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Metodologie ispettive

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Academic year: 2021

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Metodologie ispettive

Esterovestizione

Abuso del diritto

Scambio di informazioni

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Quella dell’esterovestizione societaria rientra senza dubbio tra le fenomenologie illecite più insidiose per l’Erario.

L’insidiosità del fenomeno risiede nel fatto che i soggetti interessati sono, normalmente evasori totali, e quindi più difficilmente individuabili anche a motivo della relativa proiezione al di fuori del territorio nazionale.

Essa è connessa alla fittizia localizzazione della residenza fiscale di legal entity in Paesi (non necessariamente extra-U.E.) o territori diversi dall’Italia, con conseguente sottrazione agli adempimenti tributari previsti dall’ordinamento nazionale e beneficio, spesso, di un regime impositivo più favorevole, sfruttando la disarmonia esistente tra i vari ordinamenti tributari.

Attività di contrasto ai fenomeni di “esterovestizione societaria”.

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• Le società e gli altri enti – riferimenti normativi

Le norme di riferimento in tema di residenza fiscale delle entità societarie sono rappresentate dagli artt. 5, comma 3, lett. d) e 73, comma 3, del TUIR.

Al fine di determinare la residenza a fini fiscali di una società in Italia, è sufficiente accertare la ricorrenza di uno solo dei criteri di collegamento individuati dalla legge, ossia la sede legale, la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale, per la maggior parte del periodo d’imposta; non è pertanto rilevante che la società sia stata costituita (ed abbia la sede legale) all’estero, se la stessa ha nel territorio dello Stato la sede amministrativa o l’oggetto principale, potendosi, dunque, verificare il caso di società formalmente estere, ma fiscalmente residenti in Italia.

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Per le società opera anche una presunzione relativa al verificarsi alternativamente di due rilevanti e continuativi elementi di relazione con il territorio dello Stato.

L’inversione dell’onere della prova a carico delle società estere (art. 73, comma 5-bis del DPR n. 917/1986 – di seguito TUIR) interviene laddove le stesse detengano partecipazioni in società italiane - gestite o controllate, anche indirettamente, da parte di soggetti d’imposta italiani e siano, al tempo stesso, alternativamente:

- controllate, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, codice civile;

- amministrate da un C.d.A. o altro organo di gestione, composto in prevalenza da consiglieri residenti nel territorio dello Stato.

Il comma 5-ter, dell’art. 73, del TUIR, stabilisce che, per la verifica del requisito del controllo, occorre considerare la situazione esistente alla data di chiusura dell’esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato.

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La disposizione del comma 5-bis presenta taluni profili di interconnessione con la disciplina CFC (Controlled Foreign Companies) di cui all’art. 167 del TUIR allorquando un soggetto residente controlli una società o un ente rientrante nel perimetro applicativo del medesimo art. 167 che, a sua volta, detenga partecipazioni di controllo in società di capitali o enti commerciali residenti in Italia.

La presunzione di residenza nel territorio dello Stato della società estera rende – in punto di principio – inoperante la disposizione dell’art. 167 del TUIR, impedendo l’imputazione al soggetto controllante del reddito che la controllata stessa, in quanto residente, è tenuta a dichiarare in Italia.

Qualora, tuttavia, la società riuscisse a superare la presunzione di residenza estera, fornendo la prova contraria prevista dal comma 5-bis, la controllata non residente, ricorrendone le condizioni, rimarrebbe attratta alla disciplina CFC; pertanto, il suo reddito resterà imputabile per trasparenza al soggetto residente controllante.

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Un ulteriore meccanismo presuntivo è disciplinato dall’art. 73, comma 3, del TUIR, con lo scopo di attrarre a imposizione in Italia anche i trust, allorquando sussistano, alternativamente, le seguenti condizioni:

- residenza fiscale in Italia di almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari;

- successivamente alla costituzione del trust, un soggetto residente in Italia effettui, a favore del trust, il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.

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Un’altra presunzione di residenza in Italia opera per effetto di quanto previsto dal comma 5-quater, in base al quale vengono considerati presuntivamente residenti in Italia, salva prova contraria, le società e gli enti il cui patrimonio sia investito in misura prevalente in quote o azioni di organismi di investimento collettivo del risparmio immobiliare e, contestualmente, siano controllati direttamente od indirettamente, per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, da soggetti residenti in Italia.

Le disposizioni applicative di dettaglio della norma dianzi indicata, sono contenute nella circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 61/E, del 3 novembre 2008.

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In tema di residenza fiscale, occorre fare riferimento non solo alle disposizioni del T.U.I.R. ma anche a quelle contenute nelle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese.

In ambito convenzionale, il concetto di residenza ha assunto una importanza notevole, allo scopo di risolvere i casi di doppia imposizione dei redditi legati al fatto che entrambi gli Stati contraenti considerano, in base alla rispettiva normativa interna, lo stesso soggetto residente sul proprio territorio.

