Commemorazione Ufficiale
Treviglio, 4 novembre 2014
Alle autorità civili, militari, religiose, ai rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma e della Croce Rossa Italiana, ai rappresentanti di gruppi, enti ed associazioni che operano a Treviglio e per i trevigliesi, agli studenti rappresentanti dell’ITAS Cantoni, che mi fa davvero molto piacere vedere, a tutti coloro che qui oggi partecipano alla commemorazione, innanzitutto un ringraziamento sincero.
Ieri mattina, più o meno a quest’ora, eravamo in molti nell’Auditorium del Centro Civico culturale, per partecipare alla presentazione del volume “La Solidarietà dei Trevigliesi durante la Prima Guerra Mondiale – Treviglio patriottica per tradizione e gentile per natura” edito dall’Assessorato alla Cultura grazie alla fatica dell’autrice, Carmen Taborelli Rovati, e di tanti che l’hanno aiutata.
Nel centenario dell’avvio del grande conflitto mondiale, le parole che sono state dedicate a questo aspetto della Guerra, e cioè a come la nostra Città abbia saputo affrontare il conflitto anche al suo interno, creando una rete di associazioni, comitati, gruppi ed iniziative volti a essere d’aiuto «a tutti ed a ciascuno», credo ci permettano di considerare, pur nella lontananza degli eventi raccontati, la comune trama di solidarietà che la Città, oggi come allora, sa mettere in campo, soprattutto nei momenti di crisi. E, non possiamo negarcelo, benché per cause molto diverse e con esiti altrettanto diversi, viviamo anche noi, seppur in una Nazione che ha saputo allontanare da sé la guerra dopo il termine del secondo conflitto mondiale, una situazione di estrema difficoltà di fronte alla quale sono venute meno molte delle certezze che erano date per assodate fino a pochi anni fa.
Nei racconti di guerra sta sempre l’orrore di un ordine turbato e sconvolto, l’idea di una ferita che si apre – spesso senza che i protagonisti poi delle scene più cruente, gli uomini al fronte o i loro cari, ne sappiano le motivazioni – e che è destinata a rimarginarsi solo a prezzo di grandi sforzi e con evidenti cicatrici che ne ricordano il dolore e ne perpetuano la memoria. Queste ferite sono, su grande scala, le ricostruzioni di quartieri e città, saccheggiati, distrutti, bombardati; sono, in scala più ridotta ma di sicuro più importante, le devastazioni negli affetti familiari, i parenti o gli amici venuti a mancare, le ferite e le mutilazioni che restano nei corpi di chi s’è salvato a stento dal fronte.
Ma il tempo lenisce queste ferite, il tempo cancella queste cicatrici, il tempo oscura la memoria e affievolisce le grida ed i lamenti delle mamme che hanno perso i loro figli, delle spose che hanno perso i loro mariti, dei figli che hanno visto allontanarsi – e magari mai più tornare – i propri genitori.
C’è, ci deve essere, una vicinanza a queste vicende in grado di superare il trascorrere del tempo e, nella memoria riconoscente, in grado di rendere grazie per un sacrificio compiuto in nome di ideali e valori che devono e possono risplendere non “benché il tempo passi” ma proprio “perché il tempo passa”.
Eravamo, ieri, nell’auditorium del Centro Civico, in uno spazio che da decenni ormai, in Treviglio, è dedicato alle attività culturali. Era uno degli spazi che, anche durante la prima guerra mondiale, aveva ospitato come ospedale molti dei feriti del fronte, uno spazio che cercava di lenire le ferite dei corpi consumati nello sforzo bellico. E, prima ancora, quello stesso sito era stato un luogo di preghiera, fin dalla sua fondazione. Dalla cura dello spirito, a quella dei corpi, per tornare a quella dello spirito, consacrando così la sua funzione, oggi, ma anche nel ricordo che ne abbiamo
celebrato anche ieri, le sofferenze di coloro che vi sono stati ospitati nei tragici anni del primo conflitto mondiale.
