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Introduzione

Nella storia del dialogo tra cristianesimo e sapere antico, il XII secolo è indubbiamente un terreno di confronti e scontri. Il confine tra teologia e filosofia non era certo tracciato nei nostri termini. L’integrazione patristica tra cristianesimo e fondo medio- e neo-platonico consentiva un discreto, seppur fragile, margine di azione: la rinnovata lettura di autori classici, più di tutti il Timeo di Platone, permetteva di adattare la mundana sapientia al dato di fede. Lo studio della tradizione dei Padri non fu, comunque, mai accantonato. Questa specifica concezione dell’erudizione si esplicava in diversi modi ma aveva un obiettivo comune: il consolidamento della verità cristiana. Le risorse della razionalità degli antichi rinvigorivano il senso di fare teologia. Trivio e quadrivio costituivano nuove chiavi di accesso alla interpretazione del libro sacro e del cosmo.

I pensatori del XII secolo gravitanti attorno alla cattedrale di Chartres impegnarono le proprie energie speculative al fine di rendere il platonismo uno strumento di conferma della rivelazione, soprattutto in ambito cosmogonico. Fra tutti, Teodorico di Chartres rilesse, nel Tractatus de sex dierum operibus, il testo genesiaco sforzandosi di mettere in luce una sorta di plausibilità naturale del racconto creazionistico. Sulla scorta della tradizione boeziana e neopitagorica, tradusse nel linguaggio assiomatico dell’aritmetica quanto si narra nella stessa Genesi.

Mi propongo quindi di esaminare il Tractatus, non seguendo l’ordine espositivo proposto dall’autore, ma evidenziandone i presupposti dottrinali e le principali linee interpretative. È possibile dividere in due parti il presente elaborato: la prima (Cap. I, II e III) approfondisce l’aspetto più esegetico e naturalistico dell’opera, la seconda (IV e V) quello quadriviale.

Le tematiche affrontate sono state inquadrate nel complessivo sistema di

pensiero dello chartriano, con opportuni e contestuali riferimenti ad altre opere

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dell’autore – principalmente il Commentum, le Lectiones e la Glosa.

1

Si sono resi indispensabili costanti rimandi alla tradizione teologica e all’esegesi dei Padri – soprattutto Basilio di Cesarea, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino. Sono stati, inoltre, messi in luce i tracciati teorici di alcuni filosofi che influenzarono la filosofia teodoriciana e che orientarono le loro riflessioni verso un equilibrio sincretistico tra le diverse declinazioni del platonismo e la Scrittura.

Dopo una breve ricostruzione del sostrato filosofico sotteso alla stesura del Tractatus, il Capitolo I si concentra sul ruolo delle artes e sulla concezione della natura, dall’età patristica fino al secolo XII. Ciò è funzionale alla comprensione della struttura del reale in Teodorico, oltre che alla circoscrizione dell’ambito specifico in cui si esercita l’indagine secundum physicam. È stato necessario individuare quali facoltà conoscitive siano coinvolte nella analisi degli enti creati e di Dio. A ogni modo del reale corrisponde, infatti, un proprio modo speculativo e viene teorizzato entro una particolare disciplina del triplex studium. Della tipologia esegetica attuata nel Tractatus si è evidenziato, infine, il carattere

“scientifico-razionale” e letterale: l’aderenza alla sacra pagina non esclude, anzi implica, la corrispondenza alla fattualità creata e alla sue leggi.

È stato quindi dedicato uno spazio adeguatamente più esteso alla trattazione di argomenti specifici: la filosofia naturale nella cornice esegetica biblica, il concetto di materia, i diversi modi di creazione e, infine, lo Spirito Santo. Il Capitolo II si sofferma sulla condizione contingente del creato, venuto all’essere e formatosi per l’azione di quattro cause: efficiente, formale, finale e materiale. Si è evidenziato quanto il fatto di esistere implichi, per ogni ente e per il cosmo in generale, il fatto di essere ornatus. Dalla anteriorità logica della nozione opposta a quella di ordine, ossia di inordinatum, è stata ricavata la attestazione, o comprobatio, dell’esistenza di un artefice immutabile universale.

Prima di illustrare le strutture della causalità fisica e i diversi modi di configurazione del reale, ho preferito soffermarmi sulla contrapposizione di due modelli temporali della creazione: il diacronico e il simultaneo. A seguito di ciò,

1 Le opere citate sono in ordine cronologico sulla base di P. Dronke (ed.), A History of Twelfth- Century Western Philosophy, Cambridge University Press, Cambridge-New York 1992, pp. 359- 360 e 363-364.

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dunque, ho analizzato il procedere della exornatio mundi, cioè dell’autonomo farsi della natura, ponendo l’accento sul ruolo dell’ignis artifex e sulla questione delle acque sopracelesti.

I l Capitolo III assume, invece, un taglio decisamente storico-filosofico.

Dovendo esporre la concezione della materialità nel quadro dell’esegesi teodoriciana, ho ricostruito le dottrine dei principali filosofi che ricorrono nell’opera esegetica dello chartriano: Calcidio, Ermete Trismegisto e Agostino. In questo modo è stato possibile distinguere le diverse coniugazioni della nozione di materia: la ricettività della silva medioplatonica, il locus mundi ermetico come prerequisito ontologico degli enti, e la eduzione assoluta dal nulla della materia nella riflessione agostiniana.

La posizione di Teodorico in merito allo statuto del principio materiale si pone nel mezzo di due tendenze esegetico-filosofiche del XII secolo: una più ortodossa (di Ugo di San Vittore, di Pietro Lombardo e di Alano di Lilla) e una più “eterodossa” e allineata a criteri schiettamente platonici (di Bernardo di Chartres e Guglielmo di Conches). Alterità e mutabilità sono, invece, per Teodorico le determinazioni più adatte alla materialità e alla sua dipendenza ontologica dal creatore, l’uno divino.

Nel Capitolo IV viene illustrato un vero e proprio cambio di prospettiva argomentativa. L’azione creatrice della divinità, il Verbo di Dio e la formazione essenziale e numerale degli enti si spiegano non più secundum physicam, ma secundum quadruvium. Il metodo assiomatico boeziano orienta la riflessione di Teodorico, che si esplica more mathematicorum. Per questo motivo il lettore troverà numerosi riferimenti al De arithmetica di Boezio.

La semplicità del principio creatore e il rapporto di questi con il Verbo

verte appunto sulla coppia numerica uno-due, o meglio, unitas-equalitas. La

relazione creaturale che lega gli enti a Dio proposta da Teodorico, invece, si fonda

su due nozioni: quella boeziana di partecipazione, nel De hebdomadibus, e quella

neopitagorica di creatio numerorum. Dio è ipsum esse e il Figlio è forma essendi,

ovvero limite definiente le essenze delle singole creature secondo proporzioni

numeriche.

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In questa prospettiva si è parlato di termini trascendenti. Ens e unum si implicano mutevolmente in tutto ciò che esiste. All’occorrenza si è infatti accennato ai risultati speculativi della grammatica in Teodorico, che corrono paralleli a quelli dell’aritmetica, come, ad esempio, l’aliter predicari delle categorie rispetto a Dio. È stato inoltre evidenziato il platonismo grammaticale dell’autore: forme (le notiones in mente dei) e nomi (i vocabula) corrispondono:

dire che cosa è qualcosa (il τί ἐστι socratico) corrisponde a dire che esiste.

La promessa di una esaustiva trattazione quadriviale non trova però soddisfazione: il Tractatus si interrompe con la analisi aritmetica del Figlio di Dio, lasciando aperto il quesito sull’utilizzo delle altre discipline in ambito teologico e, soprattutto, sulla definizione della terza persona trinitaria.

Il Capitolo V si sofferma proprio sullo Spirito Santo e sullo spiritus ferens, nella cornice espositiva del Tractatus e nel complessivo pensiero dello chartriano.

Il ruolo di connexio tra Padre e Figlio è il risultato di una lunga tradizione dogmatica, secondo cui lo Spirito è procedens ab utroque, e dell’impostazione neoplatonica agostiniana. La terza persona della Trinità è legame d’amore, una connessione, cioè, che lega unità e eguaglianza di unità divine.

