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SCUOLA DI SCIENZE MEDICHE E FARMACEUTICHECORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA

SCUOLA DI SCIENZE MEDICHE E FARMACEUTICHE

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

Coordinatore Prof. Marco Frascio

TESI DI LAUREA

Ruolo del drenaggio liquorale nella prevenzione

dell’ischemia midollare in pazienti sottoposti a trattamento endovascolare della patologia aortica

Candidato

Francesca Morreale

Relatore Prof. L. Ball Correlatore Prof. G. Buscaglia

Anno Accademico 2021 - 2022

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Dedico questo elaborato ai pazienti, che la vita conduce a percorrere strade inattese, mettendoli di fronte a sfide che iniziano al momento della diagnosi, anche quando questa non arriva. La determinazione e gli affetti sono gli alleati più potenti, possono condurre verso orizzonti inaspettati.

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Indice

INTRODUZIONE E SCOPO DELLO STUDIO ... 3

IL RISCHIO DI ISCHEMIA MIDOLLARE NEL TRATTAMENTO ENDOVASCOLARE DELLA PATOLOGIA AORTICA ... 3

VASCOLARIZZAZIONE DEL MIDOLLO SPINALE ... 4

Vascolarizzazione arteriosa del midollo spinale ... 4

Sistema estrinseco ... 4

Sistema intrinseco ... 7

Vascolarizzazione venosa del midollo spinale ... 8

ISCHEMIA MIDOLLARE IN CHIRURGIA AORTICA ... 10

Eziopatogenesi e fattori di rischio ... 10

Epidemiologia ... 11

Presentazione clinica ... 11

Diagnosi ... 14

Terapia ... 14

Ischemia midollare nel trattamento chirurgico degli aneurismi dell’aorta toracica e toraco- addominale ... 17

Ischemia midollare nel trattamento endovascolare degli aneurismi dell’aorta toracica e toracoaddominale ... 20

IMPIEGO DEL DRENAGGIO LIQUORALE NELLA PREVENZIONE DELLISCHEMIA MIDOLLARE ... 27

Razionale d’impiego ed evidenze cliniche del drenaggio liquorale ... 27

Tecnica di posizionamento del drenaggio liquorale ... 32

Controindicazioni al posizionamento di drenaggio liquorale ... 35

Linee guida ASRA - American Society of Regionale Anesthesia and Pain Medicine ... 37

Complicanze associate al drenaggio liquorale spinale ... 46

MATERIALI E METODI ... 54

Selezione dei pazienti ... 54

Analisi statistica ... 55

Protocollo in vigore presso le Unità di Terapia Intensiva Cardiovascolare e Chirurgia Vascolare ... 56

RISULTATI ... 59

DISCUSSIONE ... 72

BIBLIOGRAFIA ... 78

RINGRAZIAMENTI ... 83

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Introduzione e scopo dello studio

Il rischio di ischemia midollare nel trattamento endovascolare della patologia aortica

L’ischemia midollare rappresenta la complicanza post-operatoria più temuta nel trattamento della patologia dell’aorta toracica e toraco-addominale.

L’introduzione di tecniche endovascolari ha ridotto il ricorso all’intervento chirurgico tradizionale, gravato da maggiori comorbidità associate sia all’accesso chirurgico sia al clampaggio aortico. Tuttavia l’ischemia midollare e il riscontro di deficit neurologici ad essa correlati costituiscono ancora oggi una complicanza severa, che influisce negativamente sulla prognosi del paziente, con importanti ripercussioni sul contesto familiare e sociale.

I meccanismi alla base dell’ischemia midollare sono complessi e multifattoriali, comprendono aspetti legati alla vascolarizzazione e alla fisiopatologia del midollo spinale nonché elementi inerenti all’emodinamica e al metabolismo del paziente.

Lo studio di tali meccanismi costituisce il primo passo per l’elaborazione di tecniche di monitoraggio e gestione anestesiologica volte a ridurre il rischio di complicanze neurologiche nel paziente sottoposti a riparazione endovascolare della patologia aortica.

L’impiego del drenaggio liquorale costituisce la tecnica di pertinenza anestesiologica più ampiamente studiata per la prevenzione dell’ischemia midollare. L’introduzione nell’ambito delle procedure endovascolari è relativamente recente e si basa prevalentemente sulle evidenze ottenute in chirurgia aortica. La valutazione dell’efficacia dell’utilizzo in fase preoperatoria a scopo profilattico e in fase postoperatoria a scopo terapeutico è attualmente al centro di un attivo dibattito in letteratura.

Lo studio si propone di illustrare l’esperienza maturata presso l’Unità di Terapia Intensiva Cardiovascolare del Policlinico San Martino relativamente alla selezione dei candidati da sottoporre a tale procedura, al monitoraggio e alla gestione del dispositivo, in pazienti sottoposti a trattamento endovascolare di patologia dell’aorta toracica e toraco-addominale.

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Vascolarizzazione del midollo spinale

Lo studio della vascolarizzazione del midollo spinale è complesso e risente di alcune peculiarità di tale sistema vascolare, in particolare la ricca presenza di anastomosi, il piccolo calibro dei vasi e l’ampia variabilità individuale. La letteratura internazionale inoltre non fornisce una nomenclatura condivisa dei vasi coinvolti. Infine l’analisi è condizionata dal difficile accesso anatomico al midollo spinale. Il ricorso a tecniche di imaging quali l’angiografia e l’angioRM ha quindi consentito di implementare la conoscenza dell’anatomia, con risvolti positivi anche nella valutazione preoperatoria dei pazienti da sottoporre a chirurgia aortica.

Vascolarizzazione arteriosa del midollo spinale

La vascolarizzazione arteriosa del midollo spinale è basata sull’asse vertebro- succlavio e sull’aorta toraco-addominale.

È possibile distinguere1:

1. Sistema estrinseco 2. Sistema intrinseco.

Sistema estrinseco

Il sistema estrinseco è costituito dall’arteria spinale anteriore, dalle arterie spinali posteriori e dal sistema anastomotico del network piale. L’arteria spinale anteriore e le due arterie spinali posteriori costituiscono il sistema longitudinale. Tutte originano intracranialmente e terminano costituendo un plesso attorno al cono midollare.

L’arteria spinale anteriore origina dalla confluenza di due piccoli rami che si distaccano ciascuno dall’arteria vertebrale omolaterale, a livello del margine inferiore del bulbo2. L’arteria spinale anteriore (ASA) decorre quindi nella fessura mediana anteriore del midollo spinale fino al cono midollare. L’ASA presenta un diametro variabile (0.2-0.8 mm), più stretto nel tratto toracico e più ampio in prossimità del cono midollare. Vascolarizza i due terzi anteriori del midollo spinale, comprese le corna anteriori, tramite rami centrali e piali. Lungo il decorso riceve il contributo di rami che

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entrano nel canale spinale attraverso i forami intervertebrali, contribuendo a garantire un flusso sanguigno adeguato. L’apporto fornito dalle arterie radicolo-midollari proviene dal distretto cervico-toracico, medio-toracico e toraco-lombare2. Nel tratto cervicale è soprattutto l’arteria cervicale profonda (succlavia) a contribuire alla vascolarizzazione del midollo spinale. Rami più piccoli sono forniti dall’arteria vertebrale, dal tronco costo-cervicale, dal tronco tireo-cervicale, dall’arteria cervicale ascendente. Nel tratto toracico le arterie radicolo-midollari anteriori hanno origine variabile. La più importante fra esse è l’arteria radicolare magna o arteria di Adamkievicz. Al di sotto il contributo fornito all’ASA da rami collaterali appare fortemente ridotto. L’arteria spinale anteriore termina a livello dell’apice del cono midollare, dove emette due rami che si anastomizzano con l’arteria spinale posteriore.

Da tali rami originano le arterie della cauda equina che confluiscono nelle arterie sacrali laterali.

Le arterie spinali posteriori originano da livello del forame magno, direttamente dall’arteria vertebrale omolaterale oppure dall’arteria cerebellare posteriore inferiore, suo ramo secondario. Decorrono sulla faccia posterolaterale del midollo spinale (arterie spinali postero-laterali). Sono possibili anastomosi con l’arteria spinale posteriore controlaterale e con l’arteria spinale anteriore. Inoltre è possibile un cross over che consente la vascolarizzazione del midollo spinale controlaterale. Lungo il decorso ricevono il contributo delle arterie radicolo-midollari posteriori. Il diametro delle arterie spinali posteriori è inferiore a 0.5 mm. Sono responsabili della vascolarizzazione del terzo posteriore del midollo spinale, comprese le corna posteriori.

