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La disciplina moderna sull’affidamento dei figli a seguito di separazione o divorzio si basa sulla consapevolezza che il rapporto creato con la procreazione dei figli è unitario

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CAPITOLO I

DISCIPLINA ATTUALE DELL'AFFIDAMENTO DEI FIGLI MINORI A SEGUITO DI CRISI DELLA COPPIA GENITORIALE

1.1 – Il rapporto tra affidamento condiviso ed esclusivo nella nuova disciplina

La legge sull'affidamento condiviso (n. 54 dell'8 febbraio 2006) che aveva innovato profondamente la disciplina normativa precedente, rivelatasi negli anni, per molti versi, inadeguata, è stata di recente modificata dall’emanazione del d.lgs. n. 154/2013. Con tale d.lgs. si è completata la riforma della filiazione, già intrapresa con la l. n. 219/2012. Si tratta di un intervento molto incisivo, che ha novellato diverse norme del codice civile, di procedura civile e di procedura penale, e che ha introdotto una disciplina sostanziale uniforme, a fronte della crisi della coppia con figli (sia essa coniugata o meno).

La disciplina moderna sull’affidamento dei figli a seguito di separazione o divorzio si basa sulla consapevolezza che il rapporto creato con la procreazione dei figli è unitario. Con la disciplina precedente questo rapporto veniva invece frammentato: si regolavano le relazioni con i due genitori in

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27 modo separato. Era la volontà dei coniugi di porre fine al legame coniugale ad essere messa in primo piano, posponendo di fatto, l'interesse del figlio a crescere in un contesto familiare il più possibile unitario.

Si è quindi scelto, con la nuova disciplina, di dare prevalenza assoluta a questo interesse.1

La nuova legge sull'affidamento chiede sì ai genitori dei sacrifici maggiori, ma lo fa in nome della loro responsabilità genitoriale. Infatti la generazione di un figlio, stabilisce la legge, fa sorgere una responsabilità non rinunciabile. Se un prezzo deve essere pagato, in corso di separazione o divorzio, questo deve essere pagato dai genitori e non dai figli.

Su ciò si basa il concetto di bigenitorialità, fondamento della nuova disciplina sull'affidamento. Il fatto che due genitori abbiamo avuto insieme cura della crescita del minore fa sì che la separazione comporti inevitabilmente un danno per il figlio. La legge deve quindi creare soluzioni che siano in grado di distinguere tra contesto coniugale e contesto genitoriale, facendo sì che la fine del primo non danneggi il secondo.

Si è venuto così a creare un modello di separazione moderna, nella quale i genitori cessano di essere una coppia coniugale, ma conservano pienamente la capacità di collaborare nell'interesse del figlio, essendo, all'occorrenza, tra loro solidali.

1 In tale senso si sono espressi numerosi autori, tra questi G. Ferrando, Diritto di famiglia, Bologna, 2013, p.207. L’autrice afferma infatti che: «La nuova legge intende evitare che il fallimento dell’unione tra i coniugi determini anche una modifica radicale dei rapporti con il figlio. La responsabilità di entrambi i genitori esce intatta dalle macerie del matrimonio, mettendo in luce che ormai, nella fragilità delle relazioni affettive, costituisce l’unico legame davvero indissolubile, destinato a durare per sempre. Il baricentro dell’unità della famiglia si sposta dalla coppia al bambino».

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28 Il quadro normativo riguardo l’affidamento dei figli è negli ultimi anni, come detto, profondamente mutato. Nel dicembre 2012 e nel dicembre 2013 sono infatti stati emanati due testi normativi, riguardanti nello specifico l’eliminazione della distinzione tra filiazione legittima e naturale, che hanno inciso in maniera rilevante anche sull’argomento da noi trattato.

La l. 10 dicembre 2012, n. 219, intitolata “Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali” ha introdotto nel nostro ordinamento il principio secondo il quale tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico2. È stata così superata la tradizionale distinzione tra figli naturali e legittimi, conseguente dal fatto che la procreazione sia avvenuta o meno in costanza di matrimonio.

Il codice civile del 1942 distingueva infatti tra filiazione legittima e illegittima e poneva quest’ultima sotto una luce di disvalore legale e sociale.

Vigeva infatti il divieto di riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio;

solo con la morte del coniuge, il genitore avrebbe potuto riconoscere il figlio adulterino.