Ancora una volta si è ripercorso l’itinerario esegetico tracciato dai Padri della Chiesa attraverso le interpretazioni che Basilio, Sant’Ambrogio e Sant’Agostino diedero di Gen. 1, 2. Questo ha permesso di rintracciare la sostanziale continuità tra pensiero patristico e teodoriciano. Tuttavia, al fine di decodificare la funzione dello spiritus nel cancelliere di Chartres, non si è tralasciato di esaminare gli apporti calcidiani e ermetici. Provvidenza e principio animatore del cosmo sono elementi che ritroviamo, con essenziali aggiustamenti, ne l Tractatus e nel Commentum: lo Spirito è infatti causa finale della rerum universitas e, qualora inteso come perpetuus, svolge la funzione di mantenimento dell’unità fattuale delle creature.

Dato il rischioso accostamento di Spirito Santo e anima mundi platonica che si profila nel Tractatus, si sono infine analizzate le posizioni dei due filosofi che attirarono le critiche di Guglielmo di Saint Thierry e Bernardo di Chiaravalle:

Abelardo e Guglielmo di Conches. Il Concilio di Sens (1141) solleva, o risolve, a

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seconda dei punti di vista, il problema della datazione del Tractatus.

Perché Teodorico non venne accusato, assieme ai suo contemporanei, dal sinodo per aver sostenuto la suddetta identificazione tra terza persona trinitaria e anima cosmica? Come detto in apertura, il XII secolo è un periodo di confronti e scontri. Il Tractatus esprime entrambe le modalità di scambio tra religiosità cristiana e filosofia. Parimenti, Teodorico di Chartres sintetizza due modi di vivere la fede e il sapere: il chiostro e la scuola.

Oltre ai tradizionali studi critici sulla scuola di Chartres (Marie-Dominique

Chenu, Tullio Gregory, Eduard Jeauneau, Charles H. Haskins, Joseph M. Parent,

Richard Southern, Enzo Maccagnolo), hanno orientato la mia ricerca gli studi di

Peter Dronke, David Albertson (per la teologia assiomatica), Irene Caiazzo e Jean-

Yves Guillaumin (per i collegamenti con l’aritmetica boeziana), Luisa Valente

(per la riflessione sui termini trascendentali), Michelle Lemoine (per uno sguardo

d’insieme sulla scuola di Chartres), Willemien Otten, Albert Speer, Gian Carlo

Garfagnini (per la filosofia naturale e la cosmologia), Barbara Faes de Mottoni

(per i “platonismi” del XII secolo), Claudio Moreschini (per l’ermetismo, il sapere

cristiano tardo-antico e patristico). L’edizione del Tractatus su cui ho lavorato è

quella a cura di Nicholas M. Häring (Thierry of Chartres, Commentaries on

Boethius by Thierry of Chartres and His School, a c. di N. Häring, Pontifical

Institute of Medieval Studies, Toronto 1971).

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Abbreviazioni

AHDLMA Archives d’Histoire Doctrinale et Littéraire du Moyen Âge.

Vrin, Paris 1926-.

CCCM Corpus Christianorum Continuatio Medievalis.

Brepols, Turnhout 1970-.

CCSL Corpus Christianorum Series Latina.

Brepols, Turnhout 1970-.

Comm. Teodorico di Chartres, Commentum super Boethii librum de Trinitate, in Commentaries on Boethius by Thierry of Chartres and His School, a c. di N. Häring, Pontifical Institute of Medieval Studies, Toronto 1971, pp.

55-116.

CSEL Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum.

Hölder-Pichler-Tempsky, Vienna 1866-.

Gen. Genesi

Gl. Teodorico di Chartres, Glosa super Boethii librum de Trinitate, in Commentaries on Boethius by Thierry of Chartres and His School, a c.

di N. Häring, Pontifical Institute of Medieval Studies, Toronto 1971, pp.

257-300.

In Tim. Calcidio,Timaeus a Calcidio translatus commentarioque instructus, a c.

di J. H. Waszink, The Warburg Institute, London-Leiden 1975.

Lect. Teodorico di Chartres, Lectiones in Boethii librum de Trinitate, in Commentaries on Boethius by Thierry of Chartres and His School, a c. di N. Häring, Pontifical Institute of Medieval Studies, Toronto 1971, pp.

123-229.

PG Patrologiae Cursus Completus Series Graeca.

Migne, Paris 1856-1866.

PL Patrologiae Cursus Completus Series Latina.

Migne, Paris 1844-1864.

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SCBO Scriptorum Classicorum Bibliotheca Oxoniensis.

Oxford University Press, Oxford 1898-.

SGRT Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana.

Walter de Gruyter GmbH, Stoccarda-Lipsia 1849-.

Tractatus Teodorico di Chartres, Tractatus de sex dierum operibus, in

Commentaries on Boethius by Thierry of Chartres and His School, a c. di N. Häring, Pontifical Institute of Medieval Studies, Toronto 1971, pp.

553-575.

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Capitolo I

Alcune annotazioni preliminari: la progressione del sapere e i quattro modi del reale al servizio di una physica lectio

1. Contestualizzazione dell’opera

Il Tractatus de sex dierum operibus di Teodorico di Chartres è un esempio di approccio innovativo all’esegesi medievale strettamente collegata all’indagine sulla natura ‘fisica’ del creato. Nel XII secolo il rinnovamento della formazione culturale dei chierici attraverso lo studio delle arti liberali nelle scuole urbane e nelle scuole cattedrali aveva introdotto una rinnovata attenzione alle discipline collegabili alla cultura profana e antica. In questo quadro va collocata la riscoperta chartrense del Timeo platonico come testo di filosofia naturale compatibile con un’esegesi biblica legata alle coordinate neoplatoniche agostiniane.

L’Occidente attraversa nel XII secolo una trasformazione sociale ed eco- nomica che si riflette in ambito intellettuale ed istituzionale. Le città reclamano le proprie autonomie politiche e quest’esigenza si esprime, ad esempio, nelle nuove forme di aggregazione corporativa.

1

Le comunità si caratterizzano per una mobili- tà più estesa: il commercio, i pellegrinaggi e le crociate sono i ponti principali che collegano la civiltà occidentale a quella orientale.

Il confronto con le altre religioni del libro e con nuove correnti ereticali portano le scuole cristiane, piuttosto che i chiostri, ad elaborare risposte diverse per affermare la propria identità.

Per queste ragioni la Dreyer parla di un «consolidamento formale del sape- re teologico cristiano» e di «autocostituzione in scienza della teologia».

2

Lo stru-

1 Sulla crescita delle realtà urbane nel XII secolo, cfr. H. Pirenne, Medieval Cities: The Origins and the Revival of the Trade, Princeton University Press, Princeton 1969. Lo scenario storico della cristianità intellettuale, con una particolare attenzione al passaggio dalla “rinascita” carolingia alla

“rinascita” del XII secolo, si trova nello studio, ormai classico, di C. H. Haskins, La rinascita del XII secolo, tr. it. P. Marziale Bartole, Il Mulino, Bologna 1972, pp. 22-33. Altro studio critico fondamentale è quello di R. W. Southern, The School of Paris and the School of Chartres, in Renaissance and Renewal in the Twelfth Century, a c. di R. L. Benson-G. Constable- C. D.

Lanham, Harvard University Press, Cambridge 1982, pp. 113-137.

2 M. Dreyer, Razionalità scientifica e teologia nei secoli XI e XII, Jaca Book, Milano 2001, pp. 22-

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mentario concettuale resta quello delle artes, tra le quali va assumendo sempre più importanza la dialettica. Ma è soprattutto l’assetto metodico delle discipline mate- matiche a contribuire alla “razionalizzazione” degli assunti dogmatici.

La rielaborazione critica del dato di fede si accompagna ad una nuova con- cezione del mondo. Si riconosce nell’opus naturae una sistematicità e una razio- nalità di cui è possibile studiarne il funzionamento.

3

Nel caso di Teodorico si tratta di rileggere la Genesi non esclusivamente tramite categorie patristiche, ma secon- do i criteri della scientia naturalis, conformemente cioè a standard di razionalità cosmologica e physica, quest’ultima intesa nel senso timaico filtrato dalla com- prensione medioplatonico-cristiana di Calcidio.

L’adozione di questa mentalità razionalistico-matematica non conduce ne- cessariamente alla sostituzione o subordinazione del sapere teologico, quanto piut- tosto ad un suo rinnovamento interno. Così, il motto anselmiano fides quaerens intellectum risulta ancora adatto a comprendere lo spirito esegetico del secolo suc- cessivo della scuola di Chartres.

4

L’approccio al testo sacro assume come criterio d’analisi la ratio dell’uo- mo e del reale, ma rimane entro coordinate sicuramente teologiche. Se è vero che nel Tractatus si ha prova di una genuina considerazione della natura, scevra di ogni interpretazione miracolistica, è altrettanto vero che l’opera di Teodorico non rompe totalmente il legame con la tradizione. La riflessione sulla creazione del mondo elaborata dal Cancelliere di Chartres si innesta ancora sul vasto humus ese- getico dei Padri della Chiesa, latini e cappadoci.

