Indice
1 Binarie coalescenti 8
1.1 Formazione di sistemi binari . . . . 8
1.2 Evoluzione . . . . 10
1.2.1 Cenni sull’evoluzione di una singola stella . . . . 10
1.2.2 Evoluzione di un sistema binario . . . . 14
1.2.3 Evoluzione all’interno di un ammasso . . . . 24
1.3 Irraggiamento gravitazionale . . . . 27
1.3.1 Un po’ di storia...PSR B1916+13 . . . . 27
1.3.2 Forma del segnale . . . . 29
1.3.3 Approssimazioni successive . . . . 33
1.3.4 Tassi di coalescenze . . . . 35
1
Introduzione
Questo lavoro si ripropone di analizzare i metodi per l’analisi dei dati provenienti da interferometri gravitazionali operanti simultaneamente in cerca di segnali emes- si da sistemi binari di oggetti compatti, al fine di facilitare la scelta della procedura ottimale. L’elaborazione di una strategia per l’analisi di dati gravitazionali è impor- tante sia dal punto di vista della Relatività Generale, che riscontrerebbe un’ulteriore conferma, che dal punto di vista dell’Astrofisica: si aprirebbe infatti un nuovo ca- nale osservativo, oltre a quelli elettromagnetico e dei neutrini, tra l’altro in molti casi complementare al primo, considerato che gli oggetti compatti sono per lo più invisibili per via elettromagnetica, a parte le pulsar. In particolar modo i sistemi binari potrebbero essere usati come candele standard per la misurazione di distanze astronomiche.
La tesi è suddivisa in quattro parti, strutturate nel modo seguente:
Il primo capitolo è dedicato alle sorgenti, delle quali viene fornita una breve evoluzione in cui sono descritti i processi che portano alla formazione di sistemi binari compatti. Questi sono oggetti interessanti per la rivelazione in quanto hanno un quadrupolo gravitazionale che varia nel tempo, perciò sono destinati alla perdita di energia sotto forma di irraggiamento gravitazionale. Un contributo rilevante al bilancio energetico del sistema, tale da farne restringere sempre di più la propria orbita fino alla coalescenza delle due stelle in tempi minori dell’età dell’Universo, è possibile soltanto per oggetti molto compatti, quali le stelle di neutroni o i buchi neri. Viene poi analizzata la forma del segnale gravitazionale, prevista dalla teoria della Relatività Generale, e facilmente riconoscibile per la sua peculiarità di avere frequenza ed ampiezza crescenti nel tempo; essa è conosciuta con buona approssi- mazione e questo consente di determinare con accuratezza i parametri del sistema
2
una volta trovato un segnale.
Il capitolo successivo si occupa del metodo di rivelazione delle onde gravita- zionali, la cui principale difficoltà è data dall’effetto che queste hanno sui corpi:
sono infatti perturbazioni della metrica che al proprio passaggio producono del- le forze di marea oscillanti, per cui gli oggetti vengono deformati e le distanze tra i corpi modificate. I rivelatori interferometrici, dei quali viene riportata una breve descrizione, basano il loro funzionamento proprio su quest’ultima conse- guenza, sfruttando l’ulteriore caratteristica delle onde di avere due polarizzazioni sfasate tra loro di π4, il che raddoppia l’effetto della deformazione agendo in modo opposto su due direzioni ortogonali, che risulteranno l’una dilatata, l’altra contrat- ta di un fattore proporzionale alla lunghezza originaria ed all’ampiezza dell’onda (estremamente piccola, dell’ordine di 10 22nelle circostanze più favorevoli).
Segue una parte relativa all’introduzione dell’analisi dei dati, per la quale il me- todo più efficace, vista la forte presenza di rumore, risulta il filtro adattato, una tec- nica che permette di correlare i dati con un determinato modello teorico di segna- le, sostanzialmente “facendolo scorrere” sulla sequenza temporale in uscita dallo strumento, e variandone i parametri sino a trovare quello che più approssima l’e- ventuale segnale presente. Utilizzando un singolo rivelatore, però, la probabilità di falsi allarmi non è una quantità trascurabile, ed inoltre non è possibile identificare completamente la sorgente che emette, determinandone i parametri fondamentali che la caratterizzano, tra i quali la distanza dall’osservatore, le masse delle stelle, la loro separazione, e la posizione della sorgente nel cielo. Viene quindi descrit- to lo scenario osservativo che si presenta avendo a disposizione più interferometri distribuiti in vari punti della superficie terrestre, per mezzo dei quali è possibile effettuare una ricerca più precisa, sia dal punto di vista dell’aumento del rapporto segnale-rumore complessivo, che da quello della determinazione dei parametri.
Il capitolo segue con l’introduzione e la descrizione delle due tecniche di ana- lisi più efficienti: quella in coincidenza e quella coerente. Nella prima ciascun rivelatore analizza i propri dati in cerca di segnali con il metodo del filtro adatta- to, e compila una lista di eventi candidati; le liste vengono confrontate per trovare delle coincidenze: eventi di forma e ampiezza ragionevolmente simili e con gli op- portuni ritardi dovuti alle posizioni relative. Questa procedura raffina la ricerca, in quanto tende a ridurre sensibilmente il numero di falsi allarmi.
