger credeva che le onde di materia fossero altrettanto reali quanto qualsiasi di queste onde, e quindi propose che la funzione d’onda, per esempio, di un elettrone fosse intimamente connessa alla distribuzione a forma di nube della sua carica elettrica mentre si muove attraverso lo spazio.

Da questo punto di vista, la funzione d’onda (x, y, z, t)

non sarebbe altro che la densità di carica elettronica nel

punto di coordinate (x,y,z) all’istante t.

(40)

Ma presto tale interpretazione andò incontro a difficoltà insormontabili. Da un lato era fisicamente insostenibile, dall’altro lato non era confermata da nessuna osservazione, in quanto in tutte le misure sperimentali la carica non si trova distribuita, ma concentrata in un punto.

Se la funzione d’onda di Schrodinger non rappresentava onde reali nello spazio tridimensionale, di che onde si trattava?

Fu Born (1882-1970; Premio Nobel) a fornire la risposta,

interpretando la funzione d’onda sulla base di concetti

probabilistici.

(41)

Infatti, secondo Born:

la funzione d’onda è una ampiezza di probabilità.

Questo significa che, se stiamo studiando il comportamento di un elettrone, la quantità:

fornisce la probabilità che l’elettrone si trovi, a un istante di tempo t, in un volume V il cui centro è

posto nel punto di coordinate (x, y, z).

ψ(x, y,z, t

2

ΔV

DENSITA’ DI PROBABILITA’

(42)

La densità di probabilità possiede così un significato fisico reale:

§  La densità di probabilità non dice dove una particella è in un dato istante, ma semplicemente dove è probabile che sia.

§  La funzione d’onda rappresenta non come il sistema fisico è, ma ciò che sappiamo del sistema.

Nell’espressione precedente, V deve essere

abbastanza piccolo da fare sì che la funzione (x, y, z, t)

non vari in modo apprezzabile al suo interno.

(43)

Le probabilità calcolate a partire dalla ψ(x, y, z, t) sono le informazioni più dettagliate che in via di principio è possibile avere sul sistema fisico quantistico in esame.

Non è che la meccanica quantistica sia inadeguata a predire l’esatta posizione o la velocità della particella in un dato istante, è che una particella quantistica semplicemente non possiede un insieme completo di attributi fisici con valori ben precisi.

In sintesi, questa interpretazione probabilistica di è il

principale strumento per creare il legame tra le formule

della fisica quantistica e l’osservazione nell’esperimento.

(44)

Tutti i risultati sperimentali sono in accordo con questa visione probabilistica cosicché, alla luce delle conoscenze odier ne, dobbiamo rinunciare al determinismo che era tipico della fisica classica.

Non possiamo più pretendere di prevedere in dettaglio l'evoluzione di un sistema fisico, ossia la sua traiettoria, o il risultato di una misura sperimentale.

Dobbiamo «accontentarci» di calcolare con quale probabilità avranno luogo le possibili evoluzioni di uno

stesso stato fisico, oppure con quali probabilità,

eseguendo un esperimento, otterremo uno dei risultati

possibili piuttosto che un altro.

(45)

L’introduzione della funzione d’onda comporta un cambiamento radicale nel modo in cui la fisica modellizza la realtà.

Nel modello corpuscolare una particella è pensata come un punto materiale che si muove con quantità

di moto p lungo una direzione, che si può

scegliere come asse x.

La fisica quantistica utilizza la funzione della

posizione x, che determina la probabilità di osservare

la particella in una zona

piuttosto che in un’altra.

(46)

Nelle zone in cui oscilla, la probabilità di trovarvi una particella è diversa da zero. Non si trova mai la particella

fuori da questa regione, dove è nulla.

(47)

Questa funzione d’onda formalizza il fatto misterioso che sta alla base della meccanica quantistica, la cosiddetta

dualità onda-corpuscolo.

Dunque se si vuole descrivere una particella, che è localizzata, con qualcosa che si comporta come un’onda non localizzata, si fa per l’appunto ricorso alla funzione d’onda, che descrive non tanto la particella quanto piuttosto la probabilità di trovarla in una data posizione a un dato istante.

Se la funzione, e dunque la probabilità di trovare la

particella, è diversa da zero in molti punti diversi, allora la

particella si comporta come se fosse in molti punti diversi

allo stesso tempo.