24.

3 G. Garfagnini, La materia creata in alcuni autori del XII e del XIII secolo, «Doctor seraphicus»

44, (1997), pp. 7-28, 9: «E che non si tratti più soltanto , per lo meno per la maggior parte degli scritti che ci sono conservati, degli occhi spirituali dei fideles, preoccupati di cogliere nella nella natura circostante i segni dell’azione gratuita di Dio, ma di quelli di una ragione tesa in primo luogo a comprendere per poi, successivamente, credere o confermare la propria fede, lo si percepisce anche ad una semplice e cursoria lettura della struttura delle varie expositiones in hexaemeron, laddove vengono utilizzati sia gli strumenti critico-letterari sia quelli logico- filosofici». Cfr., inoltre, T. Stiefel, The Heresy of Science: A Twelfth-Century Conceptual Revolution, «Isis» 68, 3, (1977), pp. 346-362, 347.

4 Userò la locuzione “scuola di Chartres” per indicare l’ambiente della scuola cattedrale cui è inse- rito Teodorico, senza voler suggerire con ciò un effettivo collegamento dottrinale tra i diversi Can- cellieri che si sono succeduti al capitolo. Per la questione riguardante l’esistenza o meno di una

“scuola di pensiero” a Chartres, cfr. M. Lemoine, Intorno a Chartres, Jaca Book, Milano 1998, so- prattutto pp. 15-22.

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L’interpretazione genesiaca teodoriciana ha potuto allinearsi alla tradizio- nale esegesi patristica, in virtù dell’attenzione prestata tanto alla pagina divina quanto all’orbis terrarum da parte dei Padri stessi.

5

Fin dai primi secoli della sua formazione, la dottrina cristiana doveva inevitabilmente fare i conti con la cultura profana del tempo. Poteva trattarsi di un netto rigetto, come per Lattanzio o Ter- tulliano, o poteva risolversi in una inclusione dell’istruzione liberale all’interno della struttura sapienziale cristiana, in vista della vita beata, come per Agostino.

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Le opere dei sancti doctores presentano, inoltre, un riconoscimento valo- riale, seppur allo stadio embrionale, delle teorie dei naturales. Tuttavia, anche per Ambrogio ed Agostino, la comprensione razionale dei componenti del mondo fisi- co, come nel caso delle acque sopracelesti, si rimette ancora all’onnipotenza di Dio.

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Del resto, è il contenuto biblico inoltre a fornire gli estremi per una ade- guata e sensata indagine della realtà fisica. All’interno dell’assetto cosmologico la causa prima e finale sono già assunte e la spiegazione del come e che cosa sia il mondo trova pertanto il proprio spazio tra Dio e la sua Bontà, in cui tutto il creato si risolve. Nel testo che esamineremo si prospetta quindi un tipo di sapere autono- mo ed originale, ma allo stesso tempo coerente con la Sacra Scrittura.

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Per di più, il tracciato speculativo filosofico rivela una forte continuità ri- spetto a quello dei secoli precedenti: il Timeo, con apporti aristotelici dovuti ai commenti neoplatonici e stoici di epoca tardo-antica, costituisce il quadro di rife- rimento per una physica lectio applicata alla Genesi. La concezione timaica di un mondo ordinato in riferimento ad un archetipo e provvisto di un’anima vivifican- te, nonché l’armonia numerica in base a cui viene strutturato, divengono, per il

5 Un esempio fra tutti è Agostino. Cfr. Agostino, Enarrationes in Psalmos 45, 7, a c. di D. E.

Dekkers-I. Fraipont, CCSL 38, Brepols, Turnhout 1956, p. 522: «Liber tibi sit pagina divina, ut haec audias: liber tibi sit orbis terrarum, ut haec videas. In istis codicibus non ea legunt, nisi qui litteras noverunt: in toto mundo legat et idiota».

6 Cfr. Agostino, De ordine I, 8, 24, a c. di W. M. Green, CCSL 29, Brepols, Turnhout 1970, p.

1 0 0 : «Nam eruditio disciplinarum liberalium, modesta sane ac succincta, et alacriores et perseverantiores et comptiores exhibet amatores amplectendae veritati, ut ardentius appetant, et constantius insequantur et inhaereant postremo dulcius, quae vocatur Licenti, beata vita».

7 Cfr. Ambrogio, I sei giorni della creazione o Esamerone, I, 1-2, a c. di G. Banterle, in Opera Omnia di Sant’Ambrogio, Città Nuova, Roma 1979, pp. 24-30; cfr. Agostino, De Genesi ad litteram II, 1-2, a c. di J. Zycha, CSEL 28, 1, Vienna-Leipzig 1894, pp. 32-36.

8 Cfr. Teodorico, Comm. II, 18, ed. Häring, p. 74:«De eterno igitur et perpetuo ea quidem in quibus philosophi cum sanctis spripturis concordant quantum humana fert ratio attingamus. Illa enim in quibus philosophia a sacra dissidet scriptura utpote a via veritatis exorbitantia recimus».

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tramite del Commento al Timeo di Calcidio, motivi centrali nella letteratura esege- tica del XII secolo.

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Altri compendi di platonismo e neoplatonismo concorrono alla spiegazione teodoriciana sull’origine del creato: è il caso del Commento al sogno di Scipione di Macrobio e del testo ermetico Asclepius.

Dagli Opuscola sacra di Boezio, in particolar modo dal De hebdomadibus, deriva inoltre l’applicazione della procedura argomentativa matematica in un am- bito non matematico, sulla scorta della metodologia scientifica presente negli Analitici secondi di Aristotele.

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La tripartizione del sapere di stampo aristotelico-boeziano rimane una co- stante nel percorso speculativo del nostro chartriano, e costituisce un elemento im- prescindibile per la comprensione della struttura del reale.

Alla configurazione epistemologica appena citata fa da sfondo l’assetto delle sette arti liberali, sul modello delle opere enciclopediche che si diffusero tra IV e VIII secolo: il De nuptiis Philologiae et Mercurii di Marziano Capella, le In- stitutiones di Cassiodoro e le Etymologiae di Isidoro di Siviglia.

Nel generale clima di “rinascita” del XII secolo, lo studio della natura si avvale, inoltre, di ulteriori conoscenze mediche di provenienza greca e araba, nel- le cui sezioni teoriche si presuppone una concezione generale del cosmo riflessa nella configurazione dell’uomo-microcosmo.

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Le traduzioni di opere galeniche entrano nel bagaglio culturale occidentale per opera di Costantino l’Africano. Le sue teorie sulle particelle minime e semplici costituenti gli elementi sono assunte, senza riserve, in tutti i testi di Guglielmo di Chonches e nelle Quaestiones natura- les di Adelardo di Bath. Si deve inoltre ad Ermanno di Carinzia, discepolo di Teo- dorico, la traduzione del Planispherum di Tolomeo.

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L’atteggiamento umanistico che si riscontra a Chartres testimonia l’inte- resse di tutto il XII secolo per i valori dell’antichità. I “giganti” di cui parla Ber-

9 D. Chenu, La théologie au douziéme siécle, Vrin, Parigi 1957, pp. 118-120.

10 Dreyer, Razionalità scientifica, pp. 89-90. Cfr. Aristotele, Analitici II, I, 1, 71a ss., a c. di G.

Colli, Adelphi, Milano 2003, pp. 277-279.

11 T. Gregory, Mundana sapientia, Forme di conoscenza nella cultura medievale, Edizioni di Sto- ria e Letteratura, Roma 1992, pp. 125-27. Haskins, La rinascita del XII secolo, pp. 12-14 e 20.

12 Cfr. Adelardo di Bath, Quaestiones naturales I-II e IV, in Adelard of Bath, Conversation with his Nephew. On the Same and the Different, Questions on Natural Science, and On Birds, a c. di C. Brunnett-I. Ronca-P. Mantas España-B. Van Den Abeene, Cambridge University Press, Cam- bridge 1998, pp. 81-107 e 258 ss.. Sulle Quaestiones naturales di Adelardo di Bath, cfr. C. Brun- nett, Introduction, in Adelard of Bath, Conversation with his Nephew, pp. 11-52. Cfr. J. Jolivet, The arabic inheritance, in Dronke, A History, pp. 113-148, 116 e 126-129.