L’art. 4 del Modello OCSE dispone che l’espressione “residente di uno stato contraente designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione o di ogni altro criterio di natura analoga…Quando, in base alle disposizioni del par, 1, una persona diversa da una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, essa è considerata residente soltanto dello Stato in cui si trova la sede della sua direzione effettiva”.

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La Corte di Cassazione, nella sent. n. 2869/2013, ha indicato gli elementi da prendere in considerazione per accertare la reale residenza fiscale di una società estera, specificando i contorni del fenomeno dell’esterovestizione, quale fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società.

La nozione di “sede dell’amministrazione” della società, deve ritenersi coincidente con quella di “sede effettiva” (di matrice civilistica), intesa come il luogo ove hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente e si convocano le assemblee e, cioè, il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari, in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente.

• sede statutaria • luogo dell’amministrazione centrale

• riunione dei dirigenti societari • la politica generale della società

• domicilio dei principali dirigenti • tenuta documenti amm.vi e contabili

• riunione delle assemblee generali • svolgimento delle attività finanziarie

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Per aversi sede effettiva, ha sostenuto ancora la Suprema Corte nell’ordinanza 28 gennaio 2014, n. 1813, “non è sufficiente che in un determinato luogo la società abbia uno stabilimento, paghi gli stipendi ed i salari ai propri dipendenti, riceva le merci e consegni i manufatti (Cass.

2187/83), essendo, invece, necessario che in esso sito si accentrino di fatto i poteri di direzione e di amministrazione dell’azienda stessa, anche ove esso diverga da quello in cui si trovano i beni aziendali e nel quale viene svolta l’attività imprenditoriale (Cass. 9256/09; 10465/98; 9172/91; 2884/90;

590/85; 5087/83; S.U. 7070/83)”.

Per una ricostruzione unitaria ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, del presupposto territoriale della residenza, si richiama, infine, la Corte di Cassazione, sentenza 30 settembre 2014, n. 961.

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La pronuncia con cui la Corte di Cassazione (Sez. III Pen. 30 ottobre 2015, n. 43809 - Sentenza c.d. “Dolce&Gabbana”) ha stabilito che, in caso di società controllate estere, i criteri per ricondurne la residenza fiscale in Italia sono ulteriori e diversi da quelli tradizionalmente elaborati dalla giurisprudenza per localizzare la “sede amministrativa” e individuare il domicilio fiscale. In tale ambito, in caso di società con sede legale estera, controllata ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, non può costituire criterio esclusivo di accertamento l’individuazione del luogo dal quale partono gli impulsi gestionali o le direttive amministrative nei casi in cui quest’ultimo si identifichi con la sede (legale o amministrativa) della società controllante italiana.

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Conseguentemente, ai fini della sostenibilità dell’esterovestizione, è necessario accertare che la società controllata estera sia una costruzione di puro artificio e non corrisponda ad un’entità reale che svolge effettivamente la propria attività in conformità al proprio atto costitutivo o allo statuto.

Tale impostazione, innovativa e isolata, è certamente più restrittiva rispetto ai criteri interpretativi cui si è finora uniformata l’Amministrazione Finanziaria, ispirati al dettato dell’art. 73, comma 3, del TUIR e dell’art. 4, comma 3, dello schema di convenzione contro le doppie imposizioni elaborato dall’OCSE.

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Dal punto di vista operativo, la dimostrazione dell’effettiva residenza in Italia della legal entity in virtù dei presupposti fissati dall’art. 73 TUIR, risulta fondamentale per la successiva attrazione di un soggetto sotto la potestà impositiva dello Stato e dell'assoggettamento a tassazione dei relativi redditi.

Non risulta agevole tracciare un percorso univoco per l’individuazione del fenomeno evasivo in argomento, attesa l’estrema eterogeneità della strutturazione dei gruppi multinazionali.

Per ipotizzare preventivamente la possibile esistenza di un soggetto

“esterovestito“, risulta fondamentale una preliminare ed approfondita analisi della struttura e della relativa evoluzione nel tempo del gruppo societario oggetto di approfondimento, anche attraverso i dati ottenibili mediante le numerose banche dati in uso al Corpo, e un’attenta disamina dei documenti di bilancio delle società residenti del gruppo al fine di delineare, per quanto possibile, ruoli e funzioni rivestite dalle società estere.

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Queste attività richiedono:

l’espletamento di una preliminare e mirata attività info-investigativa volta ad addivenire ad una quanto più approfondita conoscenza delle realtà economiche operanti nel contesto territoriale di riferimento;

all’individuazione delle situazioni caratterizzate da più elevati profili di rischio in ordine alla possibile presenza di una società

“esterovestite”;

l’individuazione delle società target residenti presso cui acquisire l’eventuale documentazione contabile/extracontabile utile a corroborare l’ipotesi di “esterovestizione“ (spesometro, Vies, etc.);

al reperimento degli elementi probatori idonei a dimostrarne l’effettiva residenza in Italia sotto il profilo fiscale;

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È evidente tuttavia come per l’individuazione degli elementi probatori assumano rilievo fondamentale le fasi dell’accesso e di ricerca documentale in sede di avvio dell’attività ispettiva, prestando massina cura e attenzione, in particolare, nell’acquisizione dei dati informatici.