Negli anni la disciplina di questa materia ha subito graduali modifiche:

prima fra tutte l’art. 30 della Costituzione, creato con l’obiettivo di garantire ogni tutela sociale e giuridica anche ai figli nati fuori dal matrimonio, fino ad arrivare alla riforma del diritto di famiglia del 1975 che non solo ha compiuto finalmente un’importante e necessaria modifica terminologica (da filiazione illegittima a filiazione naturale), ma che ha soprattutto realizzato una

2 Così come espresso dal novellato art. 315 c.c., intitolato “Stato giuridico della filiazione”.

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29 tendenziale equiparazione legislativa tra figli naturali e legittimi, eliminando, in particolare, il divieto di riconoscimento dei cd. figli adulterini.

Una delle maggiori novità introdotte dalla l. 54/2006 è stata, senza dubbio, la regolamentazione dei rapporti tra genitori e figli naturali in caso di rottura della convivenza. La legge in oggetto aveva infatti stabilito che le questioni relative all’affidamento dei minori seguissero la disciplina applicabile alle coppie coniugate. Essa non aveva però previsto niente circa il giudice competente ad emettere i provvedimenti relativi ai figli, facendo sorgere conflitti tra tribunali ordinari e giudici minorili.

La Corte di Cassazione aveva tuttavia, in varie occasioni, sostenuto che la competenza spettasse al Tribunale per i minorenni, trattandosi di provvedimenti relativi alla potestà dei genitori naturali, regolati quindi ex artt.

317-bis c.c. e 38 disp. att. c.c.3.

Solo con la l. 219/2012 è stato però possibile completare il percorso di

3 La Corte di Cassazione ha infatti affermato: «La legge 54/2006 sull’esercizio della potestà in caso di crisi della coppia genitoriale e sull’affidamento condiviso, applicabile anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, ha corrispondentemente riplasmato l’art. 317-bis c.c., il quale, innovato nel suo contenuto precettivo, continua tuttavia a rappresentare lo statuto normativo della potestà del genitore naturale e dell’affidamento del figlio nella crisi dell’unione di fatto, sicché la competenza ad adottare provvedimenti nell’interesse del figlio naturale spetta al Tribunale per i minorenni, in forza dell’articolo 38, primo comma, disp. att. c.c., in parte qua non abrogato, neppure tacitamente dalla novella.

La contestualità delle misure relative all’esercizio della potestà e all’affidamento del figlio, da un lato, e di quelle economiche inerenti al loro mantenimento, dall’altro, prefigurata dai novellati articoli 155 e ss. c.c., ha peraltro determinato - in sintonia con l´esigenza di evitare che i minori ricevano dall’ordinamento un trattamento diseguale a seconda che siano nati da genitori coniugati oppure da genitori non coniugati, oltre che di escludere soluzioni interpretative che comportino un sacrifico del principio di concentrazione delle tutele, che è aspetto centrale della ragionevole durata del processo – un’attrazione, in capo allo stesso giudice specializzato, della competenza a provvedere, altresì, sulla misura e sul modo con cui ciascuno dei genitori naturali deve contribuire al mantenimento del figlio». Cass., 3 aprile 2007, n. 8362, in Fam. e dir., 2007.

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30 parificazione tra filiazione legittima e naturale4. La legge in questione ha infatti introdotto lo status unico della filiazione, eliminando la distinzione terminologica fino a quel momento rimasta e superando il problema riguardante la competenza tra tribunale ordinario e minorile.

Poiché la condizione giuridica della prole è stata resa un fatto indipendente rispetto al matrimonio dei genitori, la competenza circa i provvedimenti riguardo ai figli è, ad oggi, pacificamente attribuita al tribunale ordinario.

Questa legge inoltre, predisponendo una delega al Governo affinché adottasse, entro un anno, uno o più decreti legislativi che eliminassero ogni discriminazione rimasta tra figli nati all’interno del matrimonio o fuori da esso, ha reso possibile l’emanazione, il 28 dicembre 2013, del d.lgs. n. 1545.

Tale d.lgs., basato su di un elaborato predisposto da una Commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, riunitasi il 13 dicembre 2013, presieduta dal Prof. Cesare Massimo Bianca, si compone di quattro titoli: I (modifiche al codice civile in materia di filiazione); II (modifiche al codice penale, di procedura penale e di procedura civile in materia di filiazione); III (modifiche alle leggi speciali in materia di filiazione); IV (disposizioni transitorie e finali).