La rete piale (o vasocorona) è costituita da anastomosi piali fra l’arteria spianale anteriore e le arterie spinali posteriori, che si sviluppano lungo l’intera superficie del midollo spinale. Da essa dipende la vascolarizzazione della zona periferica del midollo spinale.

Il midollo spinale, le radici e i nervi sono vascolarizzati anche da un sistema segmentale. Le arterie segmentali sono branche dei rami spinali dell’arteria vertebrale, cervicale profonda, intercostale e lombare. In particolare originano dalle

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Arterie cerebellari posteriori inferiori

Arterie vertebrali

Arterie cervicali ascendenti

Arterie cervicali profonde

Arterie intercostali posteriori

Arterie sottocostali

Arterie lombari

Arterie sacrali laterali

Entrano quindi nel canale vertebrale tramite i fori intervertebrali e si anastomizzano con rami dei vasi longitudinali per formare un plesso piale sulla superficie del midollo.

Le arterie spinali segmentali si dividono in un ramo radicolare anteriore e un ramo radicolare posteriore che decorrono rispettivamente lungo le radici ventrali e dorsali.

Si tratta di piccoli rami che terminano a livello della radice nervosa o nel plesso piale.

Le arterie radicolari posteriori vascolarizzano infine i gangli delle radici dorsali.

Le arterie radicolari della regione cervicale inferiore, toracica inferiore, lombare superiore sono più voluminose e possono raggiungere il solco mediano anteriore, per poi dividersi in un ramo ascendente e un ramo discendente, costituendo le arterie midollari anteriori affluenti. Queste si anastomizzano con l’arteria spinale anteriore a formare un vaso, singolo o duplice, che decorre lungo la fessura mediana anteriore.

L’arteria radicolare anteriore di maggior calibro nel tratto toracico prende il nome di arteria di Adamkiewicz o arteria radicolare magna. Può rappresentare la principale fonte di vascolarizzazione dei due terzi inferiori del midollo spinale. Ha un diametro di 0.5-0.1 mm e origina nella regione toraco-lombare, nel tratto compreso fra T8-L2 ma l’origine può giungere superiormente fino a T5 e inferiormente fino a L4.

Solitamente è singola (87%) ed è situata sul lato sinistro. L’arteria di Adamkiewicz (AKA), come le arterie radicolo-midollari, origina dalla branca spinale del ramo posteriore di una delle arterie segmentali, in particolare può originare dai seguenti rami dell’aorta discendente1:

Arteria intercostale posteriore (T9-T11)

Arteria subcostale (T12)

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Presenta un decorso rettilineo e raggiunto il midollo spinale si anastomizza con l’arteria spinale anteriore formando un caratteristico anello “a tornante”, quindi origina un ramo discendente e un ramo ascendente più grande. Al di sotto della giunzione fra l’ASA e l’arteria l’AKA la presenza di rami collaterali è fortemente ridotta pertanto il tratto toracico e il tratto lombare del midollo spinale risultano particolarmente esposti al rischio di ischemia midollare.

Figura 1 Vascolarizzazione del midollo spinale e trattamento endovascolare della patologia aortica. Miller LK, Patel VI, Wagener G. Spinal Cord Protection for Thoracoabdominal Aortic Surgery. J Cardiothorac Vasc Anesth.

2022

Sistema intrinseco

Il parenchima midollare è vascolarizzato da un sistema intrinseco, costituito a sua volta da due sistemi21;

Sistema centrifugo: si sviluppa a partire dal midollo spinale in direzione della periferia. Irrora la maggior parte della sostanza grigia. È costituito da rami dell’ASA, le arterie centrali o solcali (0.06-0.4 mm), che penetrano nel midollo spinale e si distribuiscono in senso centrifugo.

Sistema centripeto: è costituito da rami perforanti (0.1-0.2 mm) che originano dal network piale e attraversano la sostanza bianca in senso centripeto,

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vascolarizzando la regione periferica del midollo spinale. Il network piale costituisce un’anastomosi fra i vasi anteriori e posterolaterali.

L’ASA dunque riveste un ruolo fondamentale nella perfusione del midollo spinale, vascolarizzando i due terzi anteriori della sezione trasversale del midollo spinale.

L’arteria spinale posteriore è responsabile della vascolarizzazione della porzione dorsale del midollo spinale, compreso l’apice delle corna posteriori, pertanto include la commissura anteriore, le corna anteriori, il nucleo di Clarke, la porzione anteriore del fascicolo gracile e cuneato, alcuni tratti del fascio corticospinale e spinotalamico2. Il sistema corticospinale è vascolarizzato da entrambe le arterie.

Vascolarizzazione venosa del midollo spinale

Il sistema venoso del midollo spinale rispecchia l’organizzazione del sistema arterioso, è costituito da un sistema intrinseco e un sistema estrinseco, seppur con ampia variabilità2.

Il sistema intrinseco comprende:

Sistema centrale (o solcale): è formato dalle vene del solco. È responsabile del drenaggio della porzione mediale di entrambe le corna anteriori, della commissura grigia anteriore, della sostanza bianca del funicolo anteriore.

Sistema periferico (radiale): origina dai capillari della zona periferica della sostanza grigia delle corna laterali, dal nucleo dorsale di Clark o dalla sostanza bianca. Le vene sono dirette in senso centrifugo e drenano nel sistema venoso superficiale.

Il sistema venoso estrinseco è costituito da:

vena spinale anteriore mediana: segue il decorso dell’ASA fino al sacco durale, dove termina come vena del filum terminale. Riceve le vene del solco e le piccole vene piali del plesso coronale. Drena la sostanza grigia centrale.

vene spinali posteriori: comprendono la vena posteriore mediana, caratterizzata da diametro maggiore, le vene spinali posterolaterali. Ricevono il sangue refluo proveniente dalle vene radiali del midollo spinale dorsale.

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Le vene spinali sono interconnesse e drenano superiormente nelle vene cerebellari e nei seni cranici. Segmentalmente la vena spinale anteriore e la vena posteriore mediana drenano nelle vene radicolo-midollari anteriori e posteriori. La vena radicolo- midollare anteriore drena il tratto toraco-lombare e presenta il maggior diametro;

talvolta può essere confusa con l’AKA, dalla quale si distingue per il differente angolo di inserzione sulla vena mediana, che presenta conformazione ad “appendiabiti”. Le vene spinali sono numerose e decorrono con le radici dei nervi spinali. Drenano nel plesso paravertebrale o intervertebrale quindi con i sistemi cavale e azygos.

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Ischemia midollare in chirurgia aortica

La riduzione della perfusione midollare che può verificarsi nel corso del trattamento chirurgico ed endovascolare degli aneurismi toraco-addominali determina l’insorgenza di ischemia midollare. Tale condizione si manifesta raramente nell’ambito della chirurgia aortica ma costituisce la complicanza più grave alla quale il paziente può andare incontro, in considerazione delle significative ripercussioni sulla morbilità e la mortalità.

Eziopatogenesi e fattori di rischio

Le cause di ischemia midollare possono essere distinte in cause spontanee e cause iatrogene3.

Fra le cause spontanee si annoverano aterosclerosi ed eventi cardioembolici ma la condizione di più frequente riscontro è la patologia aortica, in particolare la presenza di dissezioni di tipo A e di aneurismi toraco-addominali.

Nell’analisi di Krassen et al.4 su 54 pazienti ammessi presso il loro Centro con diagnosi di ischemia midollare acuta, l’eziologia era riconducibile ad aterosclerosi nel 33% dei pazienti, patologia aortica nel 15.8%, patologie degenerative della colonna vertebrale 15.8%, ipotensione sistemica 1.8%, anestesia epidurale 1.8%, criptogenica 28%.

L’aterosclerosi comporta lo sviluppo di processi embolici a carico delle grandi arterie, dalle quali originano le arterie radicolo-midollari coinvolte nell’ostruzione.