Il metodo coerente invece consiste nel considerare la rete come un unico ri- velatore posto in posizione opportuna, una sorta di sistema di centro di massa, e sommare coerentemente i contributi di ciascuno strumento, pesati con la propria sensibilità ed orientazione. I vantaggi di questa procedura sono l’aumento del- la sensibilità della rete rispetto a quella di un singolo rivelatore, con conseguente crescita significativa del rapporto segnale-rumore. Quest’ultima quantità è lega- ta all’energia accessibile ad uno strumento, e dato che essa diminuisce al crescere della distanza, l’utilizzo di una rete permetterebbe l’ allargarsi dell’orizzonte osser- vabile per via gravitazionale. L’unico inconveniente è che non è adatto situazioni in cui il rumore non sia totalmente gaussiano.
Introdotte tutte le quantità teoriche necessarie, il quarto capitolo è dedicato alla descrizione del lavoro effettuato, che consiste in un parallelo tra i due metodi per una rete composta da Virgo e dai tre LIGO, e per una dei rispettivi interferometri perfezionati che entreranno in funzione alcuni anni dopo i primi, Virgo advan- ced ed i LIGO advanced; il programma elaborato mediante Mathematica permette comunque di cambiare i componenti della rete a seconda delle esigenze.
La quantità rilevante per il paragone è la probabilità di rivelazione come fun- zione della distanza, che è una stima dell’ orizzonte osservabile per ogni coppia di masse delle stelle, una volta fissata la soglia di probabilità a partire dalla quale si ritiene significativa la presenza di un evento rispetto ai falsi allarmi. In prima ap- prossimazione non ci sono direzioni privilegiate nel cielo per la ricerca di binarie coalescenti -in realtà non è proprio così, infatti l’omogeneità dell’Universo è tale solo su larga scala, per distanze dell’ordine delle decine di Megaparsec non è più valida, ed inizia ad essere determinante la presenza di strutture- per cui le simula- zioni sono state fatte creando artificialmente gli eventi con il metodo Monte Carlo per i quattro parametri angolari (posizione, polarizzazione dell’onda e inclinazione dell’orbita rispetto al piano di vista).
I calcoli delle probabilità di rivelazione sono stati effettuati nell’ipotesi di ru- more completamente gaussiano, e la procedura di analisi ottimale è risultata quella coerente, che permette di allargare visibilmente l’orizzonte gravitazionale. Tuttavia la presenza di contributi non gaussiani al rumore non è trascurabile, ed il metodo coerente non permette di filtrare i falsi allarmi causati da questi eventi. Il metodo della ricerca in coincidenza risulta invece un buon compromesso: permette infatti
di raggiungere distanze sufficientemente grandi (con una riduzione di circa il 25%
rispetto al caso coerente), e al tempo stesso elimina sensibilmente il numero di falsi allarmi. A tale scopo sono stati effettuati due diversi filtraggi, il primo che sele- zionasse gli eventi compatibili ad almeno due rivelatori, ed un secondo, più rigido, che considerasse unicamente le coincidenze di tre strumenti, in modo da eliminare il più possibile gli eventi che non provengano da sorgenti gravitazionali.
Lo studio effettuato, utilizzando il metodo Monte Carlo con formule analitiche, permette di stimare la sensibilità di una rete di rivelatori in diverse condizioni di utilizzo. Il passo successivo sarà l’implementazione dei metodi di analisi affinché possano venire applicati ai dati reali.
Le onde gravitazionali
Le equazioni di Einstein legano la forma dello spazio-tempo alla distribuzione di materia ed energia all’interno di esso. Sono 10 equazioni differenziali del secon- do ordine nella metrica, non lineari e non linearmente indipendenti (quest’ultima caratteristica esprime l’invarianza della fisica sotto cambiamento di sistema di ri- ferimento), per cui nella maggior parte dei casi non si trovano soluzioni esatte, ma approssimate.
Nel vuoto, e ad una distanza da una distribuzione di massa sufficiente affinché lo spazio-tempo possa essere considerato piatto trascurando l’eventuale curvatu- ra dell’Universo, è possibile linearizzare le equazioni e calcolare gli effetti della sorgente come una perturbazione allo spazio piatto minkowskiano:
gαβ ηαβ hαβ (1)
con hαβ 1. Le equazioni linearizzate risultano:
hαβ 0 (2)
che ricordano molto le equazioni di Maxwell, anche nelle soluzioni:
hαβ aαβexpikλxλ (3) dove aαβ in un particolare sistema di coordinate detto trasverso a traccia nulla
6
assume la forma:
a A
0 0 0 0
0 1 0 0
0 0 1 0
0 0 0 0
ax A
0 0 0 0 0 0 1 0 0 1 0 0 0 0 0 0
(4)
Ovvero onde piane monocromatiche con due diverse polarizzazioni, che si propa- gano nello spazio (la parte temporale è nulla) alla velocità della luce. Le due po- larizzazioni presentano uno sfasamento relativo di 45 , il che, come sarà illustrato avanti, comporta un diverso effetto osservabile su due direzioni ortogonali.
Per stimare l’ordine di grandezza dell’ampiezza A, è necessario soffermarsi sulle caratteristiche di una sorgente di questo tipo di onde. Anche nel caso gravi- tazionale, come in quello elettromagnetico, è possibile introdurre uno sviluppo in multipoli, che è valido data la grande distanza dei generatori. Il primo termine non nullo, però, non è quello di dipolo, in quanto ¨p ∑amar¨a 0 per la conservazione della quantità di moto, ed analogamente ¨µ 2c1 ∑amad2
dt2
ra
va 0 per la con- servazione del momento angolare. Resta quindi soltanto il termine di quadrupolo, la cui definizione è
Qi j ∑
a ma xiaxaj 1
3ra2δi j (5)
che dà una luminosità gravitazionale, ossia una potenza irraggiata pari a:
Lgrav G 5c5
...Qi j...
