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Barbara Ehrenreich

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Academic year: 2021

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XVI

2. Approfondimento

2.1. Barbara Ehrenreich. Note biografiche e di interesse sull’autrice.

I’m not conservative.

I’m definitely on the left. A feminist too.50

Barbara Ehrenreich nacque col nome di Barbara Alexander il 26 agosto del 1941 a Butte, nel Montana, una piccola cittadina abitata da una comunità mineraria di tute blu, tra cui il padre di Barbara, il quale però, ottenuto un diploma alla Butte School of Mines, costrinse la famiglia a continui spostamenti (Pittsburgh, New York, diverse località nel Massachusetts e infine Los Angeles) per seguire la propria carriera.

We moved so often that I can hardly claim any geographical roots – except for Butte, which is today a sadly under-populated, woefully polluted, EPA superfund site, thanks to the mining companies51.

I genitori, a detta di Barbara, erano “‘strong union people’ with two family rules:

‘never cross a picket line and never vote Republican’”52. Barbara ha un fratello, Benjamin, e una sorella, Diane, e crebbe sostanzialmente in un ambiente di classe media, orientamento democratico e liberal, soprattutto per via dell’imprinting materno, e ateo (come riporta il discorso fatto in occasione della consegna del Freethought Heroine Award nel 1999, Barbara Ehrenreich si definisce un’atea di quarta generazione53). Anni dopo, i genitori divorziarono e si risposarono entrambi. Questo è il contesto giovanile che ebbe sicuramente grande influsso nella formazione delle sue idee.

50 Barbara Ehrenreich intervistata da Brian Lamb l’8 ottobre 1989. L’intervista integrale è raggiungibile all’indirizzo: http://www.booknotes.org/Watch/9435-1/Barbara+Ehrenreich.aspx

51 http://barbaraehrenreich.com/website/barbara_ehrenreich.htm

52 http://www.booknotes.org/Watch/9435-1/Barbara+Ehrenreich.aspx

53 Un adattamento del discorso di Ehrenreich in occasione della consegna del premio Frethought Heroine è visibile qui: http://ffrf.org/legacy/fttoday/2000/april2000/ehrenreich.html

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XVII

Barbara studiò chimica, laureandosi al Reed College nel 1963 e in seguito ottenne un dottorato di ricerca in biologia cellulare alla Rockefeller University di New York. Completò con successo il dottorato ma non proseguì gli studi. La ragione è palese: “I don’t think I was especially well-suited for a life of lab research”54 Due anni prima, in occasione di una marcia di protesta contro la guerra del Vietnam, aveva conosciuto il futuro marito, John Ehrenreich. Ebbe da lui due bambini, Rosa (1970) and Benjamin (1972). Barbara e John divorziarono nel 1977. Nel 1983 Barbara convolò a nozze col sindacalista Gary Stevenson, ma anche questo matrimonio terminò dopo circa dieci anni di convivenza.

Il 1970 è l’anno della svolta. Barbara raccontò di aver abbracciato il femminismo proprio in occasione della nascita della figlia Rosa, in una clinica pubblica di New York, poiché i suoi diritti di donna partoriente erano stati accantonati per futili motivazioni maschili: “they induced my labor because it was late in the evening and the doctor wanted to go home. I was enraged. The experience made me a feminist”55. Decise quindi di iniziare un percorso di attivismo e impegno sociale in quello che allora era noto come women’s health movement (il movimento per i diritti sanitari della donna).56

A partire dalla fine degli anni Sessanta, quindi, Ehrenreich si dedicò per lo più ad attività di ricerca in materia di salute, servizi di patronato e attivismo. Tra il 1968 e il 1969 lavorò all’ufficio per la gestione e il bilancio di New York City.

Dal 1969 al 1971 prestò servizio al Health Policy Advisory Center, un’organizzazione che si occupava della somministrazione di cure mediche a famiglie e individui indigenti. Tra il 1969 e il 1970 collaborò al progetto newyorkese HealthRight, che curava progetti sanitari in favore delle donne;

Barbara continuò a far parte del comitato editoriale sino al 1979, anno in cui comparve l’ultima pubblicazione di HealthRight. Furono queste prime esperienze

54 http://barbaraehrenreich.com/website/barbara_ehrenreich.htm

55 http://scottgsherman.com/profiles/barbaraehrenreich.php

56 Ibidem.

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di attivismo ad avviare la sua carriera di giornalista e scrittrice: “There was no decision to become a writer; that was just something I started doing”57.