L’ischemia midollare acuta può presentarsi come complicanza di dissezione aortica, qualora l’area di dissezione coinvolga l’origine di vasi deputati alla vascolarizzazione midollare. Pertanto il riscontro in anamnesi di fumo di sigaretta, dislipidemia, diabete, vasculopatia, cardiopatia costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di ischemia midollare.

Altre cause di ischemia midollare includono eventi cardio-embolici o la formazione di emboli di materiale fibro-cartilagineo ad origine dai dischi intervertebrali, quest’ultima cause è possibilmente associata alla presenza di ernie discali.

Secondo quanto riportato da Caton et al. 3 le cause iatrogene di ischemia midollare costituiscono il 45% degli eventi e sono per lo più riconducibili alla chirurgia aortica.

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sull’arteria di Adamkiewicz, pertanto la loro occlusione a seguito di clampaggio aortico in corso di aneurismectomia o a seguito del posizionamento dell’endoprotesi determina un aumentato rischio di ischemia midollare. Il distretto toracico in particolare presenta un numero inferiore di circoli collaterali e risulta maggiormente esposto anche in caso di ipotensione arteriosa prolungata. Secondariamente all’instaurarsi dell’ischemia si verifica una risposta infiammatoria caratterizzata da tossicità neuronale che porta a morte cellulare mediante apoptosi3. I fattori di rischio per lo sviluppo di ischemia midollare sono l’estensione dell’aneurisma, il ricorso al trattamento chirurgico, pregressi interventi sull’aorta, ipotensione intraoperatoria.

Tali osservazioni hanno condotto alla necessità di attuare protocolli per la gestione del paziente sottoposto a chirurgia aortica al fine di ridurre il rischio di ischemia midollare.

Epidemiologia

Miller et al.5 nel review article pubblicato sul Journal of Cardiothoracic and Vascular Anesthesia nel 2022 evidenzia la mancanza di trial randomizzati controllati sull’incidenza di ischemia midollare nella riparazione chirurgica ed endovascolare degli aneurismi. A ciò contribuisce la presenza di fattori confondenti correlati al paziente e l’eziologia multifattoriale dell’ischemia. Le Linee guida ESC descrivono un’incidenza di paraplegia in seguito a riparazione chirurgica di aneurisma toraco- addominale pari al 6-8%; l’incidenza di ischemia midollare nei pazienti sottoposti a TEVAR compresa tra il 2.1% e il 3.5%6. La forza dell’evidenza è a favore dell’esecuzione dell’approccio endovascolare per il trattamento di aneurismi isolati dell’aorta toracica discendente tanto che le Linee guida della Society of Vascular Surgery raccomandano fortemente questo approccio5.

Presentazione clinica

La presentazione clinica dell’ischemia midollare è rappresentata tipicamente dalla comparsa acuta di paraplegia non associata a dolore. Le manifestazioni possono variare in relazione alla localizzazione dell’ischemia e possono comprendere ritenzione urinaria, parestesie o disestesie al di sotto del livello della lesione. Il quadro più grave è rappresentato dalla sindrome dell’arteria spinale anteriore, caratterizzata

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dal coinvolgimento delle corna anteriori, del fascio piramidale, dei cordoni antero- laterali del midollo spinale. L’esordio è acuto con dolore in sede di lesione, para o tetraparesi degli arti superiori e inferiori, anestesia a carico dei metameri inferiori alla lesione, ritenzione urinaria e fecale.

L’ASIA score viene impiegato per l’accertamento dei deficit neurologici. La American Spinal Injury Association (ASIA) ha sviluppato una scala di valutazione basata sull’esecuzione dell’esame neurologico, costituita da una sezione dedicata alla componente sensitiva e una dedicata alla componente motoria7.

L’esame della sensibilità esplora ciascuno dei 28 dermatomeri bilateralmente, valutando la risposta alla sensazione di tocco leggero e puntura di spillo. Viene assegnato un punteggio pari a 2 in caso di sensibilità nella norma, 1 in caso sensibilità alterata (sensibilità parziale o alterata, inclusa iperestesia), 0 se la sensibilità è assente, NT se non è possibile eseguire la valutazione. La sensibilità al tocco leggero viene valutata mediante l’impiego di cotone mentre la sensibilità alla puntura viene testata con uno spillo usa e getta.

L’esame motorio è basato sulla valutazione in senso rostro-caudale di cinque muscoli agli arti superiori e cinque agli arti inferiori bilateralmente, che corrispondono a 10 miotomi appaiati. Ad ogni muscolo è possibile attribuire un punteggio da 0 a 5: 0 corrisponde a paralisi totale, 1 in caso di contrazione muscolare visibile o palpabile, 2 in presenza di movimento attivo con ROM conservato a gravità eliminata, 3 movimento attivo contro gravità, 4 movimento attivo con ROM conservato contro resistenza moderata, 5 se l’esame è nella norma (Figura 2).

Figura 2 Scala Oxford - Esame neurologico per la valutazione della forza muscolare

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A completamento dell’esame neurologico dovrebbe essere valutato anche lo sfintere anale esterno mediante esplorazione digitale, al fine di valutare la presenza o assenza di contrattilità e sensibilità.

L’ASIA Impairment Scale permette inoltre l’assegnazione del grado di danno neurologico (Figura 3). Le lesioni di tipo A sono definite complete, sono caratterizzate dall’assenza di funzione sensitiva e motoria nel segmento sacrale S4-S5. Le lesioni di tipo B sono incomplete, la funzione sensitiva è preservata ma la funzione motoria è deficitaria sotto il livello neurologico e include il segmento sacrale S4-S5. ASIA score A e B vengono considerati deficit severi.

Le lesioni di tipo C sono anch’esse classificate come incomplete ma la funzione motoria è preservata al di sotto del livello neurologico seppur con un punteggio inferiore a 3 in più della metà dei muscoli esaminati. Le lesioni di tipo D son incomplete con funzione motoria preservata con un punteggio uguale o maggiore a 3 in almeno la metà dei muscoli chiave. Il grado E corrisponde alla presenza di normale funzione sensitiva e motoria.

Figura 3 ASIA Impairment Scale. Marino RJ, Barros T, Biering-Sorensen F, et al. International standards for neurological classification of spinal cord injury. J Spinal Cord Med. 2003

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Diagnosi

L’esecuzione di MRI rappresenta il gold standard per la diagnosi radiologica di ischemia midollare. In particolare l’impiego delle sequenze DWI risulta particolarmente sensibile. Tuttavia la possibilità di eseguire MRI non è sempre disponibile, in tal caso l’esecuzione di TC può essere utile al solo scopo di escludere la presenza di ematoma spinale, quale diagnosi differenziale rispetto all’ischemia midollare.

Terapia

Data l’eterogeneità delle cause, il trattamento dell’ischemia midollare è strettamente correlato all’evento che ha determinato lo sviluppo del danno. I dati in merito al trattamento medico sono scarsi, considerata inoltre l’assenza di Linee guida specifiche3.

L’approccio chirurgico può avvalersi dell’esecuzione di un intervento di decompressione per prevenire deficit neurologici permanenti.

Lo sviluppo di ischemia midollare quale complicanza degli interventi di chirurgia aortica ha condotto alla necessità di indagare tecniche di gestione pre e intraoperatoria del paziente volte a ridurre l’incidenza di complicanze.

Durante la pianificazione dell’intervento è essenziale la valutazione del rischio cardiaco perioperatorio. Le Linee guida ESC-ESA8 riconoscono l’impiego dello score di Lee o del modello NSQIP per la stratificazione del rischio con evidenza di classe I, livello B. Lo score di Lee valuta il tipo di chirurgia, la storia di ischemia cardiaca, insufficienza cardiaca, malattie cerebrovascolari, la necessità di trattamento pre- operatorio con insulina, valore pre-operatorio di creatinina > 2 mg/dl. Tale score viene ritenuto dai più il miglior strumento per la predizione del rischio cardiovascolare in chirurgia non cardiaca, con particolare attenzione rivolta all’insorgenza post operatoria di infarto miocardico, edema polmonare, blocco atrioventricolare completo, fibrillazione ventricolare e arresto cardiaco. Il modello NSQIP, di più recente impiego, valuta il rischio intra e post operatorio di infarto miocardico e arresto cardiaco. La valutazione è basata sul tipo di chirurgia, lo stato funzionale, valori elevati di creatinina (<1.5 mg/dl), classe ASA ed età. Il risultato ottenuto è una stima basata sul modello di

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probabilità di infarto miocardico o arresto cardiaco per singolo paziente e ha dimostrato una maggior efficacia rispetto all’indice di Lee. Tuttavia entrambi mostrano una deflessione della performance nella valutazione dei pazienti da sottoporre a chirurgia vascolare, pur rimanendo efficaci e complementari nella stratificazione del rischio.