(48)

Bohr, nella sua interpretazione della meccanica quantistica, sosterrà che:

Interpretazione di Copenaghen

Finché non viene effettuata una misurazione, un oggetto microscopico come un elettrone non esiste da nessuna parte. Tra una misurazione e la successiva

esso non ha alcun tipo di esistenza al di fuori delle possibilità astratte della funzione d’onda. Soltanto quando viene compiuta una misurazione la funzione d’onda subisce il collasso mentre uno dei possibili stati dell’elettrone diventa lo stato effettivo e la probabilità

di tutte le altre possibilità diventa nulla.

(49)

Interpretazione di Copenaghen

(50)

In realtà, l’ampiezza di probabilità non è rappresentata da una funzione sola, ma da una coppia di funzioni, che insieme sono soluzioni dell’equazione di Schrödinger scritta per il particolare sistema fisico a cui la particella appartiene.

Quindi, come per il vettore r nel piano, anche la funzione d’onda (che non è un vettore, ma un numero complesso) ha due componenti:

r !

= (x

1

;x

2

) ⎯ ⎯⎯⎯⎯ r

teorema di Pitagora

2

= x

12

+ x

22

(51)

Poiché è un numero complesso, 1 e 2 sono la sua parte reale e la sua parte immaginaria.

Ψ = (Ψ 12 ) ⇒ Ψ ( ) 2 = Ψ 1 2 + Ψ 2 2

1 e 2 sono a loro volta funzioni dell’istante t e delle

coordinate (x,y,z) del punto in cui si vuole calcolare la

probabilità di trovare la particella.

(52)

È molto importante notare che la probabilità di cui stiamo parlando è molto diversa da quella che si incontra in altri campi della fisica.

In sistemi (come i gas) che contengono un gran numero di particelle è impossibile sia conoscere le proprietà di tutte le componenti del sistema, sia calcolarne l'evoluzione. In tale contesto si deve introdurre una probabilità da ignoranza: non sapendo fare di meglio, ci limitiamo a calcolare, per esempio, la probabilità che, presa una molecola, essa abbia una certa velocità.

Ciò non toglie che, almeno in linea di principio,

possedendo più informazioni e capacità di calcolo

rispetto a quelle che abbiamo, la soluzione esatta del

problema sarebbe possibile.

(53)

La probabilità quantistica rappresenta, invece, il massimo delle informazioni che possiamo avere sul sistema fisico.

La probabilità quantistica è una caratteristica intrinseca della realtà atomica.

Il fatto che gli esiti delle misure su sistemi quantistici

risultano casuali, possiamo asserire che, le probabilità

quantistiche risultano, nel linguaggio della filosofia della

scienza, non epistemiche, cioè non possono essere

attribuite ad ignoranza, ad una mancanza di

informazione sul sistema che, se fosse disponibile, ci

consentirebbe di trasformare le asserzioni probabilistiche

in asserzioni certe.

(54)

Certo, non è facile farsi una ragione di questa incertezza implicita nella natura. In fondo, la frase di Einstein, "Non credo che Dio giochi a dadi con l'universo", sicuramente esprime questo disagio.

Fino ad ora, tutti i risultati sperimentali sono in accordo con questa visione probabilistica cosicché, alla luce delle conoscenze odier ne, dobbiamo rinunciare al determinismo che era tipico della fisica classica.

In conclusione, possiamo così riassumere:

(55)

Nella meccanica classica lo stato di un

sistema, in linea di principio, è

completamente determinato in ogni istante, grazie alle leggi

del moto di Newton, se si specificano posizione

e velocità ad un dato

istante.

(56)

Nella meccanica

quantistica possiamo solo sapere con quali

probabilità avranno luogo le possibili evoluzioni di

uno stesso stato fisico, oppure con quali

probabilità, eseguendo un esperimento,

otterremo uno dei

risultati possibili piuttosto

che un altro.

(57)

AMPIEZZA DI PROBABILITA’ E PRINCIPIO DI HEISENBERG

La rappresentazione delle proprietà di un sistema quantistico attraverso la funzione d’onda e il principio di Heisenberg sono strettamente collegati:

Facendo uso dell’ampiezza di probabilità Ψ, la fisica quantistica spiega il principio di

indeterminazione di Heisenberg.

Caso particella libera

Consideriamo una particella libera, cioè non soggetta ad

alcuna forza. Per il primo principio della dinamica, la sua

quantità di moto p e la sua energia E si conservano per

un tempo indefinito.

