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Città di Treviglio 25 aprile 2015 70° anniversario della Liberazione · Commemorazione ufficiale

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Città di Treviglio

25 aprile 2015

70° anniversario della Liberazione · Commemorazione ufficiale

Partirei con alcune date.

Siamo al 70esimo anniversario della Liberazione.

Quando Dante, di cui ricordiamo quest'anno i 750 anni dalla nascita, situa il suo cammino di salvezza, raccontato nella Commedia, ipotizza che il "mezzo del cammino" sia ai 35 anni, giusto giusto nel 1300, il primo anno giubilare. Per la storia di una nazione 70 anni, come 35, possono essere pochi; per la storia della nostra Repubblica coincidono con la sua esistenza e, proprio come per una persona, oggi devono essere celebrati perché mi pare che il "salto generazionale" sia il pericolo più grave che si sta correndo.

Ribalterei l'immagine su una famiglia; su un ragazzo 15/16enne di oggi o su un 50enne nella relazione con il nonno di famiglia, il 70enne che viene percepito come, contemporaneamente, vicino per i legami di sangue ma lontano per il bagaglio di esperienza ed il contesto in cui è vissuto.

Corriamo il rischio, e sempre di più, di acuire la sensazione di distacco, tanto più che, e lo dimostra una ricerca pubblicata qualche giorno fa sul Journal of Experimental Psychology da Matthew Fisher, Mariel K. Goddu, e Frank C. Keil, ricercatori in psicologia della Yale University, che Google fa credere alle persone di essere più intelligenti di quanto non siano realmente. Avere a portata di mano Internet e i motori di ricerca può determinare negli individui un’errata percezione della propria conoscenza, sopravvalutando le proprie capacità. Abbiamo ampliato in maniera potenzialmente infinita l’accesso alla conoscenza e così si crea un’illusione di sapere che ci porta a non essere più in grado di rendersi conto di quanto il proprio conoscere derivi da sé stesso o dalla tecnologia online. Torno alla famiglia di cui ho parlato prima e vedo lo stacco tra il nonno, dedito alla lettura ed al racconto, il genitore, che vive una nuova giovinezza con l'approccio alle tecnologie (che nella sua adolescenza erano solo oggetti di fantascienza) e il ragazzo, nativo digitale o meno che sia, che si sente lontano generazioni e generazioni dal proprio nonno.

Ma nell'uno e nell'altro, nell'anziano come nel più giovane, rimane sempre la necessità di confrontare se stesso con gli altri, per il tramite di ogni genere di incontro, fisico e diretto, mediato e indiretto. Sono i piccoli incontri quotidiani che poi ci costituiscono, ci rendono quelli che siamo, nella definizione della nostra identità. Rischiamo invece, proprio per quanto ho detto prima, di banalizzare questi momenti, alla ricerca di qualcosa di tanto straordinario quanto improbabile, rinviando il presente nell'attesa.

Una premessa lunga, e me ne scuso, ma forse indispensabile per uno sguardo più attento alle parole che seguono; non mie, ma un confronto con chi ha saputo invece, in un contesto sicuramente differente, investire giorno per giorno su incontri e su piccole cose, nella convinzione e nella consapevolezza che non ci possa essere cambiamento senza impegno, che non ci possa essere risultato senza sforzo.

Le due storie che ho raccontato possono sembrare poca cosa, rispetto ai grandi sacrifici e lutti che altri compatrioti hanno dovuto subire durante i fatti che travolsero il nostro Paese, in quegli anni bui. Ma, in cuore mio, posso dire di essermi assunta la mia relativa parte di fatica, di cattiveria, e di rischio. E di poter ambire a mettere una firma sopra una piccola, piccolissima parte, dell'epopea che portò il nostro Regno, passando per l'oscuro purgatorio della dittatura, a diventare una Repubblica.

Lo scrive Augusta Gleise, nata nel 1925 a Bardonecchia, maestra elementare e staffetta. Ha fatto quanto insegnava nelle aule, giorno per giorno, riconoscendo al suo impegno ed a quello degli altri una misura adeguata, anche difficile, ma indispensabile, come il piccolo tassello che ha portato ciascun partigiano alla lotta per la resistenza e la liberazione.

Ed anche Teresa Vergalli nata nell'ottobre del 1927 a Bibbiano (Reggio Emilia) e detta «Annuska», studentessa e staffetta, ci scrive:

A guerra finita, ci siamo rimboccati le maniche. Tutti quelli di noi che ancora resistono in vita resistono anche contro il riflusso sociale e politico che mette in pericolo le nostre conquiste e

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offusca i nostri ideali. Stiamo passando il testimone ai nostri ragazzi perché la nostra battaglia non è ancora finita. Dovranno essere loro a portarla avanti.