Le previsioni contenute in questo testo normativo sono destinate ad entrare in vigore nel momento in cui scrivo (precisamente il 7 febbraio 2014, in

4 G. Ferrando, op. cit., «L’attenzione si sposta dal matrimonio alla filiazione. E non è un caso che le nuove norme si applichino, oltre che ai procedimenti di separazione, divorzio, annullamento, anche a quelli relativi ai figli di genitori non coniugati. Si attua in tal modo un processo di “separazione” tra filiazione e matrimonio, che viene sviluppato dalla nuova legge sull’unicità dello status di figlio».

5 Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.5 del 7 gennaio 2014.

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31 trentesimo giorno dalla pubblicazione del d.lgs. nella Gazzetta Ufficiale).

Come prima accennato l’approvazione di tale d.lgs. ha provocato una notevole modifica della disciplina vigente a partire dall’emanazione della l.

54/06. Si tratta infatti di un intervento normativo molto ampio, che ha modificato in maniera rilevante in particolare il codice civile.

Per quanto a noi specificamente interessa sono state rielaborate tutte le norme in materia di potestà genitoriale, denominata adesso responsabilità genitoriale; sono stati abrogati gli artt. 155-bis ss., introdotti dalla riforma del 2006, ed il loro contenuto è stato trasferito nei nuovi artt. 337-bis ss. c.c., prevedendo una disciplina uniforme nelle relazioni tra genitori e figli per tutti i casi di crisi della coppia genitoriale (coniugata o meno).

Alla luce delle recenti riforme si rende quindi necessario un confronto, tra la disciplina precedente e quella attuale, con riferimento al rapporto esistente tra i due istituti dell’affidamento condiviso ed esclusivo.

Abbiamo visto che nel quadro normativo precedente alla novella si era andato creando un sistema in cui affidamento esclusivo e congiunto coesistevano. La legge esprimeva però una netta preferenza per il primo. Tale tipo di affidamento era infatti dettagliatamente regolato dal codice civile, mentre l'affidamento congiunto (e alternato) era previsto dalla legge sul divorzio e, benché ritenuto applicabile anche alla separazione, di fatto non era disciplinato. Ciò comportava un'elevata percentuale di affidamenti monogenitoriali. Uno solo dei genitori otteneva quindi l'affidamento del figlio (e poteva esercitare in maniera esclusiva la sua potestà nella sfera ordinaria), mentre all'altro spettava semplicemente la cd. facoltà di visita, poteva cioè

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32 tenere con se il figlio in giorni ed orari preventivamente stabiliti dal giudice ed aveva un generico diritto-dovere di vigilanza sulla sua istruzione ed educazione.6

Anche da un punto di vista economico i figli dipendevano completamente dal genitore affidatario: era infatti questi che aveva il compito di gestire l'assegno di mantenimento corrisposto dall'altro genitore, si trattava del cd.

sistema di mantenimento indiretto.

Il giudice, nello scegliere quale dei due genitori dovesse essere l'affidatario, aveva come criterio fondamentale l'interesse del minore. Tale interesse non era però specificato dal legislatore ed era quindi rimesso alla valutazione discrezionale del giudice.

Nell'ordinamento attuale invece, i due istituti dell'affidamento esclusivo e condiviso coesistono, ma il secondo è decisamente preferito. Ciò è chiaramente espresso nel primo comma del nuovo art. 337-ter c.c. (il cui contenuto è pressoché identico a quello dell’art. 155 c.c. prima della recente riforma), il quale sottolinea l'importanza del mantenimento di un ambiente familiare coeso anche dopo la separazione o il divorzio.

Dice infatti il riformato art. 337-ter: «Anche in caso di separazione personale, scioglimento, annullamento, cessazione degli effetti civili del matrimonio e affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da

6 A. Fede, L’affidamento della prole nella crisi coniugale prima e dopo la l. n. 54 del 2006, in Riv. Dir. Civ.., 2007, p. 649 ss.

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33 entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».

La possibilità che i figli restino affidati ad entrambi i genitori viene quindi valutata prioritariamente7.

L'art. 337-ter, al secondo comma, prosegue prevedendo, accanto all'affidamento condiviso, anche la possibilità, per il giudice, di optare per l'affidamento esclusivo. Le due tipologie di affidamento costituiscono quindi entrambe soluzioni ordinarie, anche se, come già detto, l'affidamento condiviso resta comunque preferito.

L'art. 337-quater, che disciplina i casi in cui il modello preferenziale non può essere adottato, è quindi norma integrativa del precetto base.

Tale articolo, già nel corso dei lavori parlamentari di approvazione della l.