(58)

Per questa particella, l’equazione di Schrödinger fornisce le seguenti funzioni d’onda (soluzioni dell’equazione differenziale):

Ψ

1

= acos 2π Et

h − px h

⎝ ⎜⎜ ⎞

⎠ ⎟⎟

⎜ ⎜

⎟ ⎟ Ψ

2

= asen 2π Et

h − px h

⎝ ⎜⎜ ⎞

⎠ ⎟⎟

⎜ ⎜

⎟ ⎟

E’ facile calcolare 2 :

cos 2 + sen 2 = 1

Ψ

2

= Ψ

12

+ Ψ

22

= a

2

cos

2

2π Et

h − px h

⎝ ⎜⎜ ⎞

⎠ ⎟⎟

⎜ ⎜

⎟ ⎟ + sen

2

2π Et

h − px h

⎝ ⎜⎜ ⎞

⎠ ⎟⎟

⎜ ⎜

⎟ ⎟

⎢ ⎢

⎥ ⎥ = a

2

dove abbiamo usato:

(59)

In definitiva:

Ψ(x, y,z, t)

2

ΔV = a 2 ΔV

DENSITA’ DI PROBABILITA’

particella libera

Per un valore di p perfettamente definito, la probabilità di trovare la particella in un volume ΔV all’istante t è la

stessa per ogni ΔV e per ogni t, per cui la particella potrebbe essere ovunque.

Questo non è altro che il principio di indeterminazione di Heinsenberg:

alla massima determinazione sulla quantità di moto di una particella corrisponde la massima incertezza

sulla sua posizione.

(60)

Caso pacchetto d’onde

In fisica quantistica di solito una particella è descritta non da un’onda piana (come nel caso della particella libera), ma come un pacchetto d’onde (contenente un numero arbitrario di onde con diversi λ) che è diverso da zero soltanto in una zona limitata di spazio.

Ricordiamo che, in meccanica

quantistica, il modulo al quadrato

del pacchetto d’onde descrive la

probabilità che una particella o

più particelle in un determinato

stato (specificato dal pacchetto in

questione) abbiano una data

posizione nello spazio o una data

quantità di moto.

(61)

Cosa si può dire della quantità di moto della stessa particella?

N e l c a s o e s t re m o d i un’onda sinusoidale che si estende a tutto lo spazio, la lunghezza d’onda è una e ben definita e lo stesso accade per la quantità di moto p=h/ .

Quindi l’indeterminazione p è nulla e,

contemporaneamente, l’indeterminazione x è massima

(infinita), dato che la particella si può trovare ovunque.

(62)

In questo caso, invece, a una posizione meglio definita corrisponde u n a m a g g i o r e incertezza sul valore di

e quindi su p=h/ .

Nel caso in cui la posizione x è nota con precisione, il pacchetto contiene meno oscillazioni e la sua è molto mal definita. Per questo la quantità di moto p=h/

ha una grande incertezza p.

(63)

Quando il pacchetto d’onda è concentrato in un punto ( x 0), il concetto di «lunghezza d’onda»

perde senso ( ∞) e la quantità di moto p=h/ è completamente indeterminata ( p ∞).

Quando Δx è grandissimo l’indeterminazione Δp tende a zero, come è previsto dal principio di

Heisenberg: Δp /Δx. Reciprocamente, più il pacchetto d’onda è corto (Δx piccolo), maggiore è

l’incertezza Δλ e quindi maggiore è Δp.

Questi non sono altro che esempi del principio di

indeterminazione di Heinsenberg:

(64)

Consideriamo un insieme di

elettroni o fotoni che, propagandosi nello spazio, trasportano energia e costituiscono una «radiazione».

Alla domanda: «in realtà si tratta di onde o corpuscoli?» la risposta

corretta è che non si può rispondere.

Quando si propaga nello spazio, ogni radiazione va pensata come costituita da pacchetti d’onda delle ampiezze di probabilità di tutte le particelle del sistema.

Quando la si osserva interagire con qualche dispositivo, essa si

comporta come onda (diffusa nello spazio) o come corpuscolo

(concentrato in un punto) a seconda del tipo di misura che su di essa si esegue.

Acca tagliato

La grandezza compare nel principio di indeterminazione perché nelle (6) i prodotti (px ) ed (Et ) sono divisi per h/2p.

Consideriamo un insieme di elettroni o fotoni che, propagandosi nello spazio, trasportano energia e costituiscono una «radiazione».

Alla domanda: si tratta di onde o corpuscoli? La risposta corretta è: non si può rispondere.