Qi j (6)
è necessario osservare che 5cG5
1410 59ergs 1!
Risulta per questo evidente che soltanto sorgenti con un’ enorme derivata terza del momento di quadrupolo possano essere osservabili, e che quindi i candidati debbano essere oggetti astrofisici molto compatti ed in moto con grandi velocità:
pulsar o buchi neri con qualche asimmetria che ruotino vorticosamente, stelle che collassino in modo anisotropo, oppure sistemi binari molto stretti di buchi neri o stelle di neutroni.
Binarie coalescenti
1.1 Formazione di sistemi binari
Circa la metà delle stelle attualmente catalogate appartiene ad un sistema bina- rio, una configurazione fortemente favorita dai processi di formazione stellare. Le condizioni ideali per la nascita e lo sviluppo degli embrioni si creano nelle nubi molecolari, composte di materia interstellare (prevalentemente idrogeno neutro) estremamente rarefatta, a temperature dell’ordine delle decine di gradi Kelvin. Nel cercare la sua configurazione di equilibrio, la nube comincia a collassare, in parte frenata dalla rotazione, o dall’eventuale presenza di campi magnetici. Il collasso si interrompe quando gli urti tra le particelle iniziano ad essere significativi, tali cioè da contrastare l’energia gravitazionale della nube stessa. In questa fase nascono le protostelle, frammenti di gas autogravitanti di densità intorno ai 102 103gcm 3. In assenza di moti rotatori la materia si aggregherebbe in forma sferica, guidata dalla ricerca di stabilità, ma in seguito alla frammentazione il momento angolare della nube viene spartito tra le sue componenti, ed è necessario tenere conto della rotazione. Per fluidi lievemente rotanti la configurazione di equilibrio è un ellis- soide biassiale, al crescere del rapporto tra energia cinetica e gravitazionale le pro- tostelle percorrono idealmente la cosiddetta sequenza di Mc Laurin, dopodiché la struttura che minimizza l’energia diventa un ellissoide triassiale sempre più distorto all’aumentare della rotazione (sequenza di Iacobi), sino a raggiungere la forma di
”manubrio”, progenitrice di un sistema binario [16].
8
Dalla crisalide della nube si è formato un protoammasso stellare, che evolverà con tempi caratteristici termodinamici per raggiungere l’equilibrio in quanto gas di stelle (gli ammassi globulari che osserviamo oggi, “vecchi” circa 1010anni), mentre ciascuna delle componenti, singole stelle o sistemi binari, progredirà con tempi caratteristici dell’evoluzione stellare.
Nei processi di assestamento dell’ammasso, che da ”aperto”, senza una forma definita, assumerà un aspetto sferico, saranno importanti le interazioni tra le stelle, che potranno portare alla formazione di nuovi sistemi binari, o alla modifica sostanziale di alcuni di essi.
1.2 Evoluzione
1.2.1 Cenni sull’evoluzione di una singola stella
Una volta emersa la sua figura all’interno della nube, la protostella prosegue il suo collasso verso la stabilità, che viene raggiunta con l’innesco delle reazioni di fusione. Non appena queste sono in grado di sorreggere completamente la stella garantendone l’equilibrio idrostatico ed energetico, essa può “entrare” nella se- quenza principale del diagramma H-R della luminosità in funzione della temper- atura. Le equazioni che descrivono ad ogni istante della sua vita la condizione della stella sono le seguenti [15]:
dPr dr
GMr
r2 ρr (1.1)
dMr dr
4πr2ρr (1.2)
dLr dr
4πr2ρr ε (1.3)
dT dr
3kρr! 4acT3
Lr!
4πr2 trasporto radiativo
"
adT r! Pr! dPr!
dr trasporto convettivo adiabatico (interni stellari)
" T r!
Pr! dPr!
dr trasporto convettivo superadiabatico (superficie)
(1.4)
La prima governa l’equilibrio idrostatico, la seconda esprime la relazione che lega massa e densità di materia, la successiva altro non è che la conservazione dell’energia, doveε è la quantità di energia prodotta per unità di tempo e di massa;
la quarta equazione, infine, determina il gradiente di temperatura in funzione del
raggio per i vari meccanismi di trasporto di energia all’interno della stella nell’approssimazione di radiazione di corpo nero. Il primo ad essere messo in moto è il trasporto radia-
tivo, legato al moto dei fotoni che si diffondono dalle zone più calde a quelle più fredde. Quando però i flussi di energia da trasportare sono troppo elevati la ma- teria non è in grado di reggere gradienti di temperatura arbitrariamente grandi, di- viene meccanicamente instabile e si instaurano i moti convettivi. Questi ultimi consistono in veri e propri spostamenti di elementi di materia stellare che non trovandosi più in equilibrio termodinamico con l’ambiente circostante, si spostano
trasportando così energia da un punto all’altro della stella. Lo stesso avverrà se la materia ha un’elavata opacità (k), che come è possibile vedere dall’espressione per il trasporto radiativo ha lo stesso effetto di un grande flusso di energia per il gradiente di temperatura.