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nardo di Chartres sono anche gli eroi della mitologia greca e latina. Una menzione speciale spetta quindi a Virgilio, emblema del recupero degli autori classici: nel- l’intera produzione di Teodorico vi troviamo infatti cospicui riferimenti sia all’E- neide che alle Georgiche. Giovanni di Salisbury descriveva la schiera di studenti, sofisti del secolo perché in cerca di un sapere di rapida acquisizione, proprio in ri- ferimento all’avversario di Virgilio: Cornificio.

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Tali sistemi del sapere, che si sovrappongono l’uno sull’altro, delineando nettamente i propri margini, contribuiscono alla formazione del pensiero de «il più grande dei filosofi nell’Europa intera» secondo Clarembaldo di Arras, di quel dili- gentissimus preceptor nonché Platone redivivo, per Ermanno di Carinzia, ma an- che del più degno successore di Aristotele, come recita il suo epitaffio.

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La rilevanza del Tractatus deriva infine dal fatto di essere uno strumento di sintesi per l’intera riflessione di Teodorico: si presenta infatti, sostiene Macca- gnolo, come compimento del pensiero e capitolo finale dell’autore che integra, senza contraddirle, le riflessioni contenute nei commenti a Boezio.

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Oltre ciò, la stessa opera esemplifica il valore autonomo che la natura riveste in questa epoca.

Ma della suddetta concezione naturalistica, che riguarda in prima istanza l’am- biente di Chartres a differenza di quanto avviene in altre scuole cattedrali del se- colo, parleremo in un altro paragrafo.

2. Le artes

A metà del XII secolo il Portale dei Re della cattedrale di Chartres viene in parte decorato con sculture che rappresentano le sette arti liberali. Questo dato ar- chitettonico, anche se lontano da ciò di cui ci stiamo occupando, esprime l’impor- tanza assunta dalle arti liberali nel contesto speculativo chartrense. Non si può

13 P. Riché – J. Verger, Nani sulle spalle di giganti, maestri e allievi nel medioevo, Jaca Book, Milano 2011, pp. 99-101. Cfr. B. Widmer, Thierry von Chartres, ein Gelehrtenschicksal des 12.

Jahrhunderts, «Historische Zeitschrift» 200, 3, (1965), pp. 552-571, 565-567.

14 Cfr Clarembaldo di Arras, Epistola, a c. di N. Häring, «AHDLMA» 22, (1955), pp. 183-216; Er- manno di Carinzia, De Essentiis, a c. di C. Burnett, Brill, Leiden-Cologne 1982, pp. 347-349; A.

Vernet, Une épitaphe inédite de Thierry de Chartres, in Recueil de travaux offert a Clovis Brunel, vol. 2, Paris 1955, pp. 660-670.

15 Maccagnolo, Introduzione, in id., Il divino e il megacosmo, Rusconi, Milano 1980, pp. 7-74, 28.

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prescindere dalla considerazione delle sette discipline se si vuole comprendere la strutturazione del pensiero di Teodorico, il suo modo di fare esegesi e la sua con- cezione di natura.

Le artes liberales indicavano nella Roma del I secolo d. C. le materie co- stituenti l’iter studiorum per accedere a un’istruzione di ordine superiore: la filo- sofia. In quanto preparazione o elevazione alla sapienza, a queste discipline venne accostato l’aggettivo “liberali”: si adattavano, infatti, alla dignità dell’uomo libe- ro.

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Il loro valore di propedeuticità deriva dagli studi isagogici che nel mondo greco di età ellenistica costituivano la ἐγκύκλιος παιδεία.

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Offrivano infatti una preparazione linguistico-letteraria – grammatica, retorica e dialettica – e matema- tica – aritmetica, geometria, astronomia e musica. Già nei Disciplinarum libri IX, opera da cui quasi tutti gli scrittori della tarda antichità dipendono, Varrone pre- sentava il proprio progetto educativo. A dimostrazione dei confini non ancora de- finiti del percorso formativo, Varrone accosta alle sette discipline standard, altre due materie complementari: la medicina e l’architettura.

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L’accoglienza delle arti da parte della cristianità non avviene immediata- mente e soprattutto senza critiche. «La sapienza di questo mondo è stoltezza da- vanti a Dio».

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Le parole di San Paolo vengono interpretate come un monito con- tro la vana curiositas. La brama di sapere mondano e il desiderio di affrontare te- matiche non direttamente inerenti alla salvezza sono il bersaglio polemico di Ter- tulliano e Lattanzio.

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I due apologeti del cristianesimo esprimono la divaricazione tra sapere profano, spesso identificato con un sapere eretico, e verità rivelata. Tut- tavia, entrambi sono in qualche modo partecipi della stessa cultura che denuncia- no, almeno per quanto riguarda la foro formazione intellettuale e le categorie entro cui inquadrano i propri discorsi.

La conciliazione tra la dottrina cristiana e il sistema classico dei saperi si compie, o meglio, inizia con Agostino. Non si tratta di una mera accettazione del-

16 Cfr. Seneca, Epistularum moralium ad Lucilium 88, 2, a c. di G. Monti, BUR, Milano 1999, p.

652: «studium vere liberale est quod liberum facit».

17 H-I. Marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, Edizioni Studium, Roma 1994, pp. 242-243.

18 M. C. Díaz y Díaz, Enciclopedismo e sapere cristiano. Tra tardo-antico e alto Medioevo, Jaca Book, Milano 1999, pp. 26-28.

19 1 Cor. 3, 19.

20 Cfr. G. Garfagnini, Cosmologie medievali, Loescher, Torino 1986, pp. 12-13.

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la cultura antica, quanto di un’opera di selezione ed espunzione degli elementi inutili, se non dannosi, delle conoscenze profane. Riprendendo il passo di Es 12, 35, Agostino paragona il vasellame egiziano d’oro e d’argento, che gli ebrei porta- no con sé al momento di partire per la Terra promessa, ai “tesori scientifici” eredi- tati dagli antichi.

21

Come l’oro degli egizi, le arti liberali possono essere accolte dai cristiani e sfruttate a vantaggio dello studio della Bibbia.

22

Le materie degli an- tichi assumono quindi un ruolo ancillare ed ausiliare ad una migliore interpreta- zione della parola di Dio.

23

Una prima sistemazione delle arti si deve all’opera in prosa e versi di Mar- ziano Capella. Nei nove libri del De nuptiis Philologiae et Mercurii si assiste alla consacrazione dei maggiori trattatisti precedenti e, attraverso l’allegorica ascesa in cielo di Filologia, alla elevazione delle conoscenze disciplinari a canoni di validità universale. Le materie complementari incluse nell’opera varroniana, non trovano più spazio nella partizione di Marziano Capella.

24

Le arti meccaniche tornano ad essere incluse nel sistema del sapere grazie all’opera di un altro pensatore del XII secolo: Ugo di San Vittore.

25

L’edificio ugoniano della conoscenza presentato nel Didascalicon è composto da tre parti:

21 Es. 12, 35: «Feceruntque filii Israel, sicut praeceperat Moyses, et petierunt ab Aegyptiis vasa argentea et aurea vestemque plurimam». Cfr. Agostino, De doctrina christiana, II, 40, 60, a c. di I.

Martin, CCSL 32, Brepols, Turnhout 1962, pp. 73-74: «Philosophi autem qui vocantur si qua forte vera et fidei nostrae accommodata dixerunt, maxime Platonici, non solum formidanda non sunt, sed ab eis etiam tamquam ab iniustis possessoribus in usum nostrum vindicanda. Sicut enim Aegyptii non tantum idola habebant et onera gravia, quae populus Israhel detestaretur et fugeret, sed etiam vasa atque ornamenta de auro et aargento et vestem, quae ille populus exiens de Aegypto sibi potius tamquam ad usum meliorem clanculo vindicavit».

22 Agostino, De doctrina christiana II, 40, 60, a c. di Martin, pp. 73-74: «Sicut enim Aegyptii non tantum idola habebant et onera gravia, quae populus Israel detestaretur et fugeret, sed etiam vasa atque ornamenta de auro et de argento et vestem, quae ille populus exiens de Aegypto sibi potius tamquam ad usum meliorem clanculo vindicavit, non auctoritate propria, sed praecepto Dei […]

sic doctrinae omnes Gentilium non solum simulata et superstitiosa figmenta gravesque sarcinas supervacanei laboris habent, quae unusquisque nostrum, duce Christo, de societate Gentilium exiens, debet abominari atque devitare, sed etiam liberales disciplinas usui veritatis aptiores et quaedam morum praecepta utilissima continent, deque ipso uno Deo colendo nonnulla vera inveniuntur apud eos».