Possono risultare utili anche le interviste effettuate nei confronti dei dirigenti e dei dipendenti in quanto consentono, nell’immediato, di inquadrare le mansioni effettivamente svolte dagli stessi per le varie società del gruppo nonché di indirizzare al meglio le ricerche documentali stesse.

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Sempre sotto il profilo operativo, va sottolineato anche come la necessità di ricostruire la base imponibile netta sottratta a tassazione dalle entità giuridiche estere non possa prescindere da un costruttivo e qualificato contraddittorio con il contribuente. Infatti, a fronte della preliminare ed

“ordinaria” quantificazione dell’ammontare dei ricavi non dichiarati, sussiste l'esigenza di individuare (art. 53 della Costituzione), il reddito effettivo connesso agli stessi, da ricondurre a tassazione.

Ciò comporta, nel caso di soggetto da considerarsi “esterovestito”, un’attenta analisi dei bilanci volta al corretto inquadramento delle varie poste ai fini dell’applicazione della normativa tributaria domestica.

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Il legislatore tributario ha individuato tre criteri di collegamento, rappresentati, alternativamente, dalla sede legale, dalla sede dell’amministrazione e dall’oggetto principale.

In sede ispettiva, l’attenzione è incentrata su tali aspetti, al fine di dimostrare – ove ne ricorrano i presupposti – che la veste formale della società quale entità di diritto estero non trova riscontro con il dato fattuale.

Tale attenzione è posta sia nelle ipotesi in cui il controllo della residenza ai fini fiscali avviene in modo “mirato”, sulla base cioè di un’analisi preliminare e ragionata della struttura e dell’operatività della società estera, sia nei casi in cui, nella fase di accesso presso una società residente, sia

“incidentalmente” rinvenuta documentazione di attinente all’operatività di una società estera, circostanza questa che, proprio in ragione della sua riferibilità a un’entità formalmente estranea al territorio nazionale, potrebbe essere meritevole di approfondimenti.

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Dei tre criteri di collegamento dianzi citati, il meno rilevante in sede di controllo è quello della sede legale, dal momento che questa, pur ricorrendo nell’atto costitutivo o nello statuto della società, può, in concreto, esaurirsi in una indicazione meramente formale.

L’indirizzo unanimemente accolto nell’esame dei criteri di cui all’art. 73, comma 3, del TUIR privilegia l’effettività della vita societaria.

Decisivi, risultano sia il criterio della sede dell’amministrazione sia quello dell’oggetto principale, i quali vanno analizzati tenendo in debita considerazione i rilevanti mutamenti intervenuti nella dimensione internazionale dell’attività imprenditoriale e delle sue particolari dinamiche legate sempre più all’accentuata globalizzazione dei mercati.

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Per individuare la sede dell’amministrazione, occorre aver riguardo al luogo in cui effettivamente si organizza e si dirige la gestione sociale: impulsi volitivi.

Gli elementi sintomatici del concetto di sede dell’amministrazione sono, il luogo:

dove viene esercitata l’impresa e da dove promanano le attività di direzione dell’ente (apparato organizzativo);

di effettivo esercizio del potere di gestione dei conti bancari della società e, più in genere, delle sue disponibilità finanziarie;

di residenza degli amministratori (di fatto);

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A titolo esemplificativo, occorrerà acquisire notizie e documenti in merito al luogo:

- di residenza degli amministratori, verificando se vi sia prevalenza di consiglieri residenti in Italia [la prassi societaria ha rilevato, nel tempo, un crescente utilizzo di amministratori “professionali” e di società di domiciliazione ubicate all’estero, preposte alla gestione dell’ente; in tali casi, occorrerà accertare se tali soggetti esercitino una reale influenza sull’amministrazione della società stessa, ovvero rappresentino solo un mero “schermo” per celare una situazione di fatto, che vede la gestione svolgersi concretamente sul territorio nazionale].

