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Pregare in ascolto. Introduzione

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Sussidi per la preghiera personale dopo gli EVO - 11 marzo 2014

Pregare … in ascolto

Per la preghiera quotidiana stiamo continuando a seguire l’itinerario proposto dal Card. Carlo Maria Martini nel testo: “Gli Esercizi Ignaziani alla luce del vangelo di Luca” ed. AdP. In questa proposta di meditazione non troverete il testo del Card. Martini, ma un sunto preparato da alcune guide EVO.

Introduzione

Nell’undicesima meditazione ci fermeremo a contemplare Gesù che, allontanandosi dalla folla, si ritira a pregare. Entrando nel suo cuore ed immedesimandoci in Lui, lasciamoci invadere dall’ amore che Egli nutriva per il Padre, dal Suo desiderio di essere in comunione con Lui per ascoltarlo ed obbedirlo, lasciandosi guidare dallo Spirito.

Questa meditazione ci farà toccare con mano l’importanza che Gesù dava alla preghiera, attorno alla quale era imperniata la sua vita. Con la Sua esemplare testimonianza, Gesù vuole insegnarci che è possibile anche per noi organizzare il tempo della nostra giornata per vivere quei momenti molto intensi che Lui ha vissuto nella preghiera affinché, ricaricati dalla Sua Parola, possiamo svolgere la nostra missione personale secondo il suo stile.

In questa meditazione, il Card. Martini ci farà avvicinare varie forme di preghiera ed in particolare ci accompagnerà a comprendere in che cosa consiste la vera preghiera cristiana. Preziosi sono i suggerimenti che ci dona sulla preghiera a cui dobbiamo tendere e sulla quale dobbiamo verificarci.

Anche in questa fase del cammino che stiamo compiendo, è importante tenere presenti le quattro parole trasversali a tutto il cammino E.V.O. che rendono possibile il continuo interscambio preghiera e vita: riflettere – pregare – vivere - verificare (S.P.1).

Undicesima meditazione

LA PREGHIERA DI CRISTO E DELLA CHIESA

Preghiamo:

“Eccoci, Signore, di fronte a te, riuniti in preghiera, col desiderio di pregare e anche di riflettere sulla preghiera.

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Ti chiediamo, Signore, di insegnarci a pregare nella realtà.

Se vuoi, comunicaci qualche cosa, e soprattutto, se vuoi, comunicati a ciascuno di noi,

aiutando ciascuno a percepire alla luce del Vangelo quella esperienza di preghiera che è sua, nella quale consiste la sua risposta di fede

e nella quale consiste gran parte del frutto di questa meditazione”.

Grazia da chiedere: “Signore, insegnami a pregare, insegnami quell’atteggiamento giusto che da solo non posso conquistare!”

Leggiamo dagli Esercizi Spirituali parte del n. 162 quando S. Ignazio parla del modo in cui bisogna portare avanti le meditazioni della seconda settimana.

Egli dà molti chiarimenti e poi dice: “La prima osservazione da fare è che, a proposito delle contemplazioni di questa seconda settimana, ciascuno potrà allungarle o accorciarle secondo che voglia dedicarci più tempo o secondo il profitto che ne avrà tratto… Con questo si vuole offrire una introduzione e un metodo perché poi ciascuno contempli meglio e più compiutamente”.

Partendo da questa introduzione di S. Ignazio, vi proponiamo di riflettere sulla nostra preghiera perché è l’esercizio che ci qualifica più chiaramente nella nostra vita di fede: l’educazione del discepolo alla fede si specifica in educazione alla preghiera.

Questa riflessione dovrebbe comprendere due punti importanti: il nostro rapporto apostolico con gli altri e la nostra vita di preghiera.

Chiediamoci: “Qualunque preghiera ci fa crescere? Basta pregare, cioè pregare più a lungo, pregare più intensamente, più fervidamente?”.

La risposta è certamente “No”, perché esiste anche la preghiera fatta male, come quella del fariseo nel tempio.

Ciascuno di noi deve chiedersi: “La mia preghiera è quella del fariseo o del pubblicano”, “La mia è una preghiera che mi sviluppa, mi fa crescere nella fede o che invece mi blocca?”