23 Díaz y Díaz, Enciclopedismo e sapere cristiano, pp. 50-54.

24 Cfr. H. Grant, Mathematics and the Liberal Arts, «The College Mathematics Journal» 30, 2, (1999), pp. 96-105, 101.

25 Sulle artes mechanicae a Chartres e a San Vittore, cfr. M. Lejbowicz, Cosmogenèse, traditions culturelles et innovation (Sur les sections 18-21 du Tractatus de sex dierum operibus de Thierry de Chartres), i n Langage, sciences, philosophie au XIIͤ siècle. (Actes de la table ronde internationale organisée les 25 et 26 mars 1998 par le Centre d’histoire des sciences et des philosophies arabes et médiévales et le Programme international de coopération scientifique

’Transmission des sciences et des techniques dans une perspective interculturelle’, a c. di J. Biard, Vrin, Paris 1999, pp. 39-59, 49-53.

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teoretica, pratica e meccanica. Il compito del filosofo consiste quindi nell’esplora- zione dei principi e delle cause prime e originarie anche delle arti meccaniche. Lo studio delle attività “adulterine” si situa all’interno di un iter religioso di rigenera- zione dell’uomo decaduto: per il vittorino si tratta perciò di reinserirle in una pro- spettiva teologica cristiana. Le artes profane sono infatti riunificate nel concetto inclusivo di filosofia e ordinate naturalmente ad una sapienza superiore.

26

Nella riflessione boeziana le artes diventano parte costitutiva della filoso- fia e momenti necessari per accedere alla verità. Il progetto di traduzione delle opere greche rappresenta una volontà di ritorno alle fonti, in vista di una esposi- zione organica del sapere antico e della trasmissione di quest’ultimo alla cultura medievale. La classificazione in trivium e quadrivium, introdotta da Boezio, siste- ma le arti in due gruppi omogenei, che diverranno convenzionali.

27

Sono soprattutto gli scritti logici e teologici di Boezio ad entrare nel baga- glio “tecnico-scientifico” di tutto il medioevo. La vasta recezione del modello boeziano nel XII secolo consente addirittura di parlare, come fa Chenu, di un ae- tas boetiana.

28

Le artes divengono l’istanza veritativa e criterio epistemico-meto- dologico a servizio della speculazione filosofica e teologica.

Pietro Abelardo testimonia l’assunzione del metodo dialettico in ambito teologico. In quanto scienza dell’eloquenza e della distinzione degli argomenti, la dialettica prende in esame le contraddizioni testuali riguardanti la dogmatica cri- stiana. Queste, infatti, derivano da un approccio acritico al testo stesso e possono essere chiarite da un’analisi linguistica o da regole ermeneutiche. Il solo confronto tra le auctoritates non produce una chiara interpretazione dei testi sacri.

29

La dog- matica cristiana trova quindi, nelle opere di Abelardo, un valido strumento episte- mico in una delle artes: la dialettica.

L’impostazione more geometrico di Boezio si rintraccia sicuramente in ogni opera teodoriciana. La speculazione teologica viene difatti immessa entro un

26 D. Poirel, Ugo di San Vittore. Storia, scienza, contemplazione, Jaca Book, Milano 1997, pp. 47 e 54-56.

27 Cfr. J.-Y. Guillaumin, Boethius’s De institutione arithmetica and its Influence on Posterity, in a Companion to Boethius in the Middle Ages, a c. di N. H. Kayrol-P. E. Phillips, Brill, Leiden- Boston 2012, pp. 135-161, 136-137.

28 Chenu, La théologie, pp. 152-153.

29 Dreyer, Razionalità scientifica, pp. 37-43.

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sistema apodittico, caratteristico del De hebdomadibus boeziano, che ritroviamo anche nella parte finale del Tractatus.

Adsint igitur quatuor genera rationum que ducunt hominem ad cogni- tionem creatoris: scilicet aritmethice, probationes et musice et geome- trice et astronomice.30

Le probationes matematiche si rivelano un mezzo conveniente alla cono- scenza di Dio. Con questo presupposto, il tema della creazione e della divinità si sviluppa nel Tractatus con attenzione sistematica e propriamente filosofica, senza sostituirsi al dato rivelato, ma anzi favorendo la lettura e la comprensione “pro- fonda” del testo sacro.

31

L’Heptateuchon di Teodorico esemplifica la rilevanza assunta dalle disci- plinae nell’ambito della formazione intellettuale del XII secolo. Si tratta di un flo- rilegio enciclopedico che sintetizza l’insegnamento delle sette arti liberali del Cancelliere di Chartres.

32

Quest’opera evidenzia quanto il campo di ogni materia si fosse ampliato rispetto all’età carolingia. Per fare alcuni esempi, la sezione dia- lettica include l’intero Organon di Aristotele, ad eccezione degli Analitici Secon- di. La sezione di astronomia riporta alcune tavole tolemaiche, ma anche le tavole astronomiche, tradotte da Adelardo di Bath, di al-Khwārizmī. La versione di Ade- lardo di Bath degli Elementi euclidei arricchisce, inoltre, il settore geometrico.

L’insieme delle materie è al servizio della filosofia. Come Teodorico affer- ma nel prologo dell’Heptateuchon, per filosofare si utilizzano due strumenti: l’in- tellectus e l’interpretatio.

33

Il quadrivium offre la materia su cui si esercita la com- prensione; il trivium consente invece un’adeguata esposizione linguistica per l’in- terpretazione. Contenuto e forma si connettono armonicamente, delineando una concezione unitaria della conoscenza.

34

30 Teodorico, Tractatus 30, ed. Häring, p. 568.

31 Maccagnolo, Rerum universitas, saggio sulla filosofia di Teodorico di Chartres, Felice-Le Monnier, Firenze 1976, p. 202. Cfr. G. R. Evans, Old Arts and New Theology: the Beginnings of Theology as an Academic Discipline, Oxford Clarendon Press, Oxford 1980, pp. 119-136.

32 Per una definizione del genere letterario dei florilegia si veda E. Rauner, Florilegien, in Lexicon des Mitteralters vol. IV, München 1989, p. 566.

33 Il prologo dell’Heptateuchon si trova in E. Jeauneau, Lectio Philosophorum, Recherches sur l’école de Chartres, Hakkert, Amsterdam 1973, pp. 90-93.

34 P. Dronke, Thierry of Chartres, in id., A History, pp. 358-385, 360-361.

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3. La natura

La rielaborazione scientifica della fede, di cui Dreyer individua i punti di svolta, avviene nel XII secolo, specialmente a Chartres, dove si riscopre la strada della scientia naturalis.

35

Ai fenomeni naturali viene dedicata una più profonda at- tenzione, attraverso lo studio dei principi che li determinano. Ciò è possibile sulla base di una nuova idea di natura.

36

Precedentemente il cosmo era interpretato secondo iuxta allegoriam e iux- ta spiritualem intelligentiam. L’universo empirico era dunque visto come un reti- colo di significati simbolici e morali, attraverso i quali era dato cogliere la volontà del Creatore. Questa interpretazione allegorica dell’accadere fisico-naturale si ri- fletteva nella lettura tipologica del testo sacro.

Nella letteratura esamerale cristiana dei primi secoli, infatti, la volontà di Dio è causa diretta degli eventi naturali. Anche Agostino ricorre, in definitiva, al- l’imperscrutabile disegno divino per spiegare molti dei fenomeni fisici descritti nella Bibbia che risultano incompatibili con l’esperienza. Nonostante ciò, il De Genesi ad litteram concede molta attenzione alle teorie naturali e profane dell’e- poca.

Cum enim quemquam de numero Christianorum in ea re quam optime norunt errare comprehenderint, et vanam sententiam suam de nostris Libris asserere, quo pacto illis Libris credituri sunt de resurrectione mortuorum et de spe vitae aeternae regnoque caelorum, quando de his rebus, quas iam experiri vel indubitatis numeris percipere potuerunt, fallaciter putaverint esse conscriptos?37

Mai contro il testo rivelato, ma, anzi, a beneficio della religione, le dottrine dei naturales possono essere accolte dal credente. Pertanto, non è lecito discono- scere l’importanza delle conoscenze scientifiche. Un cristiano che contestasse un

35 Dreyer, Razionalità scientifica, p. 23.

36 Cfr. S. Vanni Rovighi, A proposito di uomo e natura nel secolo XII, in L’infinita via. Ragione natura e Trinità da Anselmo a Tommaso, a c. di A. Tarabochia Canavero, Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo 1990, pp. 195-202, 209-216.