- in cui si svolgono le riunioni – formali e/o informali – del Consiglio di Amministrazione e sono compiuti gli atti di amministrazione. A tale riguardo, nei casi di riunioni formalmente svoltesi all’estero, può essere utile riscontrare se nelle date indicate sui registri sociali gli amministratori abbiano effettivamente soggiornato all’estero; analoghi riscontri andranno effettuati nei casi, anch’essi frequenti, di riunioni tenutesi con sistemi di videoconferenza, verificando, ove possibile, la disponibilità materiale, nel luogo indicato sui libri sociali, della strumentazione tecnica necessaria per tali collegamenti;

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- di recapito delle lettere di convocazione del Consiglio di Amministrazione e dell’Assemblea dei soci, nonché quello di recapito e partenza della corrispondenza commerciale, comunicazioni fax e/o e–

mail;

- in cui sono stati stipulati i contratti relativi ad attività poste in essere dalla società;

- di approvvigionamento, predisposizione e formazione dei documenti, contabili o d’altra natura, delle società formalmente istituite all’estero; nella pratica dei controlli, infatti, non sono mancati casi in cui detta documentazione è stata acquisita e/o predisposta presso soggetti ubicati sul territorio nazionale.

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L’altro criterio sostanziale per ricondurre in Italia la residenza degli enti è quello dell’oggetto principale, concetto che appare di più dubbia definizione rispetto a quello di sede dell’amministrazione.

Civilisticamente: l’oggetto dell’impresa coincide con la concreta attività svolta per il raggiungimento dello scopo sociale;

Fiscalmente: “l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto“ (art. 73, 4c, del TUIR).

La Corte di Cassazione, con la sentenza 4 marzo 2015, n. 26728, afferma che:

“… per individuare il luogo in cui viene a realizzarsi l’oggetto sociale rileva, non tanto quello dove si trovano i beni principali posseduti dalla società, quanto la circostanza che occorra o meno una presenza in loco per la gestione dell’attività dell’ente. ……l’oggetto principale non rappresenta un criterio formale, ma un dato

<<sostanziale>>, che si allinea ai criteri di individuazione dell’effective place of management and control elaborati in ambito internazionale dall’art. 4 del Modello OCSE, anche se però non vi è una perfetta sovrapposizione di concetti…”.

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tra gli elementi presi in considerazione in sede ispettiva, al fine di individuare dove venga esercitato l’oggetto principale della società, è possibile indicare i seguenti:

- il luogo di svolgimento delle attività che hanno consentito la conclusione di atti e negozi;

- la disponibilità di personale con competenze adeguate a gestire i diversi profili dell’attività esercitata;

- l’identità delle controparti di questi ultimi e la loro residenza;

- l’individuazione dei mercati sui quali sono stati negoziati i titoli di eventuali società partecipate, nonché l’ubicazione di tali società;

- la localizzazione della effettiva gestione dei conti correnti e delle disponibilità finanziarie della società, con particolare riferimento alla gestione degli eccessi di cassa, degli investimenti di breve periodo, nonché alle attività di cash pooling.

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Ove l’attività svolta in Italia sia prevalente in senso assoluto, appare possibile sostenere che l’oggetto principale della società sia collocabile, ai fini fiscali, in Italia.

Dal punto di vista probatorio, per l’individuazione della “sede effettiva” o

“dell’oggetto principale” di una società o di un ente, le risultanze degli atti ufficiali (statuto o atto costitutivo) hanno solo valore di presunzione semplice.

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Abuso del diritto: una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme tributarie, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.

Assenza di sostanza economica: fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali. Costituiscono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.

Vantaggi fiscali indebiti: benefici, anche non immediati, contrastanti con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

Vantaggi fiscali: effetto e scopo essenziale dell’operazione, sono il perno su cui ruota l’intera operazione.

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Operazioni abusive/elusive: non sono opponibili all’Amm.ne finanziaria – disconoscimento vantaggi fiscali + determinazione tributi sulla base di norme/principi elusi, tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni.

Non si considerano abusive: operazioni giustificate da valide ragioni extra- fiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, rispondenti a finalità di miglioramento strutturale o funzionale «l’operazione non sarebbe stata posta in essere in loro assenza»

Libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale, l’unico limite a tale libertà è costituita dal divieto di perseguire un vantaggio fiscale indebito.

L'abuso del diritto deve essere configurato solo in termini di residualità e può essere accertato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di specifiche disposizioni tributarie.

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ESEMPI :

• “operazioni circolari”: non determinano una modificazione significativa dell’assetto giuridico economico preesistente del contribuente, essendo state le stesse poste in essere non per esigenze gestionali, ma per finalità prettamente fiscali;

• operazioni “lineari”: sequenze di negozi giuridici modificative degli assetti economici ma caratterizzate da “incoerenza” giuridica, per l’adozione di forme indirette e diverse dai negozi che avrebbero consentito, in maniera diretta, di soddisfare il medesimo interesse extrafiscale;

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Rientrano nel perimetro applicativo della disposizione antiabuso le costruzioni ingiustificabili in una logica di normalità imprenditoriale, in quanto non apportano null’altro se non il risparmio fiscale

- che si esplicitano in un uso distorto di nome tributarie (abusive), - prive di sostanza economica,

che determinano vantaggi fiscali indebiti.