L’integrazione delle quattro equazioni per l’equilibrio stellare richiede, oltre alla definizione di adeguate condizioni al contorno, la conoscenza di altre tre re- lazioni, nelle quali è contenuta la “microfisica” di una struttura stellare:
1. l’equazione di stato della materia che la costituisce;
2. l’espressione per la produzione di energia (per unità di tempo e di massa) come funzione delle grandezze fisiche locali quali la densità, la temperatura, la composizione chimica...
3. per il trasporto radiativo e conduttivo del calore, l’opacità della materia stel- lare.
La massa influenza pesantemente la vita del corpo autogravitante [6], infatti già dall’instaurarsi della fusione di idrogeno si creano due classi distinte di stelle, che differiscono anche morfologicamente: quelle più piccole, dette di sequenza prin- cipale inferiore (fino a 1 2M# ), che bruciano idrogeno tramite la catena protone- protone, e sono caratterizzate da un nucleo radiativo, dove avvengono le reazioni, circondato da un inviluppo convettivo inerte; e quelle di massa maggiore, in grado di raggiungere temperature centrali maggiori, tali da far risultare più efficiente la fusione tramite il ciclo CNO (che sostanzialmente utilizza i tre elementi pesanti come catalizzatori), e che a causa delle elevate temperature, hanno il centro con- vettivo, mentre l’inviluppo esterno è radiativo.
Le distinzioni tra stelle di massa diversa si fanno sempre più nette col passare del tempo, all’esaurimento del primo combustibile al centro, infatti, ogni stella in- nesca la fusione di idrogeno in uno strato più esterno, sprigionando un’energia tale da doversi espandere sino a 10 volte le sue dimensioni iniziali per poter ristabilire l’equilibrio (fase di gigante rossa). Quando anche questo strato diviene inerte la stella è costretta a contrarsi fino al raggiungimento, nel nucleo, delle condizioni di pressione e temperatura necessarie all’innesco della fusione dell’elio, ma ciò
avviene soltanto per masse sufficientemente grandi, con un nucleo di elio di al- meno 0$5M# . Le stelline meno massicce (M 05% 08M# ) invece non riescono a raggiungere tali temperature, e sono costrette a contrarsi ulteriormente sino a che la materia non diventa degenere (ρ& 106gcm 3). A questo punto la contrazione si arresta, contrastata dalla pressione del gas di elettroni; nasce così una nana bianca, un oggetto denso e compatto destinato allo spegnimento perenne.
Per le stelle in grado di bruciare elio, il procedimento a fisarmonica continua con combustibili man mano più pesanti, mentre la massa compie la sua selezione naturale ad ogni ciclo, creando nane bianche di carbonio-ossigeno, e nel caso di stelle più massicce, esplosioni di supernovae. Più in dettaglio, al momento in cui il nucleo è composto di carbonio ed ossigeno ed anche lo strato in cui bruciava elio si è spento, le stelle meno massicce si contraggono per raggiungere le condizioni di innesco della fusione di C. La contrazione fa sì che la materia del nucleo degeneri, e che l’innesco della fusione avvenga in modo violento, si ha un’esplosione che espelle tutti gli strati esterni della stella e sprigiona energie elevatissime, di lumi- nosità dell’ordine di 1010soli (supernova da deflagrazione del carbonio). Il nucleo rimanente si spegne come nana bianca di ossigeno e neon.
Le stelle di massa maggiore innescano pacificamente la fusione, senza dover contrarre il nucleo, e procedono con la sintesi degli elementi pesanti sino alla fine, ovvero fino a che questa è energeticamente conveniente. Il ferro è infatti l’ultimo prodotto di reazione per cui la fusione è un processo esoenergetico. Quando la stella giunge quindi ad avere un nucleo di ferro e nichel, l’unica chance di pro- durre energia è data dalla contrazione. La prima conseguenza è la degenerazione della materia nucleare, che però stavolta non basta ad arrestare il collasso, poiché la massa del nucleo residuo supera il limite di Chandrasekhar per un gas di elettroni degeneri (144M# ), e ad un certo punto pressione e temperatura raggiungono val- ori così elevati che inizia ad essere energeticamente possibile e sempre più favorita, la reazioneβ inversa:
p e(' n νe (1.5)
che dà il via al processo di neutronizzazione. Intanto nella parte più interna del nucleo, che collassa omologamente (secondo una legge del tipo rt αr0 ) a ve- locità subsonica, si crea un’onda d’urto causata dall’accensione di alcune reazioni
in ambiente degenere, questa si propaga attraverso la parte esterna che collassa invece a velocità supersonica ed in modo non omologo, e con una forte esplo- sione espelle tutti gli strati esterni della stella. Al contempo il nucleo, superstite all’esplosione, si neutronizza pressochè completamente, e a questo punto il des- tino della stella è segnato dalla propria massa: se questa aveva una massa iniziale nell’intervallo 8% 20M# , il prodotto della neutronizzazione, che è un gas di neu- troni degeneri, risulta una struttura autogravitante in grado di arrestare il collasso.
E’ nata una stella di neutroni, un oggetto estremamente denso (ρ) 109gcm 3) e compatto (R) 10km).
Per masse iniziali al di sopra delle 20M# 1dopo l’esplosione si ha una parziale ricaduta del materiale espulso sul nucleo, la cui quantità cresce linearmente con la massa della progenitrice. Il valore massimo della massa dei resti è di 3M# (una stella di neutroni vicina al suo limite di Chandrasekhar) e si raggiunge per una massa iniziale di 207M# . A partire da masse iniziali di circa 25M# c’è una leggera diminuzione ed un successivo appiattimento nella relazione che lega la massa dei resti a quella iniziale, ciò è dovuto al vento stellare, che diventa così efficace da spazzare via completamente gli strati più esterni di idrogeno. Al crescere della massa originaria, quindi, il vento solare agisce da catalizzatore inibitore all’effetto di ricaduta delle parti espulse, in quanto alleggerisce la stella prima dell’esplosione, rendendo la crescita della massa rimanente non più lineare rispetto a quella iniziale, ma più lenta.