37 Agostino, De Genesi ad litteram I, 19, 39, a c. di Zycha, p. 29.

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pagano in merito a nozioni note certissima ratione vel experientia, risulterebbe, secondo Agostino, ridicolo e presuntuoso. Associando le conoscenze fallaci del credente al contenuto dei testi sacri, risulterebbe inoltre compromessa una possibi- le conversione dei pagani stessi.

Tuttavia, già in Basilio ed Ambrogio si riscontra una sensibilità diversa nei confronti del creato. Non a caso questi due autori costituiscono dei punti di riferi- mento per Teodorico nella stesura del Tractatus.

Della «sensibilità vibrante per gli spettacoli naturali» è segno l’accurata descrizione basiliana degli esseri viventi, vegetali ed animali, contenuta nelle Omelie sull’Esamerone.

38

È stato stabilito, infatti, il rapporto dell’opera esamerale di Basilio sia con testi di catechesi natualistica, come il Physiologus, sia con epi- tomi delle opere “scientifiche” di Aristotele.

39

La complessa e variegata struttura creaturale rimane comunque segno dell’infinita potenza del Creatore.

40

Sotto l’influenza dell’opera basiliana, anche l’Hexaemeron di Ambrogio lascia intuire un patrimonio di conoscenze scientifiche da parte dell’autore. Que- ste, tuttavia, non sono ancora frutto di osservazione. La ragione di accadimenti na- turali si trova ancora nella volontà divina; il dettato biblico è, infatti, necessaria- mente vero. In questo senso, l’unica verità espressa dalla fede si contrappone alle svariate ragioni dei pagani. Accogliere come verità la Genesi non coincide con l’accettazione di un modello scientifico del mondo fisico. Non è questo che offre la Bibbia.

Nella riflessione teodoriciana, il creato non è più manifestazione diretta della volontà divina. Viene invece concepito come contesto di cause ordinate e per sé sufficienti, poste in essere da Dio ma dotate di propria autonomia operativa.

Dopo la creazione degli elementi, è la natura stessa a proseguire l’opus creatoris, senza che Dio debba intervenire direttamente. Le cause seconde e le rationes se-

38 G. Banterle, Introduzione, in Ambrogio, Esamerone, a c. di Banterle, p. 17. Cfr. Basilio di Cesarea, Sulla Genesi (Omelie sull’Esamerone) IX, 5, a c. di M. Naldini, Fondazione Lorenzo Valla, Milano 2001, p. 287: «Quindi sono prolifiche le lepri, le capre selvatiche, e le pecore selvatiche partoriscono due volte perché non scompaia la specie distrutta dagli animali carnivori».

39 Cfr. M. Naldini, Introduzione, in Basilio di Cesarea, Sulla Genesi, a c. di Naldini, pp. IX-XLIII, XXVI.

40 Cfr. ad esempio Basilio di Cesarea, Sulla Genesi V, 9, a c. di Naldini, p. 61: «E tu, quando vedi le piante domestiche, quelle dei campi, le acquatiche e le terrestri, quelle che fanno fiori e non ne hanno, riconoscendo nella realtà piccola la grandezza di Dio, aggiungi sempre qualcosa alla tua ammirazione e accresci, ti prego, l’amore per il Creatore».

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minales completano la creazione: ogni ente è disposto secondo un disegno ineren- te al proprio essere. Il fuoco è, più degli altri, l’elemento con cui la natura deter- mina se stessa.

Già Abelardo, nell’Expositio in Hexaemeron, ricorreva alla concezione di natura intesa come vis per spiegare il moto dei pianeti. Questi, tuttavia, non aveva in mente il concetto chartriano di opus naturae: la sua preoccupazione rimane es- senzialmente agostiniana, mirante cioè a chiarire le espressioni bibliche contrad- dittorie ed oscure. In Teodorico, invece, la natura diviene oggetto di ricerca, se- condo un preciso criterio investigativo: la ratio physica timaica.

41

Il modello di un universo a due sfere, esposto nel Timeo, permea le struttu- re cosmologiche del XII secolo. La sfera dell’uomo è racchiusa da quella delle stelle e si trova al centro geometrico dell’universo.

42

In virtù di questo assetto co- smico, si rimarca la concezione dell’uomo-microcosmo. La recezione medievale del Timeo si avvale, inoltre, dei commenti ellenistici. Questi integrano la trattazio- ne timaica con la fisica aristotelica dei quattro elementi.

43

L’opera platonica offre uno stimolo per l’analisi “scientifica” e cosmologica del reale.

Bisogna, però, ridimensionare il termine scienza.

44

Questo non vuol dire svalutarlo, ma inquadrarlo nel contesto che stiamo prendendo in esame. Non è il caso, ovviamente, di paragonare l’atteggiamento scientifico chartriano al metodo sperimentale, e laico, dei moderni.

Gli elementi che consentono di qualificare le speculazioni degli chartriani come scientifiche sono: la pretesa di razionalità e sistematicità e l’esame razionale delle evidenze empiriche presentate dai sensi.

45

Secondo la Stiefel, sarebbe pre- sente una prima e basilare combinazione di deduzione e induzione che si mantie- ne, tuttavia, su di un piano ipotetico e probabilistico.

46

41 T. Gregory, L’idea di natura nella filosofia medievale prima dell’ingresso della fisica di Aristotele. Il secolo XII, in id., Mundana sapientia, pp. 77-114, 91-93.

42 Cfr. T. S. Kuhn, La rivoluzione copernicana. L’astronomia planetaria nello sviluppo del pensiero occidentale, tr. it. T. Gaino, Einaudi, Torino 2000, pp. 36-37.

43 Garfagnini, Cosmologie medievali, pp. 55-56.

44 W. Wetherbee, Philosophy, Cosmology and the Twelfth-Century Renaissance, in Dronke, A History, pp. 21-53, 28.

45 Stiefel, The Heresy, p. 357.

46 T. Stiefel, Twelfth-Century Matter for Metaphor: the Material View of Plato’s Timaeus, «The British Journal for the History of Science» 17, 2, (1984), pp. 169-185, 171.

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Per un autore come Teodorico, ma lo stesso vale per tutti quelli del XII se- colo, la conoscenza scientifica porta con sé implicazioni di natura morale e reli- giosa. Questo dato emerge soprattutto in ambito esegetico, all’interno del quale la physica deve necessariamente collimare, ad esempio, con il racconto creazionisti- co biblico. Proprio il Tractatus teodoriciano testimonia il tentativo di conciliare fi- sica timaica e corretta interpretazione del testo genesiaco. Il testo è caratterizzato da un rinnovato interesse per tutto il reale, ovvero la rerum universitas, leggibile in modi diversi.

4. I modi del reale

La filosofia di Teodorico si struttura a partire dal riconoscimento della non necessità del reale. Tuttavia tale riconoscimento non si traduce in una considera- zione negativa della contingenza, anzi, è sulla base della fattualità e della “talità”

del creato che si costruisce ogni possibile sapere non solo fisico ma anche teologi- co.

Infatti la conoscenza si esercita prima di tutto su ciò che è attualmente pre- sente. Muovendo dal significato concreto di natura, nel senso di realtà esperibile, si giunge al fondamento unitario del molteplice. Si perviene alla condizione di esi- stenza del mondo prendendo atto della sua ordinata compositio: la distribuzione delle sue parti secondo un criterio coerente implica la presenza di un principio at- tivo che ne sia garante e ne renda giustificazione.

Al di là del rinnovato conferimento di dignità ontologica ed epistemologi- ca alla pluralità dei subjecta, la comprensione della realtà prende le mosse dal dato rivelato. Dio, in quanto principio creatore, costituisce quindi un punto impre- scindibile per l’analisi della natura, intesa in senso eriugeniano. Come per il pen- satore irlandese, anche per Teodorico il concetto di natura si estende alle realtà che sfuggono alle possibilità conoscitive dell’uomo e a quelle che possono o meno manifestarsi nella dimensione spazio-temporale.

47

L’impostazione platonica di

47 Giovanni Scoto Eriugena, Periphyseon II, 1, 523D, a c. di E. Jeauneau, CCCM 162, Brepols, Turnhout 1997, p. 3:«universitatem dico deum et creatura»; cfr. W. Beierwaltes, Eriugena: i fon- damenti del suo pensiero, Vita e Pensiero, Milano 1998, p. 16. Cfr. B. Faes de Mottoni, Il platoni-

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Teodorico in questo caso si attenua: gli enti nella loro mutabilità vengono reinseri- ti in un quadro ontologico e cosmologico organico di cui non solo Dio è vinculum, ma ne è anche parte costitutiva.

48

Dicitur enim entitas entia ipsa que forma essendi est et vere deus est.