Quando si propaga nello spazio, ogni radiazione va pensata come costituita da pacchetti d’onda delle ampiezze di probabilità di tutte le particelle

del sistema.

Quando la si osserva interagire con qualche dispositivo, essa si comporta come onda (diffusa

nello spazio) o come corpuscolo (concentrato in un punto) a seconda del tipo di misura che su di

essa si esegue.

(65)

LA NATURA DELLE ONDE QUANTISTICHE

Approfondiamo la questione sulla natura delle onde di probabilità.

L'intensità della luce può, però, essere così bassa che viene emesso solo un fotone ogni tanto. Ciò significa che se installiamo da qualche parte un rivelatore, questo registrerà un fotone molto raramente.

Supponiamo che una sorgente emetta onde di luce che si

diffonderanno nello spazio in tutte le direzioni, con

simmetria sferica.

(66)

Così, mentre l'onda si diffonde in tutto lo spazio, il fotone è misurato solo in un punto singolo. Che cosa succede al resto dell'onda? Che senso ha parlare di onda?

Continuerà a diffondersi senza che esista un fotone?

In fisica quantistica dobbiamo parlare di onde di probabilità, e non di onde

tridimensionali reali come le onde sonore.

Se un fotone viene emesso dalla sorgente, questo

corrisponde a un'onda di probabilità sferica, la cui

intensità in una certa posizione indica la probabilità di

trovare la particella in quel punto e in un dato istante.

(67)

La probabilità calcolata su tutta la sfera deve essere pari a P=1, perché la particella deve trovarsi in qualche punto della sfera stessa: non può certo scomparire.

Che cosa succede quando rileviamo la particella in un determinato punto, cioè quando il rivelatore scatta? Se la particella viene rilevata in un certo punto, non può certo essere un un altro punto. Quindi, dal momento in cui il rivelatore scatta, la probabilità deve subito diventare zero in tutto il resto della sfera.

Come fece notare Einstein, in caso di distanze molto

grandi siamo di fronte a un potenziale problema.

(68)

Nel momento in cui il fotone viene rilevato in una certa posizione, in qualsiasi altro punto l'onda sferica scomparirà senza alcun ritardo, in modo assolutamente istantaneo.

È chiaro che questo aspetto attirò le critiche di Einstein, il quale con la teoria della relatività aveva scoperto che niente può superare la velocità della luce. Qui però sembra che l'informazione “il fotone è stato rilevato” si possa effettivamente propagare a qualsiasi velocità, visto che l'onda scompare subito in tutto lo spazio.

Quindi l'immagine realistica di un'onda che si diffonde concretamente nello spazio provoca forti difficoltà

concettuali.

(69)

L'unica possibilità di evitare questo problema consiste nel:

non vedere l'onda di probabilità come un'onda vera e propria che si diffonde realmente nello spazio, ma come un semplice strumento utile a calcolare la probabilità che un fotone sia rilevato

in un determinato punto e in un dato istante.

Quindi, è meglio considerare l'onda di probabilità solo un

aiuto per la comprensione, con cui in qualche modo

possiamo crearci delle immagini mentali. Per essere

precisi, possiamo parlare solo di risultati dell'osservazione,

come lo scatto del rivelatore, e delle loro probabilità.

(70)

Questo vale anche nel caso di particelle dotate di massa, perché anche in questo caso parliamo di un'onda di probabilità, l'onda di materia di de Broglie.

Abbiamo trovato così un’interpretazione secondo la quale non si parla più di onde che si diffondono nello spazio, e neanche di particelle che seguono una certa

traiettoria, ma solo dei singoli fenomeni che vengono

effettivamente osservati.

(71)

Se un sistema fisico ammette due ampiezze di probabilità ψ a e ψ b che descrivono due stati del

sistema, allora lo stesso sistema può essere descritto anche dall’ampiezza ψ somma delle

ampiezze ψ a e ψ b :

Si dice che il sistema fisico è descritto da una sovrapposizione di stati.

PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE

IL PRINCIPIO DI SOVRAPPOSIZIONE

Ψ = aΨ a + bΨ b

(72)

Consideriamo un elettrone (ma vale anche per un fotone o qualsiasi altra particella) emesso dalla sorgente L.

Vediamo cosa significa questo principio e quali sono le

sue conseguenze.

(73)

L ’ e l e t t r o n e c h e g i u n g e s u l rivelatore R può essere descritto da due funzioni d’onda fondamentali:

la prima, che chiameremo a , descrive un elettrone che è passato dalla fenditura A; la seconda, b , descrive un elettrone che è passato dalla fenditura B.