Decise dunque di abbandonare il suo impiego come assistente alla State University di New York – Westbury (1971-1974) e abbracciare la carriera giornalistica. Aveva già pubblicato qualche anno prima, scritto in collaborazione con John, il suo primo libro, Long March, Short Spring: The Student Uprising at Home and Abroad (1969), che racconta la storia dei movimenti studenteschi del 1968 in USA, Germany Ovest, Italia, Francia e Inghilterra, a cui segue un secondo, The American Health Empire: Power, Profit, and Politics, proprio nel 1970 e che non a caso concerne il tema della salute. Il suo debutto giornalistico avviene con uno speciale comparso sulla rivista Ms. verso la fine degli anni Settanta, in cui contestava il mito secondo il quale il femminismo sarebbe causa dei problemi cardiaci maschili:

It became a cover story, and more assignments followed. In the eighties I had columns in Ms. And Mother Jones, which provided some small, but reliable, income between assignments.58

Al passo col suo interessamento per i temi di salute, Ehrenreich si occupò anche di femminismo e socialismo democratico. Fu membro del New American Movement, un’organizzazione appartenente alla New Left fondata nel 1971, dopo la dissoluzione degli Students for a Democratic Society. Ehrenreich si occupò soprattutto di femminismo socialista e prese regolarmente parte a tutta una serie di conferenze e incontri pubblici. La sua collaborazione continuò sino a quando l’organizzazione si fuse col Democratic Socialist Organizing Committee di Michael Harrington per formare i Democratic Socialists of America in 1982, quando le fu assegnato il titolo di co-presidente (ad oggi, ricopre ancora questo titolo onorario). In aggiunta, Ehrenreich fu, secondo l’occasione, fondatrice, consulente o membro del consiglio d’amministrazione di numerose altre

57 http://barbaraehrenreich.com/website/barbara_ehrenreich.htm

58 Ibidem.

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organizzazioni impegnate sui temi della salute, diritti dei lavoratori e delle donne, aborto, democrazia, liberalizzazione delle droghe, economia, media, ecc.59

In aggiunta all’impiego offertole alla State University di New York - Westbury, Ehrenreich ricoprì diversi ruoli in moltissime università. Dal 1979 al 1981 alla New York University, Sangamon State University e University of Missouri a Columbia. Nel 1989 alla University of California di Santa Barbara, nel 1992 alla Ohio State University di Athens, nel 1997 alla University of Oregon di Eugene, nel 1998 e 2000 alla Graduate School of Journalism at the University of California at Berkeley. Fu inoltre incaricata del ruolo di teaching fellow al New York Institute for the Humanities dal 1981 al 1993, alla John Simon Guggenheim Memorial Foundation (1987), all’Institute for Policy Studies di Washington (1990) e alla Society of American Historians (1998)60.

Ehrenreich continuò a lavorare come scrittrice freelance per tutto l’arco della sua carriera e si fece conoscere soprattutto per i suoi reportage, scritti sociali e le numerose recensioni di libri. I saggi, co-edizioni e speciali giornalistici, sono apparsi sui maggiori quotidiani e riviste statunitensi, tra cui New York Times, Time, Wall Street Journal, Life, Ms., Nation, New Republic, New Statesman, These Times, Progressive, Working Woman, Z magazine e molte altre testate. È stata anche nel consiglio di amministrazione di alcune testate di prim’ordine:

Social Policy, Ms., Mother Jones, Seven Days, Lear's, The New Press, Culturefront, Harper's e ha ricevuto numerose onorificenze accademiche e premi giornalistici durante la carriera.61

In aggiunta ai libri già citati in precedenza, Ehrenreich ha pubblicato saggi e libri su vari argomenti: The Professional-Managerial Class (1977); The Hearts of Men: American Dreams and Flight from Commitment (1983); Re- Making Love: The Feminization of Sex, con Elizabeth Hess and Gloria Jacobs

59 Ibidem.

60 http://oasis.lib.harvard.edu/oasis/deliver/deepLink?_collection=oasis&uniqueId=sch01203.