Entitas quoque dicitur ipsum esse quod entia participat et per quam habet esse.49

Dio e le cose sono entrambi essere, ma lo sono in modi diversi. Pertanto la distanza tra creatore e creatura si riduce, poiché entrambi sono inclusi nella visio- ne generale della rerum universitas.

Teodorico presenta due descrizioni della struttura della realtà: nel Com- mentum e nelle Lectiones. Nel primo la spiegazione della totalità esistente verte sull’individuazione di coppie concettuali come possibilitas-actus, actus cum pos- sibilitate-actus sine possibilitate, imago-forma. La teologia medioplatonica dei tre principi esposta da Calcidio, viene quindi rielaborata e ridotta a due sole condizio- ni: l’atto e la possibilità, i quali coincidono con gli estremi che chiudono il reale ovvero Dio e la materia.

50

Possibilitas est aptitudo recipiendi status [sic!] diversos. Possibile namque dicitur vertibile tam in hoc quam in illud. […] Hec ergo pos- sibilitas a philosophis materia nominatur que per formarum abstractio- nem ad intelligentia satis aperte reducitur. Si quis enim cunctas animo ab aliqua re formas abstrahat sola, ut opinor, remanebit possibilitas a formis quodam modo expoliata.51

smo medioevale, Loescher, Torino 1979, p. 72.

48 Maccagnolo, Rerum universitas, pp. 44-45.

49 Teodorico, Comm. II, 21, ed. Häring, p. 75.

50 Cfr. Calcidio, In Tim., 307, a c. di J. H.Waszink,The Warburg Institute-Brill, London-Leiden 1975,pp. 308-309:«Sed quia id quo facit aliquid, ad exemplum aliquod respiciens operatur, ter- tiae quoque originis intellecta est necessitas. Sunt igitur initia deus et silva et exemplum, est est deus quidem origo primaria moliens et posita in actu, silva vero ex qua prima fit quod gignitur».

51 Teodorico, Comm. II, 19, ed. Häring, p. 74.

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Nella lettura del mondo la filosofia attua un procedimento analitico ed uno sintetico per pervenire alla possibilità e all’atto: la resolutio e la compositio.

52

Il primo metodo consiste nello spogliare un ente delle forme che lo rendono id quod est: si otterrà la pura possibilità di esse aliquid, ossia la capacità di essere determi- nato secondo condizioni e modalità diverse.

Non si può quindi cogliere sperimentalmente la possibilità. Per afferrarla intellettivamente si parte dalla res concreta: la si analizza nei suoi componenti ele- mentari e si percorre a ritroso il percorso di determinazione formale dell’ente.

«Possibilitas que primordialis est materia ad quam resolvendo necesse est veniamus. Aut infinitatem resolvendo incurremus».

53

Per evitare che il procedi- mento di scomposizione proceda all’infinito, è necessario affermare che vi sia una possibilità prima, e dunque una materia primordiale.

Teodorico ha probabilmente in mente la descrizione della silva che Calci- dio attribuisce ad Aristotele: la materia è corpus incorporeum poiché è privazione di forma.

54

Il ragionamento teodoriciano punta all’inclusione della materia nell’as- setto del reale: la silva di cui parla Calcidio non è infatti né puro nihil né ancora aliquid. La materia non ha per propria natura esistenza, perché non ha ancora su- bito alcuna determinazione formale. In quanto idoneità a ricevere una forma, il possibile ancora non è ciò che può essere. Nonostante ciò, merita di essere inserito nella complessa struttura creaturale, dal momento che per l’esistenza delle singole realtà servono sia la materia che la forma.

La condizione dell’esse aliquid deriva però dall’atto. «Per materiam quip- pe res non est sed esse potest. Per formam vero est».

55

La perfectio et integras di un ente si deve non alla materia, ma alle formae rerum. Quest’ultime possono es- sere individuate tramite la compositio. Il metodo compositivo procede in direzione opposta a quello della resolutio e rimanda, oltre che ad un principio attivo respon- sabile della specificazione formale dell’ens, a Dio stesso. Se per rintracciare la materia si era partiti dalla stessa mutabilità, spogliando la res di ciò che la rende

52 Ibid., II, 23, p. 74:«cum duo sint genera argumentandi philosophice: per resolutionem invenitur materia, per compositionem vero deus et forma».

53 Ibid., II, 24, p. 76.

54 Calcidio, In Tim., 288, a c. di Waszink, p. 292: «Et ideo silvam definit seu potius appellat corpus incorporeum, ut possibilitate quidem sit corpus, effectu vero atque operatione nullum corpus. Haec Aristotelis de silva sententia». Cfr. Teodorico, Comm. II, 27, ed. Häring, p. 77.

55 Teodorico, Comm. II, 49, ed. Häring, p. 84.

(23)

tale, in questo caso si cercano direttamente le condizioni dell’esistenza e della quidditas delle creature.

Ciò che conferisce identità e qualificazione alla materia è l’actus cum pos- sibilitate. Quando si parla di atto connesso alla possibilità, si deve intendere il principio che informa la materia ed è pertanto inserito nella contingenza. Bisogna quindi fare una distinzione tra le forme che rendono qualcosa ciò che è e le forme propriamente dette o idee. La distinzione risulta più evidente se contrapponiamo rispettivamente imago e forma.

56

Nel primo caso parleremo di principio informan- te la materia, immagine e non idea, calato nel divenire; nel secondo invece indi- cheremo le ragioni sufficienti nella mente di Dio e pertanto le condizioni immuta- bili per cui un ens non solo è “tale”, ma permane anche uguale a se stesso.

Le idee si configurano come cause progressivamente ordinate le quali fan- no in modo che un preciso accidente inerisca al subjectum specifico.

57

Non si in- tende però che gli accidenti ineriscano alle forme, quanto piuttosto che al singolo uomo, ad esempio, competano precipui accidenti, per la mediazione della natura di humanitas.

58

Il procedimento compositivo consente inoltre di giungere all’actus sine possibilitate, la vera ed unica condizione dell’intero creato. Tale è Dio, che è ne- cessitas e puro atto non soggetto a molteplicità, né contaminato da mutabilità. La divinità costituisce infatti il polo opposto alla possibilitas ed è l’autentico princi- pio di tutto ciò che è.

All’interno del binomio actus-possibilitas, che potremmo a questo punto tradurre con Dio-materia, si inseriscono altre due specificazioni: le formae rerum o ideae e gli actualia. Le prime si situano ad una posizione immediatamente succes- siva a Dio, i secondi sono invece immediatamente precedenti la materia indeter- minata e rappresentano gli enti nella loro concretezza.

Sunt igitur secundum Platonem duo rerum principia: actus scilicet sine possibilitate i.e. deus vel necessitas et - quasi ex adverso posita - mate- ria i.e. possiblitas. Inter hec autem quasi inter extrema sunt forme re-

56 Cfr. Teodorico, Gl. II, 49, ed. Häring, p. 279:«Inde est quod nec vere forma est quia immateri- ata est. […] Non enim sunt ydee sed ydos».

57 Maccagnlo, Rerum universitas, p. 49.

58 Cfr. Teodorico, Comm. II, 61, ed. Häring, p. 87 e Gl. II, 36, ed. Häring, p. 276.

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rum et actualia. Forme namque rerum a deo quasi a primo descendunt principio. Formis vero subsunt actualia. Actualibus vero subest possi- bilitas i.e. materia.59

Gli actualia sono stati il nostro punto di partenza nella descrizione della totalità del reale: cominciando ad analizzare le singole res, le si è scomposte fino ad ottenere un sostrato informe. Gli enti contingenti rappresentano, inoltre, il ri- sultato dell’incontro di materia e forma e sono determinati secondo precise condi- zioni. Nella descrizione della rerum universitas sono stati inclusi Dio, vera forma ed ipsum esse, assieme alle formae rerum.

Si è ottenuta quindi una concezione quadripartita del reale che non implica però una demarcazione ontologica in senso stretto. Teodorico propone una visione generale e complessiva di tutti gli esistenti, che permane una et eadem: tutte le modalità individuate partecipano dell’esse, pur a condizioni e gradi diversi. Nulla rimane al di fuori della rerum universitas, pena la non-esistenza.

Nelle Lectiones si ripete lo schema quadripartito dei modi dell’universitas, elaborato però secondo una terminologia diversa:

et una et eadem [scil. rerum] universitas est in absoluta necessitate, est in necessitate conplexionis, est in absoluta possibilitate, est in determi- nata possibilitate. […] Et ea quidem universitas est in necessitate ab- soluta in simplicitate et unione quadam omnium rerum que deus est.