54/06, aveva subito numerose modifiche. Nella proposta di legge dell'onorevole Vittorio Tarditi (progetto di legge n. 66, intitolato “Nuove norme in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso dei figli”), l'affidamento esclusivo si sarebbe potuto applicare solo in due casi tassativamente previsti dal codice penale, ossia nel caso in cui uno dei due genitori si fosse reso responsabile del compimento del reato di incesto, o se fosse stato condannato per reati riguardanti l'alterazione dello stato civile del figlio.

Oltre ai due casi previsti dal codice penale, il giudice avrebbe potuto scegliere l'affidamento esclusivo in altre due situazioni: in caso di decadenza dalla potestà sui figli (a seguito di comportamenti in violazione della potestà

7 S. Patti e M. G. Cubeddu, Diritto della famiglia, Milano, 2011, p. 513.

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34 genitoriale o a seguito di abuso di tali poteri) e in caso di compimento di comportamenti comunque pregiudizievoli per la prole.

Al momento dell’approvazione della l. 54/2006 si è optato invece per una previsione meno tassativa. L'art. 155-bis prevedeva che l'affidamento esclusivo dovesse essere disposto solo nel caso in cui il giudice ritenesse che affidare il figlio anche all'altro coniuge fosse contrario agli interessi del minore.

Veniva inoltre previsto che ciascun genitore potesse chiedere l'affidamento esclusivo qualora ravvisasse nell'affidamento condiviso la sopracitata lesione degli interessi del minore.

L’intero contenuto dell’art. 155-bis è stato trasposto nel nuovo art. 337- quater.

Quindi, mentre in precedenza l'affidamento esclusivo, poteva essere adottato solo in caso di gravi reati o di provvedimenti di esclusione della potestà genitoriale, attualmente è sufficiente la contrarietà all'interesse del minore; viene quindi data al giudice una più ampia possibilità di valutazione.

Possibilità di valutazione che deve essere però esaustivamente motivata; la disciplina attuale richiede infatti al giudice che delle ragioni che portano all’esclusione dell’affidamento condiviso renda contezza attraverso un congruo ed esaustivo percorso motivazionale, dal quale possa evincersi appieno il contenuto delle valutazione da lui effettuate.

Pertanto le due figure di affidamento nella disciplina attuale coesistono;

non si tratta però di categorie chiuse, ma di due modelli che possono in alcuni casi sovrapporsi.

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35 Il giudice potrà infatti optare per un modello di affidamento condiviso con una divisione delle sfere di potestà tale da farlo avvicinare al modello di affidamento esclusivo, o, al contrario, potrà optare per un affidamento monogenitoriale che però attribuisca numerose funzioni al genitore non affidatario, tanto da farlo avvicinare, sotto alcuni profili, all'affidamento condiviso.

In conclusione l'obiettivo principale della giurisprudenza moderna resta l'attuazione, nella misura più ampia possibile, del principio di bigenitorialità post coniugale. Ad oggi non è quindi importante dare una rigida etichettatura alle varie situazioni che vengono a crearsi a seguito di separazione o divorzio, ciò che conta è l'effettiva realizzazione del principio suddetto.

1.2 – La questione della responsabilità genitoriale

Subito dopo l’emanazione della legge sull’affidamento condiviso la giurisprudenza si è trovò a discutere sull’effettivo contenuto dell’art. 155-bis;

in particolare oggetto di discussione era la possibilità o meno che anche il coniuge non affidatario, in caso di affidamento esclusivo, potesse mantenere l’esercizio della potestà genitoriale.

Per comprendere meglio la nascita di questa discussione è necessario esaminare la disciplina sulla potestà previgente all’emanazione della l. 54/06.

Tale disciplina prevedeva infatti una vera e propria privazione dell’esercizio della potestà genitoriale a carico del genitore non affidatario.

Veniva quindi a determinarsi una separazione tra titolarità della potestà sui figli (che rimaneva ad entrambi i genitori) ed effettivo esercizio di questa

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36 (della quale, il genitore non affidatario, veniva privato).

Vero è anche che l’abrogato art. 155, al quinto comma, prevedeva la possibilità per il giudice di affidare l’esercizio della potestà ad entrambi i genitori, ma si trattava in effetti di un’ipotesi derogatoria, rimasta nei fatti del tutto inutilizzata.