La gestione anestesiologica del paziente sottoposto a chirurgia aortica è incentrata sulla stabilizzazione emodinamica, al fine di evitare fluttuazioni che possano esitare in una riduzione della perfusione midollare. Il monitoraggio continuo della funzione cardiaca, di PAM, PVC, Hb, temperatura, PLCR ha lo scopo di ottimizzare la tolleranza all’ischemia, valutando i principali fattori che influenzano l’emodinamica.

Nell’ambito della chirurgia degli aneurismi dell’aorta toracica e toraco-addominale, sono stati messi a punto nel tempo differenti tecniche di neuroprotezione. Nelle fasi precedenti l’intervento è prevista l’ottimizzazione della funzione cardiaca pre- operatoria mediante terapia medica. La rivascolarizzazione miocardica profilattica, in base alle Linee guida ESC, è indicata nei pazienti con ischemia miocardica documentata che devono essere sottoposti a intervento chirurgico non cardiaco ad alto rischio.

Negli interventi di aneurismectomia riveste particolare importanza il livello del clampaggio aortico, dato l’effetto esercitato sul precarico e il postcarico quindi sulla gittata cardiaca. Può essere impiegato il bypass parziale cuore sinistro per ridurre l’ischemia dei tessuti a valle del clampaggio aortico. La pressione di perfusione del midollo spinale è positivamente influenzata dall’aumento della pressione aortica distale, con un effetto protettivo sulla comparsa di complicanze neurologiche9.

L’impiego dell’ipotermia sistemica moderata è ritenuto ragionevole per la protezione del midollo spinale negli interventi chirurgici di riparazione dell’aorta toracica discendente (livello di evidenza B)10.

Il reimpianto delle arterie intercostali durante l’intervento chirurgico è impiegato da lungo tempo e oggi si inserisce nel contesto di un approccio multidisciplinare della prevenzione dell’ischemia midollare.

Altre strategie di prevenzione includono la somministrazione intratecale di farmaci.

Sono stati impiegati la papaverina, per gli effetti neuroprotettivi secondari alla vasodilatazione arteriosa, e il naloxone in relazione alla proprietà di riduzione delle

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endorfine liberate in corso di ischemia midollare con effetto neuroprotettivo. Tali farmaci sono stati usati singolarmente o in combinazione con altre strategie di prevenzione dell’ischemia midollare con efficacia variabile.

Nella review pubblicata da Dijkstra et al.11 nel 2018, inerente la valutazione dell’incidenza di ischemia midollare e conseguente paraplegia nei pazienti sottoposti a EVAR con differenti strategie peri-operatorie di prevenzione, viene sottolineata la mancanza di un’univoca raccomandazione al trattamento ottimale vista l’assenza di trial randomizzati e gruppi di controllo. Tuttavia l’impiego del drenaggio liquorale, la cui efficacia nel trattamento chirurgico degli aneurismi è già ampiamente dimostrata, e la riduzione del rischio di ipotensione perioperatoria sembrano essere le tecniche più giustificate.

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Ischemia midollare nel trattamento chirurgico degli aneurismi dell’aorta toracica e toraco-addominale

Il danno ischemico midollare successivo all’intervento di aneurismectomia ha una patogenesi complessa, non ancora del tutto nota.

Crawford et al.12 in uno studio effettuato su 605 pazienti con aneurisma toraco- addominale trattato chirurgicamente, hanno valutato la correlazione tra l’esito a breve e lungo termine con fattori di rischio pre e intra operatori. Sono stati evidenziati quali elementi predittivi di aumentato rischio di danno neurologico i seguenti parametri:

• Paziente dipendenti: età

• Paziente indipendenti: estensione dell’aneurisma, rottura dell’aneurisma, dissezione

• Correlati all’intervento: tempo di clampaggio aortico, reimpianto delle arterie intercostali

L’età avanzata è un fattore di rischio riconosciuto da molti autori per lo sviluppo di ischemia midollare. Rappresenta inoltre un elemento di risalto nella valutazione del tasso di mortalità post-operatoria dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico o endovascolare. Nel 2016 Hicks et al.13 hanno confrontato la mortalità a seguito di riparazione chirurgica ed endovascolare di aneurisma dell’aorta addominale in pazienti con età ≥ 80 anni e pazienti di età inferiore. A seguito di procedura tradizionale è stata rilevata una mortalità perioperatoria pari al 20.1% nei pazienti ≥ 80 anni, rispetto al 7.1% nei pazienti di età inferiore (p < 0.01). Nei pazienti ≥ 80 anni sottoposti a EVAR è stata osservata una mortalità perioperatoria pari al 3.8%, nei pazienti di età < 80 anni la mortalità era del 1.6% (p < 0.01). Inoltre è stato osservato che i pazienti di età ≥ 80 anni presentano un rischio di mortalità a 30 giorni e a un anno aumentato del 223% se sottoposti a chirurgia tradizionale, pari al 287% se sottoposti a EVAR.

Nel 2017 Locham et al.14 hanno pubblicato uno studio incentrato sulla valutazione dei fattori di rischio di mortalità nei pazienti anziani (≥ 70 anni), basato sull’analisi retrospettiva del American College of Surgeonse-National Surgical Quality Improvement Program, selezionando 4229 casi di aneurismi dell’aorta addominale trattato con intervento chirurgico o riparazione endovascolare fra il 2011 e il 2014. Fra

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i predittori di mortalità si annoverano l’età, il sesso femminile, lo stato funzionale, le alterazioni della coagulazione, il ricorso a trasfusioni, l’insufficienza renale, l’impiego di steroidi. Il sesso femminile è associato a un esordio di malattia tardivo ma più grave rispetto al sesso maschile pertanto in tale studio le femmine risultano essere sottoposte a riparazione chirurgica più frequentemente rispetto ai maschi (31.3% VS 20.6), inoltre presentano un rischio di mortalità a 30 giorni tre volte superiore a quello dei maschi.

Tra i predittori di mortalità in questa categoria di pazienti compare anche il diametro dell’aneurisma, in relazione all’aumentato rischio di rottura. Tuttavia il livello dell’aneurisma presenta una correlazione più forte con il rischio di mortalità.

L’estensione e la localizzazione dell’aneurisma appartengono ai fattori pre-operatori che influenzano l’outcome neurologico del paziente. La lunghezza del segmento aortico coinvolto correla con l’estensione della protesi e una maggior copertura delle arterie intercostali e lombari deputate alla vascolarizzazione del midollo spinale. Il segmento toracico del midollo spinale presenta un numero ridotto di circoli collaterali pertanto è maggiormente esposto al rischio di ischemia. Tale rischio aumenta ulteriormente nei pazienti sottoposti in precedenza a chirurgia aortica, in relazione ad una maggiore estensione della protesi.

In particolare gli aneurismi di tipo II secondo la classificazione di Crawford sembrano correlati a un maggior rischio di complicanze.15 Nello studio proposto da Safi et al. i pazienti con aneurisma toraco-addominale di tipo II sono risultati predisposti a sviluppare deficit neurologici postoperatori con frequenza cinque volte superiore rispetto a pazienti con aneurismi di altro tipo (p < 0.0001).9

Gli interventi che richiedano una copertura aortica estesa possono essere eseguiti con procedura staged, al fine di ridurre il rischio di ischemia midollare, consentendo l’adattamento graduale alla riduzione della perfusione grazie alla presenza di circoli collaterali.

L’estensione dell’aneurisma è una variabile che influenza anche il tasso di mortalità a seguito di intervento. Come riportato da Miller et al.5 il trattamento chirurgico degli aneurismi toracici e toraco-addominali è considerato una procedura ad alto rischio e presenta un tasso di mortalità elevato, pari al 15% nei centri ad alto volume di interventi, fino al 30% nei centri con basso volume16. La mortalità risulta inoltre

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correlata all’estensione dell’aneurisma, in particolare per il tipo II secondo Crawford, che si estende lungo l’aorta discendente distale fino al segmento sottorenale.