61 Ibidem.

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(1986); The Mean Season: The Attack on the Welfare State (1987) in collaborazione con Fred Block, Richard Cloward, e Francis Fox Piven,; Fear of Falling: The Inner Life of the Middle Class (1989); The Worst Years of Our Lives: Irreverent Notes from an Age of Greed (1990); Kipper's Game (1993); The Snarling Citizen (1995). Blood Rites: Origin and History of the Passions of War (1997), il primo testo della Ehrenreich a essere stato tradotto in italiano62, è uno studio antropologico che rimette in discussione le tradizionali spiegazioni invocate come origine della guerra. Nickel and Dimed: On (Not) Getting by in America63 (2001) è senz’altro il suo libro di maggiore successo, frutto di un’inchiesta sociale che Ehrenreich fece sulla sua pelle, testando per tre mesi che cosa volesse dire vivere e mantenersi con lavori a salario minimo (living wage).

Global Woman: Nannies, Maids, and Sex Workers in the New Economy (2003) indaga la condizione di alcuni ambiti lavorativi femminili nell’economia globale odierna.64

In Bait and Switch: The (Futile) Pursuit of the American Dream (2005), Ehrenreich ripropone l’esperimento di Nickel and Dimed, calandosi nei panni di un colletto bianco in cerca di lavoro; da questa esperienza nasce il progetto United Professionals:

a nonprofit, non-partisan membership organization for white-collar workers, regardless of profession or employment status. We reach out to all unemployed, underemployed, and anxiously employed workers — people who bought the American dream that education and credentials could lead to a secure middle class life, but now find their lives disrupted by forces beyond their control.”65

62 B. Ehrenreich, Blood Rites: Origin and History of the Passions of War, New York, Metropolitan Books, 1997, trad. it., Riti di Sangue: all'origine della passione della guerra, Milano, Feltrinelli, 1998.

63 B. Ehrenreich, Nickel And Dimed: On (Not) Getting By In America, New York, Metropolitan Books, 2001, trad. it. Una paga da fame. Come (non) si arriva a fine mese nel paese più ricco del mondo, Milano, Feltrinelli, 2004.

64 http://barbaraehrenreich.com/website/barbara_ehrenreich.htm

65 http://web.archive.org/web/20081010002507/http://www.unitedprofessionals.org/about/

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A dimostrazione della poliedricità dell’autrice, nel 2007 compare Dancing in the Streets: A History of Collective Joy (2007), che tratta delle festività e dei rituali estatici; This Land is Their Land (2008) è invece un’opera satirica in cui Ehrenreich si ravvede rispetto a The Worst Years of Our Lives (1991), il primo libro satirico di Ehrenreich, in cui attaccava l’era reganiana come la peggiore di sempre in USA, traslando le stesse valutazioni negative di qualche decennio prima contro i paradossi dell’odierna società americana. Bright-Sided (2009) sferra invece un duro attacco al disastroso e irrazionale ottimismo americano. A breve uscirà un suo nuovo libro, Living with a Wild God, che si presenta come una sorta di autobiografia.66

Poco dopo l’uscita di Nickel and Dimed, le fu diagnosticato un cancro al seno.

A partire da questa esperienza, Ehrenreich scrisse l’articolo “Welcome to Cancerland”, pubblicato nel numero di novembre 2001 dell’Harper's Magazine.

Dal 2005 ha un blog, prolungamento naturale della sua attività giornalistica.

Dal 2008 possiede anche un sito internet personale.67

2.2. Scenari di crisi della maschilità

The Hearts of Men analizza la storia della caduta della figura patriarcale del breadwinner maschio in un arco temporale compreso tra il secondo dopoguerra e l’inizio degli anni Ottanta.68 Etica del breadwinner, fuga dall’impegno matrimoniale e dalle responsabilità (ribellione o liberazione, a seconda di come venga concepito tale distacco) sono dunque i temi principali di cui tratta il testo.

Le istanze maschili messe in luce da Ehrenreich rientrano tutte, a mio avviso, nel contesto di una crisi della maschilità che può essere concepita come segue:

[…] a crisis of masculinity, a way of thinking in broad, cultural terms about a split between men's subjective experience and larger ideologies that

66 http://barbaraehrenreich.com/living-with-a-wild-god/

67 http://barbaraehrenreich.com/website/barbara_ehrenreich.htm

68 B. Ehrenreich, The Hearts of Men, New York, Anchor, 1983, p. 11.

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pervade culture. Masculinity might be in crisis when many men in a given context feel tension with larger ideologies that dominate or begin to dominate that context.69