Anche la giurisprudenza di legittimità era intervenuta sul punto 8 , affermando che:

«Il provvedimento di affidamento del figlio minore ad uno dei coniugi separati comporta, quale normale effetto di legge, ai sensi dell’art. 155, comma 3, c.c., che detto affidatario ha l’esercizio esclusivo della potestà sul figlio medesimo (salva restandone la titolarità ad entrambi i coniugi); ne consegue che il giudice del merito, nel disporre detto affidamento, non è tenuto ad indicare le ragioni che giustifichino quell’esercizio esclusivo della potestà, mentre deve fornire adeguata motivazione solo nel diverso caso in cui ritenga di derogare, in relazioni a particolari situazioni, alla suddetta norma».

In conseguenza di ciò, il genitore non affidatario rimaneva titolare di un diritto - dovere di vigilanza dall’esterno sulle decisioni adottate dall’altro, potendo ricorrere all’intervento del giudice soltanto qualora avesse ritenuto siffatte decisioni pregiudizievoli per gli interessi della prole.

La legge del 2006 sull’affidamento condiviso capovolse il precedente sistema.

8 Corte di Cassazione, 13 maggio 1986, n. 3167, in Rep. Foro It., 1986, n. 48, Separazione dei coniugi.

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37 Il novellato art. 155, terzo comma, disponeva infatti che: «La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori».

Tale articolo sembrava quindi prevedere che, a prescindere dalla forma di affidamento dei figli adottata dal giudice, la potestà genitoriale sarebbe comunque stata esercitata da entrambi i genitori.

La questione dell’esercizio della potestà, in particolare per ciò che riguardava le forme di affidamento esclusivo, non era però pacifica.

Il Tribunale di Catania9, con una decisione emanata il 1 giugno 2006, aveva affermato che la potestà sarebbe stata esercitata da entrambi i genitori solo in caso di affidamento condiviso. Diceva la sentenza:

«Secondo una tesi che in effetti si fonda sul dato letterale della legge anche il coniuge non affidatario conserverebbe il pieno esercizio della potestà. L’art.

155-bis c.c., infatti, non disciplina in alcun modo l’esercizio dell’affidamento esclusivo e la norma non riproduce neanche la dizione del vecchio art. 155 c.c.

secondo cui il genitore cui sono affidati i figli ha l’esercizio esclusivo della potestà. Tuttavia un’interpretazione sistematica delle norme (confortata dal tenore dei lavori preparatori nei quali l’esclusivo viene relegato ad un’ipotesi residuale proprio dando per presupposta la perdita dell’esercizio della potestà) sembra far propendere (anche richiamandosi ad un generale principio di non contraddizione) nel senso opposto e quindi nel senso di intendere la locuzione di cui all’art. 155 c.c. terzo comma (“la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori”) riferita solo all’affidamento condiviso (fermo restando che il non affidatario conserva la titolarità della potestà, con quel che ne

9Tribunale Catania, prima sezione civile, 1/6/2006 (in www.affidamentocondiviso.it).

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38 consegue come nel regime ante riforma)».

Questa decisione è stata però contestata dalla dottrina. Durante i lavori preparatori infatti, non si è mai giunti ad escludere, come affermato invece dalla sentenza, l’esercizio congiunto della potestà in ipotesi di affidamento esclusivo.

Mentre l’originaria impostazione del disegno di legge propendeva per una sorta di obbligatorietà dell’affidamento condiviso, lo svilupparsi dei lavori parlamentari ha fatto si che questa scelta di indirizzo fosse poi mitigata, affermando che l’affidamento condiviso fosse sì la regola, ma non la regola assoluta10.

L’intenzione del legislatore, nel decisivo momento dell’approvazione della l. 54/2006, è consistita, in un certo senso, nella volontà di smorzare l’assoluta prevalenza dell’affidamento condiviso. È vero che questi ha accordato preferenza a tale tipo di affidamento rispetto all’affidamento monogenitoriale, ma con un deciso ridimensionamento rispetto alle proposte di partenza.

Nei testi parlamentari iniziali, si prevedeva infatti la possibilità di optare per l’affidamento esclusivo solo e soltanto in caso di commissione di gravi reati o di avvenuta ablazione della potestà genitoriale. Nel testo finale si è affermato invece, molto più genericamente, che l’affidamento condiviso dovesse essere negato se contrario all’interesse del minore.

Ciò portò larga parte della dottrina a non condividere l’interpretazione data

10La formula iniziale recitava: «il giudice dispone che i figli restino affidati a entrambi i genitori» e fu sostituita con: «il giudice valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori».