Est etiam in necessitate conplexionis in quodam ordine et progressio- ne: inmutabiliter tamen. Est in possibilitate absoluta: in possibilitate tamen sine actu omni. Est etiam in determinata possibilitate: possibili- ter et actu.60

Dio è necessità assoluta che complicat in sé l’universo nella propria sem- plicità. L’unitas divina accoglie in sé la totalità delle cose che furono, che sono e che saranno, senza che si produca al suo interno pluralità alcuna. Anzi, come av- viene in aritmetica, la molteplicità è explicatio della stessa unità, da cui dipende.

59 Ibid., II, 28, p. 77.

60 Teodorico, Lect. II, 9, ed. Häring, p. 157.

(25)

Tutte le cose derivano da Dio che è esse et origo.

61

In quanto esse, Dio instaura un’analogia o similitudine con l’essere di ogni ente. Al contempo, però, non coin- cide numericamente con la pluralità delle creature per il fatto di esserne origo: non si può logicamente affermare, infatti, l’identità del principium con ciò che deriva da esso. Le cose non sono ancora res in Dio.

Al polo opposto vi troviamo l’assoluta possibilità che, nella Glosa e nel già citato Commentum, viene identificata con la materia primordiale.

62

Ad essa non si addice alcuno stato di attualità né di determinazione.

La necessitas conplexionis indica la processione della serie di cause immu- tabili dalla necessità assoluta. Vale a dire le forme o idee immutabili, che Dronke definisce “patterns of causality”.

63

La determinata possibilitas consiste invece nell’attualizzazione della possi- bilità assoluta. In altri termini, si tratta dell’informazione della materia ad opera delle imagines. Le idee, “decadute” dal loro stato di originaria verità ovvero dalla mente divina, conferiscono determinatezza al fluire della materia. La possibilità determinata differisce quindi dalla conplexio poiché manca di rigore formale. Per- mane infatti in uno stato di prevalente possibilità e divenire: di tale ambito si oc- cupa la fisica. Questa condizione altro non è se non quella degli actualia.

La quadripartizione del reale è, in definitiva, un’analisi dei modi di essere.

Essere è Dio, essere sono le creature e le idee, essere è addirittura la materia pri- mordiale. Ogni modus essendi non prescinde, però, dalla concezione unitaria della realtà, proprio per il fatto che ogni ens partecipa secondo gradi diversi dell’esse.

Inoltre, la chiave del modello unitario del reale sta nel rapporto creaturale e di di- pendenza da Dio.

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61 Ibid., II, 5, p. 155: «Cuius conplicationis explicatio est omnia que fuerunt que erunt et que sunt.

Nam sicut unitas precedit pluralitatem ita simplicitas que deus est in qua complicata est universitas precedit rerum diversitatem et pluralitatem. […] Ipse enim vera unitas est conplicans in se rerum omnium universitatem in simplicitate. Et esse et origo omnium rerum est». La qualificazione di Dio esse et origo delle Lectiones corrisponde all’espressione fons et origo in Tractatus 35.

62 Cfr. Teodorico, Gl. II, 18, ed. Häring, p. 272: «Quare ipsa [scil. possibilitas absoluta] est materia primordialis quam alii ylem alii silvam alii chaos alii infernum quidam aptitudinem atque carenti- am dixerunt que a deo creata est».

63 Cfr. Dronke, Thierry of Chartres, in id., A history, pp. 369-370. Cfr. inoltre Teodorico, Gl. II, 20, ed. Häring, p. 273.

64 Cfr. T. Gregory, Anima mundi: La filosofia di Guglielmo di Conches e la Scuola di Chartres, Sansoni, Firenze 1955, p. 63: «Teodorico sottolinea l’assoluta dipendenza del molteplice dall’uno riaffermando il rapporto creaturale che lega i due estremi».

(26)

Il cosmo è leggibile filosoficamente in modi diversi. Ma è l’assetto unita- rio del reale a garantire diverse considerationes filosofiche, le quali si adattano ai modi di essere della rerum universitas.

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5. Il triplex studium

In vista dell’effettiva analisi e comprensione dell’opera, risulta utile esami- nare l’impostazione gnoseologica sottesa all’analisi secundum physicam del Trac- tatus. Il programma epistemologico è di stampo platonico e prevede un avanza- mento dall’opinio alla scientia e la conquista da parte dell’uomo della contempla- zione dell’essere immutabile. Come per Boezio infatti, anche per Teodorico la sa- pienza è «comprehensio veritatis eorum que sunt i.e. immutabilium»

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. Inoltre, la distinzione paolina tra sapere quae sunt carnis e quae sunt spiritus orienta la strutturazione del percorso conoscitivo, culminante nello studium divinitatis.

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Suddetto percorso, pur presentandosi sotto la forma di una successione ge- rarchica, deve tuttavia essere considerato proprio dell’uomo nella totalità del suo agire, teorico e morale. Non si può infatti prescindere da una considerazione uni- taria della realtà: la rerum universitas, condizione ontologica della progressione del sapere, viene analizzata secondo quattro modi, ma rimane concretamente una ed identica. Allo stesso modo la filosofia, differenziandosi in logica, etica e specu- lativa, non può perdere la propria unitarietà. L’analisi di ogni aspetto del reale, e di conseguenza ogni ambito del sapere, spinge Teodorico ad estendere la defini- zione di philosophia. Anche l’ethica diviene quindi oggetto dello studium di ciò che è immutabile. Persino le regole operative che costituiscono un’ars, e dunque l’agire dell’uomo sia morale che tecnico, sono sottoposti ai principi razionali che regolano il reale.

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65 Cfr. Teodorico, Comm. IV, 10, ed. Häring, p. 98.

66 Ibid., II, 2, p. 68.

67 Rom., 8, 5.

68 Maccagnolo, Rerum universitas, pp. 103-105.

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La filosofia come amor et studium sapientiae consente di preservare l’uni- tarietà del sapere. Questa concezione contraddistingue l’assetto gnoseologico sia di Teodorico di Chartres che di Ugo di San Vittore.

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Nel quadro dell’epistemologia teodoriciana la ricerca delle causae rerum, di derivazione aristotelico-boeziana, è triplex: logica, ethica e speculativa costi- tuiscono le tappe principali. Triplice è anche la stessa speculativa che include phy- sica, mathematica e theologia.

Sunt enim tres partes speculative: theologia cuius principium est de summo deo, de Trinitate, et inde discendit ad angelicos spiritus et ani- mas et est de incorporeis que sunt extra corpora: et matematica cuius est principium de numeri set inde discendi ad proporciones et ad ma- gnitudines et est de incorporeis que sunt circa corpora […] et physica que est de ipsis corporibus et habet principium a quatuor elementis.70

La tripartizione delle discipline teoretiche, che consente all’uomo di mi- gliorare se stesso in quanto ricercatore della verità, forma un tutto organico per l’i- dentità del soggetto, ma le singole discipline si differenziano per oggetto formale.

Alla physica, o naturalis scientia, spetta l’analisi delle forme immesse nel- la mutabilità e temporalità caratteristiche della materia, discernendo i diversi modi e momenti di un oggetto: il suo studio comincia con la trattazione dei quattro ele- menti. Questa disciplina considera il reale in motu poiché le forme, a contatto con la materialità, perdono la propria immutabilità.

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Pertanto la conoscenza physica non arriva a cogliere la verità delle cose. Il suo oggetto formale la vincola infatti alla descrizione delle realtà e degli eventi naturali: la materia informata di cui si occupa è imago e non veritas. Spiegheremo più avanti in che senso il procedimen-

69 Cfr. Teodorico, Comm. II, 2, ed. Häring, p. 68:«Philosophia ergo est studium sapientie. Philos enim amor vel studium dicitur. Sophia vero sapientia interpretatur»; Ugo di San Vittore, Didasca- licon II, 1, a c. di C. H. Buttimer,The Catholic University Press,Washington 1939, pp. 23-24.

Cfr. inoltre Boezio, In Isagogen Porphirii Commenta, I, 3, a c. di S. Brandt, CSEL 48, Brepols, Vienna- Leipzig 1906, p. 7.

70 Teodorico, Lect. prol., 4, ed. Häring, p. 126.

71 Teodorico, Comm. II, 11, ed. Häring, p. 71:«Omnis itaque mutabilitas ex coniunctione forme provenit et materie: non quod ex forma mutabilitas sed ex mutabilis materie natura proveniat. Et hoc est quare scientiam naturalem, phisicam videlicet, in motu esse confirmat».

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