L’idea stessa di crisi ha ossessionato la maschilità in varie epoche a partire dalla fine del XIX secolo.70 La decadenza dell’ideale maschile tradizionale diventa più visibile e marcata nel periodo preso in esame da Ehrenreich (secondo dopoguerra), che è un’epoca di numerosi e importanti cambiamenti. La progressiva entrata delle donne nel mondo del lavoro è un grande risultato e, di fatto, un obiettivo primario della corrente femminista second-wave. Tuttavia Ehrenreich contesta l’idea secondo cui la crisi dell’ideale maschile tradizionale (soprattutto la figura dell’addetto al sostentamento economico della famiglia, il breadwinner) e relativa etica imperante siano un effetto collaterale della liberazione femminista. È la stessa autrice a mostrare i segni di una pulsione verso l’individualismo che precede la rivoluzione del femminismo. Essendo basato sulla sola volontà maschile, il sistema patriarcale incentrato su istanze quali breadwinner e salario familiare ha mostrato, secondo Ehrenreich, la sua debolezza sociale.71

Verso gli uomini, Ehrenreich ha a mio parere un atteggiamento in parte simpatetico, poiché vede in loro una voglia di liberazione almeno pari a quella del femminile. Nonostante la partecipazione ai benefici derivanti dal dividendo patriarcale,72 anche il maschio ha dunque occupato una posizione di costrizione all’interno del sistema basato sul sostentamento della famiglia. Così si spiegherebbero i segni tangibili lasciati dalle diverse correnti di ribellione maschile della seconda metà del XX secolo hanno lasciato, anticipando l’avvento

69 T. W. Reeser, Masculinities in Theory: An Introduction, Malden, Wiley-Blackwell, 2010, p.

27.

70 Ibidem.

71 S. Bellassai, L’invenzione della virilità, cit., pp. 142-3.

72 Si veda R. Connell, Maschilità, cit.

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del femminismo e della rivoluzione sessuale. E precedente è anche il crollo del sistema basato sul salario familiare e sull’idea del maschio breadwinner:

If women had won equality and economic independence before the collapse of the family wage system, we might be able to step right into the liberal feminist vision of an androgynous and fully capitalist society. But the collapse of the family wage system came first, before either the economy or the culture was ready to admit the female breadwinner on equal terms.73

In aggiunta, un altro dato emerge dallo scritto di Ehrenreich: la caduta del ruolo maschile come unico sostegno economico della famiglia non ha eliminato le disparità di genere insite nel sistema e questo, a mio parere, accade proprio in ragione del fatto che il sistema è cambiato prima che il femminile prendesse il sopravvento; in sostanza, è rimasto patriarcale ma con qualche gentile concessione al femminile. La cultura maschile non ha abbandonato le tendenze sessiste e di potere del ruolo patriarcale:

As it is, male culture seems to have abandoned the breadwinner role without overcoming the sexist attitudes that role has perpetuated: on the one hand, the expectation of female nurturance and submissive service as a matter of right; on the other hand, a misogynist contempt for women as “parasites”

and entrappers of men.74

Le donne continuano a soffrire una disparità intrinseca al sistema. Ribellione maschile e femminile sono entrambe forme di una reazione al sistema patriarcale ma le motivazioni sono diverse. Il ruolo del maschile in questa rivoluzione è innegabile e, data la sua forza attiva, aggiungerei che è il segno stesso della capacità di adattamento dell’ideologia patriarcale ai tempi:

In our society, the ideas we live by and shape our judgments in accordance with, have tended to come from the men […] of what is variously called […] the middle class. […] in a year-by-year sense it is the men in the middle who are the “knowledge producers,” whether they are generating

“scientific” truths […] or reflecting upon them in fiction and films. These men crafted and popularized the ideology that had supported the breadwinner ethic, and when the ideology changed, it was because they changed it. For this reason I feel justified in using a more active

73 B. Ehrenreich, The Hearts of Men, cit., p. 180.

74 Ivi, p. 182. [il corsivo appartiene all’originale]

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construction than the “collapse of the breadwinner ethic” and talking about a male revolt […]75

Ma Ehrenreich è fiduciosa o almeno speranzosa che il cambiamento possa essere progressivo. L’invocazione finale sembra quindi rivolta inequivocabilmente agli uomini (“finally I would hope that we might meet as rebels together”76), affinché si trovi il modo di andare oltre ogni lascito patriarcale. Ehrenreich sembra suggerire che la vera crisi maschile è ormai alle spalle e non sta nel femminismo o nella perdita del ruolo di breadwinner, ma piuttosto nell’accettazione incosciente di tratti identitari e attitudini patriarcali.