Da un punto di vista quantistico, lo stato dell’elettrone è descritto dalla seguente funzione d’onda:

Ψ = aΨ a + bΨ b numeri relativi a,b

(74)

Non significa che esso è passato per entrambe le fenditure né, se la cosa può avere senso, che è passato un po’ attraverso la prima e un po’ attraverso la seconda.

Significa soltanto che, per esso, la domanda «qual è la fenditura attraversata dall’elettrone?» non ha una risposta definita.

ψ descrive una situazione in cui la fenditura attraverso cui l’elettrone, o qualsiasi altra

particella, passa non è definita.

Dal punto di vista classico questa descrizione non ha

significato, mentre dal punto di vista delle onde di

probabilità è del tutto coerente.

(75)

S e l a s o r g e n t e L e m e t t e i n successione soltanto elettroni descritti dalla funzione d’onda

=a a +b b , possiamo mettere altri due rivelatori R A e R B per verificare se gli elettroni passano attraverso la fenditura A oppure attraverso la B.

Tutto ciò che è possibile calcolare è la probabilità che un elettrone passi attraverso una determinata fenditura.

Non sarà possibile sapere in anticipo da quale fenditura

passerà un determinato elettrone. L’unica cosa che

possiamo dire sull’elettrone è che esso si trova in una

sovrapposizione di entrambe le possibilità.

(76)

Qualche volta un elettrone è rivelato da R A e altre volte d a R B , m a m a i d u e e l e t t r o n i s o n o r i v e l a t i contemporaneamente.

Quindi, l’esperimento mostra che, su N elettroni che attraversano lo schermo, N a passano per la fenditura A e i rimanenti (N N a ) attraverso la B. Il risultato di ogni singola misurazione non è in alcun modo prevedibile a priori, ma le due probabilità (che l’elettrone passi, rispettivamente, attraverso la prima o la seconda fenditura):

p

A

= N

A

N p

B

= N − N

A

N

(77)

sono in accordo con i valori che si possono calcolare teoricamente conoscendo i coefficienti a e b:

p

A

= a

2

a

2

+ b

2

p

B

= b

2

a

2

+ b

2

Quando si esegue questo tipo di misura l’elettrone è certamente passato per una fenditura determinata e,

quindi, non è più descritto dallo stato Ψ= aΨ a + bΨ b

ma da uno dei due stati fondamentali Ψ a e Ψ b (a

seconda di qual è la fenditura da cui risulta passato).

(78)

Quindi la misura ha solo due possibili risultati e quando avviene una delle due, lo stato quantistico “collassa” in

a o b , e l’altro stato sarà escluso.

In generale una particella, prima della misura, si trova in una sovrapposizione di tutti i

diversi risultati che possiamo ottenere in un esperimento. La misura ci darà uno dei

possibili risultati dell’esperimento escludendo

tutti gli altri possibili prima della misura.

(79)

Interpretazione di Copenaghen

Sempre secondo la concezione classica della fisica quantistica (interpretazione di Copenaghen), possiamo sostenere che:

Finché non viene effettuata una misurazione, non ha senso porsi la domanda: da dove è passato

l’elettrone (o un’altra particella). L’atto di compiere una misura fa “collassare” la funzione d’onda dallo

stato di sovrapposizione a uno dei due stati

fondamentali.

(80)

I coefficienti numerici (a,b) che compaiono nella sovrapposizione delle funzioni d’onda determinano le probabilità dei diversi eventi e quindi del fatto che la funzione d’onda collassi nello stato a piuttosto che nello stato b .

Secondo la fisica quantistica questo è il massimo di informazione che si può avere sul sistema.

Dunque, l’introduzione della funzione d’onda cambia in

modo radicale il modo con cui si ragiona sulle

caratteristiche di un sistema: ci sono condizioni nelle

quali si deve rispondere «vero, falso, o indefinito» (logica

a tre valori).

(81)

Nel caso della doppia fenditura, quando lo stato quantico dell’elettrone è descritto dall’ampiezza di probabilità =a a+b b , alla domanda tipica della descrizione classica: «l’elettrone è passato per la fenditura A?» questa logica a tre valori ci obbliga a rispondere «né vero, né falso, ma indefinito».

La condizione di «indefinito» non è equivalente alla condizione che si ha nella logica classica dove il «non so»

implica che si potrebbe rispondere, se si avessero più informazioni.