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39 dal Tribunale di Catania. Poiché l’affidamento esclusivo poteva essere applicato anche in caso di contrarietà all’interesse del minore non dipendente da colpa del genitore, era logico riconoscere ad entrambi i genitori, anche in caso di opzione per tale istituto, la possibilità di esercitare la loro potestà.

Tale interpretazione venne confermata dal Tribunale per i Minorenni di Trento11 e dalla Corte d'Appello di Napoli12 con due decisioni del 2006. In entrambi i casi fu affermato che, anche in caso di affidamento esclusivo, la potestà sarebbe stata esercitata da entrambi i genitori.

In particolare, la sentenza della Corte d'Appello di Napoli, così stabiliva:

«.. Ritiene tuttavia la Corte che una maggiore presenza di X nella vita della figlia possa essergli assicurata con l'attribuzione ad entrambi i genitori della potestà genitoriale, secondo quanto recita il nuovo testo dell'art. 155 c.c. [..]

P.Q.M. [..] così provvede: conferma l'affidamento esclusivo della minore alla madre; dispone che la potestà genitoriale sia esercitata da entrambi i genitori, ai sensi dell'art. 155 c.c., come modificato dalla legge 54/06».

L'esercizio congiunto della potestà da parte di entrambi i genitori venne quindi, in questo caso, ritenuto compatibile con l'affidamento esclusivo.

L’emanazione del d.lgs. 154/2013 ha fatto chiarezza sul punto in questione.

L’art. 337-quater, al terzo comma, stabilisce infatti: «Il genitore cui sono affidati i figli, in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha

11 Tribunale per i minorenni di Trento, decreto 11 aprile 2006 (in www.affidamentocondiviso.it).

12Corte d'Appello di Napoli, sezioni specializzate per i minorenni, decreto 22 marzo 2006 (in www.affidamentocondiviso.it).

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40 l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggior interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse».

Di primaria importanza innanzi tutto è la modifica terminologica: da

«potestà genitoriale» a «responsabilità genitoriale».

Il cambio di denominazione rappresenta infatti una modifica anche della concezione del rapporto tra genitori e figli; si passa infatti da un potere ( la potestà) quasi assoluto dei genitori sui figli ad una responsabilità dei genitori verso i figli, con diritti dei figli e obblighi dei genitori verso questi.

Il concetto di responsabilità genitoriale, presente da tempo in numerosi strumenti internazionali13, viene infatti adottato perché meglio definisce i contenuti dell’impegno genitoriale, non più da considerarsi come una

«potestà» sul figlio minore, ma appunto come un’assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio.

Per quanto riguarda il contenuto del terzo comma dell’art. 337-quater possiamo notare come esso stabilisca in modo chiaro che al solo genitore affidatario spetti l’esercizio della responsabilità genitoriale.

È necessaria a questo punto una precisazione: i genitori conservano sempre e comunque la titolarità della responsabilità genitoriale (salvo intervenga una

13 Si pensi ad esempio al Regolamento Ce n. 2201/2003.

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41 pronuncia di decadenza), l’affidamento esclusivo a uno dei due incide solo sul profilo dell’esercizio di tale responsabilità.

Anche in caso di affidamento esclusivo pertanto le decisioni di maggior interesse per i figli (quelle relative all’istruzione, educazione e saluta, ma anche quelle relative alla scelta della loro residenza abituale) sono assunte di comune accordo da entrambi i genitori, sempre tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. Solo il giudice potrà introdurre una deroga per gravi e motivate ragioni.

Il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale comunque è chiamato a vigilare sull’istruzione e sull’educazione del figlio e potrà ricorrere al giudice qualora ritenga che siano state assunte decisioni contrarie all’interesse del minore.

Possiamo concludere questa panoramica generale sui rapporti tra affidamento condiviso ed esclusivo nella nuova disciplina notando che, criterio generale che deve guidare ogni giudice nell'adozione dei provvedimenti circa l'affidamento dei minori, è rimasto, come nella normativa precedente, l'interesse morale e materiale dello stesso.

Tale interesse è stato però meglio specificato rispetto al passato ed è riassumibile nel vantaggio, per la prole, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori (e i parenti di questi) e a ricevere da ciascuno di essi cura, educazione ed istruzione. Ciò, di conseguenza, ha portato a una minore rigidità nell'individuare le caratteristiche particolari dei due istituti dell'affidamento condiviso ed esclusivo.

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42 Procediamo ora ad un’analisi sistematica delle nuove disposizioni emanate con il d.lgs. 154/2013.

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