Una critica a The Hearts of Men arriva già in un articolo del 5 giugno del 1983, in cui, dalle pagine del New York Times77, la giornalista e studiosa di psicologia sociale Carol Tavris contesta al libro di Ehrenreich alcuni aspetti:

Ehrenreich avrebbe focalizzato l’attenzione solo sugli anni turbolenti del secondo dopoguerra, quando qualche anno prima della comparsa di The Hearts of Men la sociologa Jessie Bernard mette già in chiaro che il ruolo del good provider risale a centocinquant’anni prima.78 Una focalizzazione troppo ristretta e la smania di voler capire chi, in quel contesto, sia stato l’iniziatore della cosiddetta rivolta, spiegano secondo Tavris l’insicurezza con cui Ehrenreich tratta le reali motivazioni della ribellione maschile,79 proprio mentre uno studio del 1983 sta mostrando l’impatto che ha sul livello di irresponsabilità maschile la maggiore quantità di donne in età da matrimonio rispetto a quello esiguo di uomini in una data società.80 Tavris sembra suggerire che un maggiore approfondimento

75 Ivi, p. 13.

76 Ivi, p. 182.

77 http://www.nytimes.com/1983/06/05/books/who-started-this.html?pagewanted=1

78 J. Bernard, The good-provider role: Its rise and fall, “American Psychologist”, Vol 36 (1), Gennaio 1981, 1-12.

79 Si veda anche E. R. August, The New Men's Studies: A Selected and Annotated Interdisciplinary Bibliography, cit., p. 350.

80 M. Guttentag e P. F. Secord, Too Many Women? The Sex Ratio Question, Houston, Sage Publications, 1983.

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avrebbe potuto fornire una spiegazione circa le reali motivazioni maschili e non una semplice descrizione dei fatti.

Negli anni seguenti la pubblicazione di The Hearts of Men, il tema della ribellione maschile è ancora caldo: un nuovo gruppo maschile di “ribelli” si forma proprio nel periodo in cui Ehrenreich scrive The Hearts of Men. Attorno al poeta Robert Bly e al suo bestseller del 1990, Iron John, nasce una comunità maschile di liberazionisti. La psicologia pop di Bly fa leva sugli archetipi (è l’influsso di Carl Gustav Jung) per ritrovare le qualità del carattere originale maschile.81 Si tratta di un ritorno all’atavico con tendenze forse non violente, ma sicuramente sessiste. Alla base di questo movimento vi è la volontà di recuperare quell’emotività propriamente maschile che la modernità nega al maschio.82 Le cure offerte all’uomo ferito dalla modernità sono semplicistiche e nostalgiche;

proprio la nostalgia di un’epoca arcana e preindustriale in cui l’uomo era uomo, la donna madre e il “virus” dell’omosessualità non ancora inoculato rappresenta, secondo Connell, l’aspetto più spaventoso di una corrente di pensiero che spinge per una maggiore segregazione di genere.83

Gardiner mette in luce un aspetto interessante del testo di Ehrenreich: l’idea secondo cui la caduta dell’etica del breadwinner associata alla persistenza di misoginia e sessismo non abbia fatto altro che concedere maggiore libertà al maschile e dare vita a una nuova classe di poveri (“the result is that, for an increasing number of women and children, the services that might comprise an adequate welfare state have become a matter of survival).84 Su questi aspetti, Gardiner nota alcune somiglianze tra le tesi liberazioniste di Robert Bly e il femminismo della Ehrenreich:

81 M. Kimmel e A. Aronson, Men and Masculinities. A Social, Cultural, and Historical Encyclopedia, cit., pp. 89-91.

82 Un autore in particolare ha trattato in modo esaustivo il rapporto tra maschilità e negazione dei sentimenti. Si veda: Victor J. Seidler, Riscoprire la mascolinità. Sessualità, ragione e linguaggio, cit.

83 R. Connell, The Men The Boys, St Leonards, Allen & Unwin, 2000, p. 5-6.

84 B. Ehrenreich, The Hearts of Men, cit., p. 180.

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Like Bly, she too decries men’s decreasing interest in children and their incorporation into “the post-countercultural world of unisex consumption”

[…] like Bly, Ehrenreich thinks that there were advantages for women in the postwar “breadwinner ethic” […]85

In Geschichte der Männlichkeiten, Martschukat e Stieglitz propongono un resoconto dei vari tipi di breadwinner storicamente istituzionalizzatisi e dei relativi studi a riguardo,86 anche se i due lamentano una generale mancanza di connessione tra storia del genere (studiato in prospettiva culturale) e storia del lavoro (in prospettiva storico-sociale); colmato questo divario, si potrebbero dare risposte importanti in merito alla formazione di determinate identità di genere.87