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ESEMPI : Risoluzione 99/E 2017 dell’Agenzia delle Entrate

Nella propria istanza la Società aveva chiesto di potersi avvalere della possibilità di assegnare (o cedere) un proprio immobile strumentale ai soci, beneficiando della disciplina dell’assegnazione agevolata: art. 1, L. 208/2015. La parte rappresentava di voler conferire l’azienda in una nuova società (costituita dagli stessi soci) cui, successivamente, sarebbe stato concesso in locazione l’immobile. Essendo a questo punto l’immobile locato alla nuova società (e, quindi, non più strumentale all’attività d’impresa) sarebbe stata legittima l’assegnazione agevolata.

Successivamente, la Società si sarebbe sciolta e la partecipazione nella nuova società sarebbe stata assegnata ai soci.

L’Agenzia delle Entrate, ha posto l’attenzione sul fatto che la società conferitaria avrebbe svolto la medesima attività della conferente: medesimi soci, medesima forma giuridica.

Inoltre, il bene immobile sarebbe stato utilizzato dalla società conferitaria nella medesima attività d’impresa della conferente, con l’unica differenza che proprietari ne sarebbero i soci e non la società.

Sulla scorta di tali considerazioni, l’operazione complessiva proposta dalla società è stata giudicata abusiva, in quanto orientata a far rientrare indebitamente il bene immobile nella richiamata disciplina dell’assegnazione agevolata. Continua a pagina successiva

di segno opposto che determinano un vantaggio fiscale in capo a uno dei contraenti.

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Tali condotte consistono nell’indebito ricorso a regimi fiscali di favore, rispetto a quello ordinariamente applicabile. È questo il caso della costituzione di società conduit in Paesi con i quali sono in vigore favorevoli Convenzioni contro le doppie imposizioni, cui veicolare passive income destinati, di fatto, a società ubicate in giurisdizioni prive di Trattato, al solo scopo di ottenerne un vantaggio fiscale.

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«operazioni lineari» hanno l’effetto di produrre modificazioni significative nella posizione giuridico-economica del contribuente

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Si tratta dei casi dell’“abuso delle Convenzioni e delle Direttive”:

- il “treaty shopping”, mediante il quale si tende sfruttare indebitamente un certo regime vantaggioso contenuto in una o più Convenzioni contro le doppie imposizioni;

- il “directive shopping”, che si realizza quando un’entità residente in uno Stato non appartenente all’UE interpone in uno Stato membro, con il quale – di norma – lo Stato in cui risiede ha stipulato una convenzione contro le doppie imposizioni ritenuta favorevole, un’altra entità allo scopo di beneficiare, indebitamente, del regime fiscale previsto dalla disciplina dell’Unione Europea;

- il “rule shopping”, che consiste nella ricerca, all’interno di una Convenzione internazionale, della disposizione che comporta il minor prelievo fiscale.

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• Le strutture e le operazioni “conduit”.

Nel “treaty shopping”, la logica delle operazioni di tipo “conduit” – così definite perché fungono da mero canale di trasferimento di redditi di cui non sono titolari – può essere identificata nelle due strutture base di seguito descritte:

- direct conduit company - è la più classica delle strutture di tipo “conduit”, che si inserisce nel seguente quadro di riferimento:

 una società residente in un determinato Paese X (denominata A) desidera effettuare un investimento nel Paese Y, attraverso la costituzione di una subsidiary locale (denominata B);

 il Paese X non ha sottoscritto una convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni con il Paese Y (oppure, i benefici ritraibili dall’applicazione della convenzione esistente sono considerati non vantaggiosi);

 il Paese Z ha stipulato una convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni sia con il Paese X che con il Paese Y.

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In tale contesto, potrà risultare più conveniente per la società A, sotto il profilo puramente fiscale, controllare la società B utilizzando una

“intermediate holding” (denominata I. Hldg) localizzata nel Paese Z; la società Hold, residente ai fini fiscali nel Paese Z, potrà beneficiare sia delle agevolazioni previste dal trattato stipulato con il Paese X, sia delle agevolazioni previste dal trattato stipulato con il Paese Y. In tal modo, la società A, residente nel Paese X, è in grado di ridurre il carico fiscale per i flussi di reddito provenienti dal Paese Y (società B), grazie alla costituzione nel Paese Z della società I. Hldg.

Continua a pagina successiva A

B

I.

Hldg

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- stepping stone conduit company

Anche in questo caso, siamo in presenza di una società residente nel Paese X (denominata A), intenzionata ad effettuare un investimento attraverso la costituzione di una subsidiary (denominata B) nel Paese Y, con il quale il Paese X non ha alcun trattato contro le doppie imposizioni o ne ha uno che non presenta condizioni particolarmente vantaggiose. Il Paese X dispone, invece, di una convenzione contro le doppie imposizioni con il Paese Z che, però non ha stipulato nessun trattato con il Paese Y. Esiste, però, una vantaggiosa convenzione stipulata tra il Paese Z ed il Paese W che, a sua volta, dispone di un efficace trattato stipulato con il Paese Y.