Eloquenti sono le indicazioni che la mistica Adriana Von Steiner, nei suoi libri, ci offre sulla preghiera: “Talvolta nella preghiera siamo simili a una donna che intrattiene il marito e i figli solo con le proprie preoccupazioni e con la noia delle ore passate da sola: una preghiera in cui spesso l’uomo, e non Dio, gioca il ruolo principale”. In un’altra pagina dice: “C’è un donna rimasta sola in casa, annoiata. Il marito viene, vorrebbe parlare con lei, dirle qualcosa, ma la donna l’assale con tutta la piccolezza delle cose che ha vissuto la mattina, con una valanga di pettegolezzi. Il marito ne rimane sopraffatto e non gli resta che tacere o leggere il giornale”.

Questa può essere talvolta la nostra preghiera, se buttiamo in essa noi stessi, così da chiudere la bocca al Signore.

Ecco il senso della domanda fondamentale che dobbiamo proporci come riforma di vita: “La mia preghiera mi fa crescere, è risposta di fede, è educazione alla fede?”. Non si tratta tanto di pregare un po’ di più, di fare la

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meditazione, certo anche questo, ma di chiedersi: “Che tipo di preghiera faccio? E’ una preghiera di fede o un preghiera che non mi mette ancora allo sbaraglio, nelle mani di Dio?”.

Da qui l’importanza di chiedere al Signore la grazia di insegnarci a pregare, affinché ci aiuti a non ritornare sempre alla preghiera di egoismo, in cui ci si specchia all’infinito, uscendone come prima.

Con questa domanda nel cuore facciamo alcune riflessioni:

1) Innanzitutto contempliamo la preghiera di Gesù, così come ce la presenta Luca.

Una guida della Palestina, Pia Compagnoni, ha una sua teoria, interessante e facile da ricordare. Dice che Gesù aveva tre tempi nella sua vita: il tempo per la gente, il tempo per gli amici e il tempo per Dio. Leggendo il Vangelo si può constatare che questa teoria è vera.

Per quanto ci interessa, Gesù aveva dei momenti anacoretici forti.

Talvolta lo si definirebbe un anacoreta che esce a predicare. Gesù infatti spesso fuggiva, si ritirava in luoghi deserti, imponendosi anche separazioni molto dure, e la gente doveva venire a cercarlo e a pregarlo (Lc 5, 15-16). E’

sorprendente per noi quest’ansia di Gesù di pregare, di ritirarsi.

In un altro passo Luca scrive (Lc 6, 12): “In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna (quindi lascia la gente non soltanto per un’ora, ma veramente si separa, parte) a pregare, e passò la notte in orazione”. Ciò significa che Gesù faceva preghiere prolungate, insistenti, lasciando la gente non soltanto per un’ora.

Ancor più meravigliati degli Apostoli, chiediamo a Gesù: “Che cosa facevi, Signore, durante questa preghiera? Perché passavi così lungo tempo in preghiera?”.

Certo non ci sarà dato di penetrare a parole in questo mistero, anche se conosciamo la sua perfetta intuizione del mistero di Dio, la sua capacità di adeguarsi alla volontà del Padre, di amarlo. Ma il fatto che questo mistero ci sia e che ci sia anche per noi, ci fa capire che questa dimensione anacoretica della vita è fondamentale. Per Gesù la preghiera è inserita nella vita, anzi la vita è inserita nella preghiera.

Gesù si separava dai malati creando disagi da parte di chi era venuto da lontano facendo due, tre giorni di viaggio e non era stato ricevuto. Ma Gesù partiva con coraggio dando alla preghiera un valore almeno tanto quanto lo dava al contatto, alla carità, all’esercizio della misericordia. Questo è tipico della libertà di Gesù.

Chi di noi oserebbe piantare in asso tutti i problemi e dire: “Ora ho delle cose più urgenti e più importanti da fare; per tre giorni gli altri aspettino, telefonino, urlino?”

La preghiera è più importante di un appuntamento dal medico, per il quale si pospone tutto lasciando che gli altri aspettino.