Tra i fattori di rischio per ischemia midollare relativi alle caratteristiche dell’intervento, il clampaggio aortico, necessario nell’approccio chirurgico alla patologia aneurismatica, riveste un ruolo predominante. L’ipoperfusione tissutale, conseguente all’interruzione del flusso in aorta, coinvolge anche il midollo spinale e può determinare un quadro di ischemia midollare a seguito dell’esclusione dal flusso delle arterie intercostali e lombari. L’arteria di Adamkievicz origina dall’aorta toracica e costituisce l’arteria intercostale di maggior calibro. L’ischemia midollare si manifesta con la comparsa di sintomi neurologici agli arti inferiori, fino allo sviluppo di deficit parziale (paresi) o plegia. Il rischio di complicanze neurologiche aumenta notevolmente dopo un tempo di ischemia midollare di trenta minuti.15

L'esecuzione dell’intervento chirurgico in regime di urgenza per la presenza di complicanze correlate all’aneurisma, quali dissezione aortica o rottura, è gravata inoltre dall’instaurarsi di una ridotta pressione di perfusione. Tali condizioni aumentano la complessità della procedura e non consentono uno studio dettagliato dell’anatomia e delle comorbidità del paziente, riducendo la possibilità di una pianificazione dettagliata.

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Ischemia midollare nel trattamento endovascolare degli aneurismi dell’aorta toracica e toracoaddominale

Lo sviluppo di tecniche endovascolari per il trattamento degli aneurismi dell’aorta (EVAR) toracica e toraco-addominale è stato seguito da un’importante riduzione della morbilità e della mortalità correlate all’intervento rispetto alla tecnica chirurgica tradizionale.

L’intervento è svolto in sala ibrida, dove sono garantiti l’accesso alle tecniche di angiografia in ambiente sterile e la possibilità di conversione chirurgica della procedura. L’accesso viene eseguito per via percutanea mininvasiva attraverso le arterie femorali. Grazie all’ausilio di specifici introduttori si procede al posizionamento dell’endoprotesi fino al raggiungimento della landing zone, identificata durante lo studio pre-procedurale.

La riparazione endovascolare di aneurismi dell’aorta toracica discendente viene definita TEVAR. Tale procedura consente di evitare l’accesso chirurgico alla cavità toracica mediante toracotomia e il clampaggio aortico. Ciò si riflette in una diminuzione del tempo operatorio, delle perdite ematiche, del rischio di ischemia viscerale e midollare. Di conseguenza appare ridotta anche la necessità di ricorrere all’impiego di tecniche invasive per il mantenimento della perfusione, come il bypass cuore sinistro.

Le Linee guida ESC6 sulla diagnosi e il trattamento delle patologie aortiche, evidenziano la mancanza di studi randomizzati che guidino la scelta fra il trattamento chirurgico e il trattamento endovascolare degli aneurismi dell’aorta toracica discendente. Tuttavia i risultati di studi comparativi e metanalisi mostrano una riduzione della mortalità precoce nei pazienti sottoposti a TEVAR rispetto ai pazienti sottoposti a chirurgia tradizionale. Le Linee guida consigliano di valutare l’esecuzione di TEVAR in pazienti con aneurismi dell’aorta toracica discendente con diametro massimo ≥ 55 mm (classe di raccomandazione IIa, livello C). Viene inoltre sottolineata l’importanza di una discussione multidisciplinare del singolo caso, che prenda in considerazione l’età del paziente, le comorbilità, l’anatomia vascolare e le caratteristiche dell’aneurisma stesso (estensione, dimensione, presenza di placche aterosclerotiche, coinvolgimento di vasi collaterali).

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In un recente lavoro condotto da Miller et al.5 si evidenzia la forza dell’evidenza di trials non randomizzati e di studi su ampie coorti di pazienti nel dimostrare un’importante riduzione della mortalità e morbilità nei pazienti sottoposti a TEVAR.

La riparazione endovascolare degli aneurismi dell’aorta addominale viene eseguita con tecnica mininvasiva. Può inoltre essere caratterizzata dalla necessità di posizionamento di stent dei vasi viscerali per garantirne l’esclusione dall’aneurisma.

Pertanto si definisce BEVAR l’intervento che prevede l’impiego di protesi branched, ramificate; si definisce FEVAR se prevede l’impiego di protesi fenestrate. Gli interventi TEVAR possono inoltre essere associati all’impiego di tecniche per il debranching viscerale.

Le Linee guida ESC suggeriscono che per aneurismi di grandi dimensioni con caratteristiche anatomiche adatte a EVAR, è raccomandato sia l’intervento endovascolare sia l’intervento chirurgico nei pazienti con rischio chirurgico accettabile (Classe I, livello di evidenza A6).

Numerosi studi controllati randomizzati hanno analizzato il confronto tra l’esecuzione della procedura endovascolare e della procedura chirurgica. I dati relativi allo studio DREAM in UK, allo studio OVER in USA, al trial Anévrisme de l’aorte abdominale:

Chirurgie vs. Endoprothèse in Francia, sono stati inclusi nella metanalisi di studi randomizzati condotta da Dangas et al. nel 201217 “Open Versus Endovascular Stent Graft Repair of Abdominal Aortic Aneurysms”. I risultati mostrano una diminuzione della mortalità, fino al 66%, correlata all’intervento nei pazienti sottoposti a EVAR.

Tuttavia tale vantaggio viene perso durante il follow up a medio termine a fronte di una aumentato tasso di reintervento. Nel follow up a lungo termine i risultati appaiono infine sovrapponibili.

Nel trattamento endovascolare della patologia aortica il rischio di ischemia midollare è correlato all’interruzione della perfusione del midollo spinale, in particolare dovuta alla copertura, durante il posizionamento dell’endoprotesi, delle arterie intercostali, lombari e dell’arteria di Adamkiewicz.

Non sono presenti studi randomizzati per il confronto del tasso ischemia midollare nei pazienti sottoposti a chirurgia tradizionale e nei pazienti sottoposti a EVAR.

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Le Linee guida ESC riportano un’incidenza di ischemia midollare nei pazienti sottoposti a TEVAR pari a 0.8-1.9%, attestandosi dunque a un valore inferiore rispetto al trattamento chirurgico tradizionale (2.1-3.5%)6.

Una più recente metanalisi citata da Miller et al.5 riporta una percentuale di ischemia midollare permanente pari a 2.2%. Tuttavia viene evidenziata l’ampia variabilità dei valori riportati in letteratura, che oscillano da 0.3 a 21%. Pertanto, ad oggi, l’attenzione è rivolta alla capacità di individuare precocemente i pazienti ad alto rischio di ischemia midollare, al fine di mettere in atto le migliori strategie di profilassi per ottenere la riduzione del rischio.

Numerosi studi sono stati condotti per individuare i fattori di rischio relativi allo sviluppo di ischemia midollare nei pazienti sottoposti a EVAR. L’eziologia dell’ischemia è multifattoriale ma è possibile distinguere:

• fattori di rischio paziente-dipendenti

• fattori di rischio procedura-dipendenti.

Tra i fattori correlati al paziente, l’età avanzata è riconosciuta quale fattore di rischio per lo sviluppo di ischemia midollare. È noto che i pazienti anziani hanno una maggior vulnerabilità, che si riflette in un possibile squilibrio postoperatorio della funzionalità cardiaca e dell’omeostasi con riflessi sul metabolismo spinale18. L’età rappresenta inoltre una variabile comune a tutti i pazienti e consente pertanto un miglior confronto, esaminata la presenza in letteratura di studi basati sull’analisi di coorti trattate con protocolli differenti che rendono più complessa l’analisi comparativa.

Le comorbilità del paziente possono influenzare il rischio di ischemia midollare. La presenza di insufficienza renale cronica desta particolare attenzione. Buth et al.19 in un’analisi su 606 pazienti sottoposti a TEVAR, tratti dal database di The European Collaborators on Stent/Graft Techniques for Aortic Aneurysm Repair (EUROSTAR), hanno osservato che la presenza di insufficienza renale cronica costituisce un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di ischemia midollare. Il meccanismo patogenetico non è del tutto chiaro. Ad oggi si ritiene che la presenza di insufficienza renale cronica (Creat. ≥ 1.6 mg/dL) costituisca una spia di grave degenerazione

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aterosclerotica dei vasi periferici e pertanto rappresenta un indice di compromissione dei circoli collaterali.