Nel cambiamento cui la Città è sottoposta, proprio per il fluire del tempo, restano però luoghi e segni in grado di fare da testimonianza attiva e di scatenare un positivo – io spero… – cortocircuito tra il presente ed il passato.
La teoria di monumenti di fronte ai quali abbiamo sostato e che punteggia di memoria il nostro presente, è per come l’abbiamo ricevuta da chi li ha pensati e realizzati non solo un invito a non dimenticare, ma anche una proiezione nel futuro di valori e impegni incarnati dalle Armi e dalle persone che in quelle divise hanno militato. Hanno combattuto in un Occidente che, scriveva qualche anno fa Pietro Citati,
«era il luogo dell'esperienza e dell'avventura. Oggi, siamo diventati quello del niente e del vuoto».
Una prospettiva poco allettante, cui si può rispondere, quotidianamente, anche con i piccoli gesti come quelli che venerdì scorso Mike Bull, presidente del Comitato dei Gemellaggi della Città di Romsey, che con una delegazione della Città è ospite di Treviglio in questi giorni dopo la
sottoscrizione dell’accordo di amicizia siglato lo scorso marzo, nel suo discorso nella sala consiliare ci ha proposto: scambi culturali e sportivi, incontri tra corali e compagnie teatrali in grado
soprattutto di coinvolgere i più giovani, cui deve essere affidato il compito di costruire
collegamenti e occasioni. Eventi che possano aiutare a rafforzare una reciproca conoscenza e, proprio grazie a questa, superare le spinte iperlocalistiche ed egoistiche che, queste sì, ci fanno correre il rischio piombare tutti in un Occidente “del niente e del vuoto”.
Quando, un secolo fa, l’orrore della guerra stava per incombere sui destini delle nostre case e delle nostre famiglie, è stata la solidarietà l’arma vincente per superare desolazione e distruzione, per consolare chi aveva subito le perdite più gravi, per avere di fronte a sé ancora un’immagine di speranza e di futuro, nonostante la guerra, nonostante tutto.
Dopo il primo anno di guerra, il presidente del Comitato di Mobilitazione istituto nella nostra Città, Giovanni Zanconti, così conclude la sua relazione-‐rendiconto:
«Senza organizzarsi alla tedesca, seguendo l’impulso del cuore e la genialità della mente latina, la città nostra seppe volta per volta prevedere e provvedere efficacemente, secondo i bisogni ed i mezzi».
Una piccola “tirata” (già allora, benché senza rifermenti a spread o fiscal-‐compact…) al rigore germanico, ma soprattutto il richiamo ai nostri valori, sintetizzati nel cuore e nella genialità, che ci rendono immediatamente distinguibili come italiani e come trevigliesi, capaci sempre di grandi cose e di gettare il cuore oltre ogni ostacolo.
In un periodo già difficile, appesantito anche dai recenti episodi di criminalità che entrano drammaticamente nel cuore pulsante della vita della Città, la giornata di oggi è l’occasione per rafforzare il senso civico e di solidarietà che tanto ha saputo costruire dell’identità di Treviglio.
La testimonianza più grande e più vera della nostra riconoscenza nei confronti dei caduti sarà proprio questa: la realizzazione degli ideali per cui hanno combattuto, la costruzione di una Città grande e solidale, il rafforzamento della ricerca dell’interesse comune anche a discapito
dell’interesse personale e di parte, la capacità di affrontare insieme le sfide di un futuro incerto e di un presente assai difficile.
In questi giorni, dedicati alla memoria, ricordiamo i caduti, quindi, non in un gesto di formale ossequio ma, come loro ci hanno esortato a fare, nel segno della concreta solidarietà e della rafforzata vicinanza; solo così la gratitudine e la riconoscenza che spetta loro, per il sacrificio che hanno compiuto, saranno anche, per mezzo del nostro impegno quotidiano, efficaci protagonisti di una Treviglio dal cuore sempre più grande.
Viva l’Italia!
Giuseppe Pezzoni Sindaco di Treviglio