Devo dare alla preghiera questo valore, affermando il mio diritto di

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allontanarmi dalle persone.

2) Alla luce di questa contemplazione della persona di Gesù, facciamo una seconda riflessione che riguarda gli arricchimenti, almeno esterni della nostra preghiera negli ultimi anni.

Come pregava Gesù, così preghiamo anche noi?

Ciascuno potrebbe fare la storia della propria preghiera.

A questo proposito il Cardinal Martini ricorda alcune esperienze che hanno determinato in lui modi diversi di accostare la preghiera.

- Nel periodo del noviziato gli era stato consegnato il “metodo” di meditazione del Padre Roothaan praticato per un’ora al giorno fino agli anni 50.

- In seguito al Cardinal Martini ha fatto molta impressione la preghiera liturgica della Chiesa Greca dei monasteri greci. Preghiera che ha vissuto a Patmos, nel corso di esercizi nella Settimana Santa ortodossa, durante il giorno e la notte rendendosi conto che, lentamente, acquistava un’altra sensibilità per un altro modo di pregare.

- Anche al monte Athos, presso alcune comunità dove si pratica la preghiera monastica dall’una alle due di notte in privato e dalle due in avanti in coro, con salmi, preghiere,ecc., l’atmosfera che si crea trasforma veramente. Questa preghiera prolungata, che fa pensare e riflettere, aiuta a capire un poco la preghiera prolungata di Gesù. Si tratta di entrare in un certo ritmo e clima, a cui non ci ha abituato la nostra preghiera, e le ore passano senza che uno se ne accorga, mentre il canto sostiene la bellezza dei testi e dei gesti e si crea un’atmosfera che sembra nutrire profondamente lo spirito.

- Un altro tipo di esperienza di preghiera spontanea, suggerita dallo Spirito, che entra in noi nel profondo e che molti avranno fatto riscoprendo la bellezza della preghiera di lode, di riconoscenza e di ringraziamento, è la preghiera pentecostale. Quando la si vede sgorgare soprattutto da giovani, da persone che hanno un’esperienza minima della vita spirituale, ma che con una spontaneità intensissima lodano Dio, si capisce la frase di S. Ignazio che

“L’uomo è fatto per lodare Dio”.

- Il Card. Martini aggiunge poi la preghiera prolungata di gruppi in genere, che assume forme svariate, spesso molto commoventi. Ricorda, a questo proposito, la preghiera di un gruppo che lavora presso un carcere minorile a Roma: pregando con loro, si è reso conto che la preghiera acquistava una visibilità che era data dalla realtà che stavano vivendo e lo Spirito era veramente travolto dal torrente di lode, di adorazione, di offerta di sé che veniva creandosi.

- Ricorda inoltre l’esperienza della preghiera orientale, dello yoga, della contemplazione silenziosa che per molti è stata l’occasione per approfondire il senso del proprio stare in orazione.

Di fronte a tutte queste esperienze rimane la domanda fondamentale:

dove mi deve portare la preghiera, qual è la preghiera che mi fa crescere?

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3) Veniamo allora al terzo punto nel quale ci chiediamo: che cos’è la preghiera cristiana?

Padre Mollat dell’Istituto Biblico risponde con San Giovanni: l’elemento specifico e distintivo della preghiera cristiana è la preghiera “in spirito e verità”

(Gv 4, 24). Pertanto la preghiera autenticamente cristiana si distingue dalle altre esperienze religiose, anche se bellissime, in quanto nasce con lo spirito nel cuore dell’uomo, cioè nella forza dello Spirito che mi fa pregare. Nella verità, cioè basata sul piano salvifico che mi viene comunicato concretamente dalla Parola, dal Verbo e sulla rivelazione che Dio ha fatto su di me nel Figlio e nello Spirito.

Il Padre Mollat dà alcune indicazioni sul modo in cui lo Spirito è il maestro della preghiera:

1) Lo Spirito suscita la preghiera, ne è il vero autore; quindi la preghiera cristiana è dono, è grazia. Da noi stessi siamo incapaci di pregare perché, come dice Paolo (Rom 8, 26), noi “nemmeno sappiamo cosa sia conveniente domandare”. Ecco una conversione importante da operare negli Esercizi: riconoscere davanti al Signore che non so pregare, che se prego è per un dono suo.