Nella sua Selected and Annotated Interdisciplinary Bibliography del 1994,88 Eugene August segnala alcuni testi che, dopo Ehrenreich, hanno affrontato più o meno direttamente la questione del breadwinner. Nel 1984 la femminista Helen Franks conduce un’intervista su settanta maschi britannici, chiedendo il loro punto di vista su varie questioni (concetto di maschilità, legami tra uomini, omofobia, ruolo di breadwinner, ecc) e sfruttando queste interviste per presentare il proprio punto di vista femminista sulle varie faccende.89 In The Men We Never Knew Daphne Kingma critica il conformismo del ruolo di breadwinner cui la maschilità è stata storicamente costretta.90 Nel 1994 anche Kathleen Gerson parte da una base di interviste maschili per analizzare l’ambivalenza riguardo al ruolo di breadwinner e mostrarci soprattutto le divaricazioni più comuni da quel ruolo canonico.91 Nel 1994 Mark Gerzon dedica un testo alle nuove tipologia di maschilità che stanno soppiantando i vecchi stereotipi, come ad esempio il

85 J. K. Gardiner (editor), Masculinity Studies and Feminist Theory, New York, Columbia University Press, 2002, p. 109.

86 J. Martschukat e O. Stieglitz, Geschichte der Männlichkeiten, Frankfurt am Main, Campus Verlag, 2008, pp. 84-111.

87 Ivi, pp. 105-6.

88 E. R. August, The New Men's Studies: A Selected and Annotated Interdisciplinary Bibliography, cit.

89 Ivi, p. 82.

90 Ivi, p. 354.

91 Ivi, p. 35.

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breadwinner.92 Nel 1992 Mitch e Susan Golant redigono una sorta di manuale sulla paternità, associandola ancora al ruolo di breadwinner.93 Sempre di paternità si occupa Louv nel 1993; anch’egli include tra le nature fondamentali del padre quella di breadwinner e segnala come essa comporti dover trovare il giusto equilibrio tra casa e famiglia.94 Fatherhood in America (1993) di Robert Griswold è uno studio a carattere storico sulla paternità, in cui l’autore mostra come si sia realizzato il passaggio dal ruolo di padre breadwinner a tipi di paternità più moderni.95 Di questo decorso storico parla anche Stearns in Be a Man!, testo del 1979 che ha però visto una seconda edizione nel 1990 in cui l’autore protrae il suo discorso sino agli anni Ottanta.96

Ancora nel 2001 Christiansen e Palkowitz affermano che, benché la recente letteratura sulla paternità solitamente non faccia rientrare il ruolo di mantenimento economico familiare nell’ambito della paternità, The Good Provider Still Matters.97 I due studiosi lamentano infatti una mancata identificazione tra ruolo di breadwinner e coinvolgimento paterno, quasi si trattasse di due diverse nature. La letteratura in materia, insomma, sembra privilegiare forme più dirette di paternità. Le ragioni sono molteplici: la dissociazione storica tra ambito lavorativo e familiare avvenuta con il passaggio a un’economia industriale; l’invisibilità maschile fuori dall’ambito familiare, il quale ricompare come davvero coinvolto nell’attività familiare solo in quelle poche ore in cui è a casa; invisibilità dei proventi derivanti dall’attività lavorativa; l’attività di sostentamento economico della famiglia è inoltre qualcosa di dato per scontato, di dovuto e di conseguenza subisce un deprezzamento. In realtà, secondo Christiansen e Palkowitz, si tratta di un reale coinvolgimento

92 Ivi, p. 209.

93 Ivi, p. 172.

94 Ivi, p. 181.

95 Ivi, p. 103.

96 Ivi, p. 109.

97 S. Christiansen e R. Palkovitz, Why the ‘Good Provider’ Role Still Matters, “Journal of Family Issues”, Gennaio 2001, vol. 22, no. 1, pp. 84-106.

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fisico ed emotivo all’interno delle dinamiche familiari e meriterebbe maggiore attenzione.98

L’etica del breadwinner è inoltre legata a temi come impegno, responsabilità e maturità, espressioni che, legate al concetto di maschilità, per Ehrenreich hanno un valore da recuperare.99 Nel 2008 anche Kimmel, in Guyland, si occupa di questo tipo di problematiche maschili, facendo un raffronto tra gli anni della maturazione delle vecchie generazioni e i più recenti anni Duemila.

