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4.3 - Le acque di raffreddamento

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Academic year: 2021

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CAP.4 - Il fabbisogno idrico industriale

4.1 – Le fonti di approvvigionamento idrico

Le fonti di approvvigionamento idrico attualmente sfruttate nella zona industriale di Frosinone sono:

¾ l’acqua erogata dall’acquedotto consortile;

¾ le acque del fiume Sacco;

¾ le acque di falda;

L’acqua erogata dall’acquedotto è potabile ma ha un costo di 0.6- 0.7 €/m3; per questi motivi il suo impiego è limitato alla produzione di preparati destinati al consumo umano, alla cottura dei cibi nelle mense aziendali, o ad alimentare i sistemi di condizionamento ambientale degli stabilimenti.

Il volume di acqua prelevato dall’acquedotto è noto con precisione grazie ai tabulati di consumo forniti dal gestore: esso ammonta a circa 550.000 m3/anno. Il prelievo dal fiume Sacco ammonta a circa 1.850.000 m3/anno ed è sfruttato da una sola azienda del comparto tessile in quanto è l’unica ad avere una concessione di presa sulle acque superficiali.

La stima dei volumi idrici prelevati dalla falda si presenta più problematica ed affetta da notevoli incertezze in quanto le aziende sono solite dichiarare alle autorità di controllo degli emungimenti inferiori a quelli effettivi allo scopo di sostenere minori spese per il versamento dei liquami in fognatura e per la depurazione degli stessi.

Per ovviare all’inconveniente si ammette che tutte le acque prelevate dalla falda vengano consegnate, senza perdite, nella fognatura

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consortile e di conseguenza raggiungano l’impianto di depurazione A.S.I.

Sottraendo al totale dei reflui i prelievi da acquedotto, quelli dal fiume Sacco e la quota di scarichi civili, si ottiene una stima del volume di acque sotterranee sfruttato.

Secondo i conteggi del gestore dell’impianto di depurazione i reflui civili ammontano al 30% del totale ovvero a circa 3.750.000 m3/anno, pertanto si ricava che l’emungimento delle acque di falda si aggira attorno ai 4.850.000 m3/anno.

Approvvigionamento acque ad uso industriale 6,7%

22,4%

70,9%

acquedotto fiume falda

Fig. 4.1 – Ripartizione prelievi idrici industriali.

Dal grafico risulta evidente che la risorsa idrica maggiormente sfruttata è costituita dalle acque sotterranee, le quali contribuiscono al soddisfacimento del fabbisogno idrico industriale per un’aliquota poco superiore al 70%.

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4.2 - Le acque di processo

Si definiscono acque di processo quelle che entrano direttamente nel ciclo di lavorazione dei prodotti finiti; ad esse sono richieste caratteristiche chimico-fisiche diverse a seconda del comparto industriale e della fase di lavorazione nella quale sono impiegate. Ad esempio il comparto tessile necessita di acque molto dolci e con un basso contenuto di cloruri sia durante il lavaggio che durante tintura dei tessuti; l’impiego di acque con caratteristiche differenti potrebbe interferire in modo negativo con i processi di lavorazione, causando un incremento del consumo di detergenti ed alterazioni cromatiche sui prodotti finiti.

I comparti farmaceutici ed alimentari, invece, richiedono acque di elevata qualità microbiologica in quanto destinate alla fabbricazione di prodotti ad uso umano come cibi, medicinali e cosmetici.

Da queste semplici considerazioni si può comprendere come sia difficile, se non impossibile, individuare in modo univoco le caratteristiche ideali delle acque di processo.

Diverso è il caso delle acque destinate ad altre applicazioni industriali (raffreddamento, produzione vapore, antincendio) per le quali esistono degli standard di qualità comuni alla maggior parte delle industrie.

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4.3 - Le acque di raffreddamento

Si dicono acque di raffreddamento quelle impiegate negli impianti industriali come fluido refrigerante; gli impianti di raffreddamento vengono classificati in tre categorie (Rossetti, 1999):

a) sistemi “once through”: in essi l’acqua viene utilizzata una sola volta e poi scaricata. Risultano i sistemi più economici e meno esigenti nei confronti della qualità delle acque, tuttavia sono quelli che ne impiegano i maggiori quantitativi e per questo sono convenienti solo se non sussistono problemi di approvvigionamento ed il costo della risorsa è sufficientemente basso.

b) sistema “a ciclo aperto”: in essi l’acqua surriscaldata viene aspersa all’interno di torri di raffreddamento dove incontra un flusso d’aria in controcorrente chela raffredda. Il grado di efficienza delle torri di raffreddamento dipende dalla temperatura dell’aria, da quella dell’acqua e dal salto termico che si intende conseguire. L’acqua raffreddata viene ricircolata all’interno dell’impianto dopo essere stata eventualmente reintegrata per compensare le perdite dovute all’evaporazione ed agli spurghi necessari a mantenere il contenuto salino entro limiti prefissati.

c) sistemi “a ciclo chiuso”, in essi l’acqua scambia calore all’interno di circuiti chiusi pertanto non si verificano perdite e non sono necessari reintegri se non in minima quantità.

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Alle acque di raffreddamento sono richieste tre qualità:

¾ avere una bassa temperatura;

¾ non essere incrostanti;

¾ ma, soprattutto, non essere corrosive.

Le acque di falda ben si prestano alla funzione di raffreddamento proprio in virtù della loro caratteristica intrinseca di trovarsi ad una temperatura costante di circa 10°C durante tutto l’arco dell’anno;

infatti lo spessore di terreno che le ricopre funziona da scudo termico impedendo alle acque di risentire delle variazioni termiche stagionali.

Al contrario le acque superficiali e quelle marine risentono in modo significativo delle variazioni di temperatura a seconda della località e delle stagioni (Rossetti, 1999).