Invece, nel caso quantistico non è logicamente possibile

rispondere alla domanda: da dove è passato? (Non è

mancanza di informazioni, ma è la natura a comportarsi

così).

(82)

Effetto tunnel Un ulteriore esperimento

che dà origine a una

sovrapposizione di diversi

stati di posizione è l’effetto

tunnel, in base al quale

una particella, senza

alcuna azione esterna,

riesce a creare una specie

di canale per attraversare

una barriera di potenziale,

che possiamo immaginare

come una parete di un

certo spessore.

(83)

I n g e n e r a l e , p e r u n a particella soggetta a un c a m p o d i f o r z e , u n a barriera di potenziale è una regione in cui l'energia potenziale associata al campo supera l'energia totale della particella, per cui essa, secondo la fisica classica, sarebbe destinata a rimanere confinata all'interno del campo.

Secondo la meccanica quantistica, una particella

può superare la barriera- ostacolo ed è possibile trovarla in una regione dello spazio classicamente

inaccessibile.

(84)

Il problema può essere affrontato applicando l'equazione di Schrodinger: la funzione d'onda che risolve l'equazione non si annulla sulla barriera, ma si prolunga al suo esterno.

P o i c h é | | 2 r a p p r e s e n t a l a d e n s i t à d i p r o b a b i l i t à d i l o c a l i z z a r e l a particella in un

determinato punto, se la funzione d'onda è non nulla

all'esterno vuol dire che c'è una

probabilità, per quanto piccola, di

trovare la particella oltre la

barriera.

(85)

Questo comportamento quantistico può essere spiegato anche grazie al principio d’indeterminazione di Heisenberg, nella sua seconda forma:

ΔE ⋅ Δt ≥ !

Ossia, l’incertezza sull’energia legata all’incertezza sui

tempi, consente alla particella di avere in un certo

intervallo di tempo l’energia sufficiente per oltrepassare

la barriera.

(86)

L'effetto tunnel gioca un ruolo estremamente importante in alcuni fondamentali processi nucleari quali la

disintegrazione radioattiva, nonché in numerose e

notevoli applicazioni tecnologiche, fra cui il microscopio a scansione a effetto tunnel (STM), capace di produrre

immagini di superfici con una risoluzione confrontabile con le dimensioni di un singolo atomo, e nella

realizzazione dei chips per microprocessori.

(87)

IL PRINCIPIO DI COMPLEMENTARIETA’

La doppia natura (corpuscolare-ondulatoria) della luce e della materia può essere messa in evidenza attraverso il classico esperimento di Young della doppia fenditura.

Un fascio di luce monocromatica e un fascio di elettroni monocromatici (aventi tutti la stessa lunghezza d'onda

di de Broglie) producono la stessa figura di

interferenza.

(88)

Ripetendo l'esperimento dopo aver chiuso una delle due fenditure, in modo da essere sicuri che il fotone o l'elettrone passino attraverso l'altra, la figura interferenziale scompare.

Sullo schermo si osserva solo una piccola macchia

luminosa allineata con l'asse della fenditura rimasta

aperta.

(89)

Quindi: sia gli elettroni che la luce esibiscono effetti d’interferenza (si comportano come onde), ma quando vengono osservati, si manifestano come dei quanti (si comportano come particelle), ciascuno in un sol luogo.

Gli elettroni manifestano proprietà ondulatorie quando

entrambe le fenditura sono aperte. Quando, invece, si

cerca di rivelare il loro percorso (la traiettoria), nel caso

specifico di stabilire da quale fenditura siano passati, essi

assumono il loro aspetto corpuscolare. Allo stesso modo la

luce si comporta, a seconda delle condizioni sotto cui è

osservata, come un'onda o come un flusso di fotoni.

(90)

ü  Non è possibile osservare la figura di interferenza della doppia fenditura e contemporaneamente conoscere la traiettoria della particella.

Quali conclusioni possiamo trarre da questa fondamentale esperienza?

Ø  la dualità onda-corpuscolo rappresenta un aspetto universale; come la luce, così anche gli oggetti materiali, elettroni, protoni, neutroni, nuclei..., tutti dotati di massa, presentano potenzialmente una doppia natura.

Questo è vero in generale: ogni esperienza capace di

rivelare una particella da un punto di vista corpuscolare

esclude la possibilità di evidenziare il suo aspetto

ondulatorio, e viceversa.

(91)

Questi esperimenti ci rivelano che il modello di onda e il modello di particella, la traiettoria e la figura di interferenza, sono complementari: non è possibile soddisfare entrambe le condizioni contemporaneamente e nello stesso esperimento.