Responsabilità e impegno si legano alla questione della ribellione maschile di cui tratta Ehrenreich (senza distinzione di classe) poiché l’idea stessa di diventare adulto sembra generare un senso di naturale repulsione:

After all, to a guy, growing up is no bargain: It means being a sober, responsible, breadwinning husband and father. It means mortgage payments, car payments, health insurance for the kids, accountability for your actions.

Just think about how manhood is portrayed on network television […]

feature grown men being infantilized by their wives, unable to do the simplest things for themselves, clueless about their kids’ lives, and begging for sex—or reduced to negotiating for it in exchange for housework.

“Where’s the fun in that?” they ask, and rightly so. Adulthood is seen as the negation of fun.100

Nei decenni seguenti la liberazione sessuale del 1968, la maggiore disinibizione delle giovani donne ha condotto, di fatto, i maschi – potenziali mariti e breadwinner – a slegarsi ancor più dalla convenzione dell’impegno (liberazione):

Before the sexual revolution, young adulthood certainly didn’t promise the smorgasbord of sexual experiences that it does today […] in this sense, ironically, women’s newfound freedom invites men to delay adulthood even longer.101

Anche in anni recenti, però, il logoramento della prospettiva lavorativa negativizza ulteriormente il punto di vista dei giovani uomini rispetto alle generazioni precedenti:

98 Ivi, pp. 86-87.

99 B. Ehrenreich, The Hearts of Men, cit., p. 182.

100 M. Kimmel, Guyland: The Perilous World Where Boys Become Men, cit., p. 26.

101 Ivi, p. 31.

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The secure economic foundation on which previous generations have come of age has eroded […] globalization has changed everything. Working-class guys face a decline in manufacturing jobs, a decline in union protection, and an increase only in the least secure dead-end service sector jobs, with neither pension nor health benefits. Middle-class guys watch their fathers get “outsourced,” “downsized,” “reallocated”—and they know those are just nice words for the difficult task of finding a new job at mid-life in a less certain job market than ever.102

Si è condannati a quello che in Generation X Douglas Coupland chiama

“‘McJob’: ‘low-paying, low-prestige, low-dignity, no future job in the service sector.’”103 Il dato più importante è che i marcatori della condizione di maschio una volta validi (casa, famiglia, ruolo di breadwinner) sono venuti a identificare ora la condizione adulta tout court, indipendentemente dal genere di appartenenza.La maschilità adulta è senza un modello, senza una rotta certa, e tende a identificarsi con espressioni più generiche:

Almost all of them call themselves—and call each other—“guys.” It’s a generic catch-all term that demarcates this age group, setting it apart from

“kids” and “grownups.”104

Questa Guyland è sia un’oasi di pace che i giovani ragazzi abitano con la sfrontatezza di chi possiede gli strumenti dell’adulto (senza i vincoli di una sobria maturità), che una fase più o meno temporanea dominata dal terrore di dover crescere e non essere all’altezza. È quindi in sé un periodo di crisi, aggravato dalla mancanza di modelli, dialogo e confronto con una reale maturità.105

Nel 1994, Horrocks dedica un intero volume alla maschilità in crisi.106 Della crisi maschile legata al ruolo di lavoratore e breadwinner parla anche Edwards, sempre nel 2006. In Cultures of Masculinity la crisi maschile va analizzata tenendo conto di due fattori: la crisi “from without”, cioè quei fattori della realtà

102 Ivi, p. 33.

103 Ivi, p. 34.

104 Ivi, p. 42

105 Ivi, p. 43

106 R. Horrocks, Masculinity in Crisis: Myths, Fantasies, Realities, Basingstoke, Macmillan, 1994.

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esterna che hanno indebolito la forza maschile, e poi c’è la crisi “from within”, ovvero l’interiorizzazione dei fattori esterni sotto forma di esperienze di crisi.107 Edwards afferma che l’ambito lavorativo è stato e ancora rimane uno degli aspetti fondamentali dell’identità maschile:

work not only matters to men, but is also part of them as a key dimension of their identity and masculinity. Consequently, successful masculinity was equated directly with success at work whether in middle-class terms of a career or in more working-class terms of physical labour.108