Al fine di concretizzare una struttura conduit tra il Paese X, ove risiede l’investitore, ed il Paese Y, ove verrà localizzato l’investimento, è necessario costituire due società “ponte” (del tipo intermediate holding) nel Paese Z e nel Paese W (rispettivamente I. Hldg1 e I. Hldg2), attraverso cui far transitare i flussi di reddito (dividendi, interessi, royalty, ecc.) provenienti dal Paese Y (società B), secondo lo schema di seguito riportato.

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Stepping stone conduit”

Le medesime articolazioni societarie utilizzate per realizzare pratiche di

“treaty shopping” possono riferirsi a fenomeni di “directive shopping” correlati al pagamento, in ambito europeo:

- di dividendi, sfruttando il regime di esenzione previsto dalla direttiva 90/435/CEE del 23 luglio 1990 (c.d. direttiva “madre-figlia”, rifusa nella direttiva 2011/96/UE, modificata dalle direttive 2014/86/UE e 2015/121/UE);

- di interessi e royalties, utilizzando, anche in questo caso, il regime di esenzione previsto dalla direttiva 2003/49/CE del 3 giugno 2003 (c.d.

direttiva “interessi e canoni”).

Continua a pagina successiva A

B

I. Hldg 2 I. Hldg 1

(35)

Occorre rimarcare che in sede operativa sorgono delle criticità sul tema della beneficial ownership in presenza di entità:

- che pur presentando struttura e sostanza tali da non poter essere considerate “artificiose” o non genuine (ossia che non rispecchiano la realtà economica) pongono in essere “operazioni conduit”.

L’Agenzia delle Entrate, nella Circ. 6/E, in data 30 marzo 2016, ha chiarito che:

 si qualifica come insediamento artificioso o società conduit una struttura organizzativa “leggera”, priva di effettiva attività e di una reale consistenza e, in concreto, senza autonomia decisionale;

 risulta, diversamente, integrata un’operazione conduit, in presenza di una struttura finanziaria passante, con riguardo alla specifica transazione, in cui fonti e impieghi presentano condizioni contrattuali ed economiche quasi del tutto speculari o comunque funzionali a consentire la corrispondenza tra quanto incassato sugli impieghi e quanto pagato sulle fonti, nonché la mancata applicazione di ritenute in uscita nella giurisdizione in cui risiedono fiscalmente;

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La principale clausola antiabuso utilizzata per arginare l’utilizzo distorto dei trattati internazionali e delle Direttive europee e garantire la tutela degli interessi erariali degli Stati è rappresentata dall’introduzione, nel Modello OCSE e, successivamente, nella disciplina unionale, del concetto di

“beneficiario effettivo”.

In ambito OCSE, tale locuzione è stata inserita allo scopo di garantire che

“il soggetto percettore del reddito coincidesse con il reale percettore del reddito” ed evitare la presenza di soggetti interposti che rappresentino uno “schermo” rispetto al destinatario reale del reddito.

L’espressione “beneficial owner clause” ricorre, in particolare, nel Modello OCSE, agli articoli 10 (relativo ai dividendi transnazionali), 11 (con riferimento agli interessi transnazionali) e 12 (per ciò che concerne i canoni transnazionali).

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Premesso che non esiste una precisa definizione giuridica dello status soggettivo di beneficiario effettivo una entità può considerarsi beneficiaria effettiva se:

- non ha formalmente la qualifica di agente, delegato o fiduciario;

- ha la titolarità giuridica del reddito percepito;

- oltre ad avere la disponibilità giuridica del reddito che incamera, ne ha la titolarità effettiva ed economica (sul punto, vgs. Circ. n. 47/E 2005, Risoluzione n. 17 del 2006, Risoluzione n. 167 del 2008, circ. n. 41/E 2011, tutte dell’Agenzia delle Entrate; nonché il Commentario agli articoli 10, 11 e 12 del Modello di Convenzione OCSE);

- assume tutti i rischi imprenditoriali relativi alla propria attività (vgs. Circ. n. 41/E del 5 agosto 2011 dell’Agenzia delle Entrate);

- ha una struttura adeguata in termini patrimoniali, finanziari e gestionali, nonché sostanza giuridica ed economica, tale da escludere la sua costituzione o permanenza allo scopo di beneficiare del regime convenzionale o unionale di favore.

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Onere probatorio e contraddittorio

L’onere di dimostrare il disegno abusivo, le modalità di manipolazione e di alterazione degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di mercato, è posto a carico dell’Amministrazione finanziaria, mentre spetta al contribuente la prova dell’esistenza di valide ragioni extrafiscali alternative o concorrenti, che giustifichino il ricorso a tali strumenti.

L’atto di accertamento di ipotesi di abuso deve essere sempre proceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti, da fornire entro sessanta giorni, in cui devono essere indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile una fattispecie di abuso.