La complementarità fu assunta come principio da Bohr nel 1927, e rappresenta uno dei punti fondamentali della meccanica quantistica:

PRINCIPIO DI COMPLEMENTARITÀ

Se un esperimento permette di osservare un aspetto di un fenomeno fisico, esso impedisce

al tempo stesso di osservare l'aspetto

complementare dello stesso fenomeno.

(92)

osservazioni filosofiche

L'errore che si commette nell'interpretare la filosofia quantistica è quello di supporre che il fotone, l'elettrone, e le particelle in generale, abbiano una forma reale, cioè l'aspetto che il mondo macroscopico assegna a un'onda o a un corpuscolo.

Soprattutto nei riguardi di certi particolari fenomeni,

sarebbe meglio considerare queste entità microscopiche

come intrinsecamente indefinite fino all'istante in cui, per

effetto di un intervento strumentale, vengono evidenziate

o come onde o come corpuscoli.

(93)

In questa prospettiva chiedersi se la luce, o l’elettrone, sia un’onda o una particella è privo di senso.

La "realtà" del mondo microscopico sta nelle interazioni che possiamo stabilire con esso,

cioè nei risultati dei nostri esperimenti.

L’unica domanda che è lecito farsi è: la luce o l’elettrone si comporta come una particella o come un’onda? La risposta è che talvolta si comporta come una particella, altre volte come un’onda, e questo lo stabilisce l’esperimento scelto.

Ci è concesso cogliere vari aspetti di questa complessa

realtà, ma non è dato di coglierli simultaneamente.

(94)

Nella logica di Bohr i concetti di corpuscolo e di onda, e di qualsiasi coppia di grandezze fisiche complementari, non sono incompatibili; per cogliere appieno alcuni aspetti del mondo microscopico occorrono entrambe le descrizioni, che singolarmente si escludono, ma che insieme si completano.

La complementarietà per Bohr non era soltanto pura

teoria o un principio, ma la struttura concettuale ancora

mancante necessaria per descrivere la strana natura del

mondo quantistico, e quindi lo strumento per superare il

carattere paradossale del dualismo onda-particella.

(95)

La complementarietà evitava in modo semplice e chiaro le difficoltà che derivavano dalla necessità di utilizzare due disparate rappresentazioni classiche, onde e particelle, per descrivere un mondo non classico.

Sia le particelle che le onde erano, secondo Bohr, indispensabili per una descrizione completa della realtà quantistica, ma entrambe le descrizioni erano di per sé solo parzialmente vere.

Il principio di complementarità portò a utilizzare un

linguaggio tutto particolare per descrivere il mondo

atomico. Non tutta la logica della meccanica quantistica

fu pienamente condivisa dai grandi fisici del tempo.

(96)

LA MECCANICA

QUANTISTICA DELL’ATOMO

STABILITÀ DEGLI ATOMI E ORBITALI ATOMICI

L'equazione di Schrodinger, a parte gli effetti relativistici, fornisce la più ampia descrizione del comportamento di una particella quantistica. Per quanto riguarda in particolare l'atomo di idrogeno, l'equazione permette di determinare non solo la forma degli orbitali, ma anche il valore dei corrispondenti livelli di energia.

L'equazione di Schrodinger svolge nella fisica quantistica la stessa funzione che la seconda legge di Newton svolge

nella fisica classica.

(97)

Poiché la fisica quantistica in generale, e l’equazione di Schrodinger in particolare, richiede un apparato matematico complesso, è preferibile fare ricorso a modelli specifici.

Usiamo il modello corpuscolare per studiare la stabilità degli atomi. Anche se questo modello è lontano dalla realtà, l’uso del principio di indeterminazione ci aiuta a introdurre nelle sue applicazioni le correzioni necessarie.

Nel modello corpuscolare dell’atomo di idrogeno, l’energia potenziale del sistema elettrone-nucleo è:

U(r) = −k e

2

r

(98)

Se l’elettrone si trova in una sferetta di raggio r, la sua quantità di moto p non può essere inferiore all’incertezza dovuta al principio di indeterminazione:

Δx ⋅ Δp ≥ ! ⇒ p ≥ ! r

Quindi anche l’energia cinetica dell’elettrone ha un limite inferiore:

K = 1

2 m

e

v

2 p=mv; !=

h

⎯ ⎯⎯⎯⎯⎯ K =

→ 1

2m

e

p

2

≥ 1 2m

e

h

2

(2π)

2

r

2

Il raggio r di equilibrio è quello per cui l’energia potenziale

e cinetica sono all’incirca uguali in valore assoluto:

(99)

U(r) = K ⇒ 1 4πε

0

e

2

r = 1 2m

e

h

2

2

r

2

r ≅ ε

0

h

2

2πm

e

e

2

= 2,65 ⋅ 10

−11

m

Con questo semplice argomento si ricava quindi, entro un fattore 2, il raggio della prima

orbita dell’atomo di Bohr.