Tuttavia, “lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza”. Questo significa che rispetto alla preghiera siamo deboli, incapaci di metterci in stato di vera preghiera. “Ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi”;

egli infatti collabora con noi, agisce in noi e se ci apriamo a Lui, suscita in noi questo movimento della preghiera. Lo Spirito opera tutte le volte che veramente ci abbandoniamo a Lui, non solo quando siamo nell’entusiasmo, ma anche nell’aridità. Lo Spirito vive e si muove in noi e addirittura geme “con gemiti inesprimibili”. Quei gemiti che ad esempio in San Francesco Saverio, che passava la notte in preghiera, lo Spirito faceva ripetere senza fine: “O Trinitas!”. Espressione semplicissima, vera preghiera che ci mette in relazione con Dio.

2) Lo Spirito dà la profondità misterica della preghiera. Nella 1Cor cap. 1 e 2 , Paolo vuole

comunicarci che: “Lo Spirito che conosce tutti i segreti di Dio, è in noi” e ci dà accesso

a quel mondo che la psiche dell’uomo non conosce. Per questo è difficilissimo parlare di

preghiera se non per esperienza. Lo Spirito è il confidente del Padre e del Figlio e ci dà quel senso di saporosa verità e penetrazione del mistero che non si può spiegare con parole e che quindi non può essere comunicato se non come comunicazione di fede; lo Spirito sviluppa in noi la fede e la grazia battesimale, portandoci a una vera conoscenza del mistero del Padre.

3) Lo Spirito dà intima cordialità ed affettuosità alla nostra preghiera. Egli dice in noi: “Abbà

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Padre” (Gal 4, 6); lo dice e lo grida, cioè ci fa fare un’esperienza spirituale di abbandono.

4) Infine lo Spirito è autore, guida della nostra preghiera, e la nostra preghiera è nello Spirito anche perché ci fa trovare insieme, ci vivifica come corpo di Chiesa e ci fa pregare insieme in assemblea. Come dice Padre Mollat: le religioni diverse dal Cristianesimo hanno insegnato altissime preghiere individuali, ma non la capacità di perdersi e fondersi in una preghiera pubblica e corale che abbia questa qualità di fede.

Questo è il dono dello Spirito. La preghiera cristiana non è una somma di preghiere individuali, bensì una fusione di cuori nell’unità, animati dall’unico Spirito.

Si entra nel vero senso della preghiera cristiana quando ci mescoliamo alle sofferenze degli altri, coinvolgendoci in esse, uscendo da noi stessi, dal nostro individualismo, per lasciarci salvare insieme e farci visitare insieme dallo Spirito.

Veniamo alla domanda finale: “Quale preghiera, Signore, vuoi tu da me?”.

La preghiera a cui dobbiamo tendere e sulla quale verificarci, è la preghiera del pubblicano, cioè quella di chi, non riconoscendo niente in sé e nemmeno la capacità di pregare, si abbandona alla potenza e alla misericordia di Dio; sentiremo anche in noi la lode per la misericordia di Dio, non una lode sforzata, ma la lode di chi si sente graziato. Nasce così quella conformità piena che ci fa uscire da sé per perdersi e lasciarsi morire nelle mani di Dio. Questo è sperimentare veramente la preghiera e, quando riusciamo a farlo comunitariamente nel pieno coinvolgimento di noi stessi, la preghiera diventa un lasciarci insieme afferrare da Dio, mettendo noi stessi nelle Sue mani, arresi alla Sua potenza.

Chiediamo quindi al Signore:

che la Sua potenza ci afferri, ci insegni a pregare;

che ci insegni a non voler proiettare noi stessi nella preghiera, le nostre preoccupazioni, i nostri desideri;

che dia a ciascuno di noi quella pienezza di Spirito che ci strappi da noi stessi e ci faccia sperimentare nella preghiera la morte, cioè l’uscita da noi, e la nostra preghiera divenga il momento in cui viviamo il dono perfetto di noi stessi, e il dono che Dio ci dà la Grazia di compiere.

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