Le incrostazioni sono dei depositi duri e compatti di sali e sostanze minerali che si generano a seguito di variazioni di temperatura, ph, pressione o velocità del flusso; spesso al loro interno si riscontra anche la presenza di aggregati di natura amorfa, particelle di sabbia, limo, e frazioni di sostanza organica.

La corrosione è un deterioramento delle superfici metalliche causato dall’ossidazione delle stesse a seguito del contatto con un ambiente aggressivo. Da un punto di vista termodinamico la corrosione si presenta come un fenomeno naturale che rispetta la tendenza dei sistemi energetici a migrare spontaneamente verso stati più stabili: gli atomi di metallo, inizialmente neutri (Me), vengono ossidati in forma ionica (Me+n) in quanto associata a contenuti energetici minori.

Il ferro è di gran lunga il metallo più aggredito perché è quello

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più comunemente impiegato, assieme alle sue leghe, nella realizzazione delle strutture e degli impianti industriali. Le reazioni di degradazione che lo impegnano sono:

a) l’ossidazione a ferro bivalente:

2Fe+2H2O2Fe2+ +4OH

b) e la successiva ossidazione a ferro trivalente:

4Fe2++O2 +2H2O4Fe3++4OH

La condizione necessaria allo svilupparsi del fenomeno corrosivo è la presenza di un sistema accettore di elettroni (sistema ossidante);

in ambiente liquido gli accettori più comuni sono l’idrogeno e l’ossigeno:

2H+ +2eH2

O2 +2H2O+2e4OH

in sostanza il metallo e l’agente ossidante si comportano come l’anodo ed il catodo di una cella elettrolitica.

Le aree catodiche ed anodiche non sono localizzate in punti precisi della superficie metallica ma sono distribuite in modo casuale sia tempo che nello spazio, pertanto la corrosione evolve in modo omogeneo. La conseguenza pratica della corrosione è una riduzione dello spessore delle superfici metalliche e quindi anche delle loro prestazioni meccaniche; ciò costringe alla sostituzione delle parti danneggiate ed a sostenere notevoli costi.

Parallelamente alla corrosione di tipo diffuso, può innescarsi anche una corrosione di tipo localizzato (pitting); l’attacco si

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manifesta in corrispondenza delle discontinuità della superficie metallica create a seguito di inclusioni, difetti di lavorazione o disattenzione nella posa in opera. Sebbene il pitting dia luogo ad un consumo di materiale notevolmente inferiore rispetto alla corrosione diffusa, è ritenuto di gran lunga più pericoloso in quanto più difficile da individuare.

Le cavità prodotte dal pitting possono divenire sede di pericolose cricche specie se il metallo è sottoposto a vibrazioni e fenomeni di fatica come tipicamente accade degli impianti industriali (Iacoviello, 2000).

E’ inoltre auspicabile che le acque dei circuiti di raffreddamento siano prive di micro-organismi animali e vegetali che troverebbero condizioni ottimali per la proliferazione, ovvero un ph leggermente basico ed una temperatura compresa tra 20-80°C. Lo sviluppo incontrollato di questi microrganismi (biofouling), crea i presupposti per l’innesco della corrosione e può provocare intasamento dei filtri e delle tubazioni più piccole, costringendo le aziende a sospendere le lavorazioni per effettuare la bonifica.

Infine la presenza di micro-organismi costituisce una fonte di rischio igienico-sanitario per gli addetti alla manutenzione che potrebbero entrare in contatto con esse.

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4.4 - Le acque di caldaia

Le acque di caldaia sono quelle destinate a subire un cambiamento di stato dalla fase liquida a quella gassosa all’interno di generatori di vapore; ad esse è richiesto di avere una durezza contenuta ed essere povere silice al fine di scongiurare la precipitazione di queste sostanze e la conseguente formazione di incrostazioni.

La durezza temporanea, cioè quella determinata dalla presenza di bicarbonati di calcio e magnesio, dà luogo a precipitazione per decomposizione termica:

2 2

3 2

3)

(HCO CaCO H O CO

Ca ⇒ + +

La durezza di tipo permanente, ovvero dovuta alla presenza di solfati, produce precipitati quando, la concentrazione dei sali raggiunge e supera il loro prodotto di solubilità.

La formazione di incrostazioni è origine di due tipologie di inconvenienti: a causa del loro basso coefficiente di trasmissione termica riducono sensibilmente l’efficienza dei generatori di vapore con conseguente aumento dei consumi di combustibile, inoltre impediscono una trasmissione uniforme del calore dal boiler all’acqua causando dei surriscaldamenti localizzati capaci di danneggiare la struttura della caldaia (Rossetti, 1999).

Un fattore che influisce direttamente sulla qualità richiesta alle acque di caldaia è la pressione di esercizio delle stesse:

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Tabella 4.1 – Caratteristiche richieste alle acque di caldaia.

4.5 - Le acque antincendio

Alle acque per il servizio antincendio non sono richiese particolari specifiche di qualità, ma solo di essere prontamente disponibili in quantità adeguata ogni qual volta sia necessario intervenire nello spegnimento di fiamme libere; tale esigenza è molto sentita soprattutto nel caso di raffinerie e di impianti chimici che trattano materiali infiammabili (Biannucci, 1968).

Parametri caratteristici dell’acqua di alimentazione delle caldaie

Pressione di esercizio (bar) 20 40 60 >80

Ph a 20°C 9

Conducibilità a 20°C <0.3

Ossigeno <0.02

Durezza <0.02 <0.01 <0.01 assente

Acido carbonico totale <20 <1

KMnO4 <10 <5

Olio <1 <0.5

Ferro totale <0.05 <0.03

Rame <0.01 <0.005

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