Una staffetta nella Resistenza che, a conflitto terminato, ci mette nelle mani, non solo idealmente, così come lo consegna alle generazioni future, la responsabilità di un presente nato dalla sofferenza e dalla lotta.

C'è stato allora, come c'è oggi, un presente di passione e di impegno ma, soprattutto, la consapevolezza che un futuro migliore fosse possibile e che lo si potesse raggiungere davvero. Lo scrive Didala Ghilarducci, nata a Viareggio (Lucca) nel febbraio del 1921:

Ero con mio marito e mio figlio e per questo il mondo mi sembrava sempre bello. La speranza che quello che stavamo facendo potesse cambiare la nostra esistenza ci dava la forza di sopportare tutte le difficoltà. Eravamo così giovani e credevamo di avere tanto tempo per vivere felici. (…) Di mesi di vita partigiana mi è rimasto nel cuore il calore di quel vivere insieme, sempre precario ma tanto solidale. Non potete immaginare quante attenzioni avessero per me e per il bambino quando dovemmo vivere all'aperto. (…) Di un mondo nuovo sognavamo in formazione, di questo continuava a parlarmi, piano piano, la sera, mio marito mentre mi teneva stretta sotto i castagni con il nostro bambino. Da quelle parole mi arrivava forte la voglia di vivere, di costruire un futuro migliore.

A volte mi viene da pensare che ho pagato, come tanti, un prezzo altissimo per questa Italia nuova.

La sera rivedo i volti dei ragazzi di un tempo che oggi non ci sono più e penso che se fino a oggi ho continuato a impegnarmi per la libertà e i diritti è per rimanere fedele a loro e a quegli ideali che ci facevano sentire dalla parte giusta e ci facevano superare la paura.

Ho scelto tre racconti tratti dal volume Io sono l'ultimo - Storie di partigiani italiani, recentemente pubblicato da Einaudi, che hanno molti tratti in comune (età giovanissima, impegno "ausiliario", consapevolezza del proprio ruolo, necessità di fissare nello scritto un’esperienza passata) ma soprattutto un denominatore specifico: sono tutte vicende al femminile. Lo sottolineo con forza: se festeggiamo oggi in Italia un sistema di diritti e di valori è anche grazie all'impegno di queste donne. Nel mondo tipicamente maschile delle guerre, le donne sembrano avere avuto sempre un ruolo solo ancillare, mai diretto. È con la Resistenza che tante cose cambiano, davvero profondamente, e se oggi siamo beneficiari di un sistema di valori forti (di sicuro nei principi anche se spesso poco declinati nella pratica) è proprio per l'impegno di questi uomini e di queste donne.

Lascio l'ultima parola "diretta" ad Anita Malvasi nata a Quattro Castella (Reggio Emilia) nel maggio 1921, staffetta partigiana conosciuta col nome di «Laila»:

Era un mondo maschilista. Soltanto tra i partigiani la donna aveva diritti, era un compagno di lotta.

La Resistenza ci ha fatto capire che nella società potevamo occupare un posto diverso. I diritti paritari garantiti dalla Costituzione non sono stati un regalo, ma una conquista e un riconoscimento per ciò che le donne hanno fatto nella guerra di Liberazione. Difendere la Costituzione significa difendere la possibilità di garantire un futuro di libertà e democrazia ai figli delle donne.

Augusta, Teresa, Didala e Anita: staffette che hanno accompagnato i loro uomini nella costruzione di un mondo migliore e diverso; staffette che hanno trasmesso dalla loro generazione a quelle successive un cambiamento che si è radicato anche nella Carta Costituzionale di una nazione giovane, figlia del loro impegno e del loro sacrificio.

Che il loro ricordo risuoni anche oggi, nella nostra vita di ogni giorno (e penso alla nostra magari piccola ma costante necessità di "resistere" – come stanno facendo gli operai al presidio di AZ-Fiber – al conformismo, al disimpegno, all'assuefazione, alla rassegnazione…), perché quanto ci hanno saputo consegnare a prezzo di fatiche, sforzi e sangue, e cioè una nazione libera, possa essere patrimonio condiviso, bene comune, possesso perenne.

Viva il 25 aprile! Viva l'Italia!

Giuseppe Pezzoni Sindaco

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