Lo sviluppo di insufficienza renale acuta nel periodo postoperatorio con conseguente instabilità emodinamica ed eventuale necessità di terapia dialitica, costituisce un fattore di rischio per ipotensione e di conseguenza pone il paziente ad aumentato rischio di ischemia midollare. A tal fine l’impiego di terapia sostituiva renale continua – CRRT riduce il rischio di episodi ipotensivi, garantendo maggior stabilità emodinamica.

Scali et al.18 in uno studio compiuto su 741 pazienti sottoposti a TEVAR fra il 2002 e il 2013 inerente la valutazione dei fattori di rischio preoperatori per lo sviluppo di ischemia midollare, hanno inserito fra le comorbilità che pongono a rischio il paziente anche il riscontro in anamnesi di ipertensione e BPCO. I pazienti con BPCO presentano una alterata cinetica dell’ossigeno che può condurre a un rischio aumentato di lesione assonale in corso di ischemia neuronale.

Il riscontro di ipertensione in anamnesi sembra associato ad un aumentato rischio di ischemia midollare. È possibile che i pazienti ipertesi che siano abituati a una PAM basale elevata per mantenere un’adeguata perfusione d’organo, pertanto, eventuali variazioni della PA in difetto rendono questa categoria di pazienti più esposta al danno ischemico. È stata inoltre osservata una debole associazione con l’utilizzo cronico preoperatorio (<30 giorni) di farmaci alpha-antagonisti, fra i quali doxazosina, terazosina, clonidina, methyldopa, prazosina. Nella gestione dei pazienti con ipertensione arteriosa sistemica è possibile la sospensione dei farmaci antipertensivi al fine di ridurre il rischio di episodi ipotensivi19.

Tra i principali fattori di rischio che correlano con il rischio di ischemia midollare figura l’ipotensione intra e perioperatoria. La pressione di perfusione midollare corrisponde alla differenza tra pressione arteriosa media (PAM) e pressione del liquido cefalorachidiano (CSFP). La riduzione della PAM, o l’aumento della CSFP, correlano quindi con una ridotta perfusione midollare.

Dijkstra et al. in una metanalisi condotta nel 2018 su 43 studi, inerenti al trattamento endovascolare di TAAA, tesa a valutare le possibili strategie perioperatorie di prevenzione dell’ischemia midollare, hanno riportato che l’assenza di episodi ipotensivi correla con una riduzione del rischio di ischemia midollare (1.8%

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- 102/4216, 95% CI 1.2 - 2.3%). Precedentemente Chiesa et al. avevano osservato che la presenza di ipotensione perioperatoria definita come PAM < 70 mmHg costituisce un predittore importante di ischemia midollare.

Le attuali Linee guida ESC suggeriscono che la debbano essere evitati episodi ipotensivi durante la procedura e che in caso di comparsa di paraplegia la PAM debba essere mantenuta > 90 mmHg. Numerose evidenze suggeriscono infatti, in caso di comparsa di deficit neurologici, la necessità di aumentare la pressione arteriosa media mediante l’impiego di vasopressori.

Tra gli aspetti anatomici che influenzano negativamente il rischio di ischemia midollare, sono di particolare rilievo l’estensione della copertura aortica ed eventuali interventi pregressi sull’aorta.

Come per la riparazione chirurgica degli aneurismi aortici, il rischio di ischemia midollare è correlato all’estensione della lesione20. I pazienti portatori di aneurisma di tipo II sono particolarmente a rischio di sviluppare tale complicanza poiché il trattamento richiede un esteso intervento di riparazione. Appartengono al gruppo dei soggetti ad alto rischio anche i pazienti che presentano un concomitante aneurisma aortico o lombare5.

In accordo con tali osservazioni, Scali et al.18 hanno dimostrato che il numero di stent impiegati correla con lo sviluppo di paraplegia all’analisi univariata e multivariata.

L’estensione della lesione correla con il numero di vasi collaterali coperti dalla protesi, in particolare quando è coinvolta l’origine delle arterie intercostali, lombari e dell’arteria di Adamkievicz (T9-T12). Negli aneurismi aortici toraco-addominali un’estensione della copertura ≥ 15 cm viene ritenuta un fattore di rischio5.

L’esecuzione di precedenti interventi a carico dell’aorta addominale sottorenale aumenta il rischio di ischemia midollare, a seguito della riduzione del flusso a carico dei circoli collaterali, in particolare i vasi pelvici. Anche gli aneurismi di natura degenerativa sono stati associati ad un aumentato rischio di ischemia midollare poiché questi pazienti presentano una ridotta pervietà delle arterie intercostali21, a seguito della diffusione della patologia aterosclerotica.

La copertura dell’arteria epigastrica e la copertura senza vascolarizzazione dell’arteria succlavia sinistra sono implicate nello sviluppo di ischemia midollare. Le Linee guida

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americane suggeriscono la rivascolarizzazione preventiva ma le opinioni inerenti alla copertura dell’arteria succlavia ad oggi non sono univoche.

Gli interventi BEVAR e FEVAR sono gravati da un aumentato rischio di ischemia midollare. Anche in questo caso il fattore di rischio più importante è l’estensione della copertura aortica. In caso di procedure che richiedano una riparazione estesa è validata la scelta di suddividere l’intervento in più fasi per permettere la stabilizzazione dei circoli collaterali. Il ricorso a procedure staged consente il rimodellamento dei circoli collaterali al fine di garantire una adeguata perfusione midollare. Nel caso di aneurismi dell’aorta toraco-addominale, viene effettuato prima il trattamento TEVAR e successivamente il trattamento BEVAR o FEVAR del tratto addominale. In tal modo è possibile un adattamento dei circoli collaterali in risposta alla copertura delle arterie intercostali e lombari. Il tempo intercorrente fra le due procedure endovascolari può variare da 14 giorni a 3 mesi. Il rischio principale dello staging è legato al rischio di progressione della malattia o alla rottura dell’aneurisma.

È possibile l’impiego di tecniche volte a favorire la perfusione del midollo spinale. Tra queste figura la TASP - perfusione temporanea della sacca aneurismatica. È possibile lasciare un endoleak temporaneo per mantenere la perfusione della sacca aneurismatica, impedendo così la trombosi e mantenendo il contributo alla perfusione midollare mediante le arterie intercostali o lombari pervie. Successivamente viene completata l’esclusione endovascolare.

Sono stati sviluppati protocolli per la prevenzione dell’ischemia midollare in chirurgia aortica. Le tecniche impiegate differiscono nei differenti centri. È previsto l’uso combinato di procedure di monitoraggio e intervento che globalmente sono volti a mantenere un’adeguata perfusione midollare. Il drenaggio liquorale e un’accurata gestione dell’emodinamica costituiscono quasi sempre il fulcro di tali provvedimenti.

La figura successiva (Figura 4) riassume le tecniche attualmente in uso e il loro razionale di impiego.

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Figura 4 Tecniche di prevenzione dell'ischemia midollare nel trattamento della patologia aortica e loro razionale di impiego. Miller LK, Patel VI, Wagener G. Spinal Cord Protection for Thoracoabdominal Aortic Surgery.

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Impiego del drenaggio liquorale nella prevenzione dell’ischemia midollare

Razionale d’impiego ed evidenze cliniche del drenaggio liquorale

L’utilizzo della deliquorazione nella prevenzione dell’ischemia midollare nel trattamento degli aneurismi dell’aorta addominale e toraco-addominale trova il suo razionale nella definizione di perfusione midollare:

SCPP = MAP - CSFP

SCPP = Pressione di perfusione del midollo spinale MAP = Pressione arteriosa media

CSFP = Pressione del liquido cerebrospinale

Pertanto la diminuzione della pressione del liquor determina un aumento della pressione di perfusione del midollo spinale. 22

I primi studi volti a spiegare l’eziopatogenesi della paraplegia nella chirurgia dell’aorta e la sua correlazione con la pressione liquorale erano già stati pubblicati da Baisdell et al. nel 1962, a seguito di osservazioni effettuate su animali.