Oggetti in origine più massicci di 42M# collassano direttamente a buchi neri allo spegnimento delle ultime reazioni, senza subire alcuna esplosione. Questa è una conseguenza della saturazione della ricaduta: a causa dell’enorme massa, infatti, tutta la materia espulsa dall’onda d’urto collassa inesorabilmente sul nucleo.
Stelle nate al di sopra delle 48M# raggiungono altissime luminosità ed attra- versano uno stadio in cui perdono massa ad una velocità molto alta, e questo ha due effetti che portano nella stessa direzione: in primo luogo, la perdita di massa aumenta se la stella è più massiccia, per cui le masse dei nuclei sono sempre più
1Purtroppo esistono ancora molte incertezze associate alla fisica dell’esplosione di una super- nova, a causa dei complicati meccanismi idrodinamici che avvengono durante il collasso del nucleo, per cui è possibile che usando diversi modelli vengano trovati risultati con differenze significative. Il modello di evoluzione stellare qui preso come riferimento è quello elaborato da Hurley, Pols e Tout [9].
piccole; inoltre per masse più grandi la fase di variabile blu luminosa ha inizio prima nella vita della stella, che viene privata di idrogeno, di conseguenza anche il nucleo di elio che si forma è più piccolo, e così il nucleo residuo. Per cui le stelle che attraversano la fase di variabile blu luminosa muoiono come quelle di massa minore, con un’esplosione di supernova e una parziale ricaduta di materia sul nu- cleo. Secondo il modello standard di vento stellare, il minimo nucleo si forma per una massa iniziale di 525M# , al di sopra della quale esso riprende la sua crescita con l’aumento della massa. Per masse iniziali superiori di 723M# , infine, si gene- ra nuovamente un buco nero tramite una ricaduta completa della materia espulsa, senza esplosioni.
Riassumendo brevemente, a seconda della massa le stelle hanno una diversa fine:
05% 08M#+* M* 8M# nana bianca, sopra la massa solare supernova da defla- grazione di carbonio, il cui nucleo diventa nana bianca
8M# * M * 20M# esplosione di supernova ed il nucleo rimanente (minore di 1,44 masse solari) è una stella di neutroni
20M# * M* 42M# esplosione di supernova con nucleo che collassa a buco nero 42M# * M* 48M# collasso a buco nero senza esplosione (il materiale ricade sul
nucleo)
48M# * M* 723M# esplosione di supernova con nucleo che collassa a buco nero
M* 723M# collasso a buco nero senza esplosione (il materiale ricade sul nu- cleo)
1.2.2 Evoluzione di un sistema binario
La vita di un sistema binario è fortemente condizionata dalla separazione iniziale tra le sue componenti. Se questa è elevata (dell’ordine di 105, 6R# ), è molto pro- babile che, a causa dell’interazione con le stelle “di campo” vicine nell’ammasso, il legame si sciolga prima che avvenga qualsiasi fenomeno evolutivo.
Se l’orbita è sufficientemente stretta da garantire l’esistenza del sistema stesso, ma ancora piuttosto larga, ciascuna stella non sarà influenzata dalla presenza della compagna, e procederà secondo l’evoluzione stellare standard per buona parte della sua vita, almeno fino allo spegnimento delle reazioni di entrambe le componenti.
In ogni caso le interazoni mareali tenderanno a stabilire la circolarizzazione dell’orbita, e la sincronizzazione tra periodo di rivoluzione e rotazione delle due stelle, stato di minima energia. Il secondo processo, tramite la cessione di momento angolare orbitale a quello rotazionale, ha come conseguenza il restringimento del sistema, e, a seconda della separazione iniziale, può essere determinante per la sua storia futura.
I meccanismi di circolarizzazione e sincronizzazione variano [9]: per sistemi molto eccentrici anche il vento stellare può contribuire, ma la forma di dissipazione più efficiente è legata alle forze mareali. Per stelle di sequenza principale inferio- re pare che la causa principale delle instabilità mareali sia la viscosità turblenta dell’inviluppo convettivo, fenomeno peraltro ancora poco conosciuto, mentre per masse più grandi le cause scatenanti sembrano le oscillazioni del campo mareale stesso.
I tempi caratteristici per la sincronizzazione e la circolarizzazione di stelle con inviluppi radiativi sono generalmente ordini di grandezza maggiori rispetto a quelli che caratterizzano l’equilibrio mareale delle stelle di sequenza principale superiore, tuttavia entrambi risultano molto inferiori rispetto ai tempi evolutivi di una stella, per cui è ragionevole considerarli fenomeni istantanei.
La circolarizzazione avviene quando le misure di una stella sono paragonabili con la separazione del sistema:
R1 - 02ap (1.6)
dove apè la distanza al periastro. Questa condizione è soddisfatta quando almeno una delle due componenti evolve oltre la sequenza principale, oppure per sistemi molto stretti. Non appena la relazione precedente è valida l’orbita si trasforma conservando il momento angolare fino a che la nuova distanza al periastro diviene pari a 5 raggi della stella più espansa, o fino alla circolarizzazione.