Tra le motivazioni esterne indica come uno dei maggiori fattori di crisi l’avvento della partecipazione femminile al lavoro, poiché inserendosi nell’etica del breadwinner la donna interrompe di colpo l’equazione lineare tra lavoro e maschilità.109 Edwards però si chiede perché gli sconvolgimenti esterni nel mondo del lavoro debbano per forza diventare una crisi di genere per l’identità sessuale maschile:

In sum, it would seem that while there is some evidence for tendencies towards crisis from without on the work front, there is little reason to assume that this is either unilaterally gendered towards men or that this should necessarily inculcate a crisis of masculinity en masse from within.110

Il distacco paterno dall’etica del sostentamento unico della famiglia ha ovviamente avuto effetti anche sulla paternità, benché oggi questo tipo di crisi sia forse datato rispetto a motivazioni più grandi e meno datate, come ad esempio l’impatto della fertilizzazione in vitro sulla paternità.111

Dopo aver presentato i dati reali e incontrovertibili, Edwards valuta però che la crisi maschile potrebbe essere anche una questione di rappresentazione, alimentata dalle stesse raffigurazioni mediali negative che del maschio vengono fornite:

107 T. Edwards, Cultures of Masculinity, New York, Routledge, 2006, p. 7.

108 Ibidem.

109 Ibidem.

110 Ivi, p. 8.

111 Ivi, p. 11.

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XXXI

There are in essence two sides to this question: first, the extent to which the crisis of masculinity exists simply as a matter of its representation as such;

and secondly, the extent to which contemporary representations of masculinity fuel the sense that masculinity is itself in crisis.112

Edwards ci riporta poi all’approccio di Masculinities: Connell suggerisce un modello di genere in grado di comprendere rapporti di potere, di cathexis (processo di investimento di energie emozionali) e di produzione (Connell non manca di sottolineare come la maschilità abbia storicamente sofferto l’entrata delle donne nel mondo del lavoro).113 Ma la crisi di cui parla Connell è dunque una crisi del sistema di genere, che possiede pulsioni critiche interne:

It [masculinity] is rather a configuration of practice within a system of gender relations. We cannot logically speak of a crisis of configuration […]

We can, however, logically speak of the crisis of a gender order as a whole, and of its tendencies towards crisis.114

È in fin dei conti lo stesso sistema di genere ad aver sperimentato una crisi, nel periodo più turbolento della sua storia, proprio in ragione delle disparità contemplate al suo interno. L’incapacità del sistema di accordare principi moderni e diseguaglianze ne ha causato il collasso. L’idea stessa di crisi della maschilità può essere concepita diversamente con un diverso approccio. In The End of Masculinity, MacInnes sostiene che differenza sessuale reale e costruzione della differenza sono spesso confuse. Il genere è un’ideologia utilizzata nelle moderna società per concepire l’esistenza di differenze tra maschi e femmine sulla base del loro sesso, dove in realtà non ce ne sono. La maschilità è una categoria fluida che non può essere correttamente compresa o definita. Il concetto stesso di maschilità è dunque in sé una crisi che nasce dal disaccordo tra valori dell’era moderna (uguaglianza) e disparità interne al sistema patriarcale.115 Edwards sembra infine condividere questa concezione: “there is very little to

112 Ivi, p. 13.

113 R. Connell, Maschilità, cit., pp. 75-6.

114 R. Connell, Masculinities (seconda edizione), Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 2005, p. 84 [il corsivo appartiene all’originale].

115 Citato in Edwards, Cultures of Masculinity, cit., pp. 17-18.

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XXXII

endorse any overall masculinity in crisis thesis other than to say that masculinity is perhaps partially constituted as crisis.”116 Alcune riflessioni posteriori al testo di Ehrenreich e con diversi approcci hanno saputo andare al di là del quadro reale, fino a decostruire l’idea stessa di maschilità in crisi.

In conclusione, la crisi della maschilità non sarebbe altro che un aspetto intrinseco alla sua identità. Tutto il quadro di genere pare costruito su sabbie mobili, destinato a continue crisi e modificazioni, come già Connell ipotizza in Masculinities coi concetti di maschilità egemonica e subordinate.117 Il genere ha costituito la maschilità come soggetto relativo e relazionato, nonché dotato di intrinseci squilibri di potere.118 Terminata la sua invisibilità, ne emerge l’instabilità cronica. La sua stessa essenza è sussultoria.

116 Citato in Edwards, Cultures of Masculinity, cit., p. 21.

117 R. Connell, Maschilità, cit., p. 68.

118 S. Bellassai, La mascolinità contemporanea, cit., pp. 25-34.

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