Raggio di Bohr

(100)

Questo ragionamento non è però sufficiente se si vuole spiegare la struttura di un atomo, con un nucleo di carica +Ze, attorno a cui «ruotano» Z elettroni.

E come cambia, con la meccanica ondulatoria, la descrizione degli stati stazionari atomici, introdotti nel modello di Bohr?

Abbandonato il concetto classico di traiettoria (non ci

sono elettroni che “girano” attorno al nucleo), gli stati

stazionari non sono più pensati come orbite circolari

percorse da un elettrone puntiforme, ma sono

caratterizzati da funzioni d'onda che definiscono, tramite

il loro modulo quadro, la densità di probabilità di trovare

l'elettrone in un determinato punto intorno al nucleo.

(101)

A ogni stato stazionario è dunque assegnata una distribuzione di probabilità, chiamata orbitale.

Questo può essere visualizzato mediante una "nuvola", più densa nei punti dove è più facile trovare l'elettrone, più rarefatta dove l'elettrone si trova con minore probabilità.

Nel guscio definito dal «numero quantico principale» n=1

è contenuta una sola oscillazione dell’ampiezza di

probabilità, in quanto si ha =2 r. Nel secondo guscio vi

sono due oscillazioni (n=2) e nel terzo guscio tre

oscillazioni (n=3).

(102)

Dunque, le “nuvole stazionarie” sono quelle in cui la probabilità di trovare un elettrone a una certa distanza dal nucleo non cambia nel tempo.

Esempio: il primo orbitale dell'atomo di idrogeno, corrispondente allo stato fondamentale, ha una distribuzione di probabilità a simmetria sferica, con un massimo a una distanza dal nucleo uguale al raggio della prima orbita di Bohr.

Il raggio di Bohr, quindi, non è più una

distanza fissa dal nucleo alla quale si

muove l’elettrone, ma il “posto” più

probabile dove trovare l’elettrone.

(103)

Esercizio

Calcolare per quale valore della distanza r dal nucleo è massima la densità di probabilità per l’atomo d’idrogeno.

La soluzione dell’equazione di Schrodinger per lo stato fondamentale dell’atomo d’idrogeno è data dalla seguente funzione d’onda:

Per la quale corrisponde la seguente densità radiale di

probabilità:

(104)

La funzione P(r) può essere considerata come il prodotto di due funzioni:

P(r) = 4

a

03

[ f (x)⋅ g(x) ] dove :  f (x) = r

2

     g(x) = e

−2r/a0

per cui, derivando rispetto alla variabile r si ottiene:

dP

dr = 4

a

03

2r ⋅ e

−2r/a0

+ r

2

⋅ − 2 a

0

⎝ ⎜ ⎞

⎟e

−2r/a

⎣ ⎢ ⎤

⎦ ⎥ = 8

a

03

e

−2r/a0

r − 1 a

0

r

2

⎣ ⎢ ⎤

⎦ ⎥ Studiamo il segno della derivata di P(r):

dP

dr > 0 ⇒ 8

a

03

e

−2r/a0

r − 1 a

0

r

2

⎣ ⎢ ⎤

⎥ > 0 → e

−2r/a0

r − 1 a

0

r

2

⎣ ⎢ ⎤

⎦ ⎥ > 0

(105)

e

−2r/a0

r − 1 a

0

r

2

⎣ ⎢ ⎤

⎦ ⎥ > 0 ⇒ 

e

−2r/a0

> 0 → ∀r r − 1

a

0

r

2

> 0 → r

2

− a

0

r < 0 → 0 < r < a

0

 

⎜ ⎜

La densità radiale di probabilità P(r) ha un massimo per r=a 0 , ossia

quando l’elettrone si trova ad una distanza r dal nucleo pari

al raggio a 0 di Bohr.

a 0

Si osserva pure che la P(r) è nulla (ossia ha un minimo) per

r=0 e per rè∞.

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