Se la separazione è minore di 104raggi solari si avranno interazioni e scambio
di massa tra le due componenti.
La presenza del sistema binario modifica lo spazio in sua prossimità, e nell’ap- prossimazione di meccanica newtoniana e di orbite circolari, il potenziale in un generico punto sarà dato da:
Vxyz Gm1
r1
Gm2
r2
ω2
2 . x m2
m1
m2a
2
y2/ (1.7) dove è stato scelto un sistema di riferimento corotante con il sistema stellare, con origine nella componente primaria, e la secondaria sull’asse x come schematizzato in figura.ω10 m1a 3m2 è la velocità angolare kepleriana di rivoluzione.
Sul piano dell’orbita le superfici equipotenziali hanno la forma mostrata nella figura seguente:
dove le due superfici chiuse tangenti in L1, punto singolare detto lagrangiano interno, sono i Lobi di Roche, buche di potenziale pertinenti al campo individuale di ciascuna stella, mentre i punti L2ed L3sono le porte attraverso cui il sistema più espellere materiale all’esterno.
Quando una delle componenti (generalmente la primaria, più massiva e di con- seguenza più veloce nella sua evoluzione) espande il proprio raggio oltre il lobo di Roche, inizierà a fluire materia verso la compagna attraverso L1. La risposta del sistema a un fenomeno di trasferimento di massa dipende dalle fasi evolutive e dalle masse delle due stelle, e gli scenari che si presentano a questo punto sono molteplici [2].
Trasferimento dinamicamente stabile non conservativo. Si ha quando il dona- tore è una stella di sequenza principale e l’accettore in uno stadio qualunque della sua evoluzione, oppure se il donatore è una gigante mentre la compagna non lo è, e vale la relazione:
mdon 2 crmacc (1.8)
con cr 25 o 1 a seconda dei casi.
Durante questa fase, parte della massa persa dalla primaria ( fa) è trasferita alla compagna, il resto viene perso dal sistema con un momento angolare specifico pari
a2π jaT 2 . La corrispondente separazione orbitale si modificherà secondo la formula:
af
ai
mfdon mfacc
midon miacc 3
mdonf midon4
2 j 1
exp
.
2 jmdonf midon miacc
/ (1.9)
per fa 0, mentre se è diverso da zero, si ha:
af
ai
mdonf maccf
midon miacc 3
mdonf midon4
2 j1 fa! 2
3
maccf
miacc
4
2faj 1 fa! 2
(1.10)
e maccf miacc famidon mdonf . Secondo il modello standard la metà della massa persa dalla primaria viene espulsa dal sistema, per cui j 1.
Il trasferimento di materia si interrompe quando per ciascuna componente il lobo di Roche torna ad essere più largo del raggio della stella. Per stelle pri- marie evolute oltre la sequenza principale, il modello assume che esse perdano completamente l’inviluppo e rimanga soltanto il nucleo di He o C-O.
Trasferimento di massa stabile conservativo. Questo caso è analogo al pre- cedente, con la condizione fa 1 che corrosponde ad un trasferimento di massa senza alcuna perdita da parte del sistema.
Trasferimento non stabile: inviluppo comune standard. Avviene quando la stella primaria è in fase di gigante, mentre la compagna può essere in sequenza principale, o una nana bianca, o anch’essa una gigante ricca di He e non viene soddisfatta la condizione 1.8. In queste condizioni il trasferimento non è stabile, e passa attraverso una fase di inviluppo comune, durante la quale entrambe le stelle riempiono il proprio lobo di Roche e necessariamente fluirà materia verso l’esterno tramite i punti lagrangiani secondari, a spese dell’energia orbitale del sistema, che di conseguenza diventerà molto stretto. La separazione finale può essere calcolata tramite la relazione:
αce
3
Gmdonf macc
2af
Gmidonmacc
2ai 4 Gmidonmdon5inv
λRdon5lr (1.11) dove mdon5invè la massa dell’inviluppo della stella primaria, Rdon5lril raggio del suo lobo di Roche,λ un parametro tale cheλ αce 1. Il membro a destra dell’equa-
zione rappresenta l’energia di legame dell’inviluppo della stella donatrice, mentre il lato destro esprime la differenza tra le energie orbitali finale e iniziale, edαce
l’efficienza con la quale il processo strappa via l’inviluppo alla stella.
Trasferimento non stabile: doppio inviluppo comune. Se le due componenti sono entrambe giganti con inviluppi convettivi ed è in atto un trasferimento di massa è possibile che si formi una fase di inviluppo comune doppio, in cui i due nuclei spiraleggiano nella fusione dei due inviluppi. Come nel caso precedente, è possibile scrivere una relazione tra le energie utile per calcolare la separazione finale:
αce
3
Gm1fm2f 2af
Gmi1mi2 2ai
4
Gmi1mi15inv
λR15lr
Gmi2mi25inv
λR25lr (1.12) con le stesse notazioni.