(39)

Onere probatorio e contraddittorio

Sebbene il procedimento dianzi descritto riguardi esclusivamente la fase accertativa in senso stretto, tenuto conto del principio di economicità cui l’azione ispettiva deve ispirarsi, si ritiene imprescindibile attivare uno specifico contraddittorio con il contribuente, già nella fase di verifica, al quale dovranno essere garantiti termini adeguati per chiarire le ragioni delle operazioni compiute.

Conseguentemente, i verificatori, nel caso in cui ritengano astrattamente configurabile l’ipotesi di abuso, in relazione a specifiche operazioni, richiederanno al contribuente stesso, formalizzando detta richiesta nel verbale di verifica, di chiarire le eventuali ragioni extrafiscali, alternative o concorrenti, delle operazioni compiute.

(40)

Art. 10-bis, comma 13, S.d.c.: le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie (resta ferma applicazione sanzioni amministrative tributarie).

• assenza, nel comportamento elusivo, dei tratti (penalmente rilevanti) della simulazione, della falsità o, più in generale, della fraudolenza;

• carattere «residuante» dell’abuso rispetto agli altri strumenti di reazione previsti dall'ordinamento tributario;

• nell’abuso l’operazione non è né inesistente né simulata, ma esistente e voluta;

• irrilevanza penale anche delle operazioni abusive poste in essere ante 1°/10/ 2015 (principio di retroattività della legge penale più favorevole - art. 2 c.p.)

• a seguito della «depenalizzazione» “si riespande” la portata delle sanzioni amministrative (dichiarazione infedele)

C.Cass. pen., sent.

7 ottobre 2015, n. 40272

Irrilevanza penale dell’abuso del diritto

(41)

rimane impregiudicata la possibilità di ravvisare illeciti penali nelle operazioni contrastanti con disposizioni specifiche che perseguano finalità antielusive

C.Cass. pen., sent.

7 ottobre 2015, n. 40272

La violazione di norme antielusive specifiche, ulteriori rispetto all’art. 10-bis può ricadere nell’art. 3, per condotte fraudolente e connotate dagli altri requisiti previsti

possibilità che operazioni in precedenza qualificate dalla giurisprudenza come semplicemente elusive ora integrino ipotesi di vera e propria evasione

Rilievo dell’esame dell’effettività delle operazioni: occorre comprendere se le operazioni, pur formalmente regolari, siano esistenti e volute oppure simulate.

IL PROBLEMA SI SPOSTA DAL DIRITTO AL FATTO

(42)

Nel solco della direttiva 77/799/CEE, l’Unione Europea si è dotata di due strumenti legislativi che regolamentano la cooperazione amministrativa nel settore fiscale:

delle II.DD.: Direttiva 2011/16/UE 15 febbraio 2011, dell’ I.V.A. : Regolamento UE n. 904/2010

Tali normative disciplinano, tra l’altro, le modalità di scambio di informazioni che gli Stati membri dell’UE possono realizzare al fine della collaborazione fra di essi nel settore della fiscalità.

 

(43)

Lo scambio di informazioni su richiesta

Si sostanzia in un’attivazione inviata dall’autorità richiedente verso l’autorità interpellata, la quale trasmette all’autorità richiedente stessa le informazioni necessarie, di cui:

• sia già in possesso;

• ottenga a seguito di un’indagine amministrativa.

Tempi di esecuzione

il termine entro il quale una richiesta di informazioni deve essere evasa dipende dalla tipologia di settore impositivo e dal possesso o meno delle informazioni richieste:

Informazioni Settore

Da acquisire Già in possesso

II.DD 6 mesi 2 mesi

Iva 2 mesi 1 mese

(44)

Lo scambio di informazioni su richiesta

È anche contemplata la possibilità di segnalare all’autorità richiedente, entro tre mesi dal ricevimento, le circostanze che ostino al rispetto del termine previsto per la risposta, con l’onere di indicare la data entro la quale si ritiene di poter dar seguito alla richiesta.

L’autorità interpellata può comunque rifiutarsi di espletare l’attività richiesta rendendo note le motivazioni per le quali non ritenga necessaria l’attività amministrativa richiesta

Lo scambio di informazioni spontaneo

Si concretizza, nella comunicazione di informazioni fra gli Stati membri al ricorrere di particolari fattispecie che inducano a ritenere sussistente una perdita di gettito fiscale in uno degli Stati interessati.

(45)

Lo scambio automatico di informazioni e il Common Reporting Standard.

La direttiva 2014/107/UE del Consiglio, (modificando la direttiva 2011/16/UE), rappresenta la normativa di riferimento per la disciplina dello scambio automatico obbligatorio di informazioni nel settore fiscale.