Successivamente studi effettuati sui cani hanno confermato che dopo il clampaggio aortico, si verifica un cambiamento nel flusso ematico del midollo spinale, in particolare nel tratto toraco-lombare. Bower et al. hanno concluso che l’impiego del drenaggio del liquido cefalorachidiano nel corso di clampaggio aortico contribuisce a mantenere la perfusione del midollo spinale, migliorando l’outcome neurologico.23 Coselli et al. in uno studio randomizzato condotto su 145 pazienti sottoposti a intervento di aneurismectomia per TAAA tipo I e tipo II, hanno osservato una riduzione del rischio relativo di sviluppo di deficit neurologici postoperatori. In particolare il gruppo sottoposto a derivazione liquorale esterna ha riportato un’incidenza di paraplegia pari al 2.6%, nel gruppo di controllo il 13% dei pazienti ha sviluppato paraparesi o paraplegia.24 I pazienti arruolati possedevano caratteristiche preoperatorie simili e il rischio complessivo di deficit neurologico, calcolato sul modello proposto da Acher et al.25, risultava simile nei due gruppi. Inoltre non sono state evidenziate differenze significative rispetto a variabili intraoperatorie quali il

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tempo di clampaggio aortico, il ricorso a bypass cuore sinistro, il reimpianto delle arterie intercostali.

Ad oggi l’efficacia del drenaggio liquorale per la prevenzione del deficit neurologico nell’ambito del trattamento chirurgico degli aneurismi dell’aorta toracica e toraco- addominale risulta confermata da trial randomizzati e da studi di coorte effettuati presso centri di esperienza.26

Le attuali linee guida ESC raccomandano l’impiego del drenaggio liquorale con raccomandazione di classe I, livello di evidenza B. Il rischio di paraplegia insorta in seguito a chirurgia dell’aorta toraco-addominale è stimata al 6-8%.6

Nell’ambito del trattamento endovascolare della patologia aneurismatica le evidenze in merito all’efficacia del posizionamento di una derivazione liquorale esterna sono inferiori rispetto all’impiego nella chirurgia open.

Il trattamento endovascolare è associato a una riduzione della mortalità e della morbidità rispetto al trattamento chirurgico. Il rischio di paraparesi/paraplegia nei TEVAR si attesta tra 0.8-1.9%6, significativamente inferiore rispetto alla procedura chirurgica. L’appropriatezza del posizionamento del drenaggio liquorale deve essere attentamente valutata in relazione ai fattori di rischio del singolo paziente e alle caratteristiche della procedura.

Le Linee guida ESC per il trattamento della patologia aortica sottolineano il potenziale beneficio dell’impiego preventivo del drenaggio liquorale nei pazienti ad alto rischio, in virtù della dimostrata efficacia di protezione del midollo spinale durante la chirurgia open (classe IIa, livello di evidenza C). Viene inoltre ribadita la necessità di evitare episodi ipotensivi in sede intraoperatoria al fine di mantenere un’adeguata perfusione midollare.

In caso di comparsa di deficit neurologici è indicato il posizionamento immediato del catetere spinale e l’avvio del drenaggio liquorale, associato all’impiego di farmaci vasoattivi al fine di mantenere la pressione arteriosa media > 90 mmHg6.

Miller et al.5 in un recente articolo pubblicato sul Journal of Cardiothoracic and Vascular Anesthesia, sottolineano l’ampia variabilità di incidenza di ischemia midollare nei pazienti sottoposti a TEVAR, che in media si attesta al 2.2% ma che può variare dal 0.3% al 21%. L’estensione della lesione e la sua localizzazione sembrano

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essere correlate all’estrema variabilità. Vengono riconosciuti come pazienti ad alto rischio i malati che presentino concomitante presenza di aneurisma dell’aorta addominale o patologie delle arterie lombari, in particolare i pazienti portatori di aneurisma di tipo II e tipo IV. In tale contesto viene suggerito un approccio staged nel trattamento endovascolare, allo scopo di garantire l’efficace sviluppo di circoli collaterali.

Il rischio di ischemia midollare è superiore nel trattamento degli aneurismi dell’aorta toraco-addominale rispetto al trattamento degli aneurismi che coinvolgono solamente l’aorta toracica discendente, in conseguenza della maggior estensione del segmento aortico protesizzato (Figura 5). La metanalisi condotta da Gaudino, Khan et al.27 mostra che i pazienti a maggior rischio di sviluppare ischemia midollare con danno neurologico permanente sono i portatori di aneurisma di tipo II (15%), tipo III e V (7%) (p < 0.001).

Pertanto, nonostante la metanalisi non sia riuscita a dimostrare l’effetto protettivo dell’impiego del drenaggio liquorale in profilassi, il suo utilizzo rimane fortemente raccomandato nei pazienti ad alto rischio. È necessario quindi sottolineare che i criteri per individuare i pazienti ad alto rischio variano nei differenti centri. Oltre a quelli precedentemente elencati, possono essere annoverati fra tali criteri anche una copertura estesa dell’aorta > 15 cm, compromissione dei circoli collaterali spinali, occlusione dell’arteria succlavia o vertebrale senza rivascolarizzazione, occlusione delle arterie iliache interne, precedente chirurgia aortica5.

Figura 5 Classificazione secondo Crawford degli aneurismi aortici. Safi HJ, Miller CC, Huynh TTT, et al. Distal Aortic Perfusion and Cerebrospinal Fluid Drainage for Thoracoabdominal and Descending Thoracic Aortic Repair: Ten Years of Organ Protection. Ann Surg.

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L’impiego del drenaggio liquorale è fra le tecniche di prevenzione dell’ischemia midollare più studiate, quasi sempre in associazione al mantenimento di PAM elevate5. I protocolli di gestione del drenaggio liquorale differiscono per ogni Centro di riferimento.

Il drenaggio liquorale può essere posizionato in fase preoperatoria con funzione di profilassi dell’ischemia midollare. Il catetere viene quindi rimosso dopo circa 48 ore dall’intervento in assenza di deficit neurologici subentranti. Il drenaggio può essere continuato per tempi superiori in caso di comparsa di deficit.

Il posizionamento del drenaggio liquorale può avvenire anche in fase postoperatoria con finalità terapeutiche nei pazienti che sviluppino ischemia midollare successivamente alla procedura endovascolare.

Le Linee guida pubblicate dalla European Association for Cardio-Thoracic Surgery e dalla European Society for Vascular Surgery raccomandano l’impiego selettivo del drenaggio liquorale nei pazienti che manifestino ischemia midollare post-operatoria, sia a seguito di procedura chirurgica sia di trattamento endovascolare dell’aorta toracica o toracoaddominale (Classe I)28. Negli studi presi in considerazione nel lavoro condotto da Chan et al. 28 l’impiego selettivo del drenaggio liquorale ha condotto a una completa risoluzione o a un miglioramento dei sintomi in una percentuale compresa fra il 15% e il 50% nei pazienti con paraplegia e fino al 60% nei pazienti con paraparesi (Figura 6).

Figura 6 Impiego selettivo del drenaggio liquorale in pazienti sottoposti a TEVAR. Chan CH, Desai SR, Hwang NC. Cerebrospinal Fluid Drains: Risks in Contemporary Clinical

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Alla luce delle incerte evidenze in letteratura, l’impiego del drenaggio liquorale, che rappresenta una tecnica invasiva e non priva di potenziali complicanze peri e post procedurali come di seguito illustrato, deve essere attentamente valutato in relazione al rapporto costo-beneficio per il singolo paziente.

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Tecnica di posizionamento del drenaggio liquorale

Il drenaggio liquorale lombare viene posizionato con tecnica simile all’anestesia epidurale ma si differenzia da quest’ultima poi si conclude con l’accesso allo spazio subaracnoideo.

Il posizionamento del drenaggio liquorale viene eseguito dall’equipe anestesiologica in fase peri-operatoria. Il paziente può essere sveglio oppure può essere stato precedentemente sottoposto a preanestesia. Eseguire la manovra sul paziente sveglio consente di monitorare durante l’inserimento dell’ago e il posizionamento del catetere la comparsa di dolore ed eventuali sintomi neurologici, quali le disestesie, al fine di minimizzare il rischio potenziale di danno neurologico.