Fase di inviluppo comune con accrescimento ipercritico. Se una delle stelle è un buco nero o una stella di neutroni è possibile giungere ad una fase di inviluppo comune soltanto se la separazione diviene uguale al raggio della gigante che cede materia. In queste condizioni l’oggetto compatto strappa una quantità significativa di massa alla compagna tramite un accrescimento ipercritico. Il risultato finale (la massa accumulata e la nuova distanza) viene calcolato come soluzione numerica delle equazioni differenziali:
da dm2
m1m266m1
m2 m27 1 2λ 1α 1ce 2m2 m25nucl
m1
m1m22a 166m1
m2 m27 1 m2a 16m1
2λ 1α 1ce m2 m25nucl7
(1.13) dm1
dm2
m166m1
m2 m27 1
98 1 m2a 1 m1m266m1
m2 m27 1 2λ 1α 1ce 2m2 m25nucl
m1
m1m22a 166m1
m2 m27 1 m2a 16m1
2λ 1α 1ce m2 m25nucl 7;:
(1.14) ottenute imponedo il bilancio dell’energia durante la fase di inviluppo comune
αce∆Eorb ∆Eleg.
Cronologicamente, un primo episodio di incontro ravvicinato può avvenire già
in fase finale di sequenza principale della primaria, se il sistema è sufficientemente stretto. In questo caso gli effetti evolutivi, che in questa fase portano ad un aumento del raggio, si manifestano su tempi scala più lunghi di quelli del riaggiustamento strutturale su raggi minori indotto dalla diminuzione di massa, perciò il trasferi- mento sarà stazionario e stabile per lungo tempo. Infatti per queste strutture il riassestamento avviene su tempi scala dell’ordine del tempo di Kelvin:
tk Eth
L1
3
4 Gm21
L1R1 (1.15)
il quale indica quanto impiegherebbe una stella ad irraggiare tutta l’energia termica a sua disposizione se non potesse più produrne in alcun modo, e la seconda ugua- glianza vale solamente nella fase di sequenza principale e nell’ipotesi di simmetria sferica. Il tempo scala per il trasferimento di massa è invece circa un ordine di grandezza al di sopra, per cui in questo stadio ad una diminuzione di massa se- gue una diminuzione di raggio della stella, ed il trasferimento sarà stazionario. La compagna su cui cade materia si vede depositare un’energia pari a:
Lgrav Gm2˙m1
R2 (1.16)
Esiste tuttavia un limite fisico alla luminosità che una struttura stellare può emettere senza che gli strati esterni diventino gravitazionalmente slegati, detto luminosità di Eddington:
LEdd 4πcR
ke (1.17)
dove ke è l’opacità superficiale.
Confrontando le due espressioni si ottiene una relazione per il tasso di accre- scimento limite, oltre il quale la materia trasferita dalla primaria non è accettata dalla compagna, e viene persa dal sistema:
˙mEdd 4πcR ke
10 4R
keM#=< anno (1.18)
Quindi è la velocità di trasferimento che decide se esso sia conservativo o meno.
Un trasferimento cessa di essere stazionario quando viene a mancare la condi- zione che lo ha determinato, ovvero la risposta strutturale di diminuire il raggio ad
una diminuzione di massa, oppure nel caso in cui le dimensioni del lobo di Roche varino su tempi scala inferiori a quelli di riaggiustamento strutturale. In generale la stazionarietà viene persa prima del raggiungimento della fase di gigante rossa da parte della primaria.
Se il sistema è inizialmente più largo (a> 102% 103R# ), il primo contatto av- viene quando la stella di massa maggiore è in fase di gigante. In questi casi le proprietà fisiche dei profondi inviluppi convettivi sono tali da indurre un aumento di raggio ad una diminuzione di massa, per cui l’aumento del raggio è positivamen- te reazionato dalla perdita di massa attraverso il punto lagrangiano interno e l’unico freno ad un processo a valanga è costituito dall’inerzia della struttura a riaggiustar- si su raggi maggiori. Date condizioni iniziali portano il sistema a sperimentare una fase di inviluppo comune, perché la secondaria accetta materiale soltanto fino a che il tasso di trasferimento è entro il limite di Eddington, dopodiché la massa in eccesso comincia a riempire il lobo di Roche della secondaria, e successivamente anche i volumi contenuti dalle superfici equipotenziali esterne. L’espansione del- l’inviluppo comune si arresta solamente quando viene raggiunta la prima superficie critica singolare nel primo punto lagrangiano esterno, da cui potrà finalmente fluire verso l’esterno.
Il trasferimento avviene su tempi scala termici, molto più brevi rispetto a quel- li del caso stazionario, e si arresta solamente quando gran parte dell’inviluppo è stato ceduto e della primaria non rimane che un nucleo circondato da un piccolo inviluppo radiativo (pochi decimi di massa solare). E’ anche possibile, sebbene meno probabile, che il trasferimento abbia termine perché la struttura recede dalle condizioni espanse per motivi evolutivi (innesco di una nuova fusione centrale).
Alcuni aspetti evolutivi di un sistema binario immerso in un inviluppo comune non sono ancora noti con precisione, tuttavia sicuramente il fatto che le componenti stellari si muovano in un mezzo di densità non trascurabile determina l’insorgere di attriti. Questi faranno sì che le orbite si restringano a causa della perdita di energia, per cui il sistema che emerge da una fase di inviluppo comune risulta più legato di quello originario.
Una coppia di stelle nel corso della sua esistenza può passare attraverso più fasi di inviluppo comune, a seconda della separazione, delle masse, e di altre caratteristiche del sistema stesso.