A decorrere dal periodo d’imposta 2017, infatti, è possibile la raccolta dei dati dei contribuenti esteri prevista dal cosiddetto Common Reporting Standard (CRS), consistente nello scambio automatico di informazioni fiscali tra amministrazioni finanziarie di oltre 100 Stati aderenti all’OCSE (compresi gli USA).

(46)

Lo scambio automatico di informazioni e il Common Reporting Standard.

Il Common Reporting Standard, adottato dagli Stati aderenti, prevede, sostanzialmente, due categorie di Paesi:

• i c.d. Early adopters, i quali hanno già optato per il modello (54 Paesi) operativo a partire dall’1 gennaio 2017 per mezzo di una raccolta dei dati decorrente però dall’1 gennaio 2016;

• quelli che prevedono l’entrata in vigore dell’accordo nel 2018.

(Svizzera, Panama; Bahamas, ha già dato avvio alla raccolta dei dati a partire dall’1 gennaio 2017).

(47)

Per ogni contribuente residente in Italia, che detiene conti all’estero:

i dati identificativi:

• dei contribuenti - sia le persone fisiche che quelle giuridiche - detentori un conto in un Paese diverso dallo Stato di residenza;

• del conto (compreso il saldo)

• tutti i tipi di redditi da capitale ed i redditi da attività finanziarie.

Verrà, altresì, individuato, identificato e, quindi, comunicato il titolare effettivo (beneficial owner) del conto, in osservanza delle disposizioni internazionali antiriciclaggio ed in applicazione dello standard dell’OCSE e delle raccomandazioni del GAFI.

• istituti bancari

• i veicoli di investimento

• assicurazioni

Comunicheranno annualmente

all’A.F. dello Stato di appartenenza

(48)

Lo scambio automatico di informazioni e il Common Reporting Standard.

Dall’entrata in vigore della normativa, avvenuta l’1 gennaio 2016, gli istituti finanziari sono obbligati, ai fini della cooperazione, a:

• identificare in maniera specifica i nuovi clienti, persone fisiche e non, che abbiano aperto rapporti rilevanti ai fini Common Reporting Standard a far data dall’1 gennaio 2016, al fine di identificare i soggetti fiscalmente residenti all’estero;

• porre in essere attività di due diligence con riferimento alla clientela preesistente, a far data dal 31 dicembre 2015, sempre allo scopo di individuare i soggetti fiscalmente residenti all’estero;

• effettuare una ricerca negli archivi elettronici allo scopo di contestare e/o confermare il profilo della clientela e valutarne l’effettiva residenza.

(49)

Lo scambio automatico di informazioni e il Common Reporting Standard.

Il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 29 maggio 2014, prevede la formale designazione dell’Ufficio Centrale di collegamento (C.L.O. – Central Liaison Office) ed i Servizi di collegamento ai fini dell’attività di cooperazione amministrativa nel settore fiscale.

All’art. 2, l’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Accertamento – Settore internazionale – Ufficio Scambio di Informazioni - viene espressamente indicata quale unico Servizio di collegamento competente per lo scambio automatico.

La citata Agenzia non ha, ad oggi, emanato le disposizioni applicative (rectius Provvedimento del Direttore) per disciplinare le modalità di scambio e le relative applicazioni informatiche.

(50)

Controlli/verifiche simultanei

Tale tipologia di attività ha come oggetto uno o più contribuenti che rivestono un interesse comune o complementare per due o più Stati membri.

Questa forma di cooperazione è ammessa sia in materia di II.DD. che IVA, si distingue in:

 controlli multilaterali;

 verifiche simultanee.

L’autorità competente di ciascuno Stato membro:

 individua i soggetti per i quali intende proporre un controllo simultaneo;

 informa l’autorità competente degli altri Stati membri interessati degli aspetti per i quali essa propone il controllo, indicando i motivi della scelta;

 specifica il termine entro il quale tali controlli devono essere effettuati.

(51)

Controlli/verifiche simultanei

All’Autorità competente di ogni Stato membro interessato è rimessa la scelta in ordine alla partecipazione al controllo simultaneo, comunicando il proprio assenso/ rifiuto motivato.

Al fine della scelta del modulo ispettivo, dovranno essere valutati:

• l’importo delle transazioni tra le società nazionali e quelle estere ovvero la consistenza del presunto fenomeno evasivo oggetto di esame;

• le modalità di frode in uno specifico settore considerato sensibile;

• l’originalità e l’innovatività delle fattispecie fraudolente;

• la necessità di agire simultaneamente in diversi Paesi dell’UE, nei confronti di più soggetti.

(52)

Controlli/verifiche simultanei

Ciascuno Stato membro effettua l’attività ispettiva ritenuta più confacente provvedendo, successivamente, a condividere le risultanze con le AA.FF.

estere partecipanti all’iniziativa.

Casi pratici si verificano nel settore della disciplina del transfer pricing, la sussistenza di una stabile organizzazione/esterovestizione, il regime impositivo dei dividendi, frodi carosello, etc.

(53)

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