Il paziente viene posto in decubito laterale o seduto. La posizione seduta, con la testa e la schiena piegate in avanti, consente una miglior visualizzazione dei punti di repere anatomici e facilita l’accesso mediano allo spazio intervertebrale. In tal modo viene ridotto anche il rischio di puntura venosa del plesso epidurale, situato in sede paramediana. Il decubito laterale determina invece una riduzione della pressione idrostatica del liquor, che fisiologicamente aumenta in senso cranio-caudale; pertanto limitando la quantità di liquor che fuoriesce al momento della puntura, si riduce il possibile rischio di incuneamento delle tonsille cerebellari conseguente a una deliquorazione rapida e abbondante.

L’inserimento del drenaggio liquorale avviene nello spazio intervertebrale L3-L4 o L4-L5, in corrispondenza della linea che unisce le creste iliache. Nella scelta dello spazio intervertebrale è necessario considerare l’estensione del midollo spinale, che termina generalmente sopra L2.

Il posizionamento del drenaggio liquorale viene effettuato con tecnica sterile, mediante disinfezione della cute e preparazione del campo sterile. Viene quindi eseguita l’anestesia locale. Si procede all’inserimento dell’ago di Tuohy 14G fino al raggiungimento dello spazio subaracnoideo, testimoniato dalla fuoriuscita di liquor.

In alternativa, qualora venga impiegata la tecnica con utilizzo di una siringa contente salina sterile, il raggiungimento dello spazio epidurale è testimoniato dalla perdita di resistenza. Viene quindi rimossa la siringa e l’ago di Tuohy viene fatto avanzare delicatamente attraverso la dura madre fino allo spazio subaracnoideo.

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Successivamente viene inserito un catetere multiforato elastico e viene fatto avanzare per 5-10 cm. Se il posizionamento del catetere non risulta possibile, l’ago e il catetere devono essere estratti insieme, al fine di non danneggiare il catetere stesso.

L’avanzamento deve avvenire senza incontrare resistenza. In caso di comparsa di parestesie o dolore è necessario interrompere la manovra e retrarre il catetere fino alla scomparsa dei sintomi. In alcuni studi il catetere è stato inserito per una lunghezza maggiore, fino a 20 cm, in tal modo è possibile ridurre il rischio di dislocazione in seguito ai movimenti del paziente. Tuttavia l’inserimento nello spazio subaracnoideo di una porzione di catetere maggiore può aumentare il rischio di danno neurologico.

La pervietà del catetere viene quindi verificata mediante lavaggio con 10 ml di soluzione fisiologica.

Tramite una medicazione il catetere viene fissato alla schiena del paziente per il primo tratto; l’estremità libera viene raccordata al sistema di trasduzione del segnale per il monitoraggio della pressione del liquido cefalorachidiano e alla sacca di raccolta del liquor drenato.

Se a fine procedura il paziente è ancora intubato e sedato è opportuno procedere quanto prima all’esecuzione di una finestra neurologica per valutare le condizioni del paziente. Se il paziente viene risvegliato al termine dell’intervento la valutazione neurologica avviene precocemente permettendo l’identificazione tempestiva di eventuali deficit neurologici.

Al termine dell’intervento il paziente viene trasferito nell’Unità di terapia Intensiva Cardiovascolare al fine di proseguire il monitoraggio.

Il drenaggio viene mantenuto attivo per almeno 24 ore. Se il paziente rimane asintomatico e non vi sono alterazioni della coagulazione, il drenaggio viene rimosso dopo 48-72 ore dall’intervento. Se compaiono sintomi neurologici correlati a ischemia midollare o alterazioni della coagulazione il drenaggio viene mantenuto in sede nel periodo postoperatorio fino a 7 giorni29.

I parametri impiegati per valutare la deliquorazione prevedono di norma che la pressione liquorale sia mantenuta inferiore a 10 mmHg. Inoltre la velocità di drenaggio non deve superare i 20 ml/ora, al fine di ridurre le complicanze connesse a una deliquorazione rapida e abbondante, con diminuzione eccessiva della pressione del liquor e conseguente rischio di emorragia cerebrale. Esistono tuttavia alcune variazioni

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nei protocolli adottati dalle singole istituzioni. La European Association for Cardio- Thoracic Surgery e la European Society for Vascular Surgery30 nel 2019 hanno pubblicato un Consensus che prevede un target di pressione liquorale pari a 10-12 mmHg se non vi è evidenza di ischemia midollare. Il drenaggio deve sempre avvenire lentamente e sono sconsigliati prelievi in bolo di liquido cefalorachidiano. In presenza di ischemia midollare il target di pressione liquorale scende a 8-10 mmHg, con deliquorazione non superiore a 40 ml/4 ore. A fronte di protocolli che prevedono un target inferiore di pressione liquorale e volumi più grandi di sottrazione di liquor viene evidenziato il maggior rischio di ipotensione liquorale e danno cerebrale.

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Controindicazioni al posizionamento di drenaggio liquorale

La valutazione preoperatoria del paziente da sottoporre a drenaggio liquorale prende in esame la storia clinica del paziente e la terapia in corso31 .

Particolare attenzione deve essere prestata al riscontro in anamnesi di emorragia subaracnoidea, emorragia intracranica, stroke, leak di liquido cefalorachidiano, trauma cranico, interventi neurochirurgici pregressi.

Il riscontro di ipertensione endocranica e masse intracraniche rappresenta una controindicazione poiché la riduzione della pressione endocranica indotta dalla deliquorazione può causare l’incuneamento delle tonsille cerebellari.

La presenza di malformazioni artero-venose e aneurismi cerebrali costituisce una controindicazione relativa al posizionamento del drenaggio, poiché un’eccessiva riduzione della pressione del liquor può determinare la rottura dei vasi.

Riveste notevole importanza la valutazione dell’assetto coagulativo del paziente. È utile ricercare in anamnesi la presenza di patologie che possono causare coagulopatia.

Tra queste figurano patologie epatiche, renali, disordini ematologici e neoplasie31. L’assunzione di terapia antiaggregante o anticoagulante deve essere attentamente valutata e gestita. Le alterazioni dell’assetto coagulativo devono essere trattate anche in previsione della rimozione del drenaggio32. In merito al posizionamento e alla gestione del drenaggio liquorale in pazienti con alterazioni della coagulazione secondarie all’assunzione di terapia farmacologia si fa riferimento alle Linee guida ASRA sull’esecuzione di tecniche di anestesia neuroassiale in tale ambito. Il rischio di ematoma spinale rappresenta un’evenienza rara ma gravata da un considerevole aumento della morbilità e delle mortalità.

La valutazione anestesiologica del paziente prosegue quindi con l’esame obiettivo, la rilevazione dei parametri vitali, la valutazione degli esami ematochimici e di imaging.

L’esame obiettivo permette la rilevazione di condizione patologiche che non consentono l’esecuzione della procedura, in particolare la presenza all’esame obiettivo di processi infettivi a carico della sede di inserimento del drenaggio rappresenta una controindicazione31.

L’esecuzione dell’esame neurologico è utile nella valutazione di deficit neurologici preesistenti, al fine di inquadrare correttamente la comparsa di sintomi neurologici in

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sede intra e post-operatoria. Devono essere valutati lo stato di coscienza e la presenza o assenza di deficit neurologici.

La valutazione dei parametri vitali include SpO2, pressione arteriosa, pressione arteriosa media, insieme all’osservazione di variazioni dei valori di PO2, PCO2, EtCO2.

Gli esami ematochimici preoperatori includono l’emocromo per la valutazione della conta cellulare, INR e aPTT per il profilo coagulativo. Le Linee guida32 prevedono una conta piastrinica superiore a 100.000/dl, INR <1.4, aPTT nella norma. L'INR è un parametro correlato ai fattori VII e X della coagulazione. Un INR di 1,5 è associato a un'attività del fattore VII del 40%. Pertanto si ritiene che un INR < 1,5 sia associato a una coagulazione nella norma. INR ≤ 1,4 in pazienti che non assumono Warfarin corrisponde a non aumentato rischio di sanguinamento spinale32.

L'insorgenza di ematoma spinale dopo la rimozione del catetere ha portato alla raccomandazione che le stesse Linee guida dovrebbe essere applicate non solo al posizionamento ma anche alla rimozione del catetere epidurale.

Figura 7 Valutazione preoperatoria del paziente da sottoporre a drenaggio liquorale. Lele A V., Hoefnagel AL, Schloemerkemper N, et al. Perioperative management of adult patients with external ventricular and lumbar drains: Guidelines from the society for neuroscience in anesthesiology and critical care

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