Se entrambe le componenti sono poco massicce, dopo un primo episodio di inviluppo comune la primaria è ridotta ad una nana (di He o di C-O a seconda del- la fase in cui è avvenuto il trasferimento di materia) in fase di raffreddamento, il rapporto di masse è invertito, e, visto che l’orbita è più stretta, sicuramente avverrà un nuovo scambio di materia. Quando la separazione è sufficientemente piccola da far riempire il lobo di Roche della secondaria alla fine della sequenza princi- pale, il trasferimento sarà conservativo, altrimenti si giungerà ad un nuovo stadio di inviluppo comune. A seconda delle fasi evolutive delle stelle al momento dei trasferimenti, potranno avvenire o meno nuovi scambi di massa, lo scanario che si presenterà alla fine di questi, sarà tuttavia in ogni caso un sistema di nane molto stretto (separazione dell’ordine di qualche raggio solare).
Stelle di massa maggiore attraversano una fase nella quale si scambiano ma- teria in modo dipendente dalla separazione iniziale, dopodichè, quando una delle due giunge al punto di dover esplodere come supernova, il destino del sistema è nuovamente determinato dalla distanza tra di esse prima dell’evento. Se le due componenti non erano sufficientemente legate il sistema viene distrutto e le stelle continuano ciascuna la propria esistenza individualmente, altrimenti il risultato fi- nale è un sistema più largo, con i rapporti di massa scambiati. La materia espulsa dalla supernova non interagisce con la compagna, ma viene immediatamente persa attraverso i punti lagrangiani. A questo punto la primaria è una stella di neutroni o un buco nero, a seconda della sua massa iniziale, mentre la secondaria, procede nella sua evoluzione, durante la quale è possibile che conduca il sistema verso una seconda fase di inviluppo comune prima di espoldere anch’essa come supernova o di morire come nana, a seconda della massa. Comunque, l’effetto dell’eventuale secondo scambio di massa è quello di rendere la separazione ancora più stretta, e far nascere così sistemi stretti di oggetti compatti.
Hurley, Tout e Pols [9] forniscono un esempio di sistema che dà origine ad una coppia di stelle di neutroni. Nelle ipotesi di orbita già circolare e di velocità indotta dall’esplosione della supernova alla compagna trascurabile, due masse iniziali di 131 e 9 8M# alla distanza di 138R# attraversano il primo scambio di massa di- namico quando la primaria è una gigante. Dopo una fase di inviluppo comune la situazione che si presenta è una binaria composta da una stella di elio di 37M# ed una compagna in sequenza principale accresciuta a 187M# . Il sistema evolve e la
prima stella esplode come supernova, lasciando al suo posto una stella di neutroni di 134M# ed allarga un po’ la separazione. Si ha un ulteriore stadio di invilup- po comune non appena la secondaria riempie il proprio lobo di Roche, e riduce la sua massa a 46M# , mentre la primaria resta invariata e il sistema si fa sempre più stretto (16R# ). Dalla seconda esplosione di supernova emerge un sistema di stelle di neutroni con periodo orbitale di 05 giorni.
Ci sono degli intervalli di masse per cui le stelle non subiscono espolsioni di supernova ma collassano direttamente a buco nero, in questi casi non c’è alcuna modifica dell’orbita dovuta alla nascita dell’oggetto (conseguenza che in Relatività Generale continua a valere se il collasso avviene con simmetria sferica, ed è nota come teorema di Birkhoff), e perciò i corrispondenti intervalli di masse dei buchi neri saranno maggiormente popolati di sistemi stretti.
La seguente tabella riassume i principali canali di formazione dei sistemi com- patti:
dove a indica la stella primaria, b la secondaria e la legenda dei simboli è:
NC: trasferimento di massa non conservativo SCE: fase di singolo inviluppo comune DCE: fase di doppio inviluppo comune
HCE: inviluppo comune con accrescimento ipercritico
SN: esplosione di supernova o collasso del nucleo senza esplosione (per i valori di masse che lo prevedono)
1.2.3 Evoluzione all’interno di un ammasso
Gli ammassi stellari appena nati hanno la forma irregolare della nube che li ha ori- ginati, a poco a poco, tramite interazioni tra le componenti raggiungono la propria configurazione di equilibrio ed assumono una forma sferica con densità crescen- te andando verso il nucleo (ρnucl > 10 1% 106M#?< Pc3), per questa caratteristica vengono detti ammassi globulari.
La struttura di un ammasso può essere descritta in termini di sistema di N cor- pi, dove il numero di stelle varia da 104a 107a seconda delle dimensioni. Il tempo di rilassamento è il tempo tipico impiegato dalle interazioni gravitazionali con le altre stelle dell’ammasso a rimuovere completamente la storia della velocità origi- naria di una componente, in altre parole entro il tempo di rilassamento l’ammasso raggiunge il proprio equilibrio termico come gas di stelle. Valori tipici richiesti per questi assestamenti sono in media 109anni, minori dell’età degli ammassi globulari che osserviamo oggi, che quindi hanno raggiunto la configurazione stabile.
Non appena si sono formate le stelle dalla nube molecolare, il protoammasso comincia a collassare cercando l’equilibrio. Inizialmente le stelle sono distribuite in un ampio intervallo di posizioni e velocità in modo indipendente dalla massa, e questo ha come effetto che le più massicce abbiano energia cinetica maggiore.
Attraverso gli urti resi sempre più frequenti col procedere del collasso, queste cede- ranno energia alle stelle più piccole, e tenderanno a concentrarsi per virializzazione verso il centro dell’ammasso (processo di segregazione della massa). In 109 anni le stelle di massa superiore a 2 masse solari hanno già esaurito i combustibili, e sono oggetti compatti, per cui la popolazione del centro di un ammasso globulare è in gran parte composta